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Imparare la storia: problemi e strategie

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Curricolo di storia e riordino dei cicli

Imparare la storia: problemi e strategie

Laurana Lajolo

La scuola: questione europea

La scuola italiana, soprattutto quella superiore, non sta bene, è, cioè, inadeguata ai bisogni for­

mativi attuali sia nel campo delle conoscenze che in quello del lavoro. E la riforma della scuo­

la non è più soltanto un’urgente questione na­

zionale, ma anche una questione europea. Il con­

fronto con i sistemi scolastici europei, infatti, ha ancora più nettamente evidenziato le nostre ca­

renze, come segnalano i rapporti annuali del- l’Ocse e il più recente documento della Com­

missione Ue (Qualità dell’istruzione scolasti­

ca): elevata evasione dell’obbligo, cesura cul­

turale tra scuola dell’obbligo e studi superiori, prosecuzione degli studi all’università sotto la media europea, eccesso di studenti fuori corso all’università e ingresso ritardato dei giovani nel mondo del lavoro, insufficiente preparazione di­

dattica dei docenti. Inoltre, gli imponenti flussi migratori in Europa pongono, in modo pressan­

te, l’esigenza culturale e civile di educare le nuo­

ve generazioni a misurare criticamente i princi­

pi di appartenenza e di identità democratica con i problemi della mondializzazione e della mul­

ticulturalità, evitando forme di razzismo e di se­

paratismo, presenti nel nostro paese a livello po­

litico e di pubblica opinione, che hanno una ri­

caduta evidente anche nella scuola.

La riforma radicale

La legge di riforma dei cicli, varata nel febbraio scorso, è stata pensata per intervenire in modo radicale rispetto a questa situazione di crisi. Es­

sa investe, infatti, tutto il nostro sistema scola­

stico e non singole fasce, come provvedimenti precedenti che hanno riguardato la scuola ele­

mentare e la scuola media, e affronta la riorga­

nizzazione della scuola superiore in connessio­

ne con il ciclo precedente, abbandonando, dopo circa ottant’anni, rimpianto e la strutturazione delle materie voluti da Gentile.

Bibliografia di riferimento: BodovonBorries, Concezione della storia e atteggiamento politico degli adolescenti,“Il Mulino, gennaio-febbraio 2000, n. 1; LuigiCajani,Le nuove generazioni italiane e il senso della storia,Il Mulino”, gennaio-febbraio 2000, n. 1;Antonio Galvani, Questa storia non mi vagiù, "I viaggi di Erodoto”, aprile 1987, n. 1;

AlessandroCavalli La scuola davanti alla riformaBerlinguer, Il Mulino, gennaio-febbraio 2000, n. 1; A. Cavalli, Il tempodei giovani, Bologna, IlMulino, 1985;GiuseppeDeiana,Lascuolacomelaboratorio.La ricerca storica, Faenza, Polaris, 1999; Paola Di Cori,Insegnare di storia,Torino, Trauben, 1999;Cesare Grazioli(a cura di), Que­

stionario per un’indagineconoscitivasullinsegnamentodella storia a Reggio Emilia nella scuola secondaria supe­

riore. Analisi einterpretazione dei dati,in Maurizia Marini e al., Futuro e passato. Riflessionie strumenti per unadi­ dattica della storia, Reggio Emilia,RS libri, 1997; Eric J.Hobsbawm,Il secolobreve 1914-1989, Milano, Rizzoli, 1995; Paola Mastrocola,Lagallinavolante,Parma, Guanda, 2000; Edgar Morin,Una testa benfatta, Milano, Corti­

na, 2000; Sandro Onofri, Registrodi classe, Torino, Einaudi, 2000; Claudio Pavone(acuradi),‘900.1tempidella sto­

ria, Roma, Donzelli, 1997 ; LucianaZiruolo(a cura di), Lastoria nella scuola secondaria, Alessandria,Stamperia Ugo Beccassi editore, 1994.

Italia contemporanea”,giugno 2000, n. 219

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Si propone di passare da un insegnamento tra­

smissivo e standardizzato alla centralità del­

l’apprendimento, considerando i bisogni cultu­

rali e formativi dello studente in un percorso uni­

tario senza cesure, con il prolungamento del- l’obbligo formativo nell’ambito del sistema in­

tegrato scuola/istruzione professionale/mondo del lavoro. Le competenze da acquisire attra­

verso i percorsi conoscitivi assumono infatti una funzione di orientamento dello stesso curricolo, in un intreccio esplicito con la qualità e la quan­

tità delle conoscenze. La scuola nuova dovrà es­

sere, dunque, la scuola del sapere e anche del saper fare, della capacità di elaborare le cono­

scenze apprese al fine della formazione della propria qualificazione professionale.

La scuola ridiventa così una questione di ca­

rattere politico e culturale di dimensione non so­

lo nazionale, ma europea, poiché la scelta del si­

stema formativo e delle sue modalità di funzio­

namento sono un elemento decisivo e qualifi­

cante dell’assetto della democrazia, della mobi­

lità sociale, della qualificazione del lavoro, del­

la formazione delle nuove generazioni e quindi del grado di civiltà della popolazione.

La sfida è di grande rilievo perché si tratta so­

stanzialmente, attraverso una formazione scola­

stica adeguata alle nuove situazioni sociali, eco­

nomiche e culturali in continuo mutamento, di poter controllare e, in parte, orientare processi economici che sembrano prendere sempre più il sopravvento sulla possibilità di influire sulle lo­

ro forme e sui loro esiti. La riforma della scuo­

la si intreccia direttamente con lo sviluppo del­

la democrazia e la formazione dell’identità eu­

ropea. Le domande aperte sono molte: quale ruo­

lo “autonomo” svolgeranno le Regioni nel ri­

vendicare deleghe in materia scolastica? quale sarà la capacità propositiva delle scuole del­

l’autonomia? quali saranno i contenuti di mul­

ticulturalità, quali diritti di cittadinanza verran­

no insegnati e praticati e quali verranno dimen­

ticati o trascurati ? quale sarà la dipendenza de­

gli obiettivi formativi della scuola rispetto alle richieste del mercato? quale sarà la connessio­

ne tra obbligo scolastico e obbligo formativo?

quale tipo di equiparazione sarà raggiunta tra scuola pubblica e scuola privata? quali indiriz­

zi culturali risulteranno privilegiati?

I comportamenti degli insegnanti

Nonostante la scolarizzazione di massa abbia da tempo dimostrata l’inefficienza del modello gen- tiliano, si notano resistenze molto forti e diffu­

se nell’ambito accademico e nel mondo della scuola al suo superamento. Dalla recente inda­

gine lard sugli insegnanti risulta, per esempio, che la maggioranza dei docenti, soprattutto del­

le superiori, è disinteressata o addirittura con­

traria alla riforma. Più del 50 per cento degli in­

segnanti, ad esempio, si riconosce nella defini­

zione di “impiegato” di un sistema burocratiz­

zato, senza riconoscimento di professionalità e di ruolo. Dalla dimensione ideologica latente emergono in molti docenti il rimpianto per la scuola precedente alla media unica, il rilievo che la scuola di massa ha comportato la dequalifi­

cazione e l’auspicio di un ritorno alla selezione e a valori di autorità e disciplina.

Il sociologo Alessandro Cavalli, coordinato­

re della ricerca, nel suo commento sottolinea l’atteggiamento di passività degli insegnanti, che si accompagna alla depressione e all’apatia. In questo quadro egli evidenzia la difficoltà a mo­

tivare efficacemente la partecipazione alla rifor­

ma di docenti pessimisti e sfiduciati, che dimo­

strano scarsa reattività alla discussione sulle pro­

spettive innovatrici.

L’atteggiamento degli insegnanti appare, in­

vece, più positivo rispetto alla realizzazione del- l’autonomia scolastica, la quale affida decisio­

ni importanti proprio alle scuole e quindi ai ca­

pi d’istituto e ai docenti. Ed è evidente come la qualità e la capacità organizzativa dei dirigen­

ti scolastici sia un’altra variabile cruciale per l’innovazione, difficile da quantificare. Il giu­

dizio di Cavalli sulla situazione burocratizzata e dequalificata della scuola va senz’altro tenu­

to in considerazione, ma non può essere assolu- tizzato, perché, per esempio, il dato riguardan­

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te l’autopercezione del 50 per cento come im­

piegati, va confrontato con il 40 per cento, che si definisce professionista e operatore sociale.

Questa consistente minoranza è la risorsa esi­

stente per i processi innovativi, ovviamente con il riconoscimento economico del lavoro svolto e in un quadro di riacquistato prestigio della pro­

fessione. Nella storia della scuola italiana la maggioranza degli insegnanti ha tenuto sempre un comportamento conservatore e obbediente all’autorità e non ha mai espresso capacità au­

tonome di progettazione culturale, ma, nel con­

tempo, una minoranza, pur tra difficoltà e so­

spetti, ha cercato di dare senso al proprio com­

pito educativo e si è misurata con la realtà so­

ciale degli studenti.

Inoltre, i due risultati di accettazione del­

l’autonomia e di rifiuto della riforma risultano contraddittori, perché l’autonomia è, per certi versi, una riforma più radicale della stessa rifor­

ma dei cicli, ma, al momento della ricerca lard, era già un provvedimento definito nelle sue fa­

si attuative, mentre la riforma dei cicli era una proposta ancora abbastanza nebulosa e confusa, caratterizzata più dal proposito di modificare profondamente ruoli e contenuti tradizionali del­

la scuola, che da prospettive concrete. Pertanto, la proposta era considerata un atto di volontà ar­

bitrario del ministro, anziché una risposta ade­

guata ai problemi di riorganizzazione e di in­

novazione culturale.

Sulla riforma dei cicli, infatti, è mancata una discussione allargata e approfondita, prima del­

la sua approvazione parlamentare, mentre il con­

fronto risulta indispensabile per costruire una percezione ampiamente condivisa dei suoi prin­

cipi ispiratori e dei suoi valori formativi. Anche il sistema dell’informazione ha dimostrato scar­

so interesse all’argomento, non offrendo docu­

mentazione adeguata all’opinione pubblica e le associazioni disciplinari, pur coinvolte, non so­

no ancora giunte a elaborazioni compiute dei nuovi curricoli. Gli editori, dal canto loro, espri­

mono preoccupazione sulle modalità e sui tem­

pi della riforma, ritenuti insufficienti per la pro­

duzione dei nuovi manuali. Fa eccezione la Con-

findustria, che, consapevole dell’importanza della riforma e della sua ricaduta sul mercato del lavoro, fa proprie proposte soprattutto in riferi­

mento agli indirizzi della scuola superiore.

Va comunque detto che uno degli ostacoli al­

la discussione allargata su questi temi sta nel­

l’impostazione stessa della legge sui cicli, che vuole indicare dei contenitori (i cicli, appunto) e non dei contenuti. Di fronte a tale imposta­

zione, sembra che il mondo accademico da un lato non sia interessato o non abbia gli strumenti per rispondere ai quesiti su come articolare il progetto di riforma e che, dall’ altro lato, le scuo­

le, a cui spetta, in base ai provvedimenti sul­

l’autonomia scolastica, la definizione dei curri­

coli e la selezione dei contenuti, rimangano vo­

lutamente estranee, attendendo chiarimenti e in­

dicazioni ancora dall’ alto. L’attendismo e il pes­

simismo possono, dunque, essere remore gravi per la realizzazione della riforma, che ha l’in­

tenzione dichiarata di disegnare una nuova map­

pa dei saperi, cioè di ri-formare la progettualità e i percorsi conoscitivi, relazionali, comunica­

tivi dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Assenza di passato e bisogno culturale di storia

Nel testo di riforma, la storia è stata indicata, insieme all’italiano e alla matematica, come ma­

teria curricolare lungo tutto il corso di studi e, quindi, può essere considerata anche come tes­

suto connettivo tra le discipline scientifiche e quelle umanistiche, poiché ogni disciplina ha una propria articolazione storica interna e una relazione con le altre. È questa una scelta che qualifica e indirizza l’intero progetto di nuova mappa dei saperi. La riforma quindi rilancia il bisogno culturale di storia, proprio in un mo­

mento in cui la disciplina sembra aver perso si­

gnificatività per gli studenti, che vivono in un presente atemporale, senza articolazione stori­

ca di passato e futuro.

Alessandro Cavalli, nell’introduzione alla ri­

cerca pubblicata nel 1985 sul rapporto tra i gio­

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vani e il tempo, pone l’accento sul fatto che man­

cano processi di socializzazione politica, che consentano ai ragazzi di elaborare un tempo del­

la storia. Le generazioni più giovani, al contra­

rio delle precedenti, vivono, infatti, al di fuori della storia, non partecipano a scelte ideologi­

che marcate e non hanno occasione di essere coinvolte, per la mancanza di movimenti col­

lettivi, in eventi decisivi; esse, semmai, subi­

scono pesantemente le delusioni politiche della generazioni dei padri.

Ma la storia è assente anche dalla vita pub­

blica e risulta un sapere inefficace nella società attuale frammentata e parcellizzata, da un lato, e nel contempo tendente all’omologazione glo­

bale. Nelle culture occidentali non serve più im­

parare il mestiere dal padre o dalle tradizioni co­

munitarie, non serve più, cioè, la memoria del passato per introdursi nel presente e nel futuro.

L’accelerazione rapida dei cambiamenti ha rot­

to i legami tra le generazioni e le conoscenze del passato appaiono ininfluenti nella società delle nuove tecnologie. Tale mancanza di storia pro­

voca oscuri sentimenti di insicurezza e incer­

tezza di futuro, che del resto sono i sentimenti dominanti della società globalizzata e omolo­

gata, per cui i giovani, senza passato, sono an­

che privati di futuro.

Un elemento in apparenza contraddittorio con l’analisi precedente, è messo in campo dalla ri­

cerca di dimensione europea, “Youth and Hi- story”, condotta nel 1995, che ha coinvolto 32.000 studenti di 15 anni di 27 paesi. Risulta che la maggior parte degli studenti considera la storia fonte di orientamento per la collettività, tema utile e divertente e guida per l’agire indi­

viduale. I ragazzi italiani, in particolare, consi­

derano utile la materia nella sua funzione co­

gnitiva, ma anche in quella etica, collocando il nostro paese tra quelli che esprimono, più di al­

tri, interesse per la storia. Prendendo in esame altre indicazioni, che provengono dalla ricerca, emerge, però, la constatazione che gli studenti non sono in grado di percepire correttamente le

’ differenze radicali di mentalità e moralità tra di­

verse epoche storiche così come, invece, rie­

scono a individuare le distanze in campo eco­

nomico e tecnologico. In sostanza i ragazzi non apprendono dalla scuola un’articolata capacità interpretativa del passato.

Per quanto si riferisce ai 1.256 studenti ita­

liani di 62 classi del primo anno delle superio­

ri, Luigi Cajani verifica una notevole attenzio­

ne per la storia da parte degli allievi del liceo classico, ma questa attenzione decresce drasti­

camente negli altri indirizzi di studi fino a ri­

velarsi modesta nei ragazzi frequentanti gli isti­

tuti professionali. La maggioranza degli stu­

denti, comunque, considera la storia materia in­

teressante soprattutto con riferimento agli ulti­

mi cinquant’anni e, in secondo luogo, al perio­

do 1800-1945. Luigi Cajani, interpretando que­

sto risultato, circoscrive l’interesse per la storia contemporanea all’ambito della storia della fa­

miglia (genitori e nonni), cioè a una dimensio­

ne personale, priva di categorie storiografiche, riscontrando, di fatto, la mancanza di un senso complessivo della storia. Sottolinea, inoltre, che lo stesso interesse prevalente per la storia na­

zionale e locale, piuttosto che per quella ex­

traeuropea, dimostra come la dimensione geo­

grafica dell’interesse per la storia risenta an- ch’essa fortemente della componente autobio­

grafica. E necessario, quindi, che la scuola su­

peri questa visione circoscritta e statica della sto­

ria, fornendo agli studenti categorie storiografi- che atte alla costruzione della coscienza storica.

L’uso pubblico della storia

Tutte queste considerazioni sul rapporto tra i gio­

vani e la storia vanno, comunque, inserite in un quadro contraddittorio e complesso, perché, mentre a scuola la storia ha perso valore, setto­

ri della politica e dei media utilizzano ampia­

mente interpretazioni storiche del passato che interferisce ancora nel presente, al fine di le­

gittimare e giustificare scelte politiche contin­

genti. Così l’uso pubblico della storia, veicola­

to dal sistema informativo, mantiene la sua ef­

ficacia nella formazione dell’opinione pubbli­

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ca, assumendo quella funzione che, un tempo, assolveva l’insegnamento della storia naziona­

le come storia patria coerente con gli assetti di potere esistenti. La società dell’informazione e della politica offre un’immagine intrigante e coinvolgente della storia, (anche se semplifica­

ta e ideologicamente inficiata), mentre la mate­

ria insegnata si è come ossificata. La storia, in­

fatti, è ancora insegnata secondo una cronolo­

gia rigida, scandita annualmente da confini epo­

cali e dalla successione in sequenza degli avve­

nimenti riguardanti i principali paesi europei, senza prestare attenzione alla pluralità dei pia­

ni del discorso storico e alla mondializzazione, alla problematicità delle componenti socio-eco- nomiche-culturali, alla complessità delle inter­

pretazioni storiografiche. Spesso l’unico stru­

mento didattico utilizzato è un manuale di cat­

tiva leggibilità.

Insegnamento e stili cognitivi di apprendimento

In sostanza, la disciplina, trasmessa dall’inse­

gnamento, è strutturata in modo concluso e de­

finitivo e non tiene nel dovuto conto la modifi­

cazione in atto degli stili cognitivi, indotta nei bambini e nei ragazzi dalle nuove tecnologie e dai media. E evidente l’inadeguatezza e l’inef­

ficacia della trasmissione attuale ai fini della formazione di una cultura storica critica. Non solo in relazione all’autonomia scolastica, ma come specifico compito e precisa responsabilità educativa, saranno i docenti gli attori principa­

li della riforma. Ma quali sono le condizioni og­

gettive e soggettive in cui operano?

Abbiamo già visto che molti insegnanti si con­

siderano impiegati, cioè funzionari di una scuo­

la burocratizzata, privi di prestigio sociale e di prospettive professionali, e rifiutano ideologi­

camente la riforma. Anche sull’autonomia sco­

lastica, che pure accettano, esprimono preoccu­

pazioni e incertezze sulla possibilità reale di fles­

sibilità della programmazione e del sistema nel suo complesso.

Edgar Morin sostiene che, per fare la riforma della scuola, la professione docente debba ispi­

rarsi alla componente dell’“eros” in senso pla­

tonico, occorre cioè l’insieme di arte e compe­

tenza, piacere e amore di trasmettere e fiducia nella cultura. Due libri recenti, dopo quelli di Stamene, il diario di Sandro Onofri, Registro di classe, e il romanzo di Paola Mastrocola, La gal­

lina volante, gettano lo sguardo sulla quotidia­

nità della classe e restituiscono, invece, l’im­

magine di una scuola disagiata e disagiarne, che rinuncia alla critica, alla curiosità della ricerca, lasciandosi risucchiare dalla burocratizzazione, e dove è pressoché interrotta la comunicazione tra le generazioni dei genitori e degli insegnan­

ti e la generazione degli studenti.

In specifico per l’insegnamento della storia, dalle indagini condotte dagli Istituti della Resi­

stenza di Alessandria (1989) e di Reggio Emi­

lia (1993-1994), prima del decreto sull’inse­

gnamento della storia contemporanea nell’ulti­

mo anno, la maggioranza degù insegnanti (in particolare quelli delle superiori, meno pronti al­

l’innovazione rispetto ai colleghi della scuola dell’obbligo) si dichiarano abbastanza soddi­

sfatti dei programmi in vigore e affezionati a una concezione della storia in sequenza cronologi­

ca, anche se si rendono conto delle difficoltà di apprendimento degli studenti, definendo la sto­

ria una materia difficile da insegnare. Fanno un uso tradizionale del manuale, anche se adotta­

no testi aggiornati e ricchi di documentazione.

Essendo la storia materia “secondaria” rispetto all’altra insegnata, i docenti privilegiano l’ag­

giornamento di italiano o di filosofia e spesso seguono un metodo tradizionale di approccio al­

la disciplina storica, con riassunti e semplifica­

zioni.

La storia contemporanea

Rispetto ai risultati di queste indagini, va detto, però, che il decreto Berlinguer sull’insegna­

mento della storia contemporanea (novembre 1996) ha modificato il quadro statico della scan­

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sione della storia nel triennio superiore, provo­

cando un cambiamento accelerato, che è stato, comunque, sufficientemente assorbito dal cor­

po insegnante. In attuazione del protocollo d’in­

tesa tra l’istituto e il ministero della Pubblica Istruzione, l’Insmli e la rete degli Istituti hanno condotto nel triennio 1996-1999 moltissimi cor­

si di aggiornamento (tre nazionali con il mini­

stero e circa 350 in tutta Italia) e nelle espe­

rienze didattiche, condotte con gli insegnanti più interessati alla sperimentazione, abbiamo ri­

scontrato preoccupazioni iniziali di fronte alla novità, ma anche impegno nell’ appropriarsi del­

le conoscenze e degli strumenti necessari. I do­

centi hanno approfondito metodologicamente l’uso delle molteplici fonti, dal documento scrit­

to ai repertori radiotelevisivi e fotografici alla multimedialità, spesso non ancora ordinate e se­

lezionate. Si sono posti interrogativi sulla rela­

zione tra la ricerca storiografica e le strategie di apprendimento della storia insegnata; sul rap­

porto tra memoria e storia; sulla pluralità delle storie e sulla responsabilità delle scelte cogniti­

ve e formative che lo studio del passato più re­

cente impone.

Da tali sollecitazioni ha tratto origine il pro­

getto di ricerca triennale ( 1999-2002) Insmli/Lan- dis-Ministero della Pubblica Istruzione sul tema

“Memoria e insegnamento della storia contem­

poranea”, che si propone di indagare la connes- sione/interferenza tra le memorie individuali e collettive dei docenti in servizio e gli avveni­

menti storici di cui sono stati testimoni e che ora sono oggetto del loro insegnamento. Gli inse­

gnanti, infatti, riguardo alla storia degli ultimi cinquant’anni sono, nel contempo, come dice Hobsbawm, testimoni e organizzatori del sape­

re storico, con un coinvolgimento emotivo, ol­

tre che intellettuale, del tutto anomalo rispetto al rapporto consueto tra insegnamento e storia generale.

Partendo da tale considerazione, l’intento del­

la ricerca è di fornire strumenti critici sull’uso della memoria nella storiografia e di favorire la presa di coscienza della presenza della storia vis­

suta nella formazione delle biografie professio­

nali degù insegnanti, con le implicazioni con­

nesse al ruolo formativo nei confronti delle nuo­

ve generazioni. I primi due seminari del gruppo di progettazione (formato da esperti e da venti docenti in servizio) si sono focalizzati sulle pro­

blematiche della modernizzazione economica e della modernità sociale e culturale nell’ arco tem­

porale compreso tra gli anni cinquanta e settan­

ta. I risultati di questi incontri hanno evidenzia­

to una permanenza limitata di memoria politica e la prevalente continuità della memoria socia­

le. Le componenti qualificanti della formazione culturale e della maturazione esistenziale dei par­

tecipanti sono costituite dai processi di immi­

grazione interna, dai movimenti politici, sociali e religiosi degù anni sessanta e settanta, dal fem­

minismo e dalla scuola. Su questi temi è stata im­

postata una griglia di interviste e di questionari, da sottopone a un campione significativo di in­

segnanti e da cui trarre riflessioni successive.

Misurarsi con la storia del Novecento ha si­

gnificato per gli insegnanti prendere atto della parzialità e insieme della complessità dello stu­

dio della storia: non è possibile insegnare tutto del Novecento, come non è possibile trasmette­

re una conoscenza completa di qualsiasi altra epoca storica. La scelta, responsabile e giustifi­

cata, di contenuti e interpretazioni storiografiche è indispensabile di fronte all’“immensità” della storia. La mondializzazione rivela tutta la limi­

tatezza dell’orizzonte conoscitivo della nostra scuola, che riserva ancora tutta la sua attenzione alla storia nazionale ed eurocentrica. Si è anche rivelato necessario praticare la multidisciplina- rità (letteratura, cinema, teatro, arte, scienze, an­

tropologia, sociologia, ecc., sono componenti e fonti esplicative del tracciato della storia) e te­

nere conto delle domande degli studenti sul pas­

sato, cioè partire dal presente per ricostruire il senso storico e il contesto degù avvenimenti.

L’aggiornamento sul Novecento è stato per la scuola un grande laboratorio, e anche se le rea­

lizzazioni nelle diverse aree geografiche non so­

no state omogenee, per numero e coinvolgimento degli insegnanti, esso ha rappresentato l’occa­

sione per una generalizzata presa di coscienza

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dei problemi aperti e ha individuato alcuni para­

metri di progettazione e di lavoro scolastico.

La strategia del curricolo verticale di storia

Da questa esperienza articolata e generale, mo­

nitorata con attenzione dai docenti degli Istitu­

ti, oggetto di riflessione e di discussione condi­

vise con i colleghi interessati, prende avvio l’e­

laborazione della nostra proposta di curricolo verticale di storia, improntato a stabilire lega­

mi tra contenuti e metodi di insegnamento, tra bisogni formativi e costruzione delle conoscen­

ze, tra preparazione scolastica e sbocchi lavora­

tivi. Abbiamo voluto generalizzare e sistema­

tizzare alcuni risultati interessanti ed esempli­

ficativi, emersi dalla ricerca didattica e dalle esperienze sul campo.

Visti i risultati poco confortanti dell’attuale insegnamento della storia, non ci poniamo l’in­

tento di correggere l’esistente, ma quello di in­

novare l’approccio allo studio della storia, uti­

lizzando le indicazioni della storiografia più ag­

giornata. L’obiettivo qualificante è quello di co­

struire le categorie storiche per cogliere la com­

plessità e la problematicità della storia, consi­

derando egualmente importanti sia la cono­

scenza degli avvenimenti e dei processi storici sia l’acquisizione dei metodi di ricerca e di in­

terpretazione storica. Si tratta, in sintesi, di edu­

care i giovani a pensare storicamente formando una cultura storica.

Particolarmente adatta a questo scopo si di­

mostra la didattica laboratoriale, che imposta l’attitudine alla ricerca e fornisce gli strumenti per conseguire le competenze formative e ope­

rative utili, non solo al proseguimento degli stu­

di in campo universitario, ma alla formazione professionale e personale. L’attività di labora­

torio si basa, infatti, sulla scelta e delimitazione del campo di indagine, sull’individuazione del­

le ipotesi e delle procedure atte a verificarle, e sfocia in un prodotto socializzabile. Il labora­

torio non è soltanto uno spazio fisico attrezza­

to, ma è uno spazio mentale (l’attitudine alla ri­

cerca, appunto), è la scuola nel suo insieme (l’ar­

chivio con le storie di docenti e studenti, ma an­

che del territorio circostante, la biblioteca, le col­

lezioni dei gabinetti scientifici), è la città e la co­

munità di riferimento, con le diverse stratifica­

zioni naturalistiche, ambientali e storico-mu­

seali. E anche il luogo in cui raccogliere testi­

monianze e documenti di storia materiale, me­

morie individuali e collettive e in cui avviene lo scambio tra generazioni diverse.

Nel dibattito sul curricolo di storia si confi­

gura una frattura tra un certo modello accade­

mico di intendere la disciplina e la ricerca sto­

rico-didattica. È obiettivamente difficile, ma ne­

cessario, ripensare in modo nuovo la scuola del- l’apprendimento, abbandonando gli schemi del­

l’insegnamento tradizionale, definitorio e se­

quenziale, come unico possibile.

Per la natura stessa dell’Insmli e degli Istituti associati, che svolgono il loro lavoro nel campo della documentazione e della ricerca e nell’am­

bito della didattica, la nostra proposta di currico­

lo intende, invece, tenere insieme le indicazioni della storiografia, le elaborazioni della ricerca di­

dattica e l’operatività della scuola. Riconoscia­

mo, infatti, lo specifico della ricerca didattica, che si propone di indicare la possibile mediazione tra la conoscenza storica e le modalità di apprendi­

mento ai fini della progettazione a scuola di per­

corsi cognitivi adeguati ed efficaci a costruire il senso storico nei giovani. Intendiamo in questo modo stabilire una connessione forte tra la storia insegnata e la storia come disciplina.

In questa chiave, il nostro curricolo si quali­

fica per alcune scelte di fondo: la verticalità, cioè il superamento della ripetizione ciclica della sto­

ria nei diversi cicli; l’indicazione di successive fasi di costruzione delle categorie storiche (spa­

zio, tempo, relazione, soggettività) secondo li­

velli sempre più complessi di conoscenza, che prevedono l’insegnamento della storia contem­

poranea nella scuola dell’obbligo e l’approfon­

dimento di tematiche rilevanti nel triennio con­

clusivo del corso di studi; l’articolazione di nu­

clei fondanti o quadri generali, non soltanto se­

condo la scansione temporale tradizionale, ma

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attraverso percorsi di lungo periodo, che diano il senso di processi storici di culture e civiltà, anche utilizzando la storia comparata, oltre l’ot­

tica dominante della storia occidentale; la plu­

ralità delle storie; l’interdisciplinarità tra la sto­

ria e le altre discipline.

Secondo il dettato della riforma dei cicli, il curricolo stabilisce alcuni indirizzi generali di organizzazione della materia, mentre spetta alle scuole, nella dimensione dell’autonomia, indi­

viduare i contenuti e la programmazione. A no­

stro avviso, il curricolo dovrebbe essere consi­

derato una strategia, che gli insegnanti mettono in atto al fine di programmare l’apprendimento degli studenti. La strategia, secondo la defini­

zione di Morin, è la scelta di uno tra i diversi scenari possibili di azione, sulla base delle co­

noscenze in possesso in un contesto incerto, co­

me è di fatto la dimensione della vita, e non un programma di insegnamento tradizionale, de­

terminato a priori da una sequenza di azioni preordinate in vista di un obiettivo. La strategia non fornisce una soluzione certa, ma è una scom­

messa, sostenuta dalle scelte di responsabilità educativa dei docenti. Assumendo come centra­

li le esigenze formative, cognitive ed emotive dei bambini e dei ragazzi, la finalità generale è quella di “apprendere a imparare” e quindi an­

che di “apprendere a vivere”.

Laurana Lajolo

Una memoria per il futuro Esperienze nell’Insmli e nel Landis

Aurora Delmonaco

Osservare come gli storici ricostruiscono il pas­

sato, imparare a trasporre nell’insegnamento la sostanza della storia senza che ne impallidisca­

no i connotati scientifici, rispondendo tuttavia alle esigenze della comunicazione fra le gene­

razioni, scoprire le pratiche didattiche in cui si addensi il significato del rapporto fra la storia che si costruisce ogni giorno e quella che altri nel tempo hanno vissuto, è il modo in cui la re­

te di Istituti della Resistenza ha lavorato, svi­

luppando scelte fatte cinquant’anni fa.

Alla fine della guerra si pose il problema di come raccogliere i documenti del movimento di liberazione in Italia: poiché nessuno stato mag­

giore ne aveva guidato le azioni, nessun mini­

stero ne aveva controllato gli adempimenti, per la raccolta dei documenti nessun archivio sem­

brava deputato a raccoglierne le tracce. L’ipote­

si di affidarsi all’Archivio centrale dello Stato evocava immagini di depositi sottratti alla ri­

cerca per chissà quanti anni, così Ferruccio Par- ri e gli altri esponenti del movimento di libera­

zione scelsero di lasciare che nelle città, nelle province, nelle regioni nascessero istituti, libe­

ramente fondati, come centri di raccolta dei do­

cumenti, biblioteche, sedi d’elaborazione e tra- smis sione della memoria, aperti a tutti ma in par­

ticolare ai giovani. Col tempo sorsero sessanta- due istituti di questo tipo, raccordati in una rete che aveva al centro l’Insmli di Milano; essi esplorarono la storia del loro territorio e, facen­

do ciò, costruivano la storia d’Italia, invertendo l’ordine che la divulgazione scolastica della sto­

ria prescrive: prima le linee generali, poi le ana­

lisi di dettaglio. Quando un numero sempre mag­

giore di insegnanti si aggiunse alle componenti originarie degli Istituti, i testimoni, gli archivi­

sti e gli storici, il modello di riferimento fu fin dall’inizio innovativo anche sul piano della di­

dattica1.

1 Si vedano leprime annate della rivista dell’Insmli,“Il movimento di liberazione in Italia,poiItalia contemporanea”.

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