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Indice Introduzione 1. “Dal D.lg. 286/99 alla Carta delle Autonomie: i provvedimenti più importanti della normativa italiana” 1.1

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Indice Introduzione

1. “Dal D.lg. 286/99 alla Carta delle Autonomie: i provvedimenti più importanti della normativa italiana”

1.1 Il D.lg. n.286/99

1.2 Il Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L) 1.3 Dal 2001 al 2004: i principali cambiamenti 1.4 La “Carta delle Autonomie”

2. “La disciplina dei controlli esterni”

2.1 Dalla legge n . 20/94 ad oggi: il ruolo della Corte dei Conti nell’ambito dei controlli esterni

2.2 “L’Unità di Monitoraggio”

3.“Il cammino dell’Unione Europea nei controlli interni: spunti per la prospettiva italiana””

3.1 Il Libro Bianco: Riformare la Commissione

3.2 Ulteriori chiarimenti sulla funzione di internal auditing 3.3 I primi risultati della riforma

3.4 Gli Standard per il controllo interno Conclusioni

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Introduzione

L’Internal Auditing nasce e si sviluppa nell’ambito delle imprese di produzione. Qui acquista la definizione di “funzione aziendale” volta al monitoraggio del sistema di controllo interno, allo scopo di verificarne l’operatività in relazione agli obiettivi aziendali ed alla luce della sua architettura organizzativa e del suo funzionamento.

Oggetto dell’attività è dunque il SCI (Sistema di Controllo Interno), ovvero l’insieme degli strumenti e delle regole informative e organizzative designate allo scopo di monitorare le performance aziendali ai fini del raggiungimento degli obiettivi fissati dalla direzione.

L’internal auditing si presenta dunque come una forma di controllo di secondo livello rispetto al complessivo sistema dei controlli esistenti, finalizzato al miglioramento e all’aggiornamento dello stesso.

Tale funzione si sviluppa rispetto a quattro aree fondamentali di intervento: - Operational Auditing: finalizzato alla verifica di attendibilità e funzionamento dei controlli deputati al confronto fra gli obiettivi gestionali di economicità e risultati organizzativi ottenuti;

- Financial Auditing: ovvero Revisione Contabile, finalizzato alla verifica dell’attendibilità delle procedure e delle regole che presidiano la gestione contabile e la produzione di report contabili;

- Compliance Auditing: finalizzato alla verifica dei controlli deputati al confronto tra determinati obiettivi di conformità alle normative applicabili ed i comportamenti adottati;

- Management Auditing: finalizzato alla verifica dei controlli che svolgono con continuità il confronto tra determinati obiettivi competitivi, economico-finanziari e socio ambientali ed i risultati ottenuti, onde prevenire scostamenti significativi rispetto alle aspettative del soggetto economico di istituto.

Ulteriore presupposto logico alla presenza di una funzione di internal audit è che il sistema dei controlli interni sia flessibile e dinamico e che venga aggiornato, adattato e rinnovato su base continuativa in relazione alle necessità specifiche dell’azienda e dei sottosistemi che la compongono.

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L’internal auditing, e nello specifico l’Operational Auditing, viene solitamente sovrapposto al controllo di gestione, ma in realtà tra le due forme di verifica sussistono importanti differenze in relazione all’oggetto dell’attività, le finalità, la prospettiva, la frequenza , le verifiche e l’indipendenza. L’analisi del SCI viene infatti svolta dall’internal auditing con riferimento a singole unità organizzative/processi, data la presenza di determinate condizioni di vulnerabilità ed attraverso una visione globale/trasversale delle sole attività aziendali incluse nel Mandato di Audit. È un’attività indipendente che non partecipa infatti, ad eventuali ridisegni del SCI, preoccupandosi esclusivamente di un’attività di monitoraggio periodica e a rotazione, estesa sino all’analisi dei processi più elementari e le correlate misure di performance.

Al contrario, il controllo di gestione effettua un continuo controllo tra obiettivi e risultati di tutte le unità organizzative aziendali alla ricerca di possibili cause che provochino eventuali anomalie e scostamenti significativi. L’attività di controllo è continua e simultanea con particolare attenzione agli aspetti economico finanziari; non può essere vista come un’attività indipendente infatti, collabora ad eventuali ridisegni del SCI.

Da qui deriva anche un particolare posizionamento della Funzione di Internal Auditing all’interno dell’organizzazione, rispetto agli altri organi preposti alle attività di controllo interno. Esso viene definito come a cerniera, poiché il monitoraggio avviene in merito ai controlli esistenti fornendo al contempo, supporto e impulso al rinnovamento. Vengono perciò costantemente verificate adeguatezza e funzionalità dei controlli esaminati in relazione all’ambiente interno ed esterno, ovvero il contesto organizzativo, operativo, direzionale e normativo. La valutazione dei rischi da poi l’impulso verso una progettazione continua dei controlli nelle aree critiche dal punto di vista gestionale ed in relazione all’esistenza di rischi per l’efficienza, l’efficacia, l’attendibilità e la conformità. In questo modo è possibile affermare che la funzione di internal audit esercita nel primo caso una funzione di stimolo e di impulso alla strutturazione del SCI, mentre nel secondo, esercita la funzione di verifica dell’adattabilità dello stesso ai fabbisogni di controllo dell’azienda.

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Il sistema dei controlli così complessivamente visto genera importanti benefici, in quanto permette di minimizzare i rischi che possono portare alla perdita di efficienza, efficacia, economicità o pregiudicare la continuità dell’azienda. Per meglio comprendere il contributo fornito dall’internal auditing, è possibile cosi riassumere i suddetti benefici che esso apporta:

- copertura dal rischio di perdite economiche e non raggiungimento degli obiettivi aziendali;

- copertura dal rischio di decisioni incoerenti poiché prese sulla base di informazioni non esatte;

- copertura dal rischio di sanzioni e perdita di fiducia esterna a seguito di informazioni finanziarie non reali;

- copertura dal rischio di sanzioni amministrative o di altro tipo.

L’implementazione così vista dell’internal auditing nasce, come si è già detto, nell’ambito dell’industria di produzione, tuttavia il suo sviluppo ed i benefici di cui sopra, hanno consentito l’adozione della stessa anche nel settore pubblico, dando cosi il via ad un processo definito come aziendalizzazione, con il quale ci si è posti l’obiettivo prioritario di abbandonare la vecchia cultura burocratica fondata sull’adempimento, per fare propria quella manageriale, che pone i risultati al centro dell’azione amministrativa.

Il processo di aziendalizzazione ha consentito il passaggio nell’ultimo decennio, da un regime in cui predominavano i controlli preventivi di legittimità e di merito sugli atti svolti da organi esterni, ad un regime in cui predominano i controlli interni, in particolare quelli sull’attività gestionale. La base di riferimento per tale processo è rappresentata da nuovi criteri gestionali, ovvero:

1- quelli che danno un contenuto concreto ai risultati, finalizzati a realizzare condizioni di efficienza, efficacia ed economicità;

2- nuovi processi gestionali orientati all’attività della programmazione-controllo - programmazione;

3- nuovi processi organizzativi, fondati sulla responsabilizzazione e sulla valutazione dei risultati.

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In altri termini è la New Public Management la dizione con la quale si vuole rappresentare l’insieme di questi specifici contenuti culturali ai quali si ispira una moderna P.A.: l’obiettivo cardine verso cui le forme di controllo si sono dirette è rinvenibile nello sviluppo e nel potenziamento dei meccanismi interni di autodifesa e di autocontrollo o in generale di internal auditing e nel contestuale e conseguente depotenziamento dei meccanismi di controllo esterno.

L’ingresso del NPM ha rappresentato negli ultimi due decenni uno degli eventi più significativi per la pubblica amministrazione di gran parte dei paesi industrializzati. La stessa sigla “NPM” può includere molteplici significati che spaziano da un’idea generale di ammodernamento del settore pubblico ad un campo più ristretto incentrato sulla razionalizzazione dell’attività pubblica e perciò, basato su un pensiero di tipo manageriale della P.A.

Diventano così predominanti concetti come il “cambiamento”, la “modernità” e la “novità”, dove il primo è assunto come una conseguenza quasi implicita delle altre due. Lo scopo del NPM è di portare al cambiamento attraverso opportune condizioni che lo rendano efficace, attraverso il riconoscimento delle forze che lo guidano, nonché la sua portata e profondità.

Le iniziative del NPM si caratterizzano per una rivendicazione di universalità, tuttavia è da escludere al momento un’applicazione delle stesse in maniera uniforme nei diversi paesi del mondo: si va da una completa apertura alle forze di mercato e alla privatizzazione in Gran Bretagna, ad una radicale reimpostazione del settore pubblico sulla base del modello privato in Nuova Zelanda; da casi di rapidi avanzamenti verso una gestione manageriale, a casi di coesistenza di legami persistenti con le più tradizionali forme di governo burocratico secondo regole predefinite, come avviene in Giappone, Germania e Austria.

Pertanto il NPM va concepito, non come una spinta verso un modello standard di settore pubblico, bensì come un cambiamento globale che permette però soluzioni locali differenziate, che riflettono il modo in cui si combinano e interagiscono le seguenti variabili:

• le componenti specifiche introdotte all’interno di ciascun modello e l’ordine di priorità dato loro;

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• la velocità del movimento di riforma (che dipende direttamente dalla vitalità delle forze-guida);

• le condizioni interne ed esterne determinanti il contesto in cui il processo di modernizzazione deve svilupparsi;

• l’approccio seguito per completare ciascun modello.

Secondo approfondite indagini analistiche, il NPM ha tre componenti essenziali: 1. La ridefinizione dei confini tra Stato e mercato, con riferimento

quindi ai fenomeni di privatizzazione ed esternalizzazione1;

2. La riformulazione della macrostruttura del settore pubblico, che include la delega di funzioni statali ai livelli organizzativi inferiori; 3. La ridefinizione delle regole operative caratterizzanti il modo in cui

il settore pubblico svolge le sue funzioni e raggiunge i suoi obiettivi.2

In altre parole, il concetto proposto dal NPM fa riferimento a una serie di interventi, a volte relativi ad una sfera di azione particolarmente limitata e a volte incorporanti temi disomogenei, che, intrecciati l’uno con l’altro e a loro volta con i provvedimenti legislativi e amministrativi presi dai riformatori, danno modo di individuare veri e propri criteri di riforma, ciascuno dei quali riferito ad uno specifico oggetto:

1. Governance

Esistono numerose definizioni in proposito. Secondo una di queste, “la governance è il processo attraverso il quale si risolvono collettivamente i problemi e si viene a conoscenza dei bisogni della società”, mentre “l’amministrazione è lo strumento che si utilizza” a questo scopo (Osborne e Gaebler, 1993). In pratica, la governance persegue obiettivi più ampi della mera pubblica amministrazione, preoccupandosi di tutti gli attori sociali, non soltanto

1

Vedi “La modernizzazione della Pubblica Amministrazione in Italia e all’Estero”, par.2, G.Marcon, 1999

2

Questa componente a sua volta comprende altre sette principali sub-componenti: (1) Privatizzazione Formale,(2) Corporatization, (3) Concorrenza Pubblica, (4) Decentramento interno,(5) Ridefinizione della macchina amministrativa,(6) Deregolamentazione del funzionamentodei sistemi economico – sociali, (7) Ridefinzione del ruolo e dei diritti dei cittadini. Ved. “La modernizzazione della Pubblica Amministrazione in Italia e all’Estero”, par.2, G. Marcon, 1999.

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di quelli pubblici, i quali a loro volta operano in considerazione del sistema dei vincoli derivanti dagli interessi e dai comportamenti di tutti gli altri attori. Il management pubblico si focalizza proprio su queste tipologie di azioni, valutando i possibili effetti di riforme cruciali, come quelle relative alla modernizzazione della Pubblica Amministrazione, che, sebbene riguardino preminentemente gli strumenti di governo degli enti pubblici, comunque esplicitamente o implicitamente mirano al cambiamento del contesto sociale. Infatti, tali modifiche influenzano il modo in cui ogni ente si rapporta al suo “pubblico” e quindi la sua relazione con gli attori sociali.

2. La deregolamentazione e il ruolo e i diritti dei cittadini

La questione sulla regolamentazione-deregolamentazione assume connotati differenti a seconda dei contesti ai quali ci si riferisce. In Italia, ma in realtà anche in tutta l’Europa, essa racchiude non solo ogni controllo giuridico, ma anche gli strumenti di governance e ogni forma di controllo sociale sulle attività, coinvolgenti attori sia pubblici che privati. La prospettiva in termini di deregolamentazione si basa su un rapido sfoltimento della legislazione esistente, che possa garantire a imprese, organizzazioni o singoli cittadini:

- Rapidità e certezza di risposta a seguito di richieste di informazioni o fornitura di servizi;

- Maggior responsabilità degli impiegati pubblici; - Trasparenza dell’azione amministrativa.

Affinché però, queste disposizioni si rivelino efficaci, è necessario introdurre meccanismi operativi ben congegnati ed adottare strumenti manageriali miranti a promuovere la qualità del servizio, il coinvolgimento del cliente e il raggiungimento dei risultati.

3. Privatizzazione ed esternalizzazione

Il processo di privatizzazione comincia agli inizi degli anni ’90, quando le banche pubbliche furono trasformate in società per azioni, fino ad arrivare ai giorni nostri dove ormai quasi tutti gli enti pubblici economici sono divenuti

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privati. Lo scopo era quello di raggiungere contestualmente due importanti obiettivi:

- Contribuire allo sviluppo del sistema finanziario e della Borsa;

- Contribuire al riequilibrio della finanza pubblica, il cui deficit, già all’epoca, era un problema molto serio.

Le modalità con le quali la privatizzazione ha avuto luogo, si basano sul modello golden share, con l’intento di mantenere allo Stato speciali diritti di controllo sui servizi pubblici privatizzati, attraverso l’istituzione di autorità indipendenti di supervisione e regolamentazione dei servizi pubblici.

L’Esternalizzazione è definita come “il trasferimento, che avviene in base a contratti, della produzione di servizi e attività strumentali di pubbliche amministrazioni ad imprese private, pur continuando le stesse pubbliche amministrazioni a finanziare l’attività e ad assumersi la responsabilità del soddisfacimento del bisogno pubblico”3. Oggetto dell’esternalizzazione possono essere tanto singoli servizi e/o specifiche aree di attività di supporto interno, quanto specifiche fasi o segmenti operativi di attività complesse; nei due casi si parla rispettivamente di esternalizzazione totale ed esternalizzazione parziale. Il motivo fondamentale per il quale si arriva a tale fenomeno è legato alla crescita qualitativa e quantitativa della domanda di servizi, alle pressioni per le riduzioni della spesa pubblica legate alle crisi della finanza pubblica e in alcune situazioni, all’esistenza di rilevanti vincoli operativi riconducibili alla gestione delle risorse umane, ossia nuove modalità contrattuali e difficoltà di attrarre risorse qualificate. In ogni caso, se posta in essere, l’esternalizzazione determina benefici del tipo:

- Riduzione dei costi e vantaggi economici; - Innalzamento della qualità dei servizi;

- Possibilità di ovviare alla carenza di alcune professionalità delle risorse umane;

3

Per maggiori dettagli su destinatari, benefici e fasi, consultare la “Guida all’Esternalizzazione di servizi e attività strumentali nella Pubblica Amministrazione” a cura del Dipartimento della Funzione Pubblica disponibile al link www.funzionepubblica.it/docs_pdf/Giuda_Esternalizzazioni.pdf

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- Attenuazione delle logiche burocratiche e alleggerimento dell’amministrazione pubblica4;

- L’opportunità di concentrare attenzione e risorse su attività ritenute strategiche liberando risorse umane e investimenti dalle attività meno rilevanti.

4. Decentramento istituzionale

Si basa su una più ampia delega di funzioni dallo Stato, alle regioni e alle amministrazioni locali, compatibilmente con la costituzione esistente. Assieme alla privatizzazione e l’esternalizzazione, il decentramento istituzionale mira ad accompagnare la pubblica amministrazione verso l’idea di uno “Stato leggero”.

5. Processi decisionali e modelli organizzativi

Gli elementi della riforma dei processi decisionali e dei modelli organizzativi possono farsi rientrare in tre categorie:

- L’affermazione del principio di distinzione-integrazione tra politica e amministrazione;

- Il passaggio da un modello burocratico “fondato sulle norme” ad un modello manageriale orientato ai risultati;

- La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego.

È proprio qui l’innovazione vera e propria: poiché il vecchio processo decisionale era fortemente centralizzato nelle mani dei politici, di fatto qualsiasi tipo di responsabilizzazione della burocrazia veniva precluso. Il nuovo modello, invece, essendo decentrato, prevede la delega di budget ai dirigenti, assegnando loro in questo modo la responsabilità dei risultati da perseguire, e quindi di chiamarli poi a rispondere dei risultati effettivamente raggiunti.

6. Riforme dei sistemi contabili

La serie di riforme alla quale si è dato il via agli inizi degli anni ’90 riflette il cambiamento strategico che sta caratterizzando i processi decisionali del settore

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pubblico, con una contestuale trasformazione dell’informazione contabile. La nuova situazione è caratterizzata da responsabilità decentrate, ampia delega di autorità ai dirigenti e adozione di controlli di efficienza – efficacia.

7. Il sistema dei controlli

Con l’avvento del NPM l’intera pubblica amministrazione italiana è stata investita, in primo luogo, da un cambiamento nella filosofia dei controlli e nelle loro funzioni, sinteticamente identificabili nei seguenti due punti chiave:

- Il passaggio da controlli preventivi di legittimità a controlli successivi sui risultati;

- L’adozione del principio in base al quale i risultati del processo di valutazione devono influire sull’allocazione delle risorse pubbliche, secondo un sistema di premi e sanzioni basate sul merito.

Conseguentemente, è stato introdotto un cambiamento degli obiettivi del controllo e nella natura stessa degli strumenti utilizzati, insieme all’adozione di sistemi di valutazione delle performance e dell’adozione di rapporti periodici sull’efficienza, l’efficacia e l’economicità.

Nello specifico il controllo interno è diventato oggetto di notevoli attenzioni anche nell’ambito della pubblica amministrazione, a seguito di un lungo percorso normativo che ha caratterizzato negli ultimi decenni non soltanto le amministrazioni statali ma anche gli enti pubblici territoriali.

Lo scopo che si intende raggiungere con i contenuti espressi nei capitoli seguenti è quello di esporre in un quadro più chiaro e schematico il lento susseguirsi dei provvedimenti normativi nel tempo e l’impatto che da essi deriva sui sistemi tradizionali del management pubblico, non soltanto a livello nazionale, ma anche all’interno dello scenario ben più complesso degli atti emanati dalla Comunità Europea, allo scopo di uniformare le procedure dei controlli interni e consolidare una cultura basata sulla presenza della Funzione di Internal Auditing. Vedremo la posizione e il ruolo della Corte dei Conti all’interno di questo articolato contesto ed infine se e in che modo la Pubblica Amministrazione Italiana possa

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implementare i provvedimenti ad oggi emanati in termini di controlli interni in assenza di specifici disposizioni in merito, ad essa direttamente indirizzati.

E’ di fondamentale importanza infatti, a questo punto, comprendere il ruolo dell’internal auditing all’interno della Pubblica Amministrazione, alla luce di come esso è stato finora regolamentato per lo più nel campo privatistico, ed evidenziando le gravi carenze che l’assenza di uniformità su questo piano apporta nelle gestioni pubbliche. È evidente che il panorama legislativo italiano necessita di diversi accorgimenti che diano un assetto concretamente efficace alla gestione dei controlli nella pubblica amministrazione. Il problema principale resta ancora, infatti, quello delle sovrapposizioni tra le fattispecie di controllo e gli organi preposti, come avviene ad esempio tra Corte dei Conti e Collegio dei Revisori, entrambe deputate al controllo sul buon andamento della gestione, la verifica del patto di stabilità interno e degli equilibri finanziari, con particolare riferimento all’ambito degli enti pubblici e degli enti collegati alle regioni, quali le aziende sanitarie.

Dalla sovrapposizione nasce poi la duplicazione delle attività o la diminuzione della loro efficacia, in funzione del fatto che mentre per alcune è richiesta una forte integrazione e collaborazione tra la Corte e gli organi interni delle Pubbliche amministrazioni, il loro svolgimento in realtà avviene in via del tutto separata.

Altra problematica riguarda l’integrazione tra gli organi di controllo, come previsto dal D.lg. n. 286/99 che ne precisa tra l’altro la separazione logica e l’operatività degli stessi. In particolare negli enti locali e nelle aziende sanitarie, si fa riferimento alla mancanza di una chiara configurazione del controllo strategico in termini di strumenti, processo organizzativo, misure e organi di controllo, nonchè gli ambiti di integrazione e complementarietà con il controllo di gestione. Anche quest’ultimo, fra l’altro considerato la procedura cardine dei controlli interni, stenta a decollare: sia per la mancanza di una cultura aziendale che punti al risultato, agli obiettivi, alla misurazione delle scelte e dei comportamenti operativi che andrebbe diffusa tra dipendenti e amministratori, sia per l’assenza di un adeguato processo di razionalizzazione decisionale,

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un’organizzazione snella e dinamica e di un sistema modulato di Bilancio fondato sulle fasi di programmazione - controllo - rendiconto.

Alla luce delle suddette considerazioni, l’internal auditing non deve essere inteso come un nuovo ruolo da imporre alle aziende sottoforma di incarichi formali o ulteriori strutture organizzative, ma dovrebbe essere progettato in modo peculiare a seconda dei differenti contesti e sulla base di un’attenta valutazione tra i soggetti realmente adeguati a ricoprire certi ruoli, se come organi di controllo interno esistenti o nuove figure di staff: in altre parole attraverso un sostanziale rafforzamento dell’integrazione del sistema dei controlli interni, insieme ad una chiarificazione dei compiti e delle interazioni tra i soggetti preposti agli stessi. Tuttavia, senza un adeguato quadro di quale sia la situazione attuale non è possibile ipotizzare alcun tipo di intervento, perciò il punto di partenza sarà proprio questo: conoscere cosa la normativa nazionale ed europea abbia previsto per il ramo dei controlli interni giungendo quindi a comprendere cosa e perché, è invece ancora da prevedere.

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