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Essere Chiesa nella visione metodista

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Academic year: 2022

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Essere Chiesa nella visione metodista

di Antonio Squitieri

Introduzione

Che cosa è la chiesa. Possiamo rispondere di getto che la vita della chiesa è quella di un corpo vivo, di un corpo pulsante, che non ammette semplificazioni e quindi non dobbiamo concludere con una risposta che sia una formula esaustiva, una specie di prontuario buono per tutte le stagioni.

Un’altra domanda è che cosa vuol dire ecclesiologia. Vuol dire studiare la chiesa, capire la chiesa.

Questo studio si può fare seguendo percorsi diversi.

Un percorso è quello della ecclesiologia biblica, cioè l’immagine di chiesa che abbiamo nel Nuovo Testamento. Oppure guardare alla chiesa dei Padri, cioè la chiesa in epoca patristica. John Wesley, sappiamo, era un profondo conoscitore dei Padri, in particolare quelli orientali del IV Secolo, i Cappadoci: Basilio il Grande, Gregorio di Nissa, Gregorio Nazianzeno, Evagrio Pontico.

L’approccio teologico, naturalmente, è quello più completo perché necessita di tutti gli altri, soprattutto di quello storico. Si prefigge di fornire una elaborazione, una sistematizzazione di tutti gli ambiti di studio. La chiesa come fatto, la chiesa come evento, la chiesa come fenomeno.

Un altro punto di osservazione può essere un percorso attraverso lo studio della liturgia, della catechesi, della predicazione. Dal culto, dalla preghiera, dal rito, dalla pietas, si deduce, si può ricostruire l’immagine di chiesa. L’antico adagio Lex orandi, Lex credenti, Lex vivendi.

E’ noto che la musica e il canto nella liturgia della Chiesa hanno sempre avuto un posto importante, come è noto che Charles Wesley, fratello di John, ebbe un grande talento musicale e che compose tantissimi inni da cui possiamo comprendere la spiritualità del metodismo primitivo, l’entusiasmo della fede, l’ottimismo della grazia, l’amore per Dio e per il prossimo.

Il carattere innografico metodista era rivoluzionario perché adattava a melodie profane contenuti cristiani.

Gli inni metodisti esprimono contenuti di profonda teologia con un canto gioioso che proviene dall’esperienza personale della conversione e della santificazione.

E’ noto anche che Wesley è morto anglicano, non ha mai pensato di creare una nuova denominazione cristiana. Pur tuttavia, pur agendo all’interno e a fianco della chiesa istituzionale, sia Wesley che il metodismo primitivo si sono adoperati per demolire alcuni pregiudizi, primo fra tutti quello di una chiesa piuttosto rigida, irriformabile.

Da qui possiamo affermare che l’annuncio dell’Evangelo, la lieta novella che viene testimoniata e prima ancora vissuta, dinamica presente in ogni tempo e in ogni luogo, è la missione della chiesa.

Non è da tacere, però, che questa visione si sia un po’ persa, oggi, cioè una dinamica di chiesa che riaccade come corpo vivo, pulsante, che ha bisogno di essere continuamente alimentata.

Vorrei tentare di andare verso una comprensione dell’ecclesiologia metodista per affermare la sua attualità, perché sulla base di una analisi della visione metodista della chiesa fedele alle sue radici, è possibile sviluppare una missione efficace per il nostro tempo e ridare speranza per il futuro.

Questo mio contributo esamina la natura della chiesa nell'esperienza e nella pratica metodista dalle origini del movimento, come una rete di “società” (comunità) religiose nel diciottesimo secolo, alla sua attuale autocomprensione come una comunione globale di chiese.

Naturalmente, non dobbiamo trascurare che era espressa intenzione di Wesley che il popolo chiamato metodista rimanesse all'interno della Chiesa d'Inghilterra, cosa che non è stata più così dopo la sua morte all’età di ottantotto anni avvenuta il 2 marzo 1791.

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Per comprendere l'ecclesiologia metodista, esamino i metodi e le fonti nella riflessione teologica metodista; come i metodisti interpretano i segni credenziali della chiesa.

Fiducioso nella sua missione di diffondere la santità scritturale e con una visione ecumenica, il metodismo rimane essenzialmente un movimento di santità alla ricerca della sua vera collocazione ecclesiale nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

In una lettera che J. Wesley indirizza ad un suo amico cattolico romano, tra l’altro scrive:

“Credo che Cristo, mediante i Suoi Apostoli, ha raccolto intorno a sé una Chiesa alla quale ha del continuo aggiunto tutti coloro che sono chiamati ad essere salvati; questa Chiesa cattolica, cioè universale, estendendosi a tutte le nazioni e a tutti i tempi, è santa in tutti i suoi membri che sono in comunione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo” (Lettere, III, 18 ss.)

Una tale analisi, tuttavia, deve essere attenta a fare diverse distinzioni. In primo luogo, una qualsiasi ecclesiologia è troppo ampia per essere trattata in modo esauriente. La natura, forma e funzione della Chiesa cristiana sono tutte comprese in ogni comprensione dell’ecclesiologia.

In secondo luogo, le varie linee ecclesiologiche wesleyane, sebbene tutte eredi di Wesley, non sono necessariamente tutte uniformi alla comprensione della Chiesa da parte di Wesley.

Ritengo che, in questo contesto, i presupposti condivisi siano almeno i seguenti:

a) siamo eredi della teologia wesleyana;

b) non si è metodisti senza essere wesleyani;

c) abbiamo diverse concezioni della chiesa, di Wesley e del metodismo;

d) condividiamo una base teologica che ci permette di avere un dialogo nonostante le nostre differenze. Un ulteriore presupposto è che c'è molto che possiamo imparare da un rilettura di alcuni aspetti della visione metodista della chiesa.

In questa relazione abbozzerò a grandi linee una particolare visione dell’ecclesiologia metodista. La speranza è che questo possa condurci verso una più completa comprensione di cui possiamo riappropriarci.

Secondo Wesley, la Chiesa è "l'intero corpo dei veri credenti", e "la chiesa di Cristo è una sola chiesa". Il suo ecumenismo gli fece rifiutare una comprensione settaria della chiesa; era chiaro che il suo popolo doveva evitare "quel miserabile bigottismo che rende molti così poco pronti a credere che ci sia qualche opera di Dio se non tra di loro".

Tuttavia, era anche irremovibile sul fatto che ci fosse bisogno di "testimoni fedeli" e che i cuori delle persone fossero ravvivati.

In Italia, come sappiamo, la missione metodista arriva nel 1859 attratta dagli sviluppi sociali e politici del Risorgimento. Nel 1860 entrò in contatto con esponenti delle Chiese libere (Gavazzi e Guicciardini). Nel 1870 giunse in Italia la missione della Chiesa metodista episcopale degli USA.

Tramontato il sogno di costituire una sola chiesa protestante nazionale con gli altri evangelici, le due missioni diedero origine a due chiese non competitive: la chiesa metodista wesleyana e la chiesa metodista episcopale. Le due chiese si fusero nel 1946 dando vita alla Chiesa Evangelica Metodista d’Italia.

Nel 1975, con il Patto d’Integrazione inizia il cammino con le chiese valdesi.

1. J. Wesley e il Metodismo primitivo

Secondo il pensiero di Wesley, la chiesa è un mezzo di grazia, comunità caritatevole, viva e dinamica, che vive nel mondo e che si dona kenoticamente per il mondo in e attraverso Cristo.

Ma cosa allora ci permette di andare verso un’ecclesiologia specificamente wesleyana?

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Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare due aspetti:

1. Il primo è quello delle questioni teologiche e dottrinali che emergono dal pensiero di Wesley stesso e così come sono state sviluppate dai suoi eredi.

2. Il secondo, simbioticamente legato ma distinto, è osservare come tali dottrine sono state calate e vissute nella prassi.

Perché per poter essere coerentemente metodisti e wesleyani nella teologia e nella prassi, ci devono essere almeno alcune di queste caratteristiche che riprendo molto sinteticamente.

Innanzitutto, se c’è qualcosa che caratterizza Wesley è la sua determinazione, il suo impegno ad essere per grazia di Dio un “cristiano del tutto”, piuttosto che un “quasi cristiano” (Sermone del 1741).

Egli ammonisce che abbiamo bisogno di rinnovare:

1) Il nostro pensare insieme (teologia);

2) Il nostro vivere insieme (una santità comunitaria);

3) Il nostro servire insieme (testimonianza-diaconia).

Insomma, conoscere la nostra fede in modo profondo è essenziale per comprendere ed agire secondo l’Evangelo, fondamento della nostra vita al servizio di Cristo insieme nella comunità di fede e nel mondo.

Anche noi oggi, se vogliamo affrontare le sfide che ci attendono nella società, abbiamo bisogno di sapere in chi crediamo, cosa crediamo e come mettere in relazione i problemi esistenziali della vita con ciò in cui crediamo.

Wesley ha spesso ricordato al popolo chiamato metodista quali sono i princìpi dottrinali importanti, cioè i punti essenziali della fede della Chiesa e, per conseguenza, del metodismo.

Li descrive negli “Articoli della Religione” del 1784; nei suoi sermoni; e nelle “Note esplicative del Nuovo Testamento” (1755).

Egli ricavava i fondamenti del suo pensiero teologico da quattro fonti principali: le Scritture, la tradizione, la ragione e l’esperienza. Nei suoi scritti ha sottolineato che tutte le dottrine che costituiscono il nucleo centrale della dottrina cristiana dovrebbero avere l’accordo fra tutte le chiese. Esse sono esposte nelle Scritture, rese chiare dalla tradizione della Chiesa, messe alla prova dalla ragione e confermate dall’esperienza personale di fede.

A lato troviamo quelle che nel sermone “Spirito Cattolico” (1750), ma anche in altri scritti, Wesley chiama “opinioni”. Sono visioni teologiche di minore importanza rispetto a quelle fondamentali.

In materia di “opinioni” possono esserci differenze fra i cristiani. Per esempio, come è amministrato il Battesimo o come è organizzata la Chiesa sono per lui punti teologicamente non centrali. “In quanto alle opinioni che sono alla radice della cristianità, noi (metodisti) pensiamo e lasciamo pensare” (Il carattere di un metodista”, 1742).

Wesley sperava che i credenti sarebbero finalmente arrivati a “vedere tutte le cose allo stesso modo” nella religione e nella teologia, ma riteneva altresì che ognuno deve essere libero di decidere autonomamente in cosa credere e che in nessun modo deve essere sottoposto a pressione. Egli scrive che:

“Ognuno deve seguire ciò che la sua coscienza gli detta in semplicità e sincerità. Ognuno deve essere pienamente persuaso nella sua mente, e quindi agire in accordo con la migliore luce di cui dispone” (Sermone sullo spirito cattolico, 1750).

E raccomandava ai credenti di agire con “spirito cattolico”, cioè universale, l’uno verso l’altro.

Malgrado le dottrine e le diversità anche importanti, i credenti devono amarsi gli uni gli altri, agire

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con pazienza e cortesia, senza “gelosia e presunzione”. Devono affidare a Dio in preghiera tutte le differenze e suscitare negli altri “amore ed opere buone”. Egli raccomandava ancora di amare “in fatti e in verità” coloro con i quali abbiamo divergenze.

Dicendo che si deve agire con amore l’uno per l’altro malgrado le differenze, non condivideva affatto la visione in teologia “tutto va bene, tutto è accettabile”. I credenti dotati di “spirito cattolico” non sono rigidamente dogmatici su ogni punto della dottrina cristiana, specialmente su quelli che Wesley chiamava “opinioni”. Sono invece fermi quando si tratta delle affermazioni fondamentali della fede cristiana.

Scriveva: “Un uomo dotato di vero spirito cattolico non è alla ricerca della sua religione. Egli è fisso come il sole nel suo giudizio sui temi principali della dottrina cristiana. Prima vai e impara gli elementi del vangelo di Cristo e poi vedrai che imparerai ad essere una persona di vero spirito cattolico” (Sermone sullo spirito cattolico, 1750).

Possiamo pertanto riassumere la visione di Wesley a proposito delle diversità teologiche con queste sue affermazioni:

- Nelle verità essenziali, unità;

- In quelle non essenziali, libertà:

- In tutte le altre, amore.

Ricordo una sua frase famosa:

“Se non possiamo pensare tutti allo stesso modo su tutto, che almeno possiamo amarci tutti allo stesso modo” (Sermone sullo spirito cattolico, 1750).

2. Essere Chiesa nella visione metodista, oggi

La santificazione è un processo visibile che il credente persegue nella sua vita spirituale e che lo impegna totalmente nel suo comportamento.

Entriamo quindi nel campo della vita cristiana e della testimonianza della fede vissuta dal credente. Questa testimonianza si fonda sul concetto di perfezione cristiana, dottrina centrale nel pensiero e nella esperienza del Metodismo, intesa da Wesley come tensione verso cui si muove il credente, quella di avere sempre davanti l’obiettivo da raggiungere, “un cammino verso la santità”.

Wesley parla di santità interiore (o santità personale):

“L’affidarci completamente a Dio, orientare la nostra vita su Dio. Significa anche credere, amare, lodare, imitare, obbedire a Dio, abbandonarci con fiducia alla sua grazia e usare i suoi doni per diventare ciò che egli desidera che siamo” (Sermone On working out our salvation).

La santità esterna (o santità sociale) è il modo con il quale mostriamo nel mondo il nostro amore per Dio, mediante l’amore che portiamo verso il prossimo, ricordando che il prossimo è chiunque “altro” da noi.

Inoltre per Wesley la vita del cristiano è:

“un cammino verso la perfezione”, il traguardo di una vita santa.

La perfezione cristiana è per lui: “non l’essere liberi dall’ignoranza, dall’errore, dalla tentazione, non è infallibilità. Non significa essere privi di errori, senza difetti, senza peccato, non significa che abbiamo già raggiunto lo scopo…essa implica processo, crescita, viaggio, proporsi di raggiungere un punto finale. Tutto questo è possibile perché è sorretto dalla Grazia di Dio, la piena santificazione, la piena maturazione della nostra vita spirituale. Con l’aiuto di Dio possiamo

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raggiungere la purezza di cuore, il dono più grande dello Spirito, mediante il quale l’amore diventa sostanza stessa della nostra vita” (Sermoni On love; Christian Perfection).

Il Signore alimenta la santità del credente attraverso alcuni canali che Wesley chiama “mezzi di grazia” o “opere di pietà”, la cui pratica raccomandava calorosamente.

a) La lettura sistematica della Bibbia.

b) La meditazione.

c) La preghiera.

d) La guida dello Spirito Santo.

Inoltre l’importanza della vita comunitaria, il culto pubblico, le agapi, la partecipazione assidua alla Santa Cena. Conosciamo bene il Culto di Rinnovamento del Patto che fu istituito nel 1765.

La Chiesa attua la sua testimonianza con la predicazione, un atto umano che richiama l’intervento della Parola di Dio. La Chiesa fonda il suo essere e la sua vocazione su ciò che predica e su come agisce. Non è possibile perciò concepire la Chiesa senza teologia, cioè senza il mezzo che le permette di confrontare il suo messaggio e la sua azione nel mondo.

La Chiesa conferma la propria teologia nella predicazione, e la predicazione è un messaggio da parte di Dio; l’annuncio della volontà di Dio come è contenuto nella rivelazione e nell’Evangelo.

Come si legge nell’incipit di Marco: “Inizio del vangelo di Gesù Messia, Figlio di Dio” e all’inizio della epistola agli Ebrei: “Dio, dopo aver parlato anticamente per mezzo dei profeti, alla fine di questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio”.

La Chiesa pertanto nella sua predicazione e nella sua azione può essere solo confermata dalla Parola di Dio e da essa giudicata. Non possiamo scambiare il lavoro sociale della Chiesa che è frutto dell’amore fraterno, con la predicazione al mondo del perdono e della riconciliazione che è frutto dell’amore e della misericordia di Dio.

La Chiesa è il luogo, nel tempo e nello spazio, in cui uomini e donne vivono “in modo degno della loro vocazione” e si impegnano a “conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace”, e affermano che “vi è un corpo unico ed un unico Spirito” e vi è un unico Signore, una sola fede, un solo Battesimo” oltre che “un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti e in tutti”.

Se è questo che crediamo, paradossalmente possiamo dire che la Chiesa non esiste in quanto non esiste un luogo nel tempo e nello spazio in cui tutto ciò avvenga o sia avvenuto o che stia per accadere.

Se invece la Chiesa è la Comunità-Comunione dei fedeli nella quale e alla quale viene predicata la Parola di Dio e sono amministrati i sacramenti, allora la Chiesa è dovunque dove ciò accade ed è per sempre.

La Comunità dei fedeli deve essere consapevole di quello che è e quello che vuole, quando si definisce Chiesa. Solo così la Chiesa è e solo così la riconosciamo come tale, perché riconosciamo in essa la presenza di Dio. La presenza di “Gesù in mezzo”. “Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro” (Gv. 20,26).

Nel Nuovo Testamento la Chiesa si definisce a partire dall’azione di Dio in Cristo ed è vista come un “mistero della sua volontà” che si traduce “nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose” (Ef. 1,9-10).

Il servizio che la Chiesa compie è dunque un servizio missionario ed è proprio nel campo missionario che la cristianità e particolarmente il protestantesimo ha riscoperto il valore dell’unità nella diversità. Inizio di un cammino ecumenico di cui mi sento di affermare che J. Wesley sia stato un precursore molto tempo prima.

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Nel rivedere i 39 articoli di fede della Chiesa anglicana per i metodisti d’America, Wesley lasciò invariato quello sulla Chiesa. Esso contiene tre punti fondamentali:

1) La fede vivente dei suoi membri, senza la quale, in verità, non può esistere alcuna chiesa, né visibile né invisibile.

2) La predicazione e il conseguente ascolto dell’autentica parola di Dio, altrimenti la fede languisce e muore.

3) La debita amministrazione dei sacramenti, mezzi normali coi quali Dio accresce la fede”.

Questo articolo, come fa notare Roger Mehl, non fa cenno al ministero ecclesiastico che infatti non è incluso nella definizione di Chiesa.

Il Metodismo, come tutto il Protestantesimo, mette in risalto la predicazione e la testimonianza della Parola ascoltata, accolta e vissuta, come basi della santità della Chiesa e la santificazione dei credenti. Da qui dipende la retta amministrazione dei sacramenti.

Il Metodismo perciò è convinto dell’importanza della fede vivente e della sua azione. La predicazione della Parola alimenta questa fede e conseguentemente la crescita nella vita cristiana.

La fede vivente, poi, è la manifestazione di Cristo che nella Chiesa, per mezzo dei sacramenti, realizza la continuità della sua presenza.

La predicazione della Chiesa non deve essere condizionata dal mondo, né deve cercare con esso dei compromessi nel proclamare la lieta novella che annuncia il mistero disvelato in Gesù Cristo, la Parola fatta carne, l’immagine visibile dell’invisibile Dio.

La vocazione della Chiesa è quella di proclamare questo evento di cui è depositaria. Dio le chiede questo non perché essa viva o sopravviva, ma perché serva. Qualunque cosa la Chiesa sia, essa lo è per essere inviata ad annunciare la Parola dal cui ascolto scaturisce la fede.

La Chiesa che predica altra cosa si mette su un piano di contesa con il mondo. La Chiesa invece con il mondo deve porsi in modo dialogico che è il piano sul quale essa è chiamata a servire il mondo.

“Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Gv. 3,16).

Questo la Chiesa deve offrire al mondo: la verità dell’Evangelo. Non la religione, la morale o il giudizio, ma la rivelazione. Questo è il significato del motto: “Il mondo è la mia parrocchia”.

Reginald Kissach in “Church or no Church?” (1964) afferma: “Per il Metodismo la Chiesa non esiste per sé ma per coloro che al di fuori di lei ancora non credono”.

Con la sua peculiarità che scaturisce dal continuo confronto con la Scrittura, il Metodismo ha elaborato un pensiero teologico con il quale confronta la sua esperienza pratica. Il Metodismo si è sempre preoccupato di definire ciò che la Chiesa deve fare, piuttosto che di ricercare ciò che la Chiesa è.

Il movimento metodista alle origini fu un movimento laico all’interno della chiesa istituzionale.

Non avendo, però, riscontrato adesione al suo movimento da parte dei ministri della chiesa ufficiale, Wesley in forza del “sacerdozio universale” si circondò di credenti laici affinché mettessero in pratica i doni di ciascuno ricevuti dallo Spirito Santo a servizio della predicazione itinerante.

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La prova evidente è che il Metodismo primitivo non si organizzò in Chiesa, ma in “Società”, in

“Classi”, in “Bande” nelle quali i laici avevano tutte le responsabilità diaconali, compresa la predicazione, e nelle quali i pastori, preposti all’amministrazione dei sacramenti, fungevano da tecnici della teologia. Più “Società” viciniori costituivano il Circuito.

Tuttavia fu inevitabile che si costituisse in chiesa indipendente, benché si autodeterminò tale solo nella Conferenza britannica del 1894.

Per comprendere la visione metodista della chiesa, pertanto, non dobbiamo perdere di vista le sue origini e il suo sviluppo che l’ha caratterizzata come movimento laico accanto all’elemento più strettamente ecclesiastico.

Noi continuiamo a fare riferimento a Wesley e al suo pensiero teologico da cui discende la sua visione di chiesa; tuttavia il pensiero teologico metodista non è solo frutto di una persona, bensì la teologia di una chiesa che si è andata consolidando nel tempo, sia nella dottrina che nell’organizzazione ecclesiale.

Oggi, il concetto metodista di chiesa in forza dei princìpi che l’hanno caratterizzata fin dall’inizio, si fonda sul fatto di percepirsi come chiesa nel mondo. Questo suo essere nel mondo, il Metodismo vuole esserlo affermando alcuni princìpi peculiari, cioè mettere al servizio dell’ecumene:

a) la certezza della grazia in Dio;

b) la necessità d’insistere sulla perfezione cristiana e sulla santificazione per fede;

c) la solidarietà nella comunione dei santi.

E’ in questo modo che la Chiesa continua il ministero della Parola incarnata, nella consapevolezza che esiste non per sostituirsi al mondo, né per contrapposi ad esso, ma per santificarlo predicandogli la sua parola che è Parola di Dio.

Anche la Conferenza metodista britannica del 1937 afferma i tre elementi del metodismo primitivo, fondamentali del suo essere Chiesa:

a) la dottrina della testimonianza interiore dello Spirito Santo;

b) la necessità per il credente di perseguire la santità scritturale;

c) la pratica della solidarietà cristiana.

Questa affermazione puntualizza una visione di chiesa che non deve perdere la sua peculiarità e che deve tornare continuamente e dinamicamente a concepirsi nel carisma del fondatore.

Oggi il concetto dominante è che la Chiesa non è semplicemente una comunità umana, bensì una comunità voluta da Dio e sostenuta dinamicamente dal suo Spirito. Comunità responsabile di un’azione nel mondo e tuttavia corpo distinto dal mondo.

La Chiesa dunque non esiste per sé, né per scopi semplicemente filantropici, ma per la missione che le è stata affidata dal Signore.

La Chiesa esiste per continuare ad esercitare il ministero della riconciliazione che Cristo ha iniziato e che deve compiersi in ogni tempo e in ogni luogo.

Una conclusione

La prassi e la teologia sono intrecciate nello schema wesleyano. Quello che facciamo (o non facciamo) e chi siamo riflette sempre ciò che crediamo e come pensiamo.

Oltre a questi vari elementi della prassi, ci sono altre questioni che richiederebbero considerazione.

Il pensiero teologico metodista è stato, per la maggior parte della sua storia, consapevole di una possibilità dinamica di evolversi nella comprensione, senza paura di porre e permettere domande, impegnato in un pensiero sempre nuovo e fresco, accogliendo la possibilità di nuove pratiche - pur

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accettandole come wesleyane, e comunque conformi alle Scritture e alla tradizione della Chiesa.

Mantenendo la tradizione come fattore significativo, tuttavia, la natura inclusiva e ottimista del movimento metodista si è arricchito di una vasta e diversa gamma di opinioni che sono comunque riconoscibili come wesleyane.

È quindi imperativo, quando si considera la possibilità di muoversi verso un'ecclesiologia metodista per il XXI secolo, e oltre, che permettiamo al pensiero wesleyano di essere dinamico e profondamente ortodosso. Mentre la Chiesa riesamina se stessa, così facendo rivelerà che non ha davvero paura di porsi e di porre in ambito ecumenico domande difficili.

La teologia e la prassi devono continuare ad essere collegate simbioticamente e l’organizzazione e la liturgia devono essere collegate alla visione di Chiesa, che a sua volta modellerà la partecipazione alla missione di Dio.

La riflessione teologica sarà innovativa e orientata al futuro, tuttavia profondamente ancorata al carisma di cui affermiamo di essere parte.

Una tale chiesa sarà creativa, innovativa, immaginativa, dinamica che riaccade come corpo vivo, pulsante, che ha bisogno di essere continuamente alimentata.

Una tale chiesa, parte del più ampio Corpo di Cristo, sarà una sfida, possibilmente un confronto con la cultura dominante. Questa chiesa, nel suo processo di trasformazione, con la sua un'organizzazione e le sue comunità locali rinvigorite, sarà adatta per affrontare le sfide del ventunesimo secolo.

Bibliografia

Reginald Kissack, Giovanni Wesley, la vita e il pensiero, Claudiana, 1966. (Esaurito)

Sergio Carile, Attualità del pensiero teologico metodista, Claudiana, 1971. (Esaurito, meriterebbe una ristampa).

S. Carile, Il metodismo. Sommario storico, Claudiana, 1984.

Valdo Benecchi, John Wesley. L'ottimismo della grazia, Claudiana.

Valdo Benecchi, Un'eredità da investire, Claudiana.

Franco Chiarini, Storia delle chiese Metodiste in Italia (1859 - 1915), Claudiana A cura di Franco Chiarini, Il Metodismo italiano (1861-1991), Collana FVT Nicola Sfredda, La musica nelle chiese della Riforma, Claudiana.

A cura di Febe Gavazzutti Rossi, La santificazione nelle tradizioni Benedettina e Metodista. Testi di una conferenza ecumenica mondiale (1994). Gabrielli Editori.

A. Annese (ed.), Ecumenismo e cattolicità delle Chiese. Il contributo del metodismo, Carocci, Roma 2016.

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