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Parte seconda

La Regione

Capitolo 12

Autonomia finanziaria e contabile delle

Regioni a Statuto ordinario

Sommario

1. L’autonomia finanziaria delle Regioni. - 2. La legge sul federalismo fi- scale. - 3. I tributi propri delle Regioni a Statuto ordinario. - 4. I contributi speciali e il ricorso all’indebitamento. - 5. Principi in materia di bilancio e contabilità delle Regioni. - 6. Gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio. - 7. La presentazione del bilancio, l’esercizio provvisorio, varia- zioni e assestamento del bilancio. - 8. Il rendiconto.

1. L’autonomia finanziaria delle Regioni

A) Generalità

Prima delle modifiche al Titolo V della Costituzione recate dalla L. cost. 18-10-2001, n.

3, l’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario trovava riconoscimento nel disposto degli artt. 117-119 della Costituzione e nelle successive leggi e decreti delegati di attuazione (L. 382/1975, D.P.R. 616, 617 e 618 del 1977), mentre quella delle Regioni a statuto speciale era garantita dagli stessi Statuti (approvati con leggi costituzionali).

La versione originaria dell’art. 119 Cost. disponeva che «le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordina- no con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni».

La dottrina ha interpretato questa previsione nel senso che l’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario consiste essenzialmente in una autonomia di spesa (VIRGA) e di bilancio: cioè nella potestà attribuita alle Regioni di amministrare diret- tamente le entrate stabilite da leggi statali.

Nell’ambito dell’autonomia finanziaria delle Regioni ordinarie, così intesa, si è soliti distinguere una finanza ordinaria e una finanza straordinaria.

B) La finanza ordinaria

L’art. 119, secondo comma, Cost. (prima delle modifiche) stabiliva che «alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai

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bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni nor- mali».

La «finanza ordinaria» abbraccia il complesso delle entrate ordinarie delle Regioni, che la Costituzione denomina appunto tributi propri o quote di tributi erariali.

Si ricordi che i tributi «propri» della Regione non sono tributi imposti dalla Regione con proprie leggi (ciò è inammissibile), ma tributi previsti e imposti con leggi dello Stato, che ne attribuiscono il gettito alle Regioni.

C) La finanza straordinaria

La finanza straordinaria era prevista dal terzo comma dell’art. 119 Cost., secondo cui,

«per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le isole, lo Stato assegna per legge, a singole Regioni, contributi speciali».

D) Il demanio e il patrimonio regionale

L’art. 119, infine, stabiliva che: «la Regione ha un proprio demanio e patrimonio, se- condo le modalità stabilite con legge».

Ci si riferisce — come detta la legge finanziaria n. 281 del 1970 — ai beni del demanio regionale e a quelli del demanio statale trasferito alle Regioni (nonché a quei beni del patrimonio regionale quali foreste, cave, torbiere ecc.).

E) Le modifiche al Titolo V della Costituzione

Con la L. cost. 3/2001, sono state apportate notevoli modifiche al Titolo V della Costi- tuzione. Nell’ambito della riforma federalista della Carta costituzionale, il nuovo arti- colo 119, al 1° comma, riconosce a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

Il secondo comma afferma che gli stessi enti hanno risorse autonome e che possono stabilire e applicare tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e con i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Agli stessi enti, inoltre, vengono riconosciute compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferi- bili al loro territorio.

Un apposito fondo di perequazione (comma 3), istituito con legge dello Stato e senza vincolo di destinazione, è chiamato a integrare le risorse finanziarie dei territori con minore capacità fiscale per abitante.

Tali risorse devono consentire a questi enti di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite (comma 5).

Inoltre, ai sensi del comma 4, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effet- tivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

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L’ultimo comma, infine, riconosce che Comuni, Province, Città metropolitane e Re- gioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Gli enti territoriali possono altresì ricorrere all’indebitamento ma solo per finanziare spese di investimento e senza alcuna garanzia dello Stato sui prestiti contratti.

2. La legge sul federalismo fiscale

Con legge del L. 5 maggio 2009, n. 42, è stata data delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione.

Tale legge rappresenta l’attuazione dell’art. 119 Cost., assicurando autonomia di en- trata e di spesa degli enti territoriali e garantendo i principi di solidarietà e di coesione sociale, in modo da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione nonché l’effet- tività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. Per il rag- giungimento di tali finalità, la citata legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del siste- ma tributario, a disciplinare l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l’utilizzazione delle ri- sorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, com- ma 5, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella pro- spettiva del superamento del dualismo economico del Paese. Vengono dettati, ancora, princìpi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti territoriali non- ché norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

In particolare, in base alla legge citata, il Governo è delegato ad adottare, entro 24 mesi dall’entrata in vigore della normativa de qua, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l’attuazione dell’art. 119 Cost., al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tri- butario e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di Comuni, Pro- vince, Città metropolitane e Regioni.

La delega dovrà essere realizzata nel rispetto, tra gli altri, di alcuni fondamentali principi, tra cui ricordiamo:

— autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;

— lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazio- ni al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai trattati internazionali;

— razionalità e coerenza dei singoli tributi e semplificazione del sistema tributario nel suo complesso, nonché coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’atti- vità di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale;

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— attribuzione di risorse autonome ai Comuni, alle Province, alle Città metropoli- tane e alle Regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidia- rietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione;

le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di Regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo con- sentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;

— determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica e definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’eserci- zio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, comma 2, lettere m) e p), della Costituzione;

— adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di Regioni, Città metropolita- ne, Province e Comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall’applicazione del patto di stabilità e crescita;

— individuazione dei princìpi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione degli enti territoriali in base a criteri predefiniti e uniformi, ed in maniera coerente con il bilancio dello Stato;

— previsione dell’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle autonomie territoriali;

— rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Dovrà, inoltre, essere previsto che la legge regionale possa, con riguardo ai pre- supposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, istituire tributi re- gionali e locali e determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che Comuni, Province e Città metropolitane possono applicare nell’esercizio della pro- pria autonomia con riferimento ai tributi locali, nonché che abbia la facoltà di isti- tuire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle com- partecipazioni regionali.

Inoltre, saranno predisposti strumenti di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell’esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed eco- nomica e previsione, nonché meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispet- tano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni ex art. 117 Cost.

La legge delega sul federalismo appare strutturata nel modo seguente:

— il Capo I concerne l’ambito di applicazione della legge medesima e le regole di coordinamento finanziario;

— il Capo II riguarda i rapporti finanziari tra Stato e Regioni;

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— il Capo III ha ad oggetto la finanza degli enti locali;

— il Capo IV concerne il finanziamento delle Città metropolitane;

— il Capo V riguarda gli interventi speciali ai sensi dell’art. 119, comma 5, Cost.;

— il Capo VI contiene la disciplina per il coordinamento dei diversi livelli di governo;

— il Capo VII riguarda la disciplina del patrimonio di Regioni ed enti locali;

— nel Capo VIII, infine, sono contenute le norme transitorie e finali.

Il Capo IX, poi, predispone gli obiettivi di perequazione e di solidarietà per le Regioni a Statuto speciale e per le Province autonome di Trento e Bolzano.

3. I tributi propri delle Regioni a Statuto ordinario

A) L’IRAP

La riorganizzazione in senso federalista della finanza locale ha mosso un decisivo passo con le deleghe contenute nella legge collegata alla finanziaria per il 1997 (art. 3, commi 143-159, L. 662/1996). In attuazione di tale delega il Governo (con D.Lgs. 446/1997) ha istituito l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

Si tratta di un tributo a carattere reale il cui presupposto d’imposta è dato dal- l’esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della Regione. Ad essere colpi- to, dunque, è il valore aggiunto della produzione calcolato sulla base delle risul- tanze del bilancio, con criteri specifici per ogni categoria di soggetti passivi. L’IRAP è determinata applicando al valore della produzione netta l’aliquota del 3,9% (ali- quota così modificata dall’art. 1, comma 50, della L. 244/2007, legge finanziaria per il 2008).

A decorrere dal 2000, infine, le Regioni hanno facoltà di maggiorare l’aliquota ordina- ria fino ad un massimo di un punto percentuale; la Finanziaria 2003 (L. 289/2002) aveva però disposto la sospensione di tutte le delibere di aumento approvate dopo il 29 settembre 2002 e tale disposizione è stata reiterata più volta (in ultimo dall’art. 1, comma 165 della L. 266/2005 che ha sospeso fino al 31 dicembre 2006 gli effetti degli aumenti delle addizionali e delle maggiorazioni eventualmente deliberati). L’art. 1, comma 226, della L. 244/2007 ha infine disposto che le aliquote eventualmente variate siano riparametrate sulla base di un coefficiente pari a 0,9176.

Dopo che la L. 80/2003 aveva disposto la graduale eliminazione dell’IRAP, la Finan- ziaria 2008 (art. 1, comma 43 L. 244/2007) ha apportato numerose novità: in attesa della completa attuazione dell’art. 119 della Costituzione e del federalismo fiscale, l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) assume la natura di tributo pro- prio della Regione e, a decorrere dal 1° gennaio 2010 (termine così prorogato dal D.L. 30-12-2008, n. 207, conv. in L. 27-2-2009, n. 14, cd. decreto mille-proroghe), è istituita con legge regionale. Le Regioni non possono modificare le basi imponibili

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ma, nei limiti stabiliti dalle leggi statali, possono modificare l’aliquota, le detrazioni e le deduzioni, nonché introdurre speciali agevolazioni.

B) Altri tributi propri

L’istituzione dell’IRAP (il terzo tributo per importanza nel nostro ordinamento) ha sicuramente incrementato l’incidenza delle entrate tributarie sui bilanci delle Regioni.

Contemporaneamente, però, il D.Lgs. 446/1997 ha provveduto a razionalizzare e sem- plificare il prelievo sulle imprese e sul lavoro. Di conseguenza, dunque, sono tributi propri delle Regioni di diritto comune:

a) la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) appartenenti alle Regioni. Questo tributo doveva essere soppresso dall’1-1-1999 ma la L. 448/1998 ne ha disposto la sopravvivenza. Le Regioni hanno comunque facoltà di trasforma- re il tributo in un canone;

b) l’imposta sulle concessioni statali, che si applica alla concessione per l’occupa- zione e l’uso del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato che si trovano nel territorio regionale;

c) le tasse sulle concessioni regionali, che si applicano agli atti e ai provvedimenti adottati dalle Regioni nell’esercizio delle proprie funzioni e dagli enti locali nel- l’esercizio di funzioni regionali loro delegate. Tali tasse sono disciplinate dall’art.

3 della L. 281/1970, come modificato dall’art. 4 della L. 158/1990, ma l’art. 55 del D.Lgs. 446/1997 dà facoltà alle Regioni di non applicare tali tasse;

d) l’addizionale regionale all’accisa sul gas naturale (D.Lgs. 398/1990 come mo- dificato dal D.Lgs. 26/2007);

e) l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (art. 17 D.Lgs. 398/1990) erogata da impianti di distribuzione siti sul territorio regionale; inoltre, alle Regio- ni è riconosciuta una quota pari a 250 lire (0,129 euro) ai sensi dell’art. 4 D.Lgs.

56/2000 dell’accisa sulla benzina erogata all’interno del proprio territorio;

Ai sensi dell’art. 1, comma 295, della L. 244/2007, legge finanziaria per il 2008, è previsto che, al fine di promuovere lo sviluppo dei servizi del trasporto pubblico locale, di attuare il processo di riforma del settore e di garantire le risorse necessarie per il mantenimento dell’attuale livello dei servizi, incluso il recupero dell’inflazione degli anni precedenti, alle regioni a statuto ordinario è riconosciuta la compartecipazione al gettito dell’accisa sul ga- solio per autotrazione;

f) le tasse automobilistiche regionali, che si applicano a veicoli e autoscafi già as- soggettati alla corrispondente tassa erariale di possesso, nonché ai veicoli e auto- scafi per i quali non è previsto un documento di circolazione, di proprietà di sog- getti residenti nella Regione.

A decorrere dall’1-1-1993 l’art. 23 D.Lgs. 504/1992 attribuisce alle Regioni a Sta- tuto ordinario l’intera tassa automobilistica, disciplinata dal D.P.R. 39/1953, che prende il nome di tassa automobilistica regionale.

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g) la tassa regionale per il diritto allo studio universitario istituita dalla L. 549/

1995 (collegato alla finanziaria 1996), quale tributo proprio delle Regioni e Pro- vince autonome al fine di incrementare le disponibilità finanziarie per l’erogazione di borse di studio e di prestiti d’onore agli studenti universitari capaci e meritevoli ma privi di mezzi;

h) il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi istituita — a par- tire dal 1-1-1996 — dalla L. 549/1995 al fine di favorire la minore produzione dei rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima ed energia;

i) l’addizionale regionale all’IRPEF, prevista dall’art. 50 del D.Lgs. 446/1997, come modificato dal D.Lgs. 56/2000. Titolare del tributo è la Regione, determinata in base al Comune di residenza del contribuente; a partire dal 2001 l’aliquota è deter- minata dalla Regione (con provvedimento da pubblicare in G.U.) fra un minimo dello 0,9% e un massimo dell’1,4%;

l) la compartecipazione regionale all’IVA (art. 2 D.Lgs. 56/2000). A decorrere dal 2001 essa è fissata al 25,7% (aliquota più volte rideterminata con D.P.C.M.) del gettito com- plessivo del penultimo anno ed è attribuita utilizzando come indicatore di base imponi- bile la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’ISTAT a livello regionale;

m) l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (istituita dall’art. 90 L. 342/2000). Obbligato al pagamento è l’esercente dell’aeromobile e il gettito è destinato prioritariamente al disinquinamento acustico;

n) tassa sulla caccia. L’art. 66, comma 14, L. 388/2000 ha previsto che dal 2004 il 50%

dell’introito derivante dalla tassa erariale sulla caccia sia attribuito alle Regioni;

o) tassa per l’abilitazione professionale (art. 190 R.D. 1592/1933) dovuta da quanti conseguono l’abilitazione all’esercizio professionale ed hanno conseguito il titolo accademico in una Università con sede legale nella Regione.

LEENTRATETRIBUTARIEDELLE REGIONIA STATUTO ORDINARIO IRAP

Addizionale regionale IRPEF Compartecipazione regionale all’IVA Imposta sulle concessioni statali Tasse sulle concessioni regionali Tasse automobilistiche regionali

Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche Addizionale regionale all’accisa sul gas naturale Imposta regionale sulla benzina per autotrazione Tassa regionale per il diritto allo studio universitario Tassa speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili Tassa sulla caccia

Tassa per l’abilitazione professionale

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4. I contributi speciali e il ricorso all’indebitamento

A) I contributi speciali

L’art. 119, comma 5, Cost. prescrive che «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».

La dottrina più autorevole è portata a ritenere che i contributi speciali possono avere ad oggetto attribuzioni regionali, statali e statali delegate (PIZZETTI).

Tali contributi devono in ogni caso avere carattere aggiuntivo rispetto alle spese diret- tamente o indirettamente effettuate dallo Stato, nonché carattere di generalità per tut- to il territorio nazionale.

I contributi speciali sono assegnati alle Regioni ordinarie con apposite leggi in rela- zione alle indicazioni del programma economico nazionale e degli eventuali pro- grammi di sviluppo regionali, con particolare riguardo alla valorizzazione del Mez- zogiorno.

A partire dal 2001, il D.Lgs. 56/2000 ha disposto la cessazione dei trasferimenti eraria- li destinati:

— al finanziamento del trasporto pubblico di cui al D.Lgs. 422/1997;

— al finanziamento della spesa sanitaria corrente computata al netto delle somme:

a) vincolate da accordi internazionali;

b) destinate al finanziamento delle attività degli istituti di ricerca;

c) destinate agli istituti di ricerca scientifica;

d) destinate ad iniziative previste da leggi nazionali o dal Piano sanitario naziona- le.

Per un periodo transitorio (non superiore a 3 anni) ogni Regione è stata vincolata a impegnare una spesa sanitaria definita in funzione della quota capitaria stabilita dal Piano sanitario nazionale.

B) Il ricorso all’indebitamento

L’art. 10 della L. 16-5-1970, n. 281 prevede che le Regioni possono contrarre mutui ed emettere obbligazioni esclusivamente per provvedere a spese di investimento o per assumere partecipazioni in società finanziarie regionali (la disposizione è ribadita dall’art. 30 L. 289/2002 secondo cui se gli enti territoriali ricorrono all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, i relativi atti e contratti sono nulli e la Corte dei conti può irrogare agli amministratori che hanno assunto le relative delibere sanzioni pecuniarie da 5 a 20 volte l’indennità di carica percepita).

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La previsione del comma 6 dell’art. 119 trova ora corpo nell’art. 3, commi 16-18 della Finanziaria 2004, in cui è elencato puntualmente quali spese debbano essere considerate investimenti:

a) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali;

b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti;

c) l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale;

d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale;

e) l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose;

f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti;

g) i trasferimenti in conto capitale destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni;

h) i trasferimenti in conto capitale in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprie- tari e/o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata;

i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, di- chiarati di preminente interesse regionale, aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valo- rizzazione del territorio.

L’importo complessivo delle annualità di ammortamento per capitale e interessi dei mutui e delle altre forme di indebitamento in estinzione nell’esercizio considerato non può comunque superare il 25 per cento dell’ammontare complessivo delle entrate tri- butarie non vincolate della Regione ed a condizione che gli oneri futuri di ammorta- mento trovino copertura nell’ambito del bilancio pluriennale della Regione stessa (così dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. 76/2000).

In virtù dell’art. 20 del D.L. 8/1993 (convertito con modifiche nella L. 68/1993), però, le Regioni sono autorizzate a contrarre mutui, anche in deroga alle limitazioni stabilite dalla legislazione statale vigente, al fine di ripianare eventuali disavanzi di ammini- strazione.

Possono avvalersi di tali disposizioni solo le Regioni che hanno espresso nella misura massima la propria autonomia impositiva. L’ammortamento dei mutui è a carico delle Regioni; è, tuttavia il Ministro dell’economia e delle finanze a provvedere material- mente al pagamento a favore degli istituti mutuanti, utilizzando quote dal fondo comu- ne spettanti alle Regioni.

Le Regioni che ricorrano a tale forma di ripiano, per un triennio non potranno:

coprire posti in organico rimasti vacanti;

iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, salvo quelle relative a finanziamento per l’attuazione di politiche comunitarie;

— impegnare somme superiori a quelle impegnate nell’anno precedente per l’acquisto e la ma- nutenzione di autoveicoli per il trasporto di persone, spese postali e telefoniche, abbonamenti a pubblicazioni, partecipazioni a convegni, consulenze esterne.

La disciplina dell’emissione di titoli obbligazionari da parte delle Regioni (i cd. BOR) è stata riconfermata dall’art. 35 della L. 724/1994; tale ultima normativa ha però previ-

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sto che non possano emettere obbligazioni le Regioni che hanno ripianato i disavanzi di amministrazione utilizzando i mutui di cui all’art. 20 del D.L. 8/1993.

5. Principi in materia di bilancio e contabilità delle Regioni

In materia di bilancio, l’art. 119 Cost. afferma che «Le Regioni hanno autonomia fi- nanziaria di entrata e di spesa».

D’altra parte, da tempo era sentita l’esigenza di adeguare l’ordinamento contabile del- le Regioni a statuto ordinario, regolato per lo più dalla L. 335/1976, all’evoluzione e all’ampliamento delle funzioni e delle attività svolte dalle Regioni stesse.

A tale esigenza ha risposto il D.Lgs. 28-3-2000, n. 76 che detta i principi fondamentali e le norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni in attuazione dell’art. 1, comma 4, della L. 208/1999. Il D.Lgs. 76/2000 rappresenta la prima riforma strutturale del bilancio delle Regioni dopo venticinque anni dall’emana- zione della L. 335/1976 (ormai abrogata).

Le Regioni hanno dunque provveduto ad adeguare la formazione e la struttura del bilancio e le procedure di gestione del bilancio stesso con propria legge ai principi contenuti nel D.Lgs. 76/2000.

Occorre, in materia, ricordare anche il D.Lgs. 170 del 2006, recante «Ricognizione dei principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici», ai sensi di quanto previsto dalla L. 131/2003 (cd. Legge La Loggia).

6. Gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio

Come lo Stato, anche le Regioni, a norma dell’art. 1 del D.Lgs. 76/2000, nella impo- stazione delle previsioni di entrata e di spesa devono ispirarsi al metodo della program- mazione finanziaria. A tale scopo ogni anno esse devono adottare, oltre al bilancio annuale, anche quello pluriennale.

Le Regioni possono inoltre adottare una legge finanziaria regionale che contenga il quadro di riferimento finanziario per il periodo compreso nel bilancio pluriennale (che non può comunque essere superiore a cinque anni). La legge finanziaria può riportare solo norme da cui scaturiscano effetti finanziari a partire dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale. Essa è disciplinata con legge regionale e in coerenza con quanto previsto dall’art. 11 della L. 468/1978.

A) Il bilancio pluriennale

Il bilancio pluriennale ha la funzione di definire il quadro delle risorse che la Regione prevede di ottenere e di impiegare nel periodo considerato (massimo di 5 anni).

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È previsto che le previsioni di entrata e di spesa del bilancio pluriennale avvengano sia in base alla legislazione statale e regionale già in vigore (bilancio pluriennale a legi- slazione vigente), sia in base ai previsti nuovi interventi legislativi (bilancio plurienna- le programmatico).

L’adozione del bilancio pluriennale non comporta l’autorizzazione a riscuotere le en- trate e ad eseguire le spese in esso riportate. Il bilancio pluriennale è allegato al bilan- cio annuale di previsione.

B) Il bilancio annuale

L’art. 4 del D.Lgs. 76/2000 prescrive che le previsioni del bilancio annuale delle Re- gioni siano formulate in termini di competenza e di cassa e che siano articolate, sia per le entrate che per le spese, in unità previsionali di base. Queste ultime sono determi- nate seguendo il principio dell’omogeneità delle attività in cui si articolano le compe- tenze delle Regioni.

Le contabilità speciali sono invece articolate, per le entrate e per le spese, in capitoli.

Per ogni unità previsionale di base devono essere indicati:

— l’ammontare presunto dei residui attivi e passivi dell’esercizio precedente rispetto a quello cui il bilancio si riferisce;

— l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare o delle spese di cui si autoriz- za l’impegno nell’esercizio cui il bilancio si riferisce;

— l’ammontare delle entrate che si prevede di riscuotere o delle spese di cui si auto- rizza il pagamento nell’esercizio stesso, senza distinzioni fra riscossioni e paga- menti in conto competenze e in conto capitale.

In allegato al bilancio annuale di previsione le unità previsionali di base vengono suddivise in capitoli, determinati in relazione al rispettivo oggetto per l’entrata e secondo l’oggetto e il conte- nuto economico e funzionale per la spesa, ai fini della gestione; inoltre, nello stesso allegato devono essere indicati, disaggregati per capitoli, i contenuti di ciascuna unità previsionale di base nonché il carattere obbligatorio o discrezionale della spesa, indicando di volta in volta le fonti legislative cui si riferiscono.

Il bilancio annuale di previsione deve rispondere ai principi di (artt. 6 e 7, D.Lgs. 76/2000):

— annualità;

— universalità;

— integrità.

Il bilancio ha un quadro generale riassuntivo che riporta distintamente per titoli e per funzioni obiettivo il totale delle entrate e il totale delle spese.

Al quadro generale riassuntivo è allegato un prospetto che mette a confronto le entra- te, relative ad assegnazioni dell’Unione europea e dello Stato, con l’indicazione della destinazione specifica che risulta dalla legge o dai provvedimenti di assegnazione o di riparto, e le spese correlate alle assegnazioni predette. Sia le entrate che le spese devo- no essere distinte in unità previsionali di base.

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Parte seconda

La Regione 144

Dalla redazione del bilancio secondo il criterio della competenza (accanto al bilancio di cassa) deriva la formazione dei residui: essi si distinguono in attivi e passivi.

I residui attivi sono l’espressione di entrate accertate (per le quali sussiste un diritto alla riscos- sione), ma non ancora effettivamente riscosse alla fine dell’esercizio finanziario o sono espressio- ne di entrate riscosse ma non ancora versate alla tesoreria dell’ente: rappresentano, in definitiva, delle situazioni di credito dell’ente nei confronti di terzi.

I residui passivi sono l’espressione di spese già impegnate (per le quali l’ente ha assunto il relativo obbligo) ma non ancora pagate entro i termini dell’esercizio.

I residui passivi relativi alle spese correnti possono essere conservati nell’apposito conto (conto residui) non oltre i due anni successivi a quello in cui l’impegno di spesa si è perfezionato, mentre i residui passivi relativi alle spese in conto capitale non possono essere conservati per più di sette anni (art. 21 commi 2 e 3, D.Lgs. 76/2000).

7. La presentazione del bilancio, l’esercizio provvisorio, variazioni e assestamento del bilancio

A) Presentazione del bilancio

Il bilancio di previsione, predisposto dalla Giunta regionale, viene presentato al Con- siglio regionale per l’approvazione. Secondo l’art. 8, comma 1, D.Lgs. 76/2000, il Consiglio Regionale approva ogni anno con legge il bilancio di previsione, nei modi e nei termini previsti dallo Statuto e dalle leggi regionali.

B) L’esercizio provvisorio

Qualora il bilancio non sia approvato nel termine prescritto, può essere autorizzato con legge l’esercizio provvisorio secondo le modalità previste dagli Statuti e dalle leggi regionali. L’esercizio provvisorio non può protrarsi oltre quattro mesi.

L’art. 8 del D.Lgs. 76/2000 ha previsto inoltre una gestione provvisoria del bilancio:

nel caso in cui contro la legge di approvazione del bilancio o di autorizzazione al- l’esercizio provvisorio venga proposta dal Governo la questione di legittimità a norma dell’art. 127 Cost., la Regione è autorizzata a gestire in via provvisoria il bilancio stesso limitatamente ai capitoli delle unità previsionali di base non coinvolte nel rinvio o nell’impugnativa. Nel caso in cui l’impugnativa investa l’intero bilancio la gestione avviene, come sopra descritto, nei limiti di un dodicesimo della spesa prevista da cia- sun capitolo delle unità previsionali di base previste nel progetto di bilancio per ogni mese di pendenza del procedimento, o nei limiti della maggiore spesa necessaria se si tratta di spese obbligatorie tassativamente regolate dalla legge e non suscettibili di impegno o di pagamento frazionato in dodicesimi.

È evidente la differenza fra i due istituti (esercizio provvisorio e gestione provvisoria): mentre per il primo è prevista una riserva di legge (regionale) ed un termine massimo di durata (cfr. art. 81 co. 2° Cost.), la gestione provvisoria rappresenta un istituto predisposto appositamente per ovvia-

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Capitolo 12

Autonomia finanziaria e contabile delle Regioni a Statuto ordinario

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re ai possibili vuoti di bilancio che potrebbero determinarsi a seguito dei controlli previsti per le leggi regionali dall’art. 127 Cost.

C) Variazioni

La legge di approvazione del bilancio regionale può autorizzare variazioni al bilancio medesimo (art. 16 D.Lgs. 76/2000). Tali variazioni vengono approntate nel corso del- l’esercizio mediante provvedimenti amministrativi, al fine di istituire nuove unità pre- visionali di base, per l’iscrizione di entrate provenienti da assegnazioni vincolate a scopi specifici da parte dello Stato o dell’Unione europea, e infine per l’iscrizione delle relative spese, quando queste siano tassativamente regolate dalla legislazione in vigore.

Secondo il comma 2 dell’art. 16 del D.Lgs. 76/2000, la Giunta regionale può effettua- re, impiegando provvedimenti amministrativi, variazioni compensative fra capitoli di un stessa unità previsionale di base ad eccezione delle autorizzazioni di spesa a carattere obbligatorio, in annualità e a pagamento differito e delle spese regolate diret- tamente con legge.

Le variazioni di bilancio, ad esclusione di quelle autorizzate dalla legge di approvazio- ne del bilancio regionale, non possono essere deliberate dopo il 30 novembre dell’an- no cui il bilancio stesso si riferisce.

D) Assestamento

Entro il 30 giugno di ogni anno la Regione delibera con legge l’assestamento del bi- lancio. Con la stessa procede all’aggiornamento dei residui attivi e passivi nonché del saldo finanziario e della giacenza di cassa.

L’aggiornamento dei suddetti elementi del bilancio deve comunque rispettare i vincoli necessari a garantire l’equilibrio del bilancio.

Il rispetto dell’equilibrio del bilancio regionale è sancito dall’art. 5 del D.Lgs. 76/

2000, secondo cui in ciascun bilancio il totale dei pagamenti non può essere superiore al totale delle entrate che si prevede di riscuotere sommato alla presunta giacenza di cassa.

8. Il rendiconto

Nel rendiconto generale annuale sono riassunti e dimostrati i risultati conseguiti dal- la Regione nella gestione dell’anno finanziario.

Il D.Lgs. 76/2000, artt. 25-27, detta i principi fondamentali per la formazione, la strut- tura e l’approvazione del rendiconto delle Regioni. Il rendiconto generale si compone del conto del bilancio e del conto del patrimonio.

Nel conto del bilancio le risultanze della gestione delle entrate e delle spese devono essere esposte seguendo la stessa struttura del bilancio di previsione in modo da con-

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Parte seconda

La Regione 146

sentire la valutazione delle politiche pubbliche di settore adottate dalla Regione e la verifica economica e finanziaria delle risultanze di entrata e di spesa, in relazione agli obiettivi stabiliti e agli indicatori di efficacia e di efficienza. Tale disposizione consen- te di poter leggere e controllare attraverso il confronto fra il bilancio e il conto consun- tivo i risultati della gestione finanziaria delle Regioni.

Il conto del patrimonio indica:

— le attività e le passività finanziarie;

— i beni mobili e immobili;

— ogni altra attività o passività;

— le poste rettificative.

Il rendiconto è approvato con legge regionale entro il 30 giugno dell’anno successivo cui il rendiconto si riferisce; invece, spetta allo statuto e alle leggi regionali stabilire le modalità e i termini della presentazione del documento al Consiglio regionale. Sulle leggi di approvazione del rendiconto generale del patrimonio il Governo entro il 30 settembre di ogni anno presenta al Parlamento una relazione che espone i rilievi circa l’osservanza di quanto disposto dal D.Lgs. 76/2000 sul rendiconto generale delle Re- gioni a statuto ordinario. Entro il 15 novembre di ogni anno la relazione è integrata dai rilievi e dai risultati che sono scaturiti dalle leggi regionali per le quali il Governo ha promosso la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale.

Questionario

1.

Che intende il disposto dell’art. 119 Cost., nell’attuale versione, quando dispone che le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica?

(par. 1)

2.

Qual è la differenza tra finanza ordinaria e finanza straordinaria?

(par. 1)

3.

Quali innovazioni sono state apportate dalla riforma costituzionale all’art. 119 Cost.?

(par. 1)

4.

Quali sono i tributi propri delle Regioni?

(par. 2)

5.

Che cosa sono i contributi speciali?

(par. 3)

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Capitolo 12

Autonomia finanziaria e contabile delle Regioni a Statuto ordinario

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6.

Che si intende per ricorso all’indebitamento da parte delle Regioni?

(par. 3)

7.

Quali sono gli strumenti della programmazione finanziaria e di bilancio?

(par. 5)

8.

Qual è la differenza tra bilancio annuale e bilancio pluriennale?

(par. 5)

9.

Che si intende per esercizio provvisorio del bilancio?

(par. 6)

10.

Che cosa è il rendiconto?

(par. 7)

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Parte terza

Gli enti locali

Capitolo 22

Le forme di partecipazione procedimentale

Sommario

1. La partecipazione al procedimento amministrativo. - 2. Il diritto di accesso e di informazione (art. 10 T.U.). - 3. Il diritto di accesso nella L. 241/1990 e successive modifiche e integrazioni. - 4. Uffici per le relazioni con il pubbli- co. - 5. La conferenza di servizi.

1. La partecipazione al procedimento amministrativo

Ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.Lgs. 267/2000, è disposto testualmente che: «Nel procedimento relativo all’adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche sog- gettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto, nell’osservanza dei princìpi stabiliti dalla legge 7 ago- sto 1990, n. 241».

Pertanto, saranno le previsioni statutarie a prevedere le concrete modalità di esercizio del diritto partecipativo, nell’osservanza di quanto stabilito, in materia, dalla L. 241/

1990, come novellata dalla L. 11-2-2005, n. 15, dalla L. 14-5-2005, n. 80, di conver- sione del D.L. 14-3-2005, n. 35 nonché, da ultimo, dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività non in materia di processo civile»).

La legge sul procedimento amministrativo sancisce in particolare:

a) l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso (art. 2). Tale obbligo sussiste sia nel caso in cui lo stesso consegua ad un’istanza del privato che nell’ipo- tesi in cui debba essere iniziato d’ufficio.

In merito all’individuazione del termine di conclusione del procedimento, si fa presente che l’art. 7 della L. 69/2009 ha completamente riformulato l’art. 2 della L. 241/1990, prevedendo un termine generale di 30 giorni (in assenza di un termine fissato dalla legge o dall’amministra- zione competente) che può essere portato a 90 giorni e, in casi particolari, può arrivare ad un massimo di 180 giorni, previa adozione di un regolamento ad hoc, per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali. Inoltre, è espressamente previsto che le Regioni e gli enti locali debbano adeguarsi ai termini di cui sopra entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge.

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b) l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento (artt. 7-8). La comunicazione suddetta rappresenta lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione e in essa devono esse- re indicati l’oggetto del procedimento, la P.A. competente, il responsabile del procedimento, la data entro cui deve concludersi lo stesso ed i rimedi esperibili in caso di inerzia delle P.A.

La comunicazione va effettuata nei confronti dei:

— destinatari diretti del provvedimento finale;

— soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento;

— terzi che possono ricevere un pregiudizio dal provvedimento finale. Questi ultimi vanno notiziati solo se individuati o facilmente individuabili;

c) il diritto di intervento nel procedimento (art. 9). Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati o di interessi diffusi, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, può intervenire nel procedimento;

d) il diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti (art. 10). Tale articolo stabilisce che i destinatari della comunicazio- ne ex art. 7 e i soggetti intervenuti ex ar t. 9 hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’ob- bligo di valuare ove siano pertinenti all’oggetto della domanda e siano presentate in tem- po ragionevole (vedi § 3);

e) il preavviso di rigetto (art. 10bis). Nell’ottica di ridurre il contenzioso tra cittadini e P.A., e di rafforzare il profilo della trasparenza dell’azione amministrativa, la L. 15/2005 ha aggiun- to il citato istituto alla legge 241/1990, con il quale viene introdotto il principio per cui nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempesti- vamente agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda. Gli inte- ressati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La suddetta comunicazione interrompe i termini di conclusione del procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni. Laddove le osservazioni non vengano accolte ne va data ragione nel prov- vedimento finale;

f) la stipulazione di accordi integrativi e sostitutivi (art. 11).

L’art. 11 (modificato dalla L. 15/2005) prevede due forme di accordi:

a) gli accordi integrativi. Si tratta di accordi conclusi dall’amministrazione procedente con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento.

La previsione di tali accordi conferma l’accoglimento legislativo della concezione che conside- ra il procedimento alla stregua di un luogo di confronto dialettico tra privati e P.A. ed il provve- dimento come risultante di questo confronto;

b) gli accordi sostitutivi. Mentre gli accordi procedimentali precedono il provvedimento e ne determinano il contenuto, gli accordi sostitutivi sono stipulati in sostituzione del provvedimento amministrativo.

Attraverso le modifiche apportate dalla L. 11-2-2005, n. 15 all’art. 11 della legge 241/1990, si è provveduto a generalizzare l’uso degli accordi sostitutivi in quanto non è più previsto che alla loro conclusione si possa addivenire nei soli casi previsti dalla legge.

2. Il diritto di accesso e di informazione (art. 10 T.U.)

L’art. 10 del Testo Unico enti locali, al comma 1, sancisce il principio della generale pubblicità degli atti dell’amministrazione comunale e provinciale, ad eccezione di

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Capitolo 22

Le forme di partecipazione procedimentale

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quelli riservati per espressa indicazione di legge (art. 24 della L. 241/1990 - vedi § 3) o per dichiarazione (motivata e temporanea) del Sindaco o del Presidente della Pro- vincia, che ne vieti l’esibizione conformemente a quanto previsto dal regolamento.

Ciò in quanto la diffusione di questi atti possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese.

Il comma 2 dell’art. 10 si riferisce, invece, al diritto di accesso agli atti amministrativi degli enti locali, rinviando la relativa disciplina del rilascio di copie e l’individuazione dei responsabili dei procedimenti ad una fonte regolamentare.

Lo stesso comma 2 dell’articolo 10 del Testo Unico riconosce, inoltre, ai cittadini il diritto di accedere alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione locale, concernenti le attività da essa svolte, o poste in essere da enti, aziende ed organismi che esercitano funzioni di competenza comunale o provinciale.

Per quanto concerne le modalità per accedere alle informazioni, risulta sufficiente una richiesta scritta, motivata, da cui risulti l’interesse dell’istante. L’informazione, co- munque, deve essere tempestiva, inequivocabile, completa, e per gli atti aventi desti- natari indistinti, deve avere il carattere della generalità.

Il comma 3 dell’articolo 10 prevede che gli enti locali debbano assicurare l’accesso alle strutture ed ai servizi. L’accesso è però consentito:

a) agli enti ovvero a soggetti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico;

b) alle organizzazioni di volontariato ovvero a quelle associazioni in cui gli associati «volontari»

prestano il loro contributo per servizi socialmente rilevanti;

c) alle associazioni ovvero formazioni sociali che perseguono specifici fini (economici, educativi etc.).

3. Il diritto di accesso nella L. 241/1990 e successive modifiche e inte- grazioni

A) Generalità

L’elevazione del principio di pubblicità quale canone dell’azione amministrativa solo a seguito dell’entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo, la L. 241/

1990, ha avuto la sua concretizzazione definitiva: essa costituisce una diretta conse- guenza della natura pubblica dell’amministrazione (CASETTA).

Infatti, prima dell’entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo, grazie alla quale vi è stata una “generalizzazione” dell’accesso, mancava nel panorama normativo italiano una norma che conferisse dignità di regola all’accesso ai documenti amministrativi da parte degli interessati;

al più vi erano esempi sporadici di possibilità di ostensione dei documenti, come quelli rinvenibili nell’art. 31 della legge urbanistica del 1942, nell’art. 10 della L. 816/1985 (indennità e permessi degli amministratori locali) e nella L. 349/1986 in materia di informazioni ambientali.

Il diritto di accesso si configura proprio come diretta attuazione della trasparenza, soprattutto alla luce delle modifiche intervenute sulla disciplina del procedimento at- traverso la novella del 2005.

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Parte terza

Gli enti locali 384

L’articolo 10 T.U. enti locali citato va, invero letto in combinato disposto con le disposizioni in materia di accesso agli atti della L. 241/1990, legge sul procedimento amministrativo, novellata dalla L. 15/2005, dalla L. 80/2005 (quest’ultima di con- versione del D.L. 35/2005), nonché dalla recente L. 69/2009.

B) Oggetto e limiti del diritto di accesso

L’art. 22 della L. 241/1990, come, da ultimo, modificato a seguito della novella del 2009, dispone che l’accesso «(..) attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la parte- cipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza». Esso va esercitato nei confronti dei documenti amministrativi, considerando tali ogni rappresentazione gra- fica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una P.A.

e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblici- stica o privatistica della loro disciplina sostanziale. Deve trattarsi, ad ogni modo, di documenti materialmente esistenti al momento della richiesta e dalla stessa data dete- nuti da una P.A. (art. 2 D.P.R. 184/2006). Quest’ultima, invero non è tenuta ad elabo- rare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.

Sono esclusi dal diritto di accesso, ai sensi dell’art. 24 della L. 241/1990 (così come sostituto dalla L. 15/2005):

— i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della L. 801/1977 (ora abrogata dalla L. 124/

2007), ovvero oggetto di segreto o divieto di divulgazione per volontà espressa della legge, dei regolamenti governativi o dei regolamenti della P.A.;

— i procedimenti tributari;

— le attività della P.A. volte all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianifica- zione e di programmazione;

— i documenti contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale riguardanti terzi nell’ambito di procedimenti selettivi.

A tali limiti tassativi, lo stesso art. 24 sopra citato aggiunge (comma 6) dei limiti facoltativi. Il Gover- no, infatti, con apposito regolamento può sottrarre all’accesso determinati atti amministrativi:

— qualora la loro divulgazione possa causare una lesione, specifica ed individuata, alla sicurez- za ed alla difesa nazionale, nonché all’esercizio della sovranità nazionale ed alla continuità e correttezza delle relazioni internazionali;

— se l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, determinazione ed attua- zione della politica monetaria e valutaria;

— in caso di documenti riguardanti strutture, mezzi, dotazioni, personale ed azioni stretta- mente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e repressione della criminalità;

— in caso di documenti riguardanti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, ancorché i relativi dati siano stati forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;

— quando si tratti di documenti concernenti l’attività in corso di contrattazione collettiva naziona- le di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.

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Capitolo 22

Le forme di partecipazione procedimentale

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C) Titolarità del diritto di accesso

I soggetti titolari del diritto di accesso sono identificati dal D.Lgs. 267/2000 nei «citta- dini», singoli o associati, anche se non siano titolari di una posizione giuridica partico- larmente qualificata e agiscano senza ben identificate motivazioni (art. 10 T.U.).

L’art. 22 della L. 241/1990, nella nuova versione introdotta dalla L. 15/2005, ricono- sce il diritto di accesso a tutti gli interessati individuando come tali tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interes- se diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad un situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

D) Modalità di esercizio del diritto di accesso

Le modalità per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal D.P.R. 12-4-2006, n. 184 in conformità a quanto stabilito in merito dal Capo V della L. 241/1990.

Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti ammini- strativi; la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata e rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

Il D.P.R. 184/2006 opera una distinzione tra procedura d’accesso informale e procedura d’ac- cesso formale. Nel primo caso, la mancanza di soggetti controinteressati, nonché la natura del- l’atto fanno sì che la richiesta di accesso possa essere anche solo verbale purché, ovviamente, il richiedente indichi gli estremi o gli elementi identificativi del documento, nonché la propria identità e l’interesse connesso all’atto stesso. La richiesta viene così esaminata immediatamente e senza formalità e si reputa accolta mediante l’indicazione della pubblicazione contenente, a seconda dei casi, l’esibizione dell’atto, l’estrazione di una copia etc.

Qualora, invece, sorgano dubbi circa la legittimazione o l’identità del richiedente, sull’accessibilità dell’atto o sull’esistenza dei controinteressati, l’amministrazione invita l’interessato a presentare richiesta d’accesso formale.

La richiesta deve avere gli stessi requisiti esaminati in precedenza, ma il procedimento deve con- cludersi entro 30 giorni dalla ricezione della medesima.

Il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via formale devono essere motivati a cura del responsabile del procedimento.

Il comma 4 dell’art. 25 della L. 241/1990 (modificato dalla L. 15/2005) dispone che in caso di differimento o di diniego dell’accesso, espresso o tacito (ricordiamo che decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta di accesso, questa si ritiene respinta), il richiedente può presentare ricorso al TAR ai sensi del comma 5. In alternativa può chiedere al difensore civico, qualora si tratti di atti di amministrazioni comunali, provinciali o regionali, (ovvero alla Commissione per l’accesso, nonché all’amministrazione resistente – inciso inserito dall’art. 8 della L. 69/2009), trattandosi di atti di amministrazioni centrali o periferiche dello Stato) di riesaminare la determinazione.

Il difensore civico (o la Commissione) si pronuncia entra 30 giorni, trascorso infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore si pronuncia circa l’illegittimità del diniego o del differimento, ne informa il richiedente e lo comunica all’autorità disponente. Quest’ultima è tenuta ad emanare il provvedimento confermativo entro i 30 giorni successivi alla comunicazione, in mancanza l’accesso è consentito.

Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 25, comma 5, L. 241/1990, come modificato dal D.L. 35/

2005 conv. in L. 80/2005).

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4. Uffici per le relazioni con il pubblico

Per il tramite degli Uffici per le relazioni con il pubblico (URP) è possibile rilevare i bisogni ed il livello di soddisfazione dell’utenza per i servizi erogati dalla P.A. e porre in essere, di conseguenza, forme di collaborazione finalizzate principalmente ad un miglioramento qualitativo dell’attività amministrativa.

Detti uffici provvedono, in particolare:

a) ad un servizio di utenza per consentire il diritto di partecipazione di cui al Capo III della L. 241/1990;

b) ad informare l’utenza relativamente agli atti ed allo stato dei procedimenti;

c) ad una ricerca e ad un’analisi finalizzate alla formulazione di proposte indirizzate alla propria amministrazione, ed inerenti agli aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l’utenza.

Il D.P.R. 184/2006, ovvero il Regolamento per la disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, all’art. 5, comma 5, prevede, inoltre, la possibilità di inoltrare median- te gli URP le richieste di accesso.

Tali Uffici erano previsti originariamente dal D.Lgs. 29/1993, più volte rivisitato e, quindi, confluito nel D.Lgs. 165/2001. Il legislatore con L. 7-6-2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni) ha disposto all’art. 8 la riorganizzazione, la struttura e le funzioni degli URP nel rispetto dei seguenti criteri:

— garantire l’esercizio dei diritti di informazione, partecipazione e accesso ex L. 241/1990;

— agevolare l’accesso e l’utilizzazione da parte dei cittadini dei servizi offerti;

— promuovere l’adozione di sistemi di interconnessione telematica;

— istituire processi di verifica della qualità dei servizi e del tasso di gradimento da parte del- l’utenza;

— favorire lo scambio di informazione tra le strutture preposte alla comunicazione.

5. La conferenza di servizi

Costituisce una forma di cooperazione tra le pubbliche amministrazioni che ha lo scopo di realiz- zare, attraverso l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti, la semplificazione di taluni procedimenti amministrativi particolarmente complessi.

L’istituto della conferenza di servizi è stato oggetto di modifiche sia da parte della L. 15/2005, la quale ha introdotto nuove disposizioni in riferimento alla procedura, che da parte della L. 69/2009, di recente riforma del procedimento amministrativo.

La legge sul procedimento amministrativo prevede due tipi di conferenze di servizi: istruttoria e decisoria.

L’art. 14 della L. 241/1990, ai commi 1 e 3, disciplina la conferenza di servizi istruttoria, preveden- do che, qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente indìce di regola una conferenza di servizi. Questa può essere convocata anche per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesime attività o risultati. In tal caso, la con-

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