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La disoccupazione

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Academic year: 2021

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C

APITOLO

6

La disoccupazione

Domande di ripasso

1. Il tasso naturale di disoccupazione è determinato dai tassi di separazione dal lavoro e di collocamento al lavoro. Il tasso di separazione dal lavoro è pari alla quota di individui che perdono il lavoro ogni mese: quanto maggiore è il tasso di separazione dal lavoro, tanto mag- giore è il tasso naturale di disoccupazione. Il tasso di collocamento al lavoro è la quota di di- soccupati che trovano lavoro ogni mese: quanto maggiore è il tasso di collocamento al lavo- ro, tanto minore è il tasso naturale di disoccupazione.

2. La disoccupazione frizionale è la disoccupazione causata dal tempo necessario per abbinare occupazioni e lavoratori: trovare un’occupazione adeguata richiede tempo, perché il flusso di informazioni sui candidati al posto di lavoro e sui posti vacanti non è istantaneo. Dato che mansioni diverse richiedono competenze diverse e offrono salari diversi, un disoccupa- to non è sempre disposto ad accettare il primo posto di lavoro che gli viene offerto.

Invece la disoccupazione strutturale è la disoccupazione provocata dalla rigidità dei sala- ri e dal razionamento dei posti di lavoro. In questo caso i lavoratori non sono disoccupati perché stanno attivamente ricercando un’occupazione adeguata alle loro attività e con una remunerazione soddisfacente (come nel caso della disoccupazione frizionale), ma perché al salario reale prevalente l’offerta di lavoro supera la domanda. Se il salario non si aggiusta in modo da portare il mercato del lavoro in equilibrio, questi lavoratori devono «attendere» che si renda disponibile un posto di lavoro. La disoccupazione strutturale, dunque, si ha perché le imprese non vogliono o non possono ridurre i salari reali, nonostante l’eccesso di offerta di lavoro.

3. Il salario reale può rimanere al di sopra del livello che assicura l’equilibrio di domanda e offerta di lavoro a causa della legislazione sul salario minimo, del potere monopolistico dei sindacati o del ricorso da parte delle imprese al salario di efficienza.

La legislazione sul salario minimo provoca rigidità salariale perché impedisce ai salari di scendere fino al livello di equilibrio. La maggior parte dei lavoratori percepisce un salario superiore al minimo legale, ma alcuni – soprattutto quelli privi di qualifica o di esperienza – in virtù di questa normativa ricevono un salario superiore al livello di equilibrio; perciò le imprese domandano una minore quantità del loro lavoro. La conseguenza è un eccesso di offerta di lavoro, cioè la disoccupazione strutturale.

Il potere monopolistico dei sindacati provoca rigidità salariale perché i salari dei lavorato- ri sindacalizzati non sono determinati dall’equilibrio di domanda e offerta, ma da una con- trattazione collettiva tra dirigenti sindacali e dirigenti aziendali. L’accordo spesso determina un salario superiore al livello di equilibrio e permette alle imprese di decidere quanti lavora- tori assumere. L’alto salario induce le imprese ad assumere meno lavoratori di quanti ne as- sumerebbero al salario di equilibrio, facendo così aumentare la disoccupazione strutturale.

Le teorie del salario di efficienza suggeriscono che un salario elevato rende i lavoratori più produttivi. L’influenza del salario sulla produttività dei lavoratori può spiegare la ragio- ne per cui le imprese non tagliano i salari a fronte di un eccesso di offerta di lavoro: per quanto l’abbattimento del salario possa ridurre il costo del lavoro per l’impresa, il rischio di una perdita di produttività mette a repentaglio i profitti.

4. Il livello del tasso naturale di disoccupazione nel Regno Unito è oggetto di controversia, ma in generale gli economisti concordano sul fatto che sia diminuito drasticamente negli anni 1990-2000.

Sono molti i fattori che possono aver contribuito a tale fenomeno. Tra questi, la perdita di importanza dei processi di riallocazione settoriale innescati dalla dinamica dei prezzi del petrolio. I prezzi del petrolio sono ancora molto volatili (sebbene abbiano attraversato un periodo di marcata stabilità tra il 1986 e il 1997), ma l’occupazione britannica oggi è gene- rata in settori sempre meno dipendenti dal petrolio.

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Un altro fattore che ha contribuito alla diminuzione del tasso di disoccupazione britan- nico è l’accelerazione della crescita della produttività: se i salari non aumentano alla veloci- tà della produttività, la domanda di lavoro aumenta. Tale cambiamento può allo stesso tempo ridurre il tasso di separazione dal lavoro s e aumentare il tasso di collocamento al la- voro f. Poiché

u s

s f f s

n

1

1 /

il tasso naturale di disoccupazione non può che diminuire.

Un terzo aspetto che ha contribuito alla riduzione del tasso naturale di disoccupazione è la sostanziale diminuzione della partecipazione dei lavoratori al sindacato, a partire dal 1980. La diminuzione del peso dei sindacati implica una perdita di potere negoziale nelle contrattazioni salariali e, di conseguenza, una diminuzione delle pressioni che possono spingere i salari a un livello che mette a repentaglio le prospettive dei disoccupati (cioè di coloro che non hanno voce in capitolo nelle contrattazioni collettive).

Infine, la graduale riduzione dei sussidi di disoccupazione ha abbattuto il «salario di ri- serva» dei disoccupati. Questo significa che probabilmente i disoccupati sono diventati meno selettivi nel vagliare le offerte di lavoro, dal momento che l’alternativa del sussidio di disoccupazione è sempre meno appetibile.

5. Al termine della seconda guerra mondiale i tassi di disoccupazione nei paesi dell’Europa continentale erano in media più contenuti di quelli prevalenti negli Stati Uniti. Questa si- tuazione è cambiata in conseguenza degli shock petroliferi degli anni 1970. In quel periodo il tasso di disoccupazione è aumentato drasticamente su entrambe le sponde dell’A- tlantico; ma se, col tempo, negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli pre- cedenti la crisi petrolifera, in Europa è rimasto stabilmente più elevato. Nel Regno Unito il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli antecedenti la crisi petrolifera soltanto negli anni 1990, mentre in quasi tutti i paesi dell’area dell’euro il tasso di disoccupazione si è mante- nuto a livelli costantemente più alti: per esempio, in Francia non scende al di sotto dell’8%

da più di 25 anni. La ragione di questa sensibile differenza è che le istituzioni del mercato del lavoro variano notevolmente da un paese all’altro. Nei paesi con un tasso di disoccupa- zione elevato, come Belgio, Francia, Finlandia e Germania, in media 9 lavoratori su 10 hanno il salario determinato da contratti collettivi nazionali, contro il 18% negli Stati Uniti e il 35% nel Regno Unito. Questo suggerisce che, nei paesi ad alta disoccupazione, sia più profondo il solco che separa chi è dentro da chi è fuori dal mercato del lavoro: in altre paro- le, per il disoccupato è sempre più difficile ricevere offerte di impiego, perché il salario cor- rente è determinato da trattative alle quali partecipano esclusivamente gli occupati.

Un’altra differenza tra i paesi dell’Europa continentale, da un lato, e Stati Uniti e Regno Unito, dall’altro, è la generosità dei sussidi di disoccupazione. Le variazioni sono marcate e non è facile eseguire confronti diretti, ma il tasso di sostituzione è indubbiamente più ele- vato in Francia e in Germania che negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Inoltre, probabil- mente, nei paesi dell’Europa continentale è più facile mantenere a lungo il sussidio di di- soccupazione, e ciò rende i lavoratori tendenzialmente più selettivi nell’accettare un nuovo lavoro, perché la prospettiva di rimanere disoccupato non è, dal punto di vista economica, così negativa come per i lavoratori britannici o statunitensi. Tale interpretazione non è condivisa da chi ha evidenziato che il sistema del welfare non riesce a spiegare l’evoluzione storica del tasso di disoccupazione: in alcuni paesi i sussidi di disoccupazione erano generosi anche negli anni 1960. Una risposta a questa obiezione è che i sussidi di disoccupazione erano semplicemente una bomba a orologeria pronta a esplodere: non ha rappresentato un problema fintanto che l’economia è andata bene e i lavoratori trovavano facilmente un’occupazione consona alle proprie capacità e aspirazioni; ma la crisi petrolifera – con i processi di riallocazione intersettoriale che ha provocato – ha precipitato una massa enor- me di lavoratori nella rete di sicurezza offerta dal sussidio. Questi lavoratori, che ricevevano un sussidio pari a una percentuale fissa dei loro (relativamente) elevati salari, non erano di- sposti a trasferirsi in un settore diverso, guadagnando di meno, pur di ricominciare a lavo- rare. Più recentemente la stessa dinamica si è ripetuta in presenza di quello che gli econo- misti chiamano cambiamento tecnologico skill-biased (shock tecnologici che favoriscono la forza lavoro più qualificata e riducono il valore di mercato relativo della manodopera non qualificata). Il problema è sicuramente molto più complesso di quanto questi semplici mo-

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delli lascino intendere, ma la drastica diminuzione della disoccupazione nel Regno Unito a seguito dello smantellamento di molte delle istituzioni dello Stato sociale e della perdita di potere contrattuale dei sindacati suggerisce che le istituzioni del mercato interno del lavoro siano un elemento cardine per spiegare le diverse esperienze del fenomeno disoccupazione.

Problemi e applicazioni pratiche

1. (a) Nell’esempio che segue ipotizziamo che durante l’anno scolastico cerchiate un lavoro part-time, e che in media siano necessarie 2 settimane per trovarne uno. Ipotizziamo inoltre che un lavoro tipico duri un semestre, o 12 settimane. Se sono necessarie due settimane per trovare un lavoro, allora il tasso di collocamento al lavoro espresso in set- timane è:

f ⫽ (1 lavoro/2 settimane) ⫽ 0,5 lavori/settimana

(b) Se il lavoro dura 12 settimane, allora il tasso di separazione dal lavoro espresso in setti- mane è:

s ⫽ (1 lavoro/12 settimane) ⫽ 0,083 lavori/settimana (c) Dal testo sappiamo che la formula del tasso naturale di disoccupazione è:

(U/L) ⫽ [s/(s ⫹ f )]

dove U è il numero di individui disoccupati e L il numero di individui che compongo- no la forza lavoro. Sostituendo i valori di s e di f calcolati sopra, otteniamo:

(U/L) ⫽ [0,083/(0,083 ⫹ 0,5)] ⫽ 0,14

Quindi, se in media ci vogliono 2 settimane per trovare un lavoro che dura 12 settima- ne, il tasso naturale di disoccupazione di coloro che cercano un’occupazione part-time è del 14%.

2. Per dimostrare che il tasso naturale di disoccupazione tende nel tempo al livello di stato stazionario, vediamo innanzitutto come cambia nel tempo il numero dei disoccupati. La va- riazione del numero dei disoccupati è uguale al numero di coloro che perdono il lavoro (sE ) meno il numero di coloro che trovano un lavoro (fU ). In forma di equazione, possiamo e- sprimere la relazione come:

Ut⫹1 – Ut ⫽ ⌬Ut⫹1 ⫽ sEt – f Ut

Dal testo sappiamo che L ⫽ Et ⫹ Ut, o Et ⫽ L – Ut, dove L è la forza lavoro totale (possia- mo ipotizzare che L sia costante). Sostituendo Et nell’equazione precedente, otteniamo:

⌬Ut⫹1 ⫽ s(L – Ut) – f Ut

Dividendo per L otteniamo un’espressione della variazione del tasso di disoccupazione da t a t ⫹ 1:

⌬Ut⫹1/L ⫽ (Ut⫹1/L) – (Ut/L) ⫽ ⌬[U/L]t⫹1 ⫽ s(1 – Ut/L) – f Ut/L Riordinando il lato destro dell’equazione:

⌬[U/L]t⫹1 ⫽ s – (s ⫹ f )Ut/L

⫽ (s ⫹ f )[s/(s ⫹ f ) – Ut/L

Notiamo che in stato stazionario, quando il tasso di disoccupazione è uguale al tasso natura- le, il lato sinistro di questa equazione è zero. Questo ci dice che il tasso naturale di disoccu- pazione (U/L)n è pari a s/(s ⫹ f ). Possiamo ora riscrivere l’espressione, sostituendo (U/L)n a s/(s ⫹ f ), per renderne più semplice l’interpretazione:

⌬[U/L]t⫹1 ⫽ (s ⫹ f )[(U/L)n – Ut/L]

Questa espressione mostra che:

• se Ut/L > (U/L)n (cioè se il tasso di disoccupazione è superiore al tasso naturale),

⌬[U/L]t⫹1 è negativo e il tasso di disoccupazione diminuisce

• se Ut/L < (U/L)n (cioè se il tasso di disoccupazione è inferiore al tasso naturale),

⌬[U/L]t⫹1 è positivo e il tasso di disoccupazione aumenta

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Questo processo continua fino a che il tasso di disoccupazione U/L raggiunge il suo livello di stato stazionario (U/L)n.

3. Chiamiamo I il numero dei residenti nel pensionato studentesco che sono fidanzati e U il numero dei residenti che non sono fidanzati; il numero totale dei residenti è T ⫽ I ⫹ U.

Nello stato stazionario il numero totale dei residenti fidanzati è costante. Affinché ciò sia possibile, è necessario che il numero dei residenti che hanno da poco rotto il fidanzamento, (0,10)I, sia lo stesso dei residenti che si sono appena fidanzati, (0,05)U. Analiticamente:

(0,05)U ⫽ (0,10)I

⫽ (0,10)(T – U ) quindi:

U T

0,10 0,10 ⫹ 0,05 2

3

Scopriamo così che due terzi dei residenti non sono fidanzati.

4. Consideriamo la formula per il tasso naturale di disoccupazione:

U

L s s ⫹ f

Se la nuova legge riduce il tasso di separazione dal lavoro s ma non ha effetto sul tasso di collocamento al lavoro f, il tasso naturale di disoccupazione diminuisce.

Per diverse ragioni, tuttavia, la nuova legge potrebbe tendere a ridurre f. Innanzitutto, se il costo del licenziamento aumenta, le imprese potrebbero diventare più attente nell’assumere lavoratori, perché il costo di licenziarli nel caso si rivelino inadeguati diventa più alto. Inoltre, se chi cerca un lavoro ritiene che, in conseguenza della nuova legge, dovrà rimanere più a lungo in un determinato impiego, sarà portato a valutare più attentamente se accettarlo o meno. Se la riduzione di f è sufficientemente grande, il nuovo provvedimen- to potrebbe addirittura far aumentare il tasso naturale di disoccupazione.

5. (a) La domanda di lavoro è determinata dalla quantità di lavoro che un’impresa che mas- simizza il profitto vuole assumere a un dato salario reale. La condizione di massimizza- zione del profitto indica che l’impresa assume lavoratori fino a che la produttività mar- ginale del lavoro è uguale al salario reale:

PML W P

La produttività marginale del lavoro si trova differenziando la funzione di produzione rispetto al lavoro:

PML

⫽ K1/3L–1/3 dY dL d (K1/3L2/3)

dL 2 3

Per risolvere rispetto alla domanda di lavoro, poniamo PML uguale al salario reale e ri- solviamo per L:

K1/3L–1/3

L⫽ K278

( )

WP –3

W P 2

3

Notiamo che questa espressione ha una caratteristica intuitivamente desiderabile: al crescere del salario reale, la domanda di lavoro diminuisce.

(b) Ipotizziamo che l’offerta delle 1000 unità di capitale e delle 1000 unità di lavoro sia anelastica (cioè che tali fattori siano disponibili a prescindere dal prezzo). In questo ca- so sappiamo che in equilibrio saranno utilizzate tutte le 1000 unità di ciascun fattore;

(5)

quindi possiamo sostituire L ⫽ 1000 e K ⫽ 1000 nella domanda di lavoro scritta sopra e risolvere per W/P:

1000⫽ 1000

( )

–3

2 3 8 27 W P

W P

In equilibrio l’occupazione sarà pari a 1000; moltiplicando questo dato per 2/3 trovia- mo che i lavoratori guadagnano 667 unità di prodotto. Il prodotto totale è dato dalla funzione di produzione:

Y ⫽ K1/3L2/ 3

⫽ 10001/310002/3

⫽ 1000

Notiamo che i lavoratori ottengono i due terzi del prodotto, il che è coerente con quan- to detto nel capitolo 3 sulla funzione di produzione Cobb-Douglas.

(c) Il salario stabilito dal Parlamento, pari a 1 unità, è maggiore del salario di equilibrio, che è pari a 2/3 unità di prodotto.

(d) Le imprese usano la domanda di lavoro per decidere quanti lavoratori assumere con un salario pari a 1 e con 1000 unità di capitale:

L⫽ 1000(1)–3

⫽ 296 8 27

quindi verranno assunti 296 lavoratori per un compenso totale di 296 unità di prodot- to.

(e) Il provvedimento ha l’effetto di ridistribuire il prodotto dai 704 lavoratori che diventa- no disoccupati involontari ai 296 che vengono pagati più di prima. I lavoratori fortuna- ti hanno un beneficio inferiore alla perdita degli altri lavoratori, poiché la remunerazio- ne totale dei lavoratori diminuisce da 667 a 296 unità di prodotto.

(f) Il problema mette in evidenza i due effetti delle leggi sul salario minimo: il salario di al- cuni lavoratori aumenta mentre il numero totale dei posti di lavoro diminuisce, a causa della pendenza negativa della domanda di lavoro. Osservate tuttavia che, se la doman- da di lavoro è meno elastica che in questo esempio, la perdita di occupazione può esse- re inferiore e la variazione del reddito dei lavoratori potrebbe addirittura essere positi- va.

6. (a) La curva di domanda di lavoro è data dalla curva del prodotto marginale del lavoro con la quale le imprese si confrontano. Se un paese subisce una diminuzione della produt- tività, la curva di domanda di lavoro si sposta verso il basso, come nella figura 6.1. Se il lavoro diviene meno produttivo, allora per ogni livello del salario reale le imprese do- mandano meno lavoro.

Salario reale

L Lavoro

w/p

L2 D

L1D

Figura 6.1

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(b) Se il mercato del lavoro è sempre in equilibrio, allora, ipotizzando un’offerta di lavoro fissa, uno shock negativo della produttività provoca una diminuzione del salario reale ma non ha effetti sull’occupazione o sulla disoccupazione, come si vede nella figura 6.2.

L Lavoro

w/p

Salario reale

L LO

L2D L1D w/p2

w/p1

Figura 6.2

Se i sindacati impongono che il salario reale rimanga inalterato, allora, come illustrato nella figura 6.3, l’occupazione scende a L1 e la disoccupazione è pari a L – L1.

L L

Disoccu- pazione

Salario reale

w/p

w/p1

L1

LO

L2D L1D A

B

Figura 6.3

Lavoro

Questo esempio mostra che l’effetto sull’economia di uno shock negativo della produt- tività dipende dal ruolo dei sindacati e dalla risposta della trattativa sindacale a tale cambiamento.

7. Il problema degli uffici sfitti è simile al problema della disoccupazione: per capire perché esistono uffici sfitti, possiamo usare gli stessi concetti utilizzati per analizzare il mercato del lavoro. C’è un tasso di abbandono degli uffici: le imprese lasciano gli uffici dove sono situa- te perché si spostano in altri o perché escono dal mercato. C’è un tasso di reperimento de- gli uffici: le imprese che hanno bisogno di uffici (perché si stanno espandendo o perché stanno iniziando la loro attività) cercano nuovi spazi adatti allo scopo. Per abbinare le im- prese agli spazi disponibili occorre tempo. Imprese diverse richiedono spazi con caratteristi- che diverse, a seconda dei propri specifici bisogni. Inoltre, poiché la domanda dei diversi beni e servizi varia nel tempo, si verificano «riallocazioni settoriali», cioè variazioni nella composizione della domanda tra industrie e regioni, che influenzano la redditività e le esi- genze in termini di uffici delle diverse imprese.

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