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Capitolo 4 Multilevel governance o ri-nazionalizzazione?

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Capitolo 4

Multilevel governance o ri-nazionalizzazione?

4.1. Premessa.

Prima di analizzare il modello di governance che l'Italia e la Spagna hanno realizzato per la programmazione dei fondi strutturali, e al fine di rispondere alla domanda originariamente posta (se si possa parlare di una multilevel governance o se, invece, lo Stato centrale si ponga come “gatekeeper” invalicabile tra le autonomie regionali e la Commissione europea), è opportuno riprendere il dibattito sulla “ri-nazionalizzazione”, iniziato nel 1999, quando alcuni studiosi avvertirono un ri-accentramento della politica di coesione nelle mani dei governi centrali.

A prescindere dunque dall'interpretazione del principio di partnership adottata da ciascun Stato membro, ci si domanda quali siano oggi i meccanismi che spingono verso un assetto multi-livello, nel contesto della politica regionale europea.

Ricostruendo così il passaggio tra la fase 2000-2006 e 2007-2013, si cercherà di capire che cosa sia mutato e perché; in realtà “non è cambiato molto, in pratica, rispetto al passato periodo ed anzi – dice Felice Bonanno1, rappresentante regionale che si occupa di fondi strutturali per la Rappresentanza Permanente Italiana presso l'Unione europea - esistono molteplici similitudini”.

E' vero però che, come lo stesso Bonanno afferma, da un punto di vista logico la riforma 2006 attua una sorta di “Rivoluzione Copernicana” della politica regionale, poiché si afferma che “la politica di coesione diventa un pezzo della politica di competitività e viceversa”.

Nel rilanciare la strategia di Lisbona si ricercò la valorizzazione della competitività, per un'Europa sempre meno innovatrice e in ritardo rispetto alle realtà economiche più evolute. Ne consegue che tutte le regioni, al di fuori dell'obiettivo Convergenza, rientrino oggi nell'obiettivo Competitività regionale e occupazione; ciò dimostra che anche i territori europei più prosperi necessitano di stimolare il proprio potenziale endogeno, per competere con le altre regioni nell'attirare investimenti ed attività produttive e dunque per produrre una crescita economica e, allo stesso tempo, ridurre la disoccupazione2. Si pensi che Londra, Parigi e Helsinki per la prima volta saranno ammissibili ai finanziamenti provenienti dai fondi strutturali.

1 Intervista del 21/11/2006 presso la Rappresentanza Italiana Permanente, Bruxelles

2 “La dialettica locale-globale richiede che ciascun territorio individui i propri fattori di competitività e le proprie vie per l'utilizzazione delle risorse locali”, pag.2, “I Fondi strutturali e politiche di sviluppo”, Martino F., Il Sole 24 Ore, 2002.

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Il filo conduttore della nuova politica di coesione sarà l'incentivazione della competitività regionale, che farà da sfondo all'azione rientrante in tutti e tre gli obiettivi: la chiave di volta per crescere è la competitività, l'unico modo per convergere è, di nuovo, la competitività. Questo è quanto emerge dagli Orientamenti strategici comunitari3, le cui istanze dovranno essere costantemente tenute in considerazione dagli Stati membri nel redigere il QSN4.

Dunque, in base a quanto fin qui detto, il Quadro elaborato dallo Stato centrale, e valido in tutto il territorio nazionale, potrebbe servire per la costruzione di una strategia “lunga” e cioè analoga in tutto il Paese, poiché ispirata in modo omogeneo alla competitività. In tal caso, questo nuovo strumento sarebbe stato definito al fine di mirare alla competitività del territorio e di migliorare le condizioni socio-economiche. Ciò si accompagna all'intento di favorire politiche articolate per lo sviluppo locale rispetto ad iniziative puntuali ed isolate: si punta ad un passaggio verso progetti integrati, destinati ad intere aree regionali, in sostituzione dei c.d. interventi “a pioggia”. D'altronde è vero che l'obiettivo affermatosi nel tempo è produrre progetti efficaci ed efficienti5, piuttosto che l'abilità nel “catturare” finanziamenti.

Questa è una possibile interpretazione del QSN, a cui fa da contrappeso un'altra, in seguito presentata, e che riguarda la natura compromissoria di tale strumento.

4.2. La ri-nazionalizzazione della politica di coesione tra verità e previsioni.

Per ricostruire il dibattito su una possibile ri-nazionalizzazione della politica strutturale, non si può fare a meno di partire dalla riforma del 19886, che regolò per la prima volta un periodo pluriennale per l'azione strutturale, apportando novità7 che segnarono l'avvento di una politica nuova rispetto alla metodologia tradizionale di policy.

Fu infatti nel 1988 che si posero i principi per la definizione di un sistema di MLG, in cui il livello sub-nazionale cominciò a diventare sempre più rilevante8, in contrasto con l'analisi

3 Decisione del Consiglio sugli orientamenti comunitari in materia di coesione, del 6 ottobre 2006, 2006/702/CE

4 Il QSN dovrà obbligatoriamente pervenire alla Commissione entro cinque mesi dall'adozione degli orientamenti strategici, un lasso di tempo necessario ad assicurare una presa in considerazione dei contenuti. 5 Ciò è da collegare anche al fatto che ora tutto il territorio europeo, ad esclusione delle aree in Convergenza,

potranno usufruire dei fondi a titolo dell'obiettivo Competitività, presentando un Programma Operativo e, in seguito, dei progetti che abbiano i requisiti richiesti dai regolamenti, dagli orientamenti strategici comunitari e dal QSN.

6 Reg. (CEE) N.2052/88

7 Oltre al principio di partnership, si definirono i principi di programmazione e addizionalità e il periodo di programmazione divenne pluriennale; inoltre il regolamento definì, per la prima volta, tutta una serie di regole da rispettare per ricevere il finanziamento europeo. La novità di tale riforma si apprezza pensando che, prima del 1988, la politica regionale comunitaria era una politica esclusivamente redistributiva, in cui la Comunità passava un “cheque” agli Stati, che poi gestivano tali risorse come credevano. Bache inoltre afferma che: “Generally national governments viewed structural funds receipts as a form of reimbursement for their contibutions to the Community budget”.

8 Come Hooghe afferma all'incremento del ruolo regionale fa da contrappeso l'aumento di responsabilità della Commissione, entrambi a scapito del tradizionale Stato centrale gatekeeper che, nonostante ciò, continua a

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inter-governamentale del sistema di governance europeo9.

Considerando tale punto di partenza, la domanda cruciale riguarda l'ipotetico avvio di un percorso a ritroso che va dal decentramento della politica regionale, definito dal primo vero e proprio periodo di programmazione, fino ai nostri giorni. Anzi, per meglio dire, ciò su cui ci si interroga , più che essere un eventuale passo indietro nel coinvolgimento regionale all'interno del decision making, è un arresto del percorso evolutivo del concetto di partnership istituzionale. Ciò corrisponderebbe al fatto che i regolamenti successivi al 1988 avrebbero disatteso le aspettative di coloro che confidavano nella Commissione, vista come promotrice delle regioni. Quest’ultima infatti avrebbe escogitato progressivamente dei meccanismi capaci di rendere sempre più effettiva la partnership e dunque il principio di sussidiarietà, valorizzando il ruolo regionale in tale politica, al di là delle competenze riconosciute dagli ordinamenti nazionali.

A tal proposito, viene in aiuto il contributo di Sutcliffe10 le cui conclusioni invitano a “non esagerare” con la tesi di una tendenza rinazionalizzatrice, segnata dalla riforma del 1999, per due motivi: prima di tutto resta pur vero che la Commissione e le regioni continuano ad avere un ruolo significativo in tema di fondi strutturali; in secondo luogo, la riforma del 1999 manterrebbe l'acquisizione del controllo sulla politica da parte dello Stato centrale già messa in atto dalla riforma '93, a seguito della fase “sperimentale” segnata dalla riforma '88.

I punti salienti di quest'ultima, che segnavano il cambiamento del sistema, riguardavano innanzitutto il fatto che lo Stato centrale non decideva più autonomamente dove convogliare il finanziamento strutturale, ma l'eleggibilità degli obiettivi veniva stabilita a partire da criteri elencati nei regolamenti.

Inoltre le iniziative comunitarie conferivano alla Commissione una nuova discrezionalità su una parte dei fondi (circa il 10% del totale delle risorse strutturali), per la pianificazione di progetti che riguardassero lo spazio europeo11. In generale la Commissione cominciò a godere di una più forte influenza sulla determinazione del “dove” e “come” i fondi dovessero essere spesi, cosa non gradita dagli Stati membri, e soprattutto da quelli più prosperi.

La Commissione, in quel periodo, si dimostrò fermamente tenace nell'affermare il ruolo sub-nazionale, che valorizzò non solo col principio della partnership, ma anche fondando il

svolgere un ruolo fondamentale: “ while state executive preferences and intergovernamental bargaining can adequately explain the initiation and evolution of the budgetary envelope... the European Commission emerges as the pivotal actor in designing the regulations”, Marks e Hooghe, op. cit.

9 Come visto in precedenza, tale visione è riassumibile dicendo che gli Stati rimettono alcune decisioni specifiche al livello sovranazionale per ridurre i costi di transazione nel raggiungimento di un accordo. 10 Sutcliffe J.B., “The 1999 reform of the structural fund regulations: multi-level governance or

renationalization?”, in Journal of European Public Policy, Giugno 2000, pagg. 290-309.

11 Pag. 295, op. cit.: “Only limited funding, just under 10 per cent of the structural fund total, was made available to community initiatives. Nevertheless, they expanded the Commission's role at the expense of

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Consultative Council of Local and Regional Authorities, nel giugno 1988, dal cui nucleo sarebbe nato, col Trattato di Maastricht, il Comitato delle Regioni. Tale Consiglio, dotato di capacità esclusivamente consultiva, è un chiaro esempio del desiderio della Commissione di istituzionalizzare il ruolo degli attori sub-nazionali nella Comunità. Dello stesso avviso si mostrò il Parlamento Europeo che affermò:

“The general opinion...was that regional authorities must take part in defining and carrying out these activities at every stage or must play a major role in drawing up programmes and setting priorities”.12

Anche in questo caso però, secondo Sutcliffe, bisogna essere cauti nel parlare di decentramento, poiché i governi centrali rimasero in una posizione decisionale forte, nonostante i cambiamenti avvenuti; a segnalare ciò, l'Autore ricorda il fatto che il riparto delle risorse tra le regioni interne ad un Paese rimane prerogativa dell'esecutivo centrale, che dunque mantiene un ruolo preponderante in ambito finanziario. E' questo un momento importante della programmazione, poiché definisce il quantum di risorse che perverranno alle singole regioni e per questo, nei capitoli successivi, si tenterà di identificare il percorso redistributivo interno ai due Stati membri analizzati.

Altro motivo per cui essere prudenti consiste nel fatto che in realtà, per le regioni, l'unico modo di influenzare il processo decisionale è farlo dall'interno del proprio Paese, più che affidarsi ad un informale contatto diretto con il livello sovranazionale. D’altra parte però, come Sutcliffe puntualizza,

“the structural fund regulations did not command central governments to include subnational actors in regional policy-making”13.

Infatti i livelli sub-nazionali non godono di un posto garantito nell'arena di policy, cosa che nel tempo ha prodotto differenze sostanziali nei diversi Stati europei.

Il punto è quanto fosse lecito aspettarsi che il principio di partnership evolvesse in senso favorevole alle regioni, magari sotto una nuova spinta comunitaria.

Se è vero che, dalla riforma successiva a quella del 1988, si ha una ri-nazionalizzazione della politica regionale, riconfermata nel 1999, allora necessiterà passare in rassegna quelli che Pollack e altri avvertono come segnali di questo procedimento a ritroso.

E così

“con la riforma dei regolamenti sui fondi strutturali del 1999 (ma

some of the central governments' ability to dictate the priorities and functioning of the structural funds”. 12 Dibattito del Parlamento europeo, 1987, citato a pag. 296 da Sutcliffe, op. cit.

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ancora prima con i negoziati sulle prospettive finanziarie di Agenda 2000 per il settennio 2000-2006) ha inizio una fase in cui la politica di coesione dell'Ue vede arrestata la sua spinta evolutiva verso la logica sovranazionale e (ri)comincia a qualificarsi come uno strumento che mira principalmente alla redistribuzione di risorse tra gli Stati membri”14.

Un primo elemento da considerare, secondo tali autorevoli studiosi, si riscontra nelle Iniziative Comunitarie (IC), sotto le quali la Commissione sceglieva autonomamente i progetti finanziabili: queste, fin dalla nascita, furono molto criticate ed osteggiate dagli Stati centrali che le ritenevano troppo numerose a fronte di scarse risorse finanziarie a loro dedicate, cosa che le rendeva inefficaci; si lamentava poi l'eccessiva burocratizzazione richiesta.

Così dopo una serrata discussione sulla percentuale di budget da riservare alle IC, da un 15% proposto dalla Commissione si scese fino al 9%, una dotazione inferiore a quella prevista nel precedente periodo. Inoltre si stabilì che un comitato apposito controllasse il lavoro della Commissione, fino a quel momento autonoma nella gestione delle iniziative. Altro segnale di una preponderanza decisionale dello Stato fu “l'allentamento” del principio di addizionalità15, che in origine definiva il tasso di co-finanziamento statale in base a circostanze macroeconomiche e che nel 1993 venne affievolito, andando a considerare anche una serie di circostanze specifiche nazionali (la spesa pubblica eccezionale, le privatizzazioni, le condizioni economiche congiunturali).

Infine il governo centrale continuava a controllare la selezione dei partner, adesso non più solo istituzionali ma anche di natura socio-economica; i livelli sub-nazionali seguirono ad essere coinvolti solo con l'assenso dello Stato.

Non poteva fare la differenza, data la situazione, il tentativo della Commissione di affermare che avrebbe cercato di assicurare un coinvolgimento adeguato a tutti gli attori competenti,

13 Pag.296, Sutcliffe, op. cit.

14 Pag. 8, “La politica di coesione dell'Unione europea: tendenze ad una ri-nazionalizzazione nei negoziati per il 2007-2013”, Andrea Scavo, Jean Monnet Working paper in Comparative and International Politics, Luglio 2006.

15 Tale principio esprime la necessità che i contributi dei fondi strutturali non sostituiscano le spese strutturali sostenute da uno Stato membro. Per assicurare che lo Stato comunque continui a finanziare gli interventi strutturali rientranti la Commissione e lo Stato membro “determinano il livello di spese strutturali” che quest’ultimo ha l’obbligo di realizzare in ogni regione; di regola la spesa che viene fissata non è mai inferiore alle spese medie annue sostenute dallo Stato, durante il periodo di programmazione precedente. Il principio di addizionalità, fin qui descritto, “intende garantire che i Fondi strutturali completino, e non sostituiscano, gli sforzi nazionali intesi a promuovere la coesione economica e sociale”. Ad esempio, l’Italia e la Germania non hanno potuto rispettare i propri obiettivi di spesa prefissati a causa delle condizioni macroeconomiche che si sono concretizzate e che hanno spiazzato gli investimenti pubblici. Occorrerà aspettare di vedere se, come disposto, sono riuscite entro il 2006, vale a dire entro la fine del periodo di programmazione 2000-2006, a riportare la spesa statale in linea con i livelli previsti; ma per scoprire tali risultati si dovrà attendere il compimento della verifica finale, atteso per il 2008.

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nelle fasi di programmazione pertinenti.

Si arriva così alla riforma 199916, un pacchetto regolamentare, ispirato alle istanze di Agenda 200017e prodotto dalla Commissione, su cui si aggregò il consenso del Consiglio e del Parlamento europeo18.

Si mantennero i principi regolamentari precedenti, ma si decise di ridurre il numero delle Iniziative Comunitarie nonché il loro peso finanziario (dal 9% del budget totale del passato periodo si passò al 5,35%), in virtù di un'esigenza di concentrazione del supporto strutturale: da 13 iniziative si arrivò ad averne 4 (Interreg, Urban, Equal, Leader)19.

Se è vero che le iniziative comunitarie rappresentavano uno strumento che il livello sovranazionale gestiva autonomamente e, soprattutto, servendosi di un canale di connessione diretta con le regioni, a prescindere dalla volontà e dunque dalla presenza dello Stato centrale, allora è anche vero che la riduzione del loro numero può, in un certo senso, avere un significato e contribuire a rispondere al quesito “mult-ilevel governance o ri-nazionalizzazione?”.

E cos’altro può voler dire il fatto che, nei regolamenti 2007-2013, vengano eliminate totalmente le iniziative comunitarie (IC), integrando l'azione da esse promossa negli obiettivi

16 Su tale riforma influì anche l'emanazione del Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999. Tale documento contribuì ad aumentare il numero di ipotesi di applicazione della procedura di codecisione, che dà al Parlamento europeo un ruolo più incisivo nella formazione delle leggi comunitarie, conseguentemente rafforzando il ruolo attribuito all'assemblea parlamentare comunitaria. Fonda inoltre la cooperazione rafforzata, che consente di realizzare una cooperazione tra alcuni soltanto degli Stati appartenenti all'Unione, ricorrendo alle istituzioni, alle procedure ed ai meccanismi previsti dal Trattato CE, ammesso che la cooperazione non riguardi una materia di competenza esclusiva della Comunità; per procedere in tal senso gli Stati debbono chiedere ed ottenere l'autorizzazione da parte del Consiglio, previo parere del Parlamento europeo. Questo istituto consente di realizzare un'Europa a “più velocità” in grado di assicurare la promozione e lo sviluppo di azioni comuni che, nel contempo, possano tenere conto delle esigenze contingenti dei singoli Stati membri. Si veda Calamia A.M. E Vigiak V., “Manuale breve di diritto comunitario”, Giuffré Editore, 2006, Milano.

17 Si ricorda che le prospettive finanziarie 2000-2006 erano inquadrate nel sistema definito da “Agenda 2000: Per un'Unione più forte e più ampia”; segnarono un grande punto di svolta poiché dettero uno stop all'aumento del budget destinato alla politica regionale. In vista del successivo allargamento si dava avvio alla strategia di “allargamento con riforme e senza costi addizionali”.

18 I regolamenti furono adottati nel giugno 1999, dopo che il Consiglio europeo di Berlino nel marzo 1999 aveva definito le prospettive finanziarie settennali, come parte determinante della realizzazione di Agenda 2000. Il budget per i sette anni si attestò a 195 miliardi di euro (a prezzi 1999), a cui si aggiunsero 18 miliardi per il Fondo di Coesione. In totale le risorse per la politica strutturale raggiunsero una quota dello 0,46% del Pil europeo previsto per gli anni 2000-2006 (questa percentuale contiene anche la quota riservata agli aiuti strutturali per i Paesi in preadesione).

19 La prima è stata un’iniziativa così importante che oggi viene elevata a rango di obiettivo, chiamato Cooperazione territoriale europea, volto a supportare la cooperazione transnazionale, trans-frontaliera e interregionale; Urban si è occupata della conversione economica e sociale delle città e aree urbane in crisi e oggi è ritenuta un'azione trasversale, da tenere comunque in conto nella programmazione e, non a caso, gli orientamenti strategici comunitari danno molto rilievo alla dimensione urbana. Leader è volto a promuovere lo sviluppo rurale attraverso gruppi di azione locale, ma oggi rientra nella programmazione dello sviluppo rurale ammissibile al fondo FEASR, derivante dall'ex fondo strutturale FEOGA-orientamento e che non è più classificato come fondo strutturale propriamente detto. Infine, Equal promuoveva la cooperazione transnazionale per promuovere la lotta alla discriminazione e ineguaglianza nel mercato del lavoro; così nel regolamento 2006 è integrato, tra l'altro, il principio generale della parità tra uomini e donne, come assunto trasversale a tutta l'azione finanziata dai fondi strutturali.

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della politica di coesione?

Sutcliffe, commentando il regolamento del 1999, afferma che

“...this reduction in the scope of the community initiatives represents a reduction in the policy making autonomy of the Commission”20.

Va però detto che le IC presentavano punti critici da risolvere; le regioni, in un'inchiesta svolta dal Comitato delle Regioni, rilevavano una debole connessione di tali strumenti con le strategie regionali e nazionali per lo sviluppo, cosicché diventava difficile produrre sinergie tra il mainstream dei fondi strutturali ed i progetti finanziati dalle IC.

Resta però il fatto che le regioni, in tale occasione, dimostrarono gran favore nei confronti di queste, anche per il loro carattere particolarmente innovativo, cosa che le induceva a proporre di continuare a tenerle separate dal resto della programmazione, per valorizzare la loro specificità, benché andasse comunque ricercata una coerenza. E così le regioni richiesero addirittura di:

“Diminuer les ressources des Fonds du “mainstream” au profit des Initiatives communautaires et augmenter substantiellement leurs ressources”21.

Considerando quanto detto, si capisce come sia difficile e riduttivo poter classificare il settore della politica di coesione come un sistema di MLG o come sistema inter-governamentale; sicuramente quest'ultimo non riesce a cogliere la dimensione informale delle relazioni e delle influenze che gli attori sub-nazionali producono; d'altra parte lascia poco spazio al riconoscimento di un valore aggiunto europeo stratificatosi grazie all'esistenza di un livello sovranazionale. E' vero però che gli aspetti presentati finora, e quelli che tra poco si riporteranno, rendono molto restii ad affermare che l'impianto di policy in esame sia rappresentato perfettamente dal modello multi-level. E dunque

“La politica regionale rappresenterebbe proprio l'esempio per eccellenza dell'approccio della governance multi-livello anche se l'aderenza della politica di coesione al modello teorico non può dirsi completa. L'interazione tra i diversi livelli di governo nell'ambito della policy, infatti, risulta ostacolata dalla preponderanza di un livello sugli altri, quello statale, che assume un ruolo centrale nel collegare il livello superiore (comunitario) e

20 Pag. 304, op. cit.

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quello inferiore (regioni ed enti locali)”22.

4.3. 2000-06/2007-13: che cosa è cambiato?

Per far luce sulla domanda posta inizialmente, che contrappone la possibilità di un modello di MLG a quella di una ri-nazionalizzazione e quindi di un “ritorno” allo Stato “gatekeeper”, si è scelto di partire dall'evoluzione storica delle IC. Queste infatti rappresentano, in concreto, la connessione tra la Commissione e le autonomie regionali, funzionale a livello teorico per la ricostruzione del sistema multi-livello.

Quella che si propone di seguito è l'analisi del nuovo strumento del QSN che, come si accennava in precedenza, può essere visto da molti come “compromesso politico”, ricercato perché si potesse continuare ad avere una politica regionale comunitaria23. Nell'elaborazione del Quadro, resta funzionante il principio di partnership che, seppur immutato nel tempo (e quindi non evolutosi), lascia una porta aperta alla partecipazione sub-nazionale, anche in questa fase di definizione delle strategie di sviluppo, in cui dovranno inquadrarsi i programmi operativi e tutte le azioni da realizzarsi.

Per apprezzare tale novità, è necessario ricostruire la struttura di programmazione presente in precedenza. Il regolamento (CE) N.1260/99 dispone un sistema differenziato per la programmazione riguardante le regioni rientranti sotto i diversi obiettivi.

Così per le aree Obiettivo 1, volto a “promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni che presentano ritardi nello sviluppo”24, lo Stato poteva scegliere se produrre un Piano di sviluppo per i livelli NUTS II (corrispondenti alle regioni amministrative in Italia) oppure produrre un unico Piano per tutte le regioni rientranti sotto tale obiettivo; fu proprio quest'ultima la strada percorsa dal nostro Paese, che per redigere tale documento mise in piedi, per la prima volta, un apparato di concertazione e partenariato istituzionale notevole25, tale da far affermare l'esistenza di un percorso bottom up. Fu infatti questo il primo momento per l'Italia in cui si progettò e attuò un percorso integrato e fortemente partecipato fra politiche nazionali, regionali e comunitarie e tra stakeholders centrali e territoriali.

22 Pag.3 “La politica di coesione dell'Unione europea: tendenze ad una ri-nazionalizzazione nei negoziati per il 2007-2013”, Andrea Scavo, Jean Monnet Working paper in Comparative and International Politics, Luglio 2006.

23 Il significato centrale di tale affermazione verrà più esaurientemente spiegato in seguito, quando si ipotizzeranno i possibili fattori che avrebbero definito uno scenario di “potenziale ri-nazionalizzazione”. 24 Art.1, co.1, punto 1) del Reg. (CE) N.1260/99.

25 Così l'Italia produsse il c.d. Piano di sviluppo del Mezzogiorno (PsM), prodotto sulla base di un anno di preparazione attraverso tavoli settoriali di livello nazionale e tavoli regionali, coordinati da un Comitato nazionale per i Fondi strutturali 2000-2006. Nasce dall'integrazione da parte del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, sotto l'allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica. Il PsM, documento di sintesi prodotto da un intenso lavoro di discussione, concertazione ed elaborazione

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Inoltre la possibilità lasciata dal regolamento consisteva nel fatto che “...detto piano (venisse) elaborato dalle autorità competenti designate dallo Stato membro a livello nazionale, regionale o altro”26. In seguito all'invio del Piano, corredato dai Programmi operativi regionali o nazionali, riguardanti le regioni in obiettivo 127, la Commissione produsse il Quadro comunitario di sostegno (QCS), definito dopo una fase negoziale di cinque mesi28. Con l'approvazione del QCS e dei Po, si avviava l'ultima fase di definizione dei Complementi di Programma, che comprendevano le misure operative e il piano finanziario per fondo e per misura; tale compito spettava alla Autorità di gestione, previo accordo del Comitato di sorveglianza, mentre la Commissione poteva, a questo punto, svolgere solo un ruolo consultivo.

Sebbene anche per l'Obiettivo 2, che favoriva “la riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali”, lo Stato membro potesse scegliere di far elaborare un QCS, di norma per le regioni in tale obiettivo ci si serviva del documento unico di programmazione (DOCUP). Elaborati dalle autorità competenti designate dallo Stato membro, i Docup, in molti paesi, tra cui l'Italia, furono elaborati dalle regioni al cui interno fossero stati individuate aree di livello NUTS III (in Italia i Comuni) appartenenti alle zone eleggibili in base all'obiettivo 229. Il Docup, definito a livello regionale in molti Stati membri, riassumeva in sé sia i contenuti di un QCS che quelli del Po30; doveva comunque essere seguito, in fase finale, da un Complemento di programmazione31.

Una volta preparati, i “progetti di Docup” venivano inviati alla Commissione che, valutata la coerenza con i regolamenti e improntata una negoziazione con lo Stato membro e le Autorità

svoltosi tra gennaio e aprile 1999, fu valutato dalla Conferenza Stato-Regioni e approvato dal Cipe. 26 Art. 15, reg. cit.

27 Con il QCS l'Italia inviò alla Commissione 7 Pon e 7 Por; i primi riguardavano la scuola, la ricerca scientifica e sviluppo tecnologico, la sicurezza, i trasporti, lo sviluppo locale, la pesca, l'assistenza tecnica.

28 Il QCS italiano per le regioni obiettivo 1 fu approvato nell'aprile 2000; successivamente si dovettero approvare tutti i Po e per l'Italia tale fase si concluse all'inizio del 2001. Questo l'elenco di tutti i Po del 2000-2006: Por-Basilicata; Por-Campania; Por- Calabria; Pr-Molise; Por-Puglia; Por-Sardegna; Por-Sicilia; Pon-Ricerca; Pon-Scuola; Pon-Sicurezza; Pon-Sviluppo locale; Pon-Trasporti; Pon-Pesca; Pon-Assistenza tecnica.

29 Per l'obiettivo 2 infatti si produceva una zonizzazione derivante dal fatto che la popolazione europea ammessa era stata fissata al 18% della popolazione totale e, in base a ciò ed a vari criteri, la Commissione definiva per ogni Stato membro un massimale di popolazione ammissibile. Gli Stati poi dovevano internamente produrre un elenco delle zone ammissibili e presentarlo alla Commissione, corredato da informazioni e statistiche necessarie per la valutazione. Proprio a tal proposito, nel nostro Paese, si avvertì per la prima volta la chiara volontà delle regioni del Centro-Nord di avere un ruolo decisionale, in questa fase di programmazione (vedi infra).

30 Così il Docup conteneva la strategia, gli assi prioritari e i loro obiettivi specifici, una sintesi delle misure previste, un piano finanziario che definiva per ogni asse e per ogni anno la dotazione per ciascun fondo, l'elenco dei Comuni/aree NUTSIII.

31 Il Complemento di programma è “il documento di attuazione della strategia e degli assi prioritari di intervento, contenente gli elementi di dettaglio a livello di misura” diceva l'art.9 del regolamento. Si noti come oggi questo strumento sia stato eliminato così come è stato eliminato il concetto di misura, poiché il finanziamento si rivolge direttamente agli assi; ciò dimostra la volontà di semplificazione del percorso di programmazione.

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di gestione (regionali nel caso di una elaborazione del Docup a livello regionale), adottava il documento programmatico. In quei Paesi che, come l'Italia, scelsero le regioni per elaborare i Docup, emerge un forte decentramento della programmazione, sin dalla definizione delle strategie da perseguire nelle proprie zone. Tale ruolo veniva rafforzato anche dal contatto diretto con la Commissione che si rivolgeva direttamente ad esse, responsabili in prima persona dei contenuti dei Docup; lo Stato centrale, nella figura del Dps, svolgeva una funzione di coordinamento, oltre ad essere cofinanziatore attraverso gli stanziamenti del Fondo di rotazione32.

Anche per quanto riguarda l'obiettivo 3, che prevedeva interventi fuori dalle regioni obiettivo 133 e che forniva un “quadro di riferimento politico per l'insieme delle azioni a favore delle risorse umane su un territorio nazionale, salve le specificità regionali”, gli Stati membri potevano scegliere se gestirlo con un Qcs o con i Docup. Comunque gli interventi ispirati a tale obiettivo avevano un'impronta maggiormente nazionale, come si leggeva nel menzionato articolo 15, e molti Stati tra cui l'Italia scelsero di ricorrere al sistema Qcs-Po34.

Tabella 1 - Gli obiettivi prioritari per il 2000-2006

Per quanto poi riguarda il principio di partnership - secondo Scavo - “si registra uno dei più grossi fallimenti della riforma 1999”; la Commissione infatti aveva proposto di rendere il

32 Innanzitutto si ricordi il principio di addizionalità e quindi il fatto che l'azione è cofinanziata da fondi comunitari, statali, regionali, nonché privati nel caso che si tratti di azioni realizzate da un'impresa o da altro privato.

33 In base all'obiettivo 3 tutta una regione, non in obiettivo 1, era ammissibile ai finanziamenti, non essendo prevista infatti una zonizzazione come per l'obiettivo 2.

34 In Italia, già dal 1973, la formazione fu una competenza devoluta alle Regioni ed alle Provincie autonome, mentre nel 1997 un decreto legge attribuisce a queste i compiti relativi al collocamento ed alle politiche attive del lavoro, riservando allo Stato il ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento. In Italia, sotto l'obiettivo 3, si sono prodotti 14 Por (FSE, non integrato nei Docup ob. 2 per decisione statale, Docup che quindi pianificavano i finanziamenti FESR) delle regioni del Centro-Nord e dell'Abruzzo, nonché un Pon a

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principio obbligatorio cosicché il coinvolgimento diretto delle regioni, e dunque non mediato dai governi nazionali, diventasse una regola. “Il desiderio degli Stati di mantenere la partnership solamente a livello di principio, invece, impedisce – continua Scavo – quella che sarebbe stata la naturale evoluzione della politica regionale verso una logica di multi-level governance”.

Nel regolamento vigente (2007-2013), la strumentazione è completamente cambiata soprattutto ai fini di una semplificazione del sistema, necessaria per abbreviare i tempi e rendere la programmazione più efficace; di fatto

“la nuova architettura introduce una diversa gerarchia di documenti strategici (Orientamenti strategici comunitari, Quadri strategici nazionali e Programmi operativi) che rappresenta un elemento di fondamentale cambiamento per i paesi che fino ad ora non hanno avuto un QCS o un QCS che coprisse l'intero territorio nazionale, come l'Italia”35.

Il punto focale della riforma è il rafforzamento dell'approccio strategico alla coesione, che si concretizza con la preminenza degli orientamenti strategici comunitari, nonché con la formulazione del QSN, in ogni Stato membro. Questo documento strategico deve “assicurare la coerenza dell'intervento dei fondi con gli orientamenti comunitari per la coesione”, adottati dal Consiglio, al fine di “identificare il collegamento con le priorità della Comunità, da un lato, e con il programma nazionale di riforma, dall'altro”3637.

Il QSN38 rappresenta un contesto unico di programmazione, in cui rientrano i riferimenti strategici sia per l'obiettivo Convergenza che per l’obiettivo Competitività e può inoltre ricomprendere l'obiettivo Cooperazione, per volontà del singolo Stato membro.

Esso deve “presentare una strategia scelta sulla base di un'analisi delle disparità, delle

titolarietà del Ministero del Lavoro che era l'autorità di gestione di tale QCS.

35 Pag. 21, “La nuova generazione di programmi comunitari”, Laura Polverari, Sud news, Anno IV, numero 32, giugno 2006.

36 Il Programma di Riforma Nazionale è un documento strategico che gli Stati produssero nel 2005 per tradurre la strategia di Lisbona in linee di azione strategica nazionale; si capisce anche da ciò la forte connessione tra politica di coesione 2007-2013 e Agenda di Lisbona. Per un ulteriore trattazione, vedi infra.

37 Art.27, regolamento cit.

38 L'art. 27 ci riporta il contenuto del QSN; esso dovrà prevedere: un'analisi delle disparità, ritardi e potenzialità; la strategia scelta comprese le priorità tematiche e territoriali; l'elenco dei Po per gli obiettivi Convergenza e Competitività; una descrizione di come la spesa per ciascun obiettivo contribuisce alle priorità dell'Unione europea di promuovere la competitività e di creare posti di lavoro; la dotazione annuale indicativa di ciascun fondo per programma. Inoltre per le regioni in Convergenza dovrà prevedere: l'azione per rafforzare l'efficienza amministrativa dello Stato membro; l'importo della dotazione annuale complessiva prevista nell'ambito del FEASR e del FEP; le informazioni necessarie per la verifica ex ante del rispetto del principio di addizionalità. Inoltre il QSN può contenere, se opportuno: la procedura di coordinamento tra la politica di coesione della Comunità e le politiche pertinenti a livello nazionale, settoriale e regionale; le informazioni sui meccanismi volti ad assicurare il coordinamento tra gli stessi Po e tra quelli del FEASR e FEP, e gli strumenti della BEI e di altri strumenti finanziari esistenti.

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debolezze e delle potenzialità; avere un approccio nazionale, ovvero delineare una strategia valevole sia per le regioni in Convergenza che per le regioni dell'obiettivo Competitività e occupazione; presentare priorità tematiche e territoriali”39.

A proposito del ruolo dei vari livelli di governance, nell'elaborazione del documento, l'articolo 28 stabilisce che

“il quadro di riferimento strategico nazionale è preparato dallo Stato membro, previa consultazione con i pertinenti partner – e si fa riferimento al principio della partnership, per cui lo Stato sceglie i partner a cui riferirsi – mediante la procedura che considera più appropriata e in base al proprio ordinamento”.

Quel che si fa, dunque, è attribuire allo Stato il compito di definire le strategie che, ispirate ovviamente a quelle comunitarie, distingueranno ciò che sarà o meno finanziabile coi fondi strutturali in tutto il territorio nazionale; lo Stato centrale è il soggetto incaricato di elaborare il quadro e, per fare ciò, dispone della facoltà di scegliere la procedura più adeguata.

Nel regolamento si legge poi che

“lo Stato elabora il quadro di riferimento strategico nazionale in dialogo con la Commissione, al fine di garantire un approccio comune”.

Pare così necessario, per il momento, abbandonare la questione relativa alla prassi affermatasi in ciascuno Stato, che si tornerà a prendere in considerazione successivamente, e riflettere sulle istanze regolamentari del 1999, ove si leggeva che

“per quanto riguarda gli obiettivi 1, 2, 3 gli Stati membri presentano un piano alla Commissione. Detto piano è elaborato dalle autorità competenti designate dallo Stato membro a livello nazionale, regionale o altro”40.

Il compito che indiscutibilmente, in base al regolamento, restava allo Stato era quello formale di presentare i documenti alla Commissione e, in ogni caso, “previa consultazione delle parti interessate, che esprimono il proprio parere entro un termine che consenta il rispetto del termine indicato...”.

Un altro cambiamento da sottolineare consiste nel fatto che, in precedenza, era la Commissione a scrivere il QCS e i Docup, anche se lo faceva seguendo da vicino le istanze presenti nei documenti preparatori inviati da ciascuno Stato; oggi è lo Stato ad elaborare di suo pugno il QSN, benché la Commissione segua i lavori preparatori e sia dunque

39 Pag. 22, Polverari L., op. cit.

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costantemente presente. Probabilmente gli addetti ai lavori, coinvolti nello scorso periodo e in quello presente, non avranno avvertito forti differenze nel metodo di lavoro; comunque sia, quella che emerge dal testo regolamentare è una modifica sostanziale sia delle relazioni tra i livelli di governance sia degli spazi che vengono garantiti sulla carta alle autorità sub-nazionali.

Entro cinque mesi dalla pubblicazione degli Orientamenti strategici comunitari, il QSN è trasmesso per la sua adozione alla Commissione, che può formulare osservazioni sulla strategia nazionale e sui temi prioritari prescelti. In realtà, molti QSN sono pervenuti alla Commissione nel settembre 2006, cosa che ha dato luogo ad una negoziazione informale che porterà a non rilevare grandi problematiche in sede di adozione finale; si tratta infatti di una stratificazione della strategia nazionale, per molti Paesi, che non dovrebbe suscitare perplessità rilevanti nella Commissione.

Il QSN verrà accompagnato dai Programmi operativi, dunque presentati contestualmente; a proposito di questi, il regolamento 2006 dice che

“ciascun programma operativo è redatto dallo Stato membro o da un'autorità da esso designata, in cooperazione con i partner”41.

Anche i programmi operativi vengono ufficialmente presentati dallo Stato alla Commissione, che li valuta e può invitare lo Stato membro a fornire informazioni supplementari ed a rivedere il programma proposto. Dunque anche nel caso in cui lo Stato si avvalesse della possibilità che il regolamento dà di far redigere i Po alle autorità regionali, nel momento della negoziazione di questi il testo nomina come interfaccia ufficiale della Commissione lo Stato centrale. Anche quest'ultima considerazione fatta è bene considerarla a prescindere del fatto che la prassi, affermatasi nel nostro Paese ed in molti altri favorevoli a tale forma di decentramento, veda invece un continuativo contatto tra le autorità regionali che elaborano il Por e la Commissione, così sistematizzando una incisiva negoziazione informale42.

Dunque si tratta di un passaggio verso un nuovo sistema che può aiutare ad orientare una riflessione sull'evoluzione della politica regionale, per capire le tendenze che potrebbero, in futuro, modificare il volto di tale policy.

A dar credito alla tesi fin qui sostenuta, sia sufficiente l'opinione di Mikel Landabaso43 della DG Regio, che ha definito il QSN come “un compromesso politico”, volto a far percepire agli

41 Art. 32 del reg. cit.

42 In un'intervista a Mario Badii, responsabile dell'Ufficio della Regione Toscana a Bruxelles (facente parte del

pool regionale “Regioni del Centro Italia”), del 30/10/06, di fronte alla domanda “chi negozierà i Por della

Regione Toscana: rappresentanti delle amministrazioni centrali o regionali?”, questo rispose che “Il presidente Martini, dall'inizio della preparazione della programmazione, è venuto a Bruxelles molte volte e in ogni occasione si è incontrato con la commissaria Hubner: al momento della negoziazione ufficiale è già deciso tutto”.

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Stati centrali la possibilità di una riacquisizione del controllo sulla politica regionale nonché di un ruolo forte e centrale in essa44.

Si tratterebbe dunque di una soluzione che media tra due visioni radicalmente opposte della politica di coesione: “chi sostiene la ri-nazionalizzazione intende la politica di coesione come una semplice politica redistributiva per cui diventa inutilmente costoso costruire un procedimento amministrativo affinché le risorse dai paesi più ricchi passino dalla Commissione per poi essere indirizzate a quelli più poveri; basterebbe un flusso di risorse dagli uni agli altri, senza passare da Bruxelles. Si tratta però di un'ottica riduzionista che vede la politica regionale come mera politica compensatoria, mentre invece si tratta, grazie ai suoi metodi, di una politica ad alto valore aggiunto, dimostrato dal fatto che nel tempo le regioni45, ma anche i governi centrali, hanno migliorato la loro capacità amministrativa e progettuale. Non può più essere una politica redistributiva, bensì una politica di dinamizzazione del potenziale latente nelle regioni. L'unico modo per continuare a sostenere tale politica è dimostrare il suo valore aggiunto, non ancora apprezzato da tutti gli Stati membri”46.

Peraltro vi è anche chi, senza mezzi termini, afferma che

“le proposte presentate dalla Commissione per i regolamenti dei fondi strutturali per il 2007-2013 contengono già la radice degli elementi che fanno pensare ad una ri-nazionalizzazione della politica di coesione, mentre appare evidente l'intento di legare il destino di quest'ultima alla realizzazione della Strategia Europea per l'Occupazione (SEO) fissata a Lisbona nel 2000”47.

Il Qsn dunque fa emergere non solo un ruolo sfumato delle entità sub-nazionali, ma anche un allentamento del ruolo della Commissione, la cui azione è “relegata ad un momento di successiva negoziazione su aspetti generali quali la ripartizione dei fondi tra le varie priorità o il rispetto del principio di addizionalità”. E questo ruolo è stato anche avversato dalla maggioranza degli Stati membri che “considerano questo documento – il QSN – di loro unica responsabilità e non vogliono nemmeno che la Commissione lo adotti formalmente”48. Per non parlare poi delle perplessità che i governi nazionali hanno espresso a più riprese a proposito degli Orientamenti strategici comunitari, che venivano visti come un fattore limitante per gli Stati nella produzione dei rispettivi QSN e PO.

44 Per le possibili motivazioni che hanno spinto a tale passo, vedi infra.

45 Spesso questo processo vine definito con l'espressione learning o intelligent regions, sottolineando così i grandi vantaggi che i livelli di governance hanno ottenuto dall'esistenza di questa politica.

46 Sono queste le parole di Landabaso nell'intervista dello scorso novembre presso la DG Regio della Commissione.

47 Pag.3, Scavo A., op. cit.

48 Relazione della Commissaria Danuta Hubner al PE su “L'adattamento della politica di coesione all'Europa allargata e agli obiettivi di Lisbona e Goteborg dopo il 2007”, citata in Scavo, op.cit.

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Il CPRM49, nel giugno 2006, ha affermato una forte disillusione in seguito ai regolamenti per il 2007-2013, acuita dalle aspettative createsi a partire soprattutto dal Libro bianco sulla governance europea del 2001, sostenendoche

“a general absence of any significant advance (one might say there has been a backward movement in certain cases) as to the role of regions in the preparation, management and introduction of new policies for 2007-2013, more particularly regional policy and policies on rural development, two essential items in the Community's budget”50.

L'idea che si afferma dunque è che la politica regionale non sarebbe stata mantenuta finanziariamente, a meno che gli Stati “più recalcitranti” ottenessero la garanzia di poter spendere le risorse comunitarie in entrata, in piena libertà: ecco che ritorna l'idea della natura compromissoria del Quadro strategico nazionale, che viene qui confermata51.

Per di più il CPRM parla di “schizzofrenia istituzionale” poiché osserva che, mentre molti Stati membri, specialmente quelli già appartenenti all'Ue a 15, hanno lanciato negli ultimi anni un processo di decentramento e regionalizzazione al proprio interno, per rafforzare l'efficacia e l'efficienza delle politiche nazionali, gli stessi Stati si dimostrano spesso fortemente contrari a fare lo stesso nel contesto comunitario, in cui continuano ad affermare l'esercizio centrale del potere. Ne consegue che “le questioni europee sono lontane dal divenire questioni nazionali, restando così assimilate agli affari esteri di cui è genericamente responsabile lo Stato centrale”.

Anche il Comitato delle regioni, in un parere in merito alle Linee guida per il periodo 2007-2013, elaborate dalla Commissione, affronta la questione della potenziale “ri-nazionalizzazione”, mettendo in guardia su questa tendenza. Il CdR afferma infatti “l'assenza di un autentico approccio decentrato e il fatto che il metodo di coordinamento - perseguito nei singoli Stati – non è riuscito a coinvolgere le amministrazioni regionali e locali”52.

4.4. L'elaborazione del Quadro Strategico Nazionale in Europa

49 Tra l'altro, nel suo contributo al dibattito europeo, il CPRM propose di: aumentare la connessione tra i tre livelli di governo in tema di fondi strutturali; rafforzare la presenza locale e regionale tra le rappresentanze permanenti degli Stati; formalizzare la discussione informale che ha luogo durante il periodo di formazione della policy comunitaria; estendere il principio di sussidiarietà così da ricomprendere le autorità sub-nazionali nel processo di programmazione; estendere il principio di partnership a tutte le politiche, in particolar modo a quelle ad elevato impatto territoriale.

50 Political Position of the CPRM, Opinion of the General Secretariat, “Regional involvement and territorial cohesion in Europe: One step froward, two step backs”, giugno 2006, Rennes

51 Queste parole rappresentano una traduzione del testo del CPRM già citato.

52 Pag.6, Parere del Comitato delle Regioni del 16 novembre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione COM(2005)299 def. (Linee guida per la politica di coesione 2007-2013).

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Dopo aver illustrato le implicazioni concettuali della riforma 2006, pare necessarioosservare l'uso che gli Stati membri hanno fatto del principio di partnership istituzionale, nella fase di decision-making strategico di elaborazione dei QSN. Ciò consisterà nel fare un breve bilancio sul decentramento decisionale in Europa a proposito della programmazione dei fondi strutturali.

Gli Stati dell'UE a 27 hanno utilizzato diverse metodologie per elaborare il QSN: si definiscono così tre differenti approcci, spesso correlati alla forma di stato del singolo Paese e al grado di decentramento istituzionale che ne consegue. Laura Polverari dell'Università di Strathclyde distingue tre modalità di produzione del Quadro:

− “dal basso”, caratterizzante alcuni Stati federali, come il Belgio e la Germania. Secondo tale prospettiva, il QSN tende ad essere “il risultato dell'aggregazione di capitoli” scritti da ciascuna Regione, e cioè un agglomerato di strategie sub-nazionali. In particolar modo per l'obiettivo Competitività, non si è potuto elaborare un'unica strategia, date le profonde diversità tra regioni, che presentano distinte potenzialità da sfruttare in modo diverso per essere competitive.

− “dall'alto”, caratterizzante la Danimarca, l'Irlanda e molta parte dei dieci Paesi di ultima entrata nell'Unione. In questo caso il documento è prodotto sostanzialmente dalle autorità nazionali competenti.

− Approccio “misto”, improntato dalla maggior parte dei Paesi dell'UE a 15 (compresa l'Italia, nella classificazione che fa Polverari). Qui si trova “un bilanciato apporto strategico da parte di autorità nazionali e regionali”. Si è cercato in questi QSN di contemperare l'esigenza nazionale con quella regionale, elaborando una strategia unitaria, prevedendo però “l'esplicita possibilità di adattamento da parte delle regioni e/o amministrazioni nazionali”.

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Sebbene per i regolamenti la responsabilità e la competenza nell'elaborazione del Quadro sia attribuita allo Stato centrale, la Commissione (DG Regio e DG occupazione) ha inviato a tutti i Paesi dei documenti di lavoro in cui sono definiti gli elementi che, secondo quest’ultima, dovrebbero essere previsti nel QSN; sono stati questi, in linea di massima, i temi affrontati nella negoziazione del documento53.

Produrre tale documento è stato molto difficile ed ha richiesto un notevole sforzo soprattutto da parte di quei Paesi che posseggono regioni eleggibili a diverso titolo come l'Italia e la Spagna, che presentano regioni in Convergenza, in obiettivo Competitività, ma anche phasing out e phasing in.

“Forse anche per questo – secondo Polverari – le strategie delineate dai Quadri si presentano spesso come ampie54 e generali”, anche se va riconosciuto che “in alcuni casi, quella di delineare strategie “ampie” è stata una scelta deliberata, ad esempio, per garantire la flessibilità necessaria ad accomodare diverse istanze regionali o per assicurarsi flessibilità futura”55.

53 “Member States are not required to follow the Commission aide-mémoire developed for DG Regio desk officers, although this is a tool which could promote precision and transparency in the preparation of strategies and priorities”, Robin Smail, European Institute of Public Administration, seminario dell'11/10/2006 “Structural Funds Management 2007-2013”, Bruxelles. In occasione di questo seminario Smail parlò della pipeline che porta dalla formulazione strategica comunitaria fino ai progetti, sottolineando l'importanza delle strategie affinché i progetti davvero producano convergenza e competitività.

54 Il numero di priorità incluse nei QSN va da un minimo di due in Danimarca ad un massimo di dieci in Italia. Inoltre in alcuni casi i QSN non presentano un unico gruppo di priorità comune per tutto il territorio nazionale ma priorità differenziate per obiettivo e/o fondo, come ad esempio in Francia.

55 Questo è sicuramente il caso dell'Italia e della Spagna; esistono però anche strategie nazionali più focalizzate e dunque meno “ampie”, concentrate sui bisogni specifici delle regioni come quelle di Finlandia, Austria e Danimarca, molto focalizzate sulla strategia di Lisbona. In particolare però si constata in tutti i Paesi una forte “lisbonizzazione” delle strategie proposte.

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Fonte: presentazione di John Batchler,56 seminario “Structural Funds Management 2007-2013” dell'11/10/06, Open Days - Brussels

L'esistenza di un quadro nazionale unitario può servire da collante ai programmi che necessitano una forma di integrazione per lo sviluppo di sinergie, affinché le scarse e ridotte risorse, in particolare nelle aree dell'obiettivo Competitività, spingano nella stessa direzione. La necessità di integrazione si sente, oggi ancor più che in passato, vista la natura mono-fondo57 di ciascun Programma, che pone il rischio che i finanziamenti provenienti dal FSE e dal FESR si indirizzino su strade diverse.

D'altra parte però l'obbligo di una strategia integrata nazionale può anche “mettere in pericolo la convergenza interna”, una preoccupazione espressa da Ronald Hall della DG Regio58. Per evitare ciò si dovranno equilibrare gli investimenti in aree con alto potenziale, capaci di promuovere la crescita nazionale, con gli sforzi prodotti nelle aree deboli ai fini di una coesione interna; si dovrà fare maggiore attenzione a ciò, data la strategia unitaria, ottenendo maggiori successi là dove si saranno “obbligate le regioni a mettere le proprie idee nel maistream della programmazione”59. A tal proposito Ronald Hall riconosce che il QSN, per

56 John Batchler, European Policies Research Centre, University of Strathclyde.

57 Art. 34 del reg. cit.: “I programmi operativi beneficiano del finanziamento di un solo fondo, salvo quanto disposto al paragrafo 3. Fatte salve le deroghe previste nei regolamenti specifici dei fondi, sia il FESR che il FSE possono finanziare, in misura complementare ed entro un limite del 10% del finanziamento comunitario di ciascun asse prioritario di un programma operativo, azioni che rientrano nel campo di intervento dell'altro fondo, a condizione, che esse siano necessarie al corretto svolgimento dell'operazione e ad essa direttamente legate. Negli Stati membri che beneficiano del Fondo di coesione, il FESR e il Fondo di coesione intervengono congiuntamente nei programmi operativi in materia di infrastrutturae di trasporto e di ambiente, inclusi i grandi progetti”.

58 Seminario 12/10/06, “A new policy and new rules: Cohesion Policy 2007-2013 – Strategy and regulations overview”, Comitato delle Regioni, Bruxelles

59 Ronald hall, nell'intervento al seminario ult. cit.

Spatial eligibility, 2007-2013 0% 20% 40% 60% 80% 100% Esto nia Latv ia Lith uani a Mal ta Pola nd Slov enia Slov ak R epub lic Cze ch R epub lic Hun gary Portu gal Gre ece Spai n Italy Ger man y Uni ted King dom Fran ce Belg ium Aust ria Cyp rus Irela nd Finl and Den mar k Luxe mbo urg Net herla nds Swed en

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come posto in essere nel regolamento, rappresenta una “escape clause” di cui gli Stati potrebbero avvalersi per limitare la partecipazione regionale; ciò può avvenire in fase di definizione delle strategie, poiché nella fase di implementazione non si potrà prescindere dal coinvolgimento regionale.

Un'altra osservazione che può formularsi sui QSN europei è che sono stati redatti, in molti casi, in base alle politiche nazionali già attive nel Paese, incluso il Piano di Riforma Nazionale, prodotto in ottemperanza dell'agenda di Lisbona (questo è sicuramente il caso della Spagna), facendo sì che i QSN siano “più policy driven che needs driven”60. Forse a causa di questo “rimpastare” le strategie politiche già esistenti per definire quella di coesione, in molti casi si è ridotto il ricorso al partenariato istituzionale e socio-economico; la speranza è dunque che, almeno nell'elaborazione delle politiche a monte, i partner abbiano potuto influire sulle scelte fatte61.

Fin qui si è sempre parlato di una criticità nell'applicazione della partnership istituzionale nel decision making concernente i fondi strutturali.

Batchler evidenzia però l'esistenza di oggettive “barriere all'effettiva ed efficiente partecipazione regionale” in tutte le fasi della programmazione (pur riconoscendo una progressiva e generalizzata regionalizzazione nella gestione dei fondi): la necessità di un maggior capacity building istituzionale, la mancanza di una coordinazione con i governi centrali, la carenza di risorse umane ed amministrative, nonché l'esperienza che in molti casi stenta ad accumularsi.

Il QSN, secondo il cancelliere austriaco che si occupa di politica regionale, ha ricevuto tra gli Stati membri un diffuso consenso come strumento utile per la formalizzazione del policy making nazionale, rendendolo più trasparente e democratico, al costo di una maggiore complessità; inoltre

“it proved to be a valuable process of mutul learning which involved different levels and regions; tha process of elaborating NSRF62 is apparently more important than the product, i.e. the NSRF document as such”63.

L'idea è valorizzare il QSN come uno strumento comunicativo del complesso processo di

60 Pag. 24, op. cit

61 A proposito di ciò, nell'analisi del caso spagnolo, si riprenderà la procedura di elaborazione del Piano di Riforma Nazionale (PRN), studiato dal Comitato delle Regioni, proprio perché la Spagna non ha definito un percorso di partnership codificato per la produzione del proprio Qsn che si sovrappone pressoché totalmente al PRN.

62 National Strategic Reference Framework.

63 Pag. 6, Seminar of the EU Presidency 2006 - “Governance of territorial strategies: going beyond strategy documents, tenuto dalla Austrian Federal Chancellery Division IV/4 (co-ordination of Spatial and Regional Policies, 8-9 giugno 2006, Baden.

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concertazione tra i vari stakeholders, andando al di là dell'apparato burocratico che i regolamenti definiscono.

4.5. Prospettive finanziarie 2007-2013: segnali della tendenza “ri-nazionalizzatrice”

Affermata la natura compromissoria del QSN, simbolo di una certa tendenza alla ri-nazionalizzazione, si rende necessario supportare l'idea cercando delle conferme lungo il percorso che ha portato all'adozione dei regolamenti sui fondi strutturali.

Così è inevitabile riflettere sul complicato, e per certi versi “convulsivo”, percorso che ha portato nel maggio scorso all'adozione delle prospettive finanziarie per il prossimo settennio, dopo un aspro dibattito caratterizzato da ripetuti arresti delle trattative. Si dimostrerà dunque la palese volontà di molti Stati membri di ridurre le risorse destinate a tale risorsa, dimostrando di “non credere più” in una politica regionale di livello comunitario.

Il dibattito sul bilancio comunitario inizia con la pubblicazione del Secondo rapporto sulla Coesione economica e sociale, nel gennaio 2001, in cui la Commissione dichiara la propria volontà di mantenere la centralità delle politiche strutturali, anche in previsione di un'Unione a 25, definendo lo 0,45% del Pil comunitario come soglia minima per la futura dotazione finanziaria della politica strutturale, per mantenere almeno la percentuale approvata per il 2000-06 (si era ormai accettato con le precedenti prospettive finanziarie un arresto della consueta crescita delle risorse strutturali64). In quell'occasione la Commissione aveva rassicurato molti Stati, tra cui la Spagna, che temevano una riduzione degli aiuti per le aree ancora deboli dell'Ue a 15 in favore dei nuovi entrati; si ribadì infine il ruolo di protagonista che le regioni avrebbero dovuto avere nella futura politica di coesione. Prese avvio il dibattito inter-governamentale65 che vide fronteggiarsi posizioni nazionali ben distinte: il Ministero dell'Economia spagnolo propose un aumento delle risorse da destinare alla politica strutturale, per evitare che sui “vecchi” Stati membri si scaricasse tutto il peso finanziario dell'allargamento (e, del resto, si pensi al fatto che la Spagna nel 2000-2006 riceveva più risorse a titolo strutturale, mentre si prefigurava, per il futuro, una decurtazione dei fondi strutturali in arrivo in questo paese, oltre all’allora possibile esclusione dell'ammissibilità al Fondo di Coesione). Dal canto suo, anche l'Italia, nel Primo Memorandum, affermava gli stessi timori della Spagna e sosteneva la necessità di tutelare i Paesi dell'Ue a 15.

64 Scavo A., op. cit. dice a proposito delle prospettive finanziarie 2000-2006: “Era la prima volta che il budget destinato alla politica regionale conosceva una simile decurtazione rispetto a quello proposto dalla Commissione. Soprattutto, era la prima volta che la quota del bilancio comunitario destinato alla politica regionale diminuiva piuttosto che aumentare rispetto al periodo precedente. Il Consiglio Europeo di Berlino, pertanto, è stato definito come una “sconfitta per l’Europa” e “una soluzione fittizia dei problemi affrontati””, pag. 10.

65 Viene qui proposto il dibattito ricostruito in modo dettagliato da Viesti, Prota “Le Politiche dell’Unione

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Di avviso contrario fu da subito il Regno Unito, promotore di un “azzeramento della politica regionale comunitaria” a favore di una vera e propria ri-nazionalizzazione della policy. Ciò equivaleva a far rientrare nella piena competenza statale la politica regionale, evitando dunque che seguisse a gravare sulle casse comunitarie: di sicuro, nell'ottica britannica, ciò doveva farsi per i Paesi più prosperi, dove la politica regionale doveva ritornare ad essere decisa e finanziata dai singoli Stati.

La Germania, invece, non riuscì a produrre una posizione nazionale ufficiale al riguardo, a causa dei contrasti interni tra i Lander orientali, che erano a favore di una forte e stabile politica di coesione, e quelli occidentali (prima tra tutti la Bavieria) che propendevano per una sua riduzione in termini finanziari. Inoltre, mentre l'Olanda si dichiarava propensa a sostenere una ri-nazionalizzazione, la Francia caldeggiava un mantenimento della politica visto che, fino a quel momento, aveva ampiamente beneficiato dell'intervento strutturale.

Viesti riassume il dibattito sottolineando che gli Stati beneficiari netti del bilancio comunitario sono rimasti sempre favorevoli ad un prosieguo della politica strutturale, contrapponendosi così al desiderio dei contribuenti netti di tagliare le voci del bilancio.

Si arrivò dunque al luglio 2004 quando la Commissione presentò una proposta “ambiziosa e realistica”66 sulle prospettive finanziarie67, proponendosi di perseguire finalità di sviluppo sostenibile, libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini, senza peraltro prospettare un irrealistico aumento del tetto massimo di spesa, rimasto fermo all'1,24% del Pil comunitario (Ue-27)68. Per quanto riguarda la politica regionale (rubrica 1b del bilancio “Coesione per la crescita e l'occupazione”), la Commissione proponeva una dotazione di 336,1 miliardi di euro (pari allo 0,41% del Pil UE-27)69, riservando per la prima volta a questa voce la percentuale più alta del budget, superando anche quella riservata alla PAC, tradizionalmente la più ingente.

Il Consiglio europeo di Bruxelles del 15-16 dicembre 2005, sotto la presidenza britannica, ridimensionò notevolmente le cifre, riducendo la rubrica 1b a 307,6 miliardi, pari allo 0,37% del Pil comunitario70. Nell’ambito del suddetto vertice, di cui i capi di Stato si dissero

66 Così la definisce Scavo A. in op. cit.

67 Il documento si intitolava “Costruire il nostro futuro comune: le prospettive finanziarie e politiche 2007-2013 per l'Unione allargata”.

68 Scavo sostiene che: “L’intera proposta appariva condizionata proprio dall’intenzione di non “esagerare” con il budget prospettato, confermando la tendenza a voler affrontare le “sfide” dell’allargamento riformando, razionalizzando i costi ma senza assumere oneri aggiuntivi. Chiara conseguenza di quest’approccio era la necessità di concepire il futuro quadro finanziario “in modo da consentire di realizzare priorità concrete”, cioè concentrando le risorse su pochi, essenziali obiettivi”.

69 Subito dopo i Paesi c.d. rigoristi (Regno Unito, Francia, Germania, Austria, Olanda, Svezia) richiesero una riduzione all'1% del Pil Ue.

70 In questo vertice si raggiunse un accordo inter-governamentale, in base al quale si produsse una proposta di negoziazione che affrontava anche la questione dello “sconto” britannico di cui il Regno Unito gode sin dai tempi della Tatcher. Tony Blair si mostrò ostinato nel voler mantenere tale privilegio, riconosciuto in passato

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soddisfatti per l'accordo raggiunto, si ridusse il bilancio all'1,045% del Pil comunitario, disattendendo, oltre che l'originaria proposta della Commissione, anche le successive mediazioni, tra cui quella del Parlamento europeo che chiedeva di raggiungere l'1,18%.

Anche il Comitato delle Regioni, all'indomani del vertice di dicembre, ricordava, in un parere, la necessità di disporre di un “bilancio all'altezza delle ambizioni dell'Unione e in particolare degli obiettivi stabiliti dal vertice di Lisbona”; si legge nel documento che il Comitato

“esprime pertanto preoccupazione per il rischio che si crei una forte sproporzione tra le ambizioni strategiche annunciate e l'esiguità dei mezzi finanziari che potrebbero essere destinati a tal fine, a giudicare dagli ultimi negoziati intergovernativi”71.

Ma il travagliato negoziato sulle prospettive finanziarie non finisce nel dicembre 2005, visto che il Parlamento europeo con una risoluzione del 18 gennaio 2006 respinge “nella sua formulazione attuale” la posizione comune del Consiglio sul quadro finanziario, deplorando i tagli finanziari proposti. Il PE infatti riteneva che quella formulazione di bilancio non potesse garantire un rafforzamento della prosperità, della competitività, e nemmeno della solidarietà che ispira l'azione europea; in questo modo poi non si sarebbe potuto onorare l'impegno preso con i nuovi Stati membri. In definitiva il Parlamento

“deplora che gli Stati membri combattano per preservare i propri interessi nazionali piuttosto che per promuovere una dimensione europea”72.

Con tale documento, detto “risoluzione Boge”, il Parlamento europeo richiese una rinegoziazione dell'accordo per migliorarlo in modo da pervenire ad un'intesa, affermando così il proprio ruolo di co-decisore in materia di bilancio. Ripartì nuovamente la negoziazione per un nuovo accordo inter-istituzionale, a partire da una proposta della Commissione.

Solo nell'aprile 2006 raggiunsero l'accordo, che portò un incremento di 4 miliardi di euro73

per una mancata partecipazione britannica alla PAC. Tale sconto sulla contribuzione finanziaria viene percepito sempre più come un “costosissimo anacronismo” , tanto che la Commissione aveva proposto di abolirlo. Nel dicembre 2005 si ottenne quantomeno di ridurlo progressivamente nel tempo, ma a partire dal 2009, fino a giungere nel 2014 a far contribuire il paese totalmente al bilancio, a meno ovviamente della spesa per la PAC.

71 Parere del CdR del 16 novembre 2005, cit.. Successivamente nel parere si legge che il Comitato “si rammarica quindi del fatto che la Commissione europea non proponga di concentrare maggiormente l'intervento comunitario sui campi e sui territori nei quali esso può avere un reale effetto moltiplicatore”. Inoltre “deplora infine il fatto che in occasione del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 non si sia pervenuti ad un accordo sulle prospettive finanziarie; fa osservare che qualora l'accordo su tale materia dovesse tardare a lungo, potrebbero esservi delle ripercussioni sulla preparazione del periodo di programmazione 2007-2013”.

72 Risoluzione del Parlamento europeo sulla posizione del Consiglio europeo in merito alle prospettive finanziarie e al rinnovo dell'Accordo inter-istituzionale 2007-2013.

73 Di questi 4 miliardi (che al netto corrispondono ad un incremento di 2 miliardi) 330 milioni vanno alla cooperazione territoriale a titolo dei fondi strutturali. Il bilancio comunitario in totale si è attestato a 864 miliardi. Il presidente del PE, Josep Borrell, dichiarò in conferenza stampa che le risorse addizionali

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rispetto alla posizione del Consiglio, a fronte dei 12 miliardi richiesti dal Parlamento europeo; il budget definitivo per la politica regionale arriva così a 308 miliardi.

Una “soddisfacente insoddisfazione” come la definì Borrell, a proposito della quale il presidente della Commissione Barroso invitò a riflettere, chiedendosi “quale sarebbe stato l'ambiente dell'Unione europea senza raggiungere quell'accordo che ha salvato dal caos finanziario”74, alludendo all'instabilità finanziaria che si sarebbe prodotta e che avrebbe messo in grande difficoltà l'avvio della politica regionale a partire dai primi giorni del 200775.

In un articolo del quotidiano spagnolo Gaceta si legge che “il patto rappresenta una chiara concessione dell’Eurocamera alla volontà inter-governamentale, al fine di raggiungere rapidamente un consenso, con la consolazione di aver risolto alcune delle deplorevoli decisioni dei capi di governo”76. In molti articoli si legge poi che il taglio di bilancio prodotto risponde alle “cieche” esigenze di alcuni governi che hanno ormai smesso di credere nel progetto europeo e per molti il 4 aprile ha rappresentato “un giorno nero per l'Europa”77. Per completare la ricostruzione dell'aspetto finanziario, che farebbe emergere un chiaro segnale della volontà di molti Stati di ridurre il proprio contributo all'azione europea, nonché di ri-nazionalizzare la politica regionale, proseguendo sulla medesima linea logica, vale la pena riportare quanto affermato, nello scorso settembre, da uno studio britannico sul costo dovuto al fatto di essere membri dell'Unione europea. Questo studio è molto interessante perché dà una nuova lettura del problema, ricongiungendosi peraltro al contenuto del Libro bianco sulla governance europea in riferimento alla lontananza del cittadino dall'Europa. Lo studio, pubblicato il 31 agosto 2006, è stato realizzato dal Bruges Group, una commissione di esperti in tematiche europee che si autoqualifica “euro-scettica”; l'affermazione di base è che, il prossimo anno, ciascun cittadino britannico dovrà sopportare il costo di 873 sterline, a causa dell'appartenenza del Regno Unito all'Ue. Si legge nel Daily Telegraph dell'1 settembre:

“The Bruges Group estimated that the combined direct and indirect costs in 2007 will amount to £ 100,000 a minute... The British people should be presented with the full facts and figures

permettono di salvare certi programmi di speciale significato europeo, come quelli dedicati alla gioventù, all'innovazione e alle PMI.

74 Traduzione di un articolo di El Paìs del 7 aprile 2006.

75 L'art. 161 del Trattato UE dice, a proposito dell'adozione dei regolamenti sui fondi strutturali: “A decorrere dal 1° gennaio 2007, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, previo parere conforme del Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, nel caso in cui le prospettive finanziarie pluriennali applicabili a decorrere dal 1°gennaio 2007 e il pertinente accordo interistituzionale siano stati adottati a tale data. In caso contrario la procedura prevista nel presente comma è applicabile a decorrere dalla data della loro adozione”.

76 I quotidiani europei enfatizzano soprattutto gli impopolari tagli al programma Erasmus, ritenuto l'iniziativa che più dà coscienza e conoscenza dell'Europa.

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