Università degli Studi di Pisa
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di Laurea Specialistica in Scienze e Tecnologie Biomolecolari
Tesi di Laurea
Anno Accademico 2005-2006
Regolazione dell’espressione delle importine nell’ippocampo e
nella corteccia entorinale di Rattus norvegicus durante
l’epilettogenesi.
Candidato
Relatori
Elisa
Brilli
Dott.
Yuri
Bozzi
RIASSUNTO
L’epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, ed è caratterizzata dalla ripetuta comparsa di crisi scatenate da un’improvvisa ed eccessiva scarica elettrica che insorge a livello di specifiche aree cerebrali. L’epilessia dei lobi temporali è una delle forme più comuni e più gravi della malattia, che colpisce le strutture del sistema limbico situate nella regione temporale del cervello. Questo tipo di epilessia compare in seguito ad un evento scatenante (trauma cranico, ischemia cerebrale, convulsioni febbrili prolungate) che, dopo un lungo periodo di latenza nel quale non si verificano attacchi, porta all’insorgenza della malattia vera e propria, caratterizzata da crisi spontanee, sempre più gravi e frequenti, e spesso resistenti al trattamento farmacologico. E’ evidente quindi che lo studio dei meccanismi di epilettogenesi, cioè di quegli eventi che si verificano durante la fase di latenza e portano alla comparsa dell’epilessia cronica, è fondamentale per lo sviluppo di nuove ed efficaci terapie.
Esperimenti condotti sull’uomo e in modelli animali suggeriscono che l’epilettogenesi sia caratterizzata da una serie di modificazioni molecolari, cellulari, anatomiche ed elettrofisiologiche a carico dei neuroni dell’ippocampo e della corteccia entorinale, che sono le strutture maggiormente colpite nell’epilessia dei lobi temporali. In particolare, si ipotizza che queste modificazioni siano dovute ad un’alterazione dell’espressione genica durante l’epilettogenesi. Studi molto recenti suggeriscono che nell’ippocampo, le proteine importine α e β, che mediano il trasporto di altre proteine dal citoplasma al nucleo, svolgano un ruolo molto importante nella regolazione dell’espressione genica, in quanto responsabili del trasporto al nucleo di specifiche chinasi in grado di modificare la trascrizione di geni neuronali.
Sulla base di queste considerazioni, durante il mio lavoro di Tesi ho iniziato a caratterizzare l’espressione e la localizzazione delle importine nei neuroni dell’ippocampo e della corteccia entorinale durante l’epilettogenesi. Come modello sperimentale di epilettogenesi ho utilizzato la somministrazione sistemica di acido kainico (KA; 12mg/kg) in ratti maschi di 35 giorni di età. Nel ratto, infatti, una singola iniezione di KA induce rapidamente (1-4 ore) lo stato epilettico, seguito (dopo un periodo di latenza di 2-4 settimane) dalla comparsa dell’epilessia cronica caratterizzata da crisi spontanee ricorrenti. Mediante esperimenti di RT-PCR, ibridazione in situ ed immunoistochimica ho analizzato l’espressione delle importine α1 e β1 nell’ippocampo e nella corteccia entorinale di ratti di controllo, di ratti
durante lo stato epilettico (ratti acuti; 2-3 ore dopo la somministrazione di KA) e di ratti epilettici cronici (5 settimane dopo la somministrazione di KA).
I risultati di questi esperimenti mostrano un aumento dell’espressione dell’importina β1 nell’ippocampo e nella corteccia entorinale dei ratti cronici, ed una sua diminuzione in quelli acuti. Esperimenti di doppia marcatura immunoistochimica dimostrano che l’importina β1 co-localizza con NeuN (marcatore specifico dei neuroni) nei neuroni piramidali delle regioni CA1 e CA3 dell’ippocampo e nei granuli del giro dentato. Altri neuroni importina β1-positivi si osservano sia nell’ilo del giro dentato che nello strato radiato, regioni ricche in interneuroni. Ho quindi caratterizzato l’espressione dell’importina β1 negli interneuroni positivi per il neuropeptide Y (NPY), per la somatostatina (SOM) e per la parvalbumina nei tre gruppi sperimentali. Nei ratti di controllo e in quelli in acuto, l’importina β1 non è sostanzialmente espressa in queste cellule, ma compare solamente nel nucleo degli interneuroni NPY e SOM-positivi nei ratti cronici. Questo suggerisce che durante l’epilettogenesi, in questi interneuroni, l’importina β1 traslochi nel nucleo. Studi condotti su neuroni del sistema nervoso periferico suggeriscono che la chinasi ERK, nella sua forma fosforilata (pERK), si complessi con l’importina β1 per essere trasportata lungo gli assoni. I risultati da me ottenuti dimostrano che pERK e importina β1 co-localizzano nei neuroni dell’ippocampo e della corteccia entorinale nei ratti di controllo ed in stato epilettico acuto, ma non negli animali epilettici cronici.
Inoltre ho caratterizzato l’espressione dell’importina β1 nella glia, in particolare nella microglia attivata (cellule positive per OX42) e negli astrociti (cellule positive per GFAP). I dati mostrano che β1 non è mai espressa nella microglia mentre è presente negli astrociti soprattutto nei ratti cronici, in cui si osserva un aumento del numero di cellule GFAP/β1 positive. Infine, ho iniziato a caratterizzare anche l’espressione della proteina importina α1 mediante immunoistochimica. Dati preliminari indicano che l’espressione dell’importina α1 diminuisce nell’ippocampo e nella corteccia entorinale dei ratti acuti, ma che nei cronici resta invariata rispetto al controllo.
Questi risultati dimostrano che l’attività epilettica, sia acuta che cronica, è in grado di modificare l’espressione delle importine α1 e β1 nell’ippocampo e nella corteccia entorinale del ratto. Esperimenti futuri saranno mirati a caratterizzare il ruolo della regolazione delle importine nella glia, e ad identificare proteine che interagiscano con le importine durante l’epilettogenesi.
ABSTRACT
Epilepsy is one of the most common neurological disorders, and is characterized by the occurrence of seizures induced by an excessive discharge in a population of hyper-excitable neurons. Temporal lobe epilepsy (TLE) is the most common form of human epilepsy, which affects the temporal lobe, a part of the limbic system that controls emotion and memory. TLE generally appears after a brain injury (head trauma, stroke, infection, status epilepticus) that, after a long period of latency during which the patient does not show any symptoms, leads to the occurrence of spontaneous recurrent seizures, which often become resistant to antiepileptic drugs. The investigation of the epileptogenic mechanisms leading to chronic epilepsy, is thought to be important to discover new and effective pharmacological treatments.
Studies on human and animal models suggest that epileptogenesis is characterized by different molecular, cellular, anatomical and electrophysiological alterations in the hippocampus and in enthorinal cortex, which are the cerebral structures most involved in TLE. Recent studies suggest that in the hippocampus, importins α and β may play a key role in the transcription of neuronal genes in response to neuronal activity by regulating the nuclear translocation of transcriptional regulators.
In order to understand the expression and the localization of importins in hippocampal and enthorinal neurons during epileptogenesis, I performed systemic injections of kainic acid (KA) to induce epileptogenesis in male rats at 35 postnatal days. In rats, a single injection of KA rapidly (1-4 hr) induces status epilepticus, followed (after a period of latency of 2-4 weeks) by the appearence of chronic epilepsy, characterized by spontaneous recurrent seizures. By using RT-PCR, in situ hybridization and immunohistochemistry, I analyzed the expression of importins α1 and β1 in the hippocampus and entorhinal cortex in controls rats, in rats during status epillepticus (SE rats; 2-3 hours after KA injection) and in chronic rats (5 weeks after KA injection).
The results of these experiments showed an increased expression of importin β1 i the hippocampus and entorhinal cortex of chronic rats, as well as a down-regulation in SE rats. Double-labelling experiments showed that importin β1 is expressed in NeuN-positive CA1-CA3 pyramidal neurons and dentate gyrus granule cells. Importin β1-positive interneurons are also present in the hilus and stratum radiatum. Thus, I analyzed importin β1 expression in neuropeptide Y (NPY), somatostatin (SOM) and parvalbumin interneurons in the three experimental groups. In control and SE rats, importin β1 is not present in these neurons, and it
appears only in the nucleus of NPY- and SOM-interneurons in chronic rats. This suggests that during epileptogenesis, importin β1 translocates to the nucleus in these neurons. Studies perfomed on peripheral neurons suggest that phosphorylated ERK kinase (pERK) forms a complex with importin β1 to be transported along the axon. My results show that pERK and importin β1 are co-localized in hippocampal and entorhinal cortex neurons only in control and SE but not chronic rats.
I also characterized importin β1 in glial cells (OX-42 positive microglia and GFAP-positive astrocytes). Data show that importin β1 is never expressed in microglia, whereas it is present in astrocytes in chronic rats. Finally, I began to characterize the expression of importin α1 by immunohistochemistry. Preliminary data indicate that importin α1 expression decreases in the hippocampus and entorhinal cortex in SE rats, and does not change in chronic animals.
These results show that epileptic activity (both acute and chronic) modifies importin α1 e β1 expression in the hippocampus and entorhinal cortex. Future experiments will be aimed to precisely characterize the role of importin up-regulation in astrocytes and proteins interacting with importins during epileptogenesis.
1. INTRODUZIONE
1.1 Epilessia
L’epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, che colpisce circa lo 0.8% della popolazione mondiale. Il termine epilessia deriva dal greco “epilambàno”, e significa “aspettare una crisi”. Fin dall’antichità, la manifestazione dei sintomi caratteristici della malattia ha affascinato ed interessato le popolazioni: le persone affette da epilessia venivano ritenute possedute da spiriti maligni e capaci di esercitare poteri soprannaturali. Il primo approccio scientifico fu messo a punto da Sir John Hughlings Jackson nel 1860; egli fece luce sull’origine degli attacchi epilettici, arrivando alla conclusione che un attacco epilettico fosse scatenato da “un’ improvvisa ed eccessiva scarica elettrica originata da alcuni circuiti nervosi”. La conferma dell’ipotesi formulata da Jackson arrivò quasi un secolo dopo, quando, nel 1929, l’invenzione dell’elettroencefalogramma da parte di Hans Berger permise di analizzare in modo più approfondito il fenomeno dell’epilessia.
La diagnosi della malattia avviene solamente dopo che il soggetto ha manifestato almeno due crisi, le quali non sono causate da fattori esterni quali l’alcolemia o l’ipoglicemia, ma derivano da un vero e proprio danno che causa il malfunzionamento di alcune aree del cervello.
L’epilessia clinica può essere divisa in due grandi gruppi: epilessia primaria ed epilessia secondaria (Engel, 1996). Le forme primarie non sono mai associate a disturbi neurologici o strutturali, sono a trasmissione genetica e legate all’età; infatti la maggior parte delle epilessie primarie insorgono durante l’infanzia. La più comune forma primaria è l’epilessia mioclonica giovanile. Le forme secondarie, invece, sono associate a convulsioni e possono essere di origine genetica o acquisite, ad esempio in seguito a trauma cranico. Queste due forme di epilessia possono essere a sua volta suddivise in due tipi: epilessia generalizzata,
se è coinvolto tutto il cervello; epilessia parziale o localizzata, se è coinvolto solo un emisfero o una zona ristretta del cervello che funge da focolaio (focus) epilettico. Di solito le forme di epilessia parziale danno origine a crisi secondarie generalizzate. Le forme secondarie più comuni sono di tipo parziale e colpiscono prevalentemente gli adulti. Possono essere divise, secondo la loro origine eziologia, in tre categorie:
• epilessia dei lobi temporali mesiale (MTLE), associata a placche sclerotiche ippocampali che sono le più comuni alterazioni strutturali osservate nelle forme di epilessia umana;
• epilessia a lesione parziale, associata a specifiche lesioni come tumori, malformazioni vascolari, etc…;
• epilessia parziale criptogenetica la cui eziologia è sconosciuta.
1.2 Epilessia dei lobi temporali (TLE)
L’epilessia dei lobi temporali (TLE) è la forma più comune e più grave della malattia (Engel, 1989) che colpisce le strutture del sistema limbico, in particolare l’ippocampo e la corteccia entorinale.
La TLE è considerata una delle forme più gravi in quanto molti pazienti (~ 30%) sviluppano, dopo un certo periodo di trattamento farmacologico, farmaco-resistenza. Questo tipo di epilessia compare in seguito ad un evento scatenante (trauma cranico, ischemia cerebrale, convulsioni febbrili prolungate) che, dopo un lungo periodo di latenza (epilettogenesi) nel quale non si verificano attacchi, porta all’insorgenza della malattia vera e propria, caratterizzata da crisi spontanee, sempre più gravi e frequenti (epilessia cronica; Engel, 1989; Lothman e Bertram, 1993) (Fig. 1.1). Le caratteristiche delle crisi della TLE (Kotagal, 1991) dipendono dal fatto che l’area colpita sia il lobo temporale del cervello, il quale fa parte del sistema limbico che a sua volta è responsabile del controllo delle emozioni e
della memoria. Le crisi epilettiche sono solitamente precedute dalla cosiddetta “aura epilettica”, così descritta da K. Jaspers: "In questo momento il mondo esterno scompare, la coscienza si restringe e tuttavia, in questo restringimento, può assurgere alla massima lucidità; da un'angoscia iniziale, in piena lucidità di pensiero, può nascere una felicità immensa fino a diventare terribile e insopportabile; in questa fase si ha la perdita della coscienza e l'attacco" (Jaspers, 1964). JASPERS K., Psicopatologia generale (1913-1959), Il Pensiero Scientifico, Roma,
1964. Molte forme di TLE umana sono epilessie secondarie, anche se in alcuni casi possono essere anche epilessie primarie (Berkovic et al., 1996; Cendes et al., 1998; Gambardella et al., 2000).
Figura 1.1: Principali fasi dello sviluppo dell’epilessia dei lobi
1.3 Meccanismi cellulari e molecolari dell’epilettogenesi nell’uomo
1.3.1 Principali alterazioni morfologiche e funzionali durante l’epilettogenesi nell’uomo
L’epilettogenesi è il periodo latente che intercorre tra l’effetto scatenante la crisi epilettica (trauma cranico, infezione..) e la comparsa di crisi spontanee ricorrenti che indicano la comparsa della malattia vera e propria. Durante questo periodo, nelle aree cerebrali interessate (area CA1, CA3 e giro dentato dell’ippocampo, corteccia entorinale, subiculum), si osservano cambiamenti molecolari e cellulari che, si pensa siano all’origine di quei fenomeni di riorganizzazione dei circuiti neuronali che si osservano in associazione alla comparsa delle crisi ricorrenti. Queste aree sono interconnesse da un sistema organizzato di fibre che crea un circuito riverberante (Fig. 1.2; Avanzini e Franceschetti, 2003)
Le alterazioni indotte dall’epilettogenesi includono anche morte neuronale, le Figura 1.2: Rappresentazione schematica del circuito ippocampale e para-ippocampale
coinvolto nell’insorgenza della TLE. Le frecce indicano le principali vie di trasmissione sinaptica glutamatergica tra le varie zone. Questo circuito può essere definito “riverberante” in quanto il segnale che arriva al subiculum dalla EC attraverso l’ippocampo ritorna direttamente alla corteccia entorinale. Abbreviazioni: EC, corteccia entorinale; DG, giro dentato; CA3 e CA1: strati piramidali dell’ippocampo; sub, subiculum (Avanzini e Franceschetti, 2003).
Le alterazioni indotte dall’epilettogenesi includono anche morte neuronale, neurogenesi, gliosi, fenomeni di ‘sprouting’ assonale e dendritico, riorganizzazione della membrana cellulare e delle proteine della matrice-extracellulare (Pitkanen e Sutula, 2002).
1.3.2 Alterazioni anatomiche: danno neuronale, “sprouting” e gliosi.
Il danno neuronale, in particolare la morte dei neuroni delle diverse aree dell’ippocampo, è osservabile nei soggetti affetti da TLE che hanno sviluppato farmaco-resistenza (Weissman et al., 2001; Mathern, 1995; Mathern, 2002). Il danno diviene apparente solamente 20-30 anni dopo il primo attacco epilettico e il tipo di danno dipende dall’età e dal focus epilettico (Mathern, 2002). L’incremento della concentrazione di BCL-X(L), BAX, e della caspasi 3 suggerisce che il meccanismo apoptotico contribuisca alla perdita di neuroni dell’ippocampo (Henshall et al., 2000).
La circuiteria ippocampale presenta proprietà plastiche che hanno implicazioni importanti durante l’epilettogenesi. Nel 1969, Goddard e colleghi dimostrarono che ripetuti stimoli elettrici a livello dell’amigdala, che inizialmente non provocano una crisi epilettica, portavano all’aumento graduale della suscettibilità alle crisi ed eventualmente all’insorgere di crisi spontanee (Goddard et al., 1969). Successivamente, Sutula e colleghi dimostrarono che il processo di induzione graduale della crisi epilettica, a livello dell’ippocampo, portava alla riorganizzazione delle connessioni sinaptiche del giro dentato: questo fenomeno prende il nome di “sprouting” (Sutula, 1988; Sutula et al., 1989).
Lo “sprouting” delle fibre muschiose è un evento di plasticità assonale osservato durante il processo di epilettogenesi su sezioni di ippocampi recisi a soggetti epilettici (Sutula et al., 1989) e consiste nella formazione di nuove sinapsi funzionanti da parte delle fibre muschiose verso la regione sopragranulare e lo strato molecolare interna del giro dentato (Sutula, 1988). Nei soggetti epilettici lo sprouting è associato alla morte delle cellule
piramidali della regione CA3, che si suppone sia la causa di una drastica riduzione degli assoni dello strato molecolare interno del giro dentato (le fibre muschiose). Si ritiene che la formazione di nuove sinapsi da parte delle fibre muschiose, in posizioni non fisiologiche (lo sprouting, appunto) porti alla formazione di circuiti a feedback eccitatorio (Isokawa et al., 1993; Okazaki et al., 1995). In effetti, questo tipo di riarrangiamento morfologico facilita la trasmissione glutamatergica mediata dai recettori NMDA; in particolare, questo fenomeno è stato osservato su sezioni di ippocampo provenienti da pazienti affetti da TLE, in cui si nota un aumento di espressione dei geni codificanti per due distinte subunità dei recettori NMDA (Mathern et al., 1999). Questo aumento di eccitabilità può, nel tempo, innescare un aumento di suscettibilità delle aree interessate all’epilessia e quindi indurre la comparsa di nuove crisi epilettiche. In contrasto a questo è stata ipotizzata una diminuzione nelle capacità inibitorie degli interneuroni GABAergici (Sloviter et al., 1991). Questa possibilità può essere associata al basso numero di neuroni GABAegici trovati in tessuti di pazienti epilettici farmaco-resistenti (Lloyd et al., 1981) anche se questi risultati non sono mai stati confermati da indagini di elettrofisiologia.
Nell’ippocampo danneggiato di soggetti epilettici si osserva proliferazione della glia in maniera molto consistente, ed in particolare si osserva un aumento dell’espressione della GFAP “glial-fibrillary acid protein” nell’ilo del giro dentato (Adams et al., 1998). Il fenomeno di proliferazione della glia non ha ricevuto molta attenzione anche se l’alterazione delle funzioni gliali provoca un cambiamento nell’eccitabilità circuitale che può nel tempo innescare una maggior suscettibilità alle crisi epilettiche; attualmente si pensa che alterazioni delle proprietà della glia possano influenzare (in maniera attività-dipendente), l’ambiente extracellulare e le proprietà elettrofisiologiche dei neuroni (Heinemann, 1999; si veda anche la Discussione).
1.3.3 Alterazioni elettrofisiologiche
Le crisi epilettiche sono il risultato di un eccessiva scarica elettrica di alcune popolazioni neuronali ipereccitabili. I cambiamenti delle caratteristiche di eccitabilità dei neuroni, evento tipico del fenomeno dell’epilettogenesi, non solo altera le attività dei singoli neuroni ma si propaga in modo sincrono anche verso gruppi di cellule ipereccitabili. In alcune regioni del cervello, quali la corteccia e l’area CA3 dell’ippocampo, i neuroni presentano una attività spontanea caratterizzata dalla scarica sincrona di treni di potenziali d’azione protratta nel tempo (“paroxysmal depolarization shift”, PDS; Matsumoto e Ajmone-Marsan, 1964). Neuroni localizzati nei focolai epilettici, che in condizioni fisiologiche non hanno attività spontanea sincrona, mostrano attività di tipo PDS. Questo ha fatto supporre che il PDS rappresentasse un indice molto affidabile di avvenuta epilettogenesi (Prince, 1985)
Le alterazioni elettrofisiologiche che si verificano durante l’epilettogenesi sono dovute, almeno in certi casi, a cambiamenti delle correnti ioniche attraverso canali sodio, potassio e calcio. Ad esempio, studi condotti su tessuti cerebrali umani hanno dimostrato che la distribuzione alterata di differenti sottotipi di canali al sodio sono associati alla farmaco-resistenza della TLE (Lombardo et al., 1996), e che il blocco delle correnti potassio mediante l’agonista colinergico muscarina induce forte depolarizzazione che può portare alla propagazione dell’ipereccitabilità (Biervert, 1998).
Registrazioni elettroencefalografiche da ippocampo di pazienti affetti da TLE mostrano un’attività interictale che compare tra una crisi e l’altra (Lewis et al., 1999). L’attività interictale è un’attività elettrofisiologica ritmica e sincrona caratterizzata da grandi “spikes” extracellulari generati da specifiche aree del cervello, a sua volta generata dal meccanismo del PDS. In particolare, studi condotti su fettine di ippocampi recisi da pazienti epilettici, dimostrano che l’area dell’ippocampo nella quale ha origine l’attività interictale è il subiculum (Cohen et al., 2002). Dal subiculum isolato dal resto dell’ippocampo è infatti
possibile registrare un’attività sincrona per circa 8-12 ore, e l’applicazione di antagonisti glutammatergici e GABAergici provoca un blocco dell’attività interictale (che ricompare se gli antagonisti vengono tolti). La rete di neuroni che genera questo tipo di attività sembra essere formata da interneuroni subicolari e da una sottopopolazione di neuroni piramidali nei quali la trasmissione sinaptica GABAergica genera potenziali depolarizzanti. Proprio il cambiamento nella trasmissione GABAergica sembra contribuire all’attività interictale nell’uomo (Cohen et al., 2002).
Risulta quindi evidente che lo studio dei meccanismi molecolari e cellulari che stanno alla base dell’epilettogenesi potrebbe essere molto importante ai fini di sviluppare nuove terapie farmacologiche contro l’epilessia. Tuttavia vi è una grande difficoltà nel seguire, e quindi studiare, l’epilettogenesi nell’uomo, in quanto la maggior parte degli studi vengono condotti principalmente su campioni autoptici o su espianti post-operatori. Di conseguenza, è fondamentale disporre di modelli animali che riproducano nel modo più fedele possibile le caratteristiche della patologia umana, in modo da condurre esperimenti che sull’uomo non potrebbero essere effettuati.
1.4 Principali modelli animali di TLE
Lo studio dell’epilettogenesi implica la scelta di un modello animale di TLE che sappia riprodurre le caratteristiche pato-fisiologiche della malattia dell’uomo (Leite et al., 2002), ed in particolare:
- il decorso clinico che di solito consiste in i) un danno iniziale a carico del cervello che rappresenta l’effetto scatenante della crisi; ii) un periodo latente; iii) la comparsa di crisi spontanee ricorrenti indice della malattia vera e propria (cronicizzazione);
- la consistente morte neuronale (sclerosi ippocampale) a livello delle varie aree dell’ippocampo quali CA1, CA3 ed ilo del giro dentato che dovrebbe avvenire solamente nella parte di ippocampo interessata dal focolaio epilettico;
- la riorganizzazione assonale e sinaptica dei neuroni sopravvissuti alla crisi epilettica.
1.4.1 Modello di epilettogenesi “post-status”: acido kainico e pilocarpina 1.4.1a.Acido kainico
Lo stato epilettico che coinvolge il sistema limbico può essere indotto nei ratti mediante la somministrazione sistemica (dose 8-12mg/Kg) o locale (intracerebroventricolare o intraippocampale, dose 0,1-0,3 µg per emisfero) di acido kainico (KA). L’acido kainico è un agonista dei recettori al glutammato i quali sono maggiormente distribuiti sui neuroni piramidali della CA1 e della CA3 dell’ippocampo (Monaghan e Cotman, 1982; Ben-Ari e Cossart, 2000).
La somministrazione sistemica di KA ha, nei roditori, un forte effetto convulsivante. Gli animali trattati mostrano una fase di immobilità iniziale seguita da movimenti ripetuti e tremori (“head bobbing” e “wet dog shakes”), che culmina in una crisi che non è più focalizzata nella zona del sistema limbico del cervello ma si espande a coinvolgere altre aree compresa quella motoria: si parla di crisi motoria limbica (LMS), caratterizzata da drizzamento dell’animale sulle zampe posteriori con conseguente perdita di equilibrio e caduta a terra. L’effetto del KA può durare per diverse ore (Ben-Ari et al., 1985). Il danno al cervello, che induce lo stato epilettico, causato dalla somministrazione di KA è considerato equivalente all’evento scatenante la prima crisi epilettica riscontrato nei pazienti affetti da TLE. Il periodo latente prima della comparsa delle crisi spontanee dura dalle 2 alle 4 settimane (Stafstrom et al., 1992). Alcune settimane dopo l’iniezione di KA si osserva una consistente morte neuronale nelle zone CA1 e CA3 dell’ippocampo. Inoltre, altre popolazioni
neuronali come gli interneuroni dell’ilo (parvalbumina, somatostatina e NPY-positivi) sono vulnerabili all’induzione da kainato. Si osserva anche il fenomeno plastico di “sprouting” della fibre muschiose nello strato molecolare interna del giro dentato (Tauck et al., 1985).
1.4.1b Pilocarpina
Oltre all’induzione mediante acido kainico sistemico, lo stato epilettico può essere indotto, nei roditori, dalla somministrazione intraperitoneale in alte dosi (300 mg/Kg) di un agonista colinergico, la pilocarpina (Turski et al., 1983; Cavalheiro et al., 1991). Trattando gli animali con LiCl (3 mEq/Kg, 24 ore prima della somministrazione di pilocarpina) si aumenta il potenziale epilettogenico della pilocarpina fino a ridurre la sua dose di somministrazione iniziale di 10 volte (Honchar et al., 1983). Le manifestazioni comportamentali degli animali sono le stesse in entrambi i trattamenti (Ormady et al., 1989). Il profilo di morte neuronale indotto dalla pilocarpina è molto simile a quello indotto dal KA. Infatti si osserva morte dei neuroni della zone CA1 e CA3 dell’ippocampo associati a “sprouting” della fibre muschiose nello strato molecolare interno del giro dentato. Anche qui la comparsa di crisi spontanee ricorrenti avviene al termine del periodo di latenza, che dura alcune settimane a partire dallo stato epilettico iniziale.
In entrambi i modelli (KA e pilocarpina) la durata dello stato epilettico è critica per lo sviluppo degli eventi epilettici. Infatti quando lo stato epilettico indotto viene interrotto dopo trenta minuti dalla somministrazione di diazepam o fenobarbital, non si osserva sviluppo di crisi spontanee (Lemos e Cavalheiro, 1995; Leite et al., 2002)).
1.4.2 Principali alterazioni morfologiche e funzionali durante l’epilettogenesi nei modelli animali
I due modelli animali di TLE descritti nel precedente paragrafo presentano numerose somiglianze con la patologia umana. Le principali alterazioni morfologiche e funzionali durante l’epilettogenesi avvengono infatti a livello dell’ippocampo. La Figura 1.3 mostra in maniera schematica la struttura dell’ippocampo di ratto.
A. B.
Figura 1.3 Struttura dell’ippocampo di ratto. A) Principali vie eccitatorie dell’ippocampo. I granuli del
giro dentato (DG) ricevono afferente dalla corteccia entorinale attraverso la via perforante (“perforant path”, PP); gli assoni dei granuli (“mossy fibers”, MF) sinaptano a loro volta sui neuroni piramidali dell’area CA3, i quali innervano i neuroni piramidali dell’area CA1 attraverso le fibre collaterali di Schaffer (SC). Gli assoni delle cellule piramidali CA1 sinaptano nel subiculum (Sb), connesso a sua volta con la corteccia entorinale. Il circuito è identico a quello umano (si veda Fig. 1.2) B) Principali aree dell’ippocampo, visto in sezione coronale. Abbreviazioni: Or, stratum oriens; Py, strato piramidale; Rad, stratum radiatum; LMol, stratum lacunosum molecolare; Mol, stratum molecolare; GrDG, granuli del giro dentato; Hil, hilus (da Paxinos e Watson).
1.4.2a Danno neuronale, sprouting e gliosi
Il danno neuronale che si osserva principalmente nel ratto durante l’epilettogenesi è a carico dei neuroni della CA1 dell’ippocampo (Pitkanen et al., 2002). Il danno aumenta con il progredire delle crisi e la sua distribuzione dipende dal sito del focus epilettico (Kotloski et al., 2002). La perdita di neuroni è associata a processi apoptotici, dimostrati con marcatura TUNEL positiva, ad eventi di necrosi cellulare e al danno elettrico indotto dalla ipereccitabilità delle cellule suscettibili all’epilessia. Oltre alla morte dei neuroni della CA1,
durante l’epilettogenesi, si osserva anche perdita di interneuroni GAD65 positivi dell’ilo del giro dentato e nello strato oriens della CA1 dell’ippocampo (Esclapez and Houser, 1999).
Come per l’uomo anche nel modello animale l’epilettogenesi promuove fenomeni di plasticità neuronale e in particolare “sprouting” delle fibre muschiose (Fig.1.4) nella regione sopragranulare della strato molecolare interno del giro dentato (Sutula et al., 1988). Esperimenti condotti sui modelli animali hanno mostrato che la formazione di sinapsi in zone ectopiche, porta alla formazione di circuiti a feedback eccitatorio (Okazaki et al., 1995) particolarmente efficienti in quanto vanno a incrementare la trasmissione glutamatergica mediata dai recettori NMDA. La severità delle modificazioni strutturali dipende dal numero di eventi associati a crisi (Cavazos et al., 1993).
controllo epilettico
NPY
Figura 1.4. Danno neuronale e sprouting nell’ippocampo Alto:
immunoistochimica per NeuN (marcatore neuronale) su sezione coronale di ippocampo di ratto cinque settimane dopo la somministrazione di acido kainico. Un esteso danno neuronale è presente nell’animale epilettico (Costantin et al., 2005). Basso: sprouting delle fibre muschiose evidenziato con immunoistochimica per NPY (marrone) su sezione coronale di ippocampo di ratto cinque settimane dopo la somministrazione di acido kainico (Borges et al., 2003).
Borges K, Gearing M, McDermott DL, Smith AB, Almonte AG, Wainer BH, Dingledine R. Neuronal and glial pathological changes during epileptogenesis in the mouse pilocarpine model. Exp Neurol. 2003 Jul;182(1):21-34.
Il postulato di Dale “un neurone un neurotrasmettitore” durante l’epilessia non sembra essere più valido, questo perché le i granuli del giro dentato (cellule glutamatergiche per eccellenza) durante le crisi epilettiche diventano positive anche al GABA (Schwarzer e Sperk, 1995; Lehmann et al., 1996). I granuli formano sinapsi eccitatorie glutamatergiche con i neuroni piramidali della CA3 (Fig. 1.3) e con gli interneuroni della stessa area. E’ stato scoperto che i granuli contengono anche piccole tracce di acido glutammico decarbossilasi (GAD, l’enzima che sintetizza il GABA), e che questo enzima è sovra-espresso durante le crisi epilettiche (Sloviter et al., 1996). Questo suggerisce che i granuli siano capaci di convertire il glutammato in GABA grazie all’attività dell’enzima (Mody, 2002). In supporto a questa ipotesi, è stato osservato che la stimolazione delle fibre muschiose in fettine di ippocampo di ratto al quale è stata indotta epilessia, produce potenziali inibitori post-sinaptici nelle cellule piramidali della CA3 in presenza di antagonisti per i recettori al glutammato (Gutiérrez, 2000; Gutiérrez e Heinemann, 2001). Questa risposta però sembra essere transiente dopo le crisi e coincide con la sovra-regolazione transiente di GAD (isoforma 67 kDa; Ramirez e Gutiérrez, 2001), GABA (Gòmez-Lira et al., 2002) e del mRNA per il trasportatore vescicolare del GABA (VGAT) (Lamas et al., 2001; Gòmez-Lira et al., 2004) nelle fibre muschiose. Comunque entrambi i neurotrasmettitori (GABA e glutammato) sono sintetizzati dalla cellula e possono essere rilasciati in maniera sincrona o asincrona a seconda dello stimolo a cui devono rispondere, dunque vi è la possibilità che siano accumulati in diversi “pools” di vescicole, separati tra loro (Jonas et al., 1998). Questa capacità dei granuli di rilasciare entrambi i neurotrasmettitori, in particolare l’incremento della trasmissione GABAergica delle fibre muschiose, si pensa che nell’epilessia abbia la funzione di compensare l’ipereccitabilità indotta dalle crisi (Gutiérrez, 2000; Gutiérrez e Heinemann, 2001). La proliferazione cellulare ed in particolare della glia indotta dall’epilettogenesi si osserva anche negli animali dove si nota una sovraespressione della GFAP (glial-fibrillary
acid protein) che ha come conseguenza la proliferazione e l’ipertrofia delle cellule gliali (Torre et al., 1993). In particolare le cellule che mostrano aumento della GFAP sono quelle dell’ilo del giro dentato; sempre nell’ilo aumenta anche il numero di astrociti (incremento di circa il 46%) i quali sono associati ad un alterazione dello spazio extracellulare (Heinemann et al., 1999).
1.4.2c Alterazioni elettrofisiologiche
Nei modelli animali di TLE è stato studiato in dettaglio il meccanismo che sta alla base dell’attività interictale (Rogawski e Loscher, 2004) e quindi dell’innesco del PDS (si veda 1.3.3). Sembra che un ruolo importante nell’innescare questi eventi sia attribuito al rilascio di glutammato da parte degli astrociti (Tian et al., 2005). Il rilascio di glutammato dagli astrociti è indotto da onde di correnti calcio. Il glutammato si lega ai recettori glutamatergici sinaptici AMPA e NMDA dei neuroni circostanti, innescando una risposta eccitatoria; in particolare gli AMPA sembrano innescare il PDS (Dingledine et al., 1986). Recentemente è stato osservato un aumento dei livelli di glutammato extracellulare in foci epilettogenici; questo fa supporre che i trasportatori e i recettori per il glutammato abbiano un ruolo importante durante questa fase della malattia (Aronica et al., 2003). Studi basati sull’utilizzo di topi knockout per GLT1, un trasportatore per il glutammato espresso dagli astrociti avente un ruolo chiave nella “clearance” di glutammato nel sistema nervoso centrale, hanno mostrato danni a livello dell’ippocampo e crisi spontanee come si osserva in pazienti affetti da TLE (Campbell e Hablitz, 2004; Demarque et al., 2004). Infatti diminuzione dell’espressione di GLT1 e GLAST (un altro tipo di trasportatore specifico degli astrociti) si osservano in vari modelli animali di epilessia (Wong et al., 2003). In condizioni normali i recettori glutamatergici maggiormente espressi nelle cellule gliali sono mGluR3 e mGluR5, e nei modelli animali gli astrociti ippocampali attivati mostrano una sovra-espressione di
entrambi i recettori (Steinhauser e Seifert, 2002). La sovra-espressione di questi recettori provoca un accumulo di cAMP (con conseguente aumento delle concentrazioni di Ca2+) e modula l’espressione di altri due trasportatori molto importanti per l’uptake di glutammato extracellulare negli astrociti (EAAT1 ed EAAT2; Wallraff et al., 2004). Inoltre esperimenti di imaging con microscopio confocale a due fotoni hanno permesso di confermare l’importanza della regolazione delle correnti calcio generate dagli astrociti. Infatti, alcuni dei più comuni farmaci antiepilettici come il valproato e la gabapentina, agiscono riducendo la capacità degli astrociti di trasmettere onde calcio; questo fa supporre che queste cellule siano bersagli per il trattamento dell’epilessia (Tian et al., 2005).
1.4.2d Alterazioni dell’espressione genica
Tutte le alterazioni morfologiche e funzionali che si osservano nelle diverse aree dell’ippocampo durante l’epilettogenesi sono accompagnate da un’alterazione dell’espressione genica (Covolan et al., 2000; Wu et al., 2000).
Mediante analisi con microarrays, sono stati recentemente identificati numerosi geni potenzialmente coinvolti nel processo di epilettogenesi: geni coinvolti nel meccanismo di gliosi, molecole di adesione, geni coinvolti nelle funzioni sinaptiche e di plasticità assonale. Gli esperimenti mostrano una specificità spaziale e temporale dell’espressione genica durante l’epilettogenesi: ad esempio, nell’ippocampo l’espressione di alcuni geni cambia nella stessa direzione da un certo momento in poi e così anche nel lobo temporale (Lukasiuk et al., 2003). Quindi il cambiamento dell’espressione genica avviene secondo onde sequenziali sovrapponibili agli eventi neuropatologici che si susseguono ed osservano durante la TLE (Coulter e DeLorenzo, 1999), facendo supporre una stretta relazione tra alterazione dell’espressione genica ed epilettogenesi. I geni alterati durante l’epilettogenesi appartengono a classi funzionali diverse inclusi i fattori di trascrizione, trasduttori del segnale, proteine
strutturali e metaboliche. Questo mostra la moltitudine di funzioni alterate a livello cellulare, che possono originare i vari fenomeni che caratterizzano l’epilettogenesi. Ovviamente i risultati ottenuti da esperimenti condotti con i microarrays da gruppi di ricerca diversi non danno dati del tutto sovrapponibili, e questo può essere dovuto alla bassa sensibilità dei microarrays o nella differenza dei protocolli di esperimento utilizzati (Lukasiuk and Pitkanen, 2003; Tange et al., 2002; Lukasiuk et al., 2003; Long et al., 2003; Elliot et al., 2003; Matzilevich et al., 2002; Handriksen et al.,2001; Becker et al., 2002).
Dunque la TLE, sia nell’uomo che nei modelli animali, si manifesta con un lungo periodo latente (l’epilettogenesi) interposto tra l’evento scatenante iniziale e l’insorgere della malattia cronica. Durante questo periodo, l’espressione genica varia sensibilmente nelle aree colpite, le quali vanno incontro a processi di modificazione strutturale (morte dei neuroni, sproutung delle fibre muschiose) e funzionale (alterazioni elettrofisiologiche). Lo studio dei meccanismi alla base della regolazione dell’espressione genica è fondamentale per la comprensione dei fenomeni di epilettogenesi.
Anche se poco studiati in relazione all’epilettogenesi, i meccanismi di trasporto citoplasma-nucleo, che regolano trasporto al nucleo di proteine aventi attività regolatoria sulla trascrizione genica, hanno un ruolo sicuramente molto importante. Il movimento di queste proteine dal citoplasma al nucleo può essere mediato da una famiglia di recettori di trasporto denominati importine.
1.5 Le importine
1.5.1 Struttura, funzione e meccanismo d’azione delle importine
Le importine, insieme alle esportine, appartengono alla superfamiglia delle carioferine, proteine che hanno la caratteristica di trasportare altre proteine ed RNA dal citoplasma al nucleo e viceversa (Fried e Kutuay, 2003; Macara, 2001) Le importine si dividono in due sottotipi: importine α ed importine β. Un ruolo centrale nel meccanismo di trasporto dal citoplasma al nucleo lo ricoprono le importine β. Queste proteine hanno un peso molecolare compreso tra 95-145 kDa e la loro struttura molecolare è caratterizzata dalla presenza di 19 domini elica-giro-elica poste in tandem denominate HEAT ciascuna delle quali contiene due α−eliche (Chook e Blobel, 2001), un dominio N-terminale per il legame delle Ran GTPasi , due domini per l’interazione diretta con le nucleoporine, ed un dominio C-terminale per il legame con l’importina α (Chi e Adam, 1997). Sulla base di questi criteri almeno 20 importine sono state identificate in cellule di mammifero (Macara, 2001;Weis, 2003; Kuersten et al., 2001; Quimby e Dasso, 2003). L’importina β può legarsi direttamente alla molecola da trasportare (“cargo”), mediante il riconoscimento del segnale di localizzazione nucleare (NLS), oppure interagire con un adattatore, l’importina α, (Macara, 2001; Weis, 2003; Kuersten et al., 2001; Quimby e Dasso, 2003) la quale mediante il riconoscimento del NLS (Fig. 1.5) lega la molecola cargo. Dopo che l’importina α ha legato la molecola cargo, si lega all’importina β, mediante un dominio di legame specifico (IBB), avviando l’ingresso del complesso proteico verso il nucleo (Macara, 2001;Weis, 2003; Kuersten et al., 2001;Quimby e Dasso, 2003).
Figura 1.5: meccanismo di importazione nucleare mediato dal complesso importina β/α-cargo mediante
riconoscimento del segnale di localizzazione nucleare (NLS). Da Lodish
Il ciclo di importazione citoplasma-nucleo ed esportazione nucleo-citoplasma è regolato dal gradiente Ran GTP/GDP la cui azione stabilisce una chiara distinzione tra il compartimento nucleare (RanGTP) e quello citoplasmatico (RanGDP) della cellula (Melchior et al., 1993; Macara, 2001; Damelin et al., 2002; Dasso, 2002;Gorlich et al., 2003; Weis, 2003). Durante l’importo dal citoplasma al nucleo il compleso importina α/β-cargo transita attraverso il poro nucleare ed una volta nel nucleo l’importina β lega la RanGTP causando la dissociazione dall’importina α e il rilascio del cargo (Harel e Forbes, 2004).
Analisi strutturali hanno evidenziato che ogni proteina utilizza differenti siti di legame dell’importina β e distinti modi di interazione. In tutti i casi le ripetizioni HEAT hanno la
funzione di accomodare ed accogliere la proteina che si lega, questo perché la struttura molto flessibile delle sue supereliche permette il legame di substrati molto diversi tra loro (Stewart, 2003). Per questa sua plasticità funzionale, l’importina β media un gran numero di meccanismi cellulari fra i quali assemblaggio del fuso mitotico, formazione della membrana nucleare e assemblaggio del poro nucleare e funge da adattatore molecolare per mediare il trasporto di altre proteine lungo i microtubuli. Proprio per questa sua caratteristica sembra essere coinvolta nella trasduzione di segnali di danno neuronale mediante il trasporto retrogrado di alcuni fattori di trascrizione dall’assone danneggiato verso il corpo cellulare del neurone (Guzik e Goldenstein, 2004).
1.5.2 Importine nel sistema nervoso
Tutti i meccanismi che attivano fenomeni di plasticità sinaptica portano ad alterazioni molecolari nel neurone e in particolare a cambiamenti nei meccanismi di espressione genica indicando che i segnali generati alla sinapsi vengono, attraverso vie molecolari ancora non ben conosciute, trasportati al nucleo (Alberini, 1999). In particolare si è osservato alterazioni della sintesi di alcune macromolecole in seguito a lesione degli assoni dei nervi periferici (Caroni, 1998; Goldberg, 2003; Snider et al., 2002). Nel sistema nervoso periferico, l’importina β svolge un ruolo importante nel segnalare al nucleo l’avvenuta lesione di un nervo. Nel nervo sciatico di ratto, l’importina è presente solo dopo lesione, e la sua concentrazione aumenta con il passare del tempo dalla lesione stessa, mentre l’importina α è presente costitutivamente nei nervi e non aumenta di concentrazione in seguito alla lesione (Hanz et al., 2003). L’aumento della concentrazione dell’importina β ha fatto ipotizzare un meccanismo di trascrizione e traduzione in situ (a livello della lesione) della proteina stessa (Giuditta et al., 2002; Steward, 2002). Quindi un aumento della concentrazioni di importina β nell’assone determina la formazione di un complesso proteico, mediato dall’NLS, che regola
il trasporto retrogrado lungo l’assone steso. Il trasporto verso il nucleo avviene mediante il legame del complesso importina β-proteina cargo dotata di NLS al complesso importina α-dineina, presente costitutivamente nel nervo, che funge da “motore molecolare” e permette al complesso di viaggiare lungo i microtubuli (Fig. 1.6) dal punto della lesione verso il corpo cellulare dell’assone (Hanz et al., 2003).
Figura 1.6: modello schematico per la formazione del complesso importina α/β-dineina necessario per la
segnalazione al nucleo di una lesione assonale in un nervo periferico (Hanz et al., 2003).
Fainzilber e colleghi hanno dimostrato che un substrato trasportato dalle imporine lungo l’assone di nervi periferici lesionati è la MAP-kinasi pERK (entrambe le forme 1 e 2). Il meccanismo di trasporto è simile a quello descritto da Hanz et al., ma in questo caso a legare pERK è la vimentina, una proteina espressa soprattutto nella glia (Menet et al., 2003), ma che si osserva anche in neuroni lesionati (Dubey et al., 2004), la quale si ritrova complessata alla dineina dopo un po’ di tempo dalla lesione del nervo sciatico. La formazione del complesso è diretta conseguenza dell’incremento dell’espressione in situ dell’importina β e della vimentina stessa (Fig. 1.7). Il legame che si forma tra la vimentina e l’importina β non è mediato dal segnale di localizzazione nucleare NLS (Perlson et al., 2005) .
Questo indica che l’importina è capace di trasportare diversi substrati mediante diversi meccanismi di legame e che i microfilmanti dell’assone ricoprono un ruolo importante nell’indirizzare il trasporto verso il nucleo della cellula.
Figura 1.7: modello di trasporto retrogrado di pERK mediato dal complesso vimentina-imp β lungo l’assone di
nervi periferici lesionati. Abbreviazioni: Vim, vicentina (colore rosa); D, dineina (colore celeste); p-erk, phospho-erk (colore celeste); β, importina β (colore azzurro) (da Perlson et al., 2005).
Oltre all’identificazione dell’importina β come molecola di segnalazione di un danno neuronale è stato dimostrato, in culture cellulari di ippocampo di ratto, che la localizzazione nucleare delle importine (α1, α4 e β1) è dipendente dall’attività elettrica. In seguito a somministrazione di tetrodotossina (TTX), un bloccante dei canali sodio che impedisce la generazione di potenziali d’azione, la presenza delle importine nel nucleo diminuisce significativamente, e così anche in seguito ad inibizione della risposta post-sinaptica ai potenziali d’azione mediante antagonisti per i recettori glutamatergici AMPA e NMDA (Thompson et al., 2004). In particolare, la traslocazione delle importine sembra essere regolata dall’attivazione dei recettori glutamatergici NMDA, oltre che dall’attività elettrica. Esperimenti di LTP chimica su cellule di ippocampo di ratto e in particolare della CA1, hanno evidenziato un aumento significativo della localizzazione nucleare delle importine; questa traslocazione al nucleo viene inibita dalla somministrazione di un antagonista specifico dei recettori NMDA (APV) . Inoltre hanno osservato che, l’aumento della concentrazione delle importine nel nucleo era accompagnato da una diminuzione della loro concentrazione nei dendriti (Thompson et al., 2004). La traslocazione delle importine verso il nucleo della cellula
è un meccanismo attività-dipendente, che potrebbe giocare un ruolo cruciale durante i meccanismi di plasticità sinaptica. Quindi identificare i substrati che le importine trasportano e traslocano al nucleo potrebbe essere molto importante per comprendere i meccanismi di trascrizione genica plasticità-dipendenti.
1.6 SCOPO DELLA TESI
Gli studi descritti in questa Introduzione suggeriscono che, nei neuroni, le importine possano svolgere un ruolo impostante nella regolazione del trasporto nucleo-citoplasma in risposta all’attività elettrica sia di tipo fisiologico che patologico.
Sulla base di questa ipotesi, lo scopo della mia Tesi è stato quello di iniziare la caratterizzazione dell’espressione delle importine nell’ippocampo e nella corteccia entorinale del ratto durante l’epilettogenesi.