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Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 3

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Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 3

CAPITOLO 1

QUADRO NORMATIVO E STATO D’ARTE

1.1. Requisiti di resistenza al fuoco

L’obiettivo della determinazione della resistenza al fuoco è quello di valutare il comportamento di un campione di un elemento costruttivo sottoposto a precise condizioni di temperatura e pressione.

Il metodo standard fornisce un mezzo per quantificare la capacità di un elemento di resistere all’esposizione alle alte temperature fissando criteri che consentano di valutarne le funzioni come la capacità portante, il confinamento dell’incendio e la trasmissione di calore. Per determinare questi criteri un campione rappresentativo dell’elemento deve essere esposto ad uno specifico regime di riscaldamento osservandone la prestazione. La resistenza al fuoco del campione è espressa dal tempo durante il quale sono soddisfatti criteri specifici, così che i tempi ottenuti durante il test di prova rappresentano una misura dell’idoneità della costruzione in caso d’incendio ma non hanno nessuna relazione diretta con la durata di un incendio reale.

La norma che stabilisce i requisiti generali per determinare la resistenza al fuoco dei vari elementi costruttivi sottoposti a condizioni normalizzate di esposizione al fuoco è la UNI EN 1363-1(Fig.1.1).

I criteri prestazionali definiti riguardano:

la stabilità “R”: capacità di un campione di prova di un elemento portante a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco. È determinata dall’entità e dalla velocità dello spostamento calcolato mediante misurazioni effettuate durante il test di prova. Poiché si possono produrre spostamenti relativamente rapidi prima di raggiungere condizioni stabili il criterio della velocità di spostamento non è applicato prima di avere superato una deformazione pari a L/30.

La perdita della capacità portante per elementi sollecitati a flessione si verifica quando vengono superati i seguenti criteri:

− Deformazione limite: D =

[ mm] (1)

− Velocità di deformazione limite: =

[mm/min] (2) dove :

− L è la luce netta del campione di prova in mm;

− d è la distanza tra la fibra più esterna della zona compressa e la fibra più esterna di quella tesa

della sezione strutturale di progetto a freddo in mm.

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la tenuta “E”: capacità di un campione di prova di un elemento di partizione appartenente ad un edificio, a non lasciar passare né produrre fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto, se sottoposto all’azione del fuoco su un lato. La funzione di separazione è garantita qualora durante la prova non si verifichi l’accensione di un tampone di cotone applicato, o sia consentito inserire un calibro per fessure, o non si sviluppino fiamme persistenti.

l’isolamento termico “I”: capacità di un campione di prova di un elemento di partizione appartenente ad un edificio, esposto al fuoco su una sola faccia, di limitare l’incremento di temperatura sulla faccia non esposta:

− la temperatura media registrata sulla faccia non esposta non deve superare i 140 °C rispetto alla temperatura media iniziale;

− la temperatura in qualsiasi posizione sulla faccia non esposta non deve superare i 180 °C rispetto alla temperatura media iniziale.

Fig.1.1 Classificazione resistenza al fuoco.

Pertanto, il simbolo “REI” identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico, il simbolo “RE” identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità e la tenuta mentre il simbolo

“R” identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la sola stabilità.

Per la classificazione degli elementi non portanti il criterio “R” è automaticamente soddisfatto qualora siano soddisfatti i criteri “E” ed “I”. In relazione ai requisiti dimostrati, gli elementi strutturali vengono classificati da un numero che esprime i minuti primi.

La resistenza al fuoco comprende quindi sia la “capacità portante” in caso d’incendio per gli elementi strutturali e le strutture nel loro complesso, nonché la “capacità di compartimentazione” rispetto all’incendio per gli elementi di separazione sia strutturali, come muri e solai, sia non strutturali, come porte e tramezzi. Con la “capacità portante” si conserva una certa resistenza meccanica che mira ad evitare un repentino collasso strutturale che può causare danni agli occupanti durante la loro permanenza nell’edificio, ritardare o impedire l’intervento delle squadre di soccorso e delle squadre

R E I

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antincendio nonché pregiudicare la loro sicurezza e impedire la funzionalità dei componenti e dei sistemi antincendio.

Con “capacità di compartimentazione” si conserva un sufficiente isolamento termico ed una sufficiente tenuta sotto l’azione del fuoco mirando a contenere l’incendio all’interno di un compartimento al fine di impedire l’estensione incontrollata dell’incendio ad altri ambienti o edifici, di consentire la fruibilità delle vie di esodo e di agevolare la lotta antincendio alle squadre di soccorso.

Per “compartimento antincendio” si intende la parte dell’edificio delimitata da elementi costruttivi aventi resistenza al fuoco predeterminata.

La resistenza al fuoco è una strategia pensata essenzialmente per condizioni limiti d’incendio, che si raggiungono in quella fase nota come “incendio generalizzato”. Il raggiungimento di questa fase ha come presupposto il fallimento o il superamento di tutte le misure (preventive e protettive) e condizioni di alimentazione (materiale combustibile e comburente) tali da favorire il raggiungimento di temperature medie superiori ai 500-600 °C. L’andamento delle temperature nel tempo all’interno di un determinato ambiente, ovvero il profilo d’incendio, dipendente da numerosi fattori fisico chimici riconducibili però ad alcuni parametri fondamentali come: la quantità dei materiali combustibili e loro distribuzione (carico d’incendio), la qualità dei materiali con riferimento alla loro velocità di combustione, le caratteristiche di ventilazione degli ambienti, la geometria del compartimento e le proprietà termiche delle pareti. Lo studio di casi reali e una consistente campagna di sperimentazione, effettuata in vari paesi, hanno permesso di giungere ad alcune schematizzazioni della meccanica di un incendio. La correlazione tra tempo di combustione e temperatura raggiunta è schematizzata in maniera qualitativa in Fig. 1.2, nella quale si individuano 4 fasi:

Fase d'ignizione: in essa il processo di combustione è instabile, governato principalmente dal bilancio termico della reazione.

Fase di propagazione: una volta stabilizzata la reazione di combustione, si nota una marcata tendenza all'estensione dell'incendio, associata a un rapido aumento della temperatura ambientale.

Fase d'incendio generalizzato: quando la temperatura ambientale tende all'uniformità e

raggiunge valori compresi fra 500 °C e 600 °C, in dipendenza delle caratteristiche del

compartimento e dei materiali combustibili in esso contenuti, oppure la potenza radiante

raggiunge i 20 kW/m

2

a livello del pavimento; si ha il cosiddetto punto critico ovvero punto

di completo sviluppo dell'incendio, conosciuto anche come flashover, il quale coincide con

il primo punto di flesso della curva. Tutto il materiale combustibile presente nel locale

investito dall'incendio prende fuoco contemporaneamente; questo particolare momento del

fenomeno oggetto di studio assume grande rilievo perché rappresenta un gradino

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improvviso nello sviluppo del fuoco, costituendo anche pericolo per le squadre eventualmente impegnate nell'estinzione.

Fase d'estinzione e raffreddamento: il progressivo esaurimento del combustibile determina la riduzione dell'emissione termica da parte dell'incendio, il quale diminuisce gradualmente d'intensità, fino a giungere all'estinzione. L'incendio può essere considerato estinto quando la temperatura dell'ambiente è scesa al di sotto dei 300 °C, potendosi ragionevolmente escludere improvvisi re-inneschi dovuti al livello termico.

Fig.1.2 Rappresentazione schematica dell’evoluzione di un incendio.

1.2. Modellazione dell’incendio

La modellazione dell’incendio è il procedimento mediante il quale si determina il valore della temperatura dei gas nei pressi degli elementi costruttivi. Tale attività è di difficile attuazione sia perché coinvolge competenze estremamente specializzate nel campo della termo-fluidodinamica, sia per le numerose incertezze dei parametri di input per la modellazione. A seconda del livello di complessità richiesto, si distinguono due metodi di approccio:

Metodi semplificati

− curve parametriche di incendio in compartimenti;

− curve parametriche per incendi dalle finestre di compartimenti;

− curve per incendi localizzati in compartimenti;

Metodi avanzati

− curve naturali da modelli a zone (una zona o due zone);

− curve naturali da modelli di campo.

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Questi approcci sono stati sviluppati in epoche recenti grazie all’affinamento della conoscenza del fenomeno; per tale motivo in passato erano presenti modelli d’incendio estremamente semplificati con effetti ragionevolmente più gravosi di quelli reali e facilmente implementabili per l’effettuazione delle prove in laboratorio. Queste curve d’incendio, individuate in maniera convenzionale, sono note come curve d’incendio nominale e sono caratterizzate dai seguenti aspetti:

− sono curve che rappresentano essenzialmente la fase post flashover;

− non prevedono la fase di raffreddamento;

− impongono un unico valore della temperatura ambiente;

− il tratto iniziale è estremamente rapido a differenza di quanto accade nella realtà.

Le curve nominali d’incendio sono delle funzioni temperatura-tempo che rappresentano l’andamento della temperatura indipendentemente dalle condizioni al contorno o di ventilazione. Hanno un andamento monotono crescente e proprio per questo sono ampiamente utilizzate per il riscaldamento del forno nell’esecuzione delle prove. Grazie al loro largo impiego nelle attività sperimentali rappresentano oggi un riferimento universale dell’andamento della temperatura nella fase post flashover di un incendio confinato. Con riferimento all’Eurocodice EN 1991-1-2 le curve nominali rappresentano tre tipiche condizioni d’incendio riguardanti gli elementi strutturali delle costruzioni:

− incendio confinato di materiali di natura cellulosica quali legno, carta e alcuni tipo di tessuto (curva standard anche nota come ISO 834) [II];

− incendio confinato in un compartimento che aggredisce elementi costruttivi esterni al compartimento stesso (curva del fuoco esterno);

− incendio confinato di materiali derivanti dagli idrocarburi o aventi analoghe velocità di rilascio del calore (curva degli idrocarburi) [V] (Fig. 1.3).

Con riferimento alla norma EN 13501-2 riguardante la classificazione al fuoco di prodotti ed elementi

costruttivi, alle precedenti curve se ne aggiungono altre che rappresentano ulteriori scenari di incendio

che possono presentarsi nelle costruzioni come la curva di riscaldamento lento, curva semi naturale

con fiamme a contatto del soffitto e altri scenari particolari. Esistono infine anche altre curve nominali

per descrivere convenzionalmente gli effetti di scenari estremi come gli incendi nei tunnel, nelle

piattaforme offshore, negli impianti nucleari ecc.

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Fig.1.3 Curve descrittive di scenari d’incendio standard (curve nominali).

1.3. Comportamento strutturale della muratura esposta al fuoco

I primi decenni della ricerca sperimentale sulla resistenza al fuoco degli elementi costruttivi (circa 1920-1960, particolarmente negli Stati Uniti, nel Regno Unito ed in Germania) videro la codificazione delle prove standard correntemente usate in Europa, Stati Uniti ed Australia e la formazione di gran parte delle conoscenze empiriche oggi disponibili. La sperimentazione al fuoco secondo prove, rimane oggi lo strumento fondamentale per la validazione dei metodi di calcolo, per l’ampliamento e l’aggiornamento dei dati tabulati ai quali, nella pratica, i progettisti fanno frequentemente ricorso.

In generale le ricerche disponibili si concentrano sul problema degli elementi murari aventi funzione di separazione, riscaldati cioè da un solo lato.

In Italia, un’importante ricerca si è svolta negli anni ‘90 su varie tipologie di muratura in elementi di

laterizio (blocchi con diverse percentuali di foratura e diversa densità dell’impasto), allo scopo di

produrre una proposta di aggiornamento della tabella “Spessori delle pareti tagliafuoco” contenuta

nella Circolare 91/1961 allora in vigore [3]. Le prove, condotte secondo le indicazioni della Circolare,

hanno stabilito la resistenza al fuoco secondo il criterio REI su 17 pannelli non caricati di 2 x 2 m e di

diversi spessori da 8 a 25 cm. La procedura di prova contenuta nella Circolare prevedeva

l’esposizione di un lato del pannello all’azione dell’incendio secondo la curva ISO per una durata

massima di 180 minuti, perciò il massimo valore attribuibile era REI 180. Analogamente al protocollo

ISO, gli stati limite considerati consistevano in: perdita di stabilità (crisi di stabilità R), passaggio di

fumi o gas caldi attraverso il provino (crisi di tenuta, E), raggiungimento della temperatura di 150 °C

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sul lato non esposto (crisi di isolamento I). Per tutti gli elementi provati, il valore di resistenza al fuoco è stato determinato dal criterio I, secondo tre tipi di comportamento (Fig.1.4):

Fig.1.4 Confronto fra temperatura interna (ISO 834) e temperature lato non esposto.

pareti di bassa inerzia termica (spessori 6-8-10 cm, foratura > 45%): la temperatura sul lato non esposto inizia ad aumentare dopo circa 10 minuti dall’inizio della prova (superamento dell’inerzia termica) in modo proporzionale alla temperatura del forno sino a valori REI di 30- 60 minuti;

pareti di media inerzia termica (spessori 12-14-16 cm, foratura > 45%): la temperatura sul lato non esposto inizia ad aumentare a circa 20 minuti dall’inizio della prova; poco prima dei 100°C l’evaporazione dell’acqua contenuta nella parete mantiene quasi costante la temperatura sul lato non esposto per 15-30 minuti, sino alla completa essiccazione del provino. Questo fenomeno determina il raggiungimento del valore REI 120;

pareti di alta inerzia termica (spessori ≥ 16 cm, elementi con tutte le percentuali di foratura considerate): la temperatura sul lato non esposto inizia ad aumentare dopo circa 60 minuti dall’inizio della prova; successivamente, la combinazione dell’effetto dell’inerzia termica e del processo di migrazione dell’umidità porta la temperatura del lato esterno in regime stazionario.

Dalla fine gli anni ‘80, il calcolo agli elementi finiti è stato applicato anche allo studio del

comportamento delle strutture in muratura esposte al fuoco. Le poche ricerche teoriche e teorico-

sperimentali attualmente disponibili sono state portati a termine soprattutto nel Regno Unito ed in

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Australia al fine di sviluppare modelli numerici utili all’estrapolazione dei dati sperimentali ed agli studi parametrici del comportamento strutturale sotto incendio.

Generalmente, la valutazione del tempo di resistenza al fuoco, delle massime temperature sopportabili e dell’andamento delle deformazioni sotto incendio è compiuta su un modello piano della sezione muraria. Il fenomeno deformativo che si riscontra nelle pareti esposte ad elevate temperature su un lato, ossia l’inflessione fuori dal piano verso la sorgente di calore dovuta all’espansione termica della superficie esposta, è noto in letteratura come thermal bowing.

Sull’entità di tale fenomeno i dati non sono abbondanti, in quanto i protocolli standard non prescrivono la misurazione degli spostamenti durante l’esecuzione della prova al fuoco.

Tuttavia, l’ultima edizione dell’ Eurocodice 6 introduce la possibilità di prevedere nel progetto, su richiesta del committente, criteri di resistenza basati sulla deformazione sotto incendio accanto a quelli consueti di stabilità, tenuta ed isolamento. Ricerche sperimentali sulla curvatura di pareti dovuta all’espansione termica del lato esposto sono state compiute su elementi di muratura di mattoni e malta di differenti spessori sottoposti alle alte temperature secondo la procedura standard BS 476, analoga alla ISO 834, da Cooke nel 1988 e nel 1996 [4-5].

Numerose prove condotte negli anni ‘80 in Australia hanno consentito di indagare il comportamento al fuoco di pareti di muratura in elementi cementizi o di laterizio, portanti e non portanti e a singolo e doppio spessore. Qualitativamente, i risultati complessivi che si evidenziano sono i seguenti:

nelle murature a singolo spessore, la capacità di isolamento cresce al crescere dell’idratazione della muratura e dello spessore equivalente degli elementi impiegati (dato dal prodotto dello spessore effettivo per la frazione volumetrica dei pieni). Tuttavia la presenza dei vuoti introduce discontinuità nella conduzione del calore, le murature di elementi con alte proprietà isolanti possono giungere alla crisi d’isolamento per effetto delle caratteristiche del giunto di malta.

la crisi per perdita di tenuta riguarda soprattutto le murature in elementi cementizi, a causa dell’entità del ritiro che si manifesta oltre i 150 °C ma anche i blocchi forati in laterizio sono sensibili alla perdita di tenuta, manifestando la tendenza allo spalling. Peraltro, le condizioni al contorno imposte nelle prove standard rendono difficile il manifestarsi della crisi di tenuta prima della crisi d’isolamento (l’intelaiatura semirigida esercita un’azione di contenimento).

in condizioni di alte temperature, le murature portanti non incontrano in genere la crisi per

compressione; è bensì lo spostamento orizzontale dovuto al thermal bowing a rendere probabile

la crisi per instabilità e il collasso avviene generalmente quando lo spostamento massimo in

mezzeria raggiunge circa l’80% dello spessore [6].

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In caso di elementi portanti gli studi sperimentali hanno messo in luce altri fenomeni legati al ruolo, generalmente favorevole, del livello di carico ed all’influenza delle proprietà meccaniche degradate sulle modalità di collasso della muratura portante sotto l’azione delle alte temperature [7].

Un elevato livello di carico esercita un contenimento della deformazione termica portando ad una crescita lenta degli spostamenti orizzontali al crescere della temperatura; il deterioramento meccanico indotto dall’alta temperatura sul lato esposto al fuoco può quindi giungere a provocare una significativa parzializzazione della sezione resistente che determina l’eccentricità del carico verso il lato esposto. Inoltre, al carico agente si collega il fenomeno del creep transitorio, o deformazione termica indotta dal carico (“transient creep” o “load-induced thermal strain”), che è funzione sia del livello di carico che della deformazione termica esercitando un’influenza favorevole sulla resistenza al fuoco.

Studi numerico-sperimentali sono indirizzati alla modellazione termo-meccanica della muratura, in particolare per la muratura in blocchi forati è stato notato che gli spostamenti verticali ed orizzontali presentano un tratto costante, analogamente all’andamento della temperatura, in corrispondenza dello sviluppo completo del cambiamento di fase dell’acqua contenuta nella muratura [8]. E’ stato osservato, nel caso di pareti non portanti in laterizi forati e malta, che modelli semplici basati sulla trasmissione del calore per conduzione, convezione e irraggiamento forniscono risultati affidabili senza ricorrere alla modellazione accurata dei processi igrometrici relativi alla migrazione dell’acqua allo stato liquido all’interno della struttura porosa dei materiali.

Parallelamente alle ricerche sperimentali sopra citate, sono stati sviluppati modelli numerici del comportamento delle murature sottoposte all’azione del fuoco, riferiti alla sezione dell’elemento murario in cui il parametro principale su cui è avvenuto il confronto dei dati è lo spostamento massimo in funzione del tempo o della temperatura.

L’elaborazione numerica di Cooke che rappresenta una colonna di materiale omogeneo, la cui legge costitutiva è parabolica a compressione e bilineare a trazione, con proprietà meccaniche e coefficiente di espansione termica costanti nella temperatura, mostra che i risultati si discostano dal dato sperimentale all’aumentare dello spessore murario [5].

Il modello agli elementi finiti di Gnanakrishnan e Lawther è costituito da materiali rappresentati

separatamente mediante elementi in stato piano di deformazione; il calcolo degli spostamenti dovuti

all’azione del carico e delle alte temperature avviene per successivi input della distribuzione istantanea

delle temperature determinata sperimentalmente. Nel modello non si tiene conto del comportamento

non lineare dei materiali e l’introduzione della dipendenza dalla temperatura su base sperimentale è

limitata ai coefficienti di espansione termica; mentre per le proprietà meccaniche è tenuta in conto

mediante fattori di riduzione corrispondenti alla temperatura media nel materiale, derivati dai modelli di

decadimento allora disponibili [6].

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Nella sperimentazione di Dhanasekar e dei suoi collaboratori si è realizzato un modello termodinamico-strutturale agli elementi finiti per l’analisi del thermal bowing di pareti di muratura, basato su un calcolo semplificato della trasmissione del calore per successivi incrementi in regime stazionario, nell’ipotesi di distribuzione lineare delle temperature attraverso la sezione. A partire dai materiali costituenti, il cui comportamento non lineare è rappresentato attraverso il criterio di rottura biassiale comunemente usato per i materiali cementizi, la muratura in blocchi cementizi e malta è modellata tramite elementi sottili in stato piano di tensione suddivisi in strati in direzione dello spessore murario; in ogni strato sono definiti parametri meccanici differenziati a seconda dei livelli di temperatura e di fessurazione del materiale. La dipendenza delle proprietà meccaniche dalla temperatura è implementata su basi sperimentali [9].

Anche le modellazioni agli elementi finiti più recenti sono ampiamente basate su modelli di comportamento e relazioni empiriche di decadimento delle proprietà elaborati per il calcestruzzo sotto alte temperature, e sono state applicate anche alla muratura di malta e mattoni. In alcune sperimentazioni si è elaborato un modello meccanico in stato piano di tensione che tenesse conto anche della non linearità geometrica dovuta agli effetti dei grandi spostamenti nella colonna con carico assiale e degli effetti del livello di carico sulla resistenza a compressione del materiale e sulla deformazione transitoria. Gli studi condotti attraverso tale modello hanno evidenziato l’influenza preminente della snellezza geometrica sull’entità degli spostamenti dovuti alla deformazione termica ed il ruolo determinante, per il verso della curvatura, del livello di carico e dell’eccentricità dovuta all’indebolimento della sezione.

Insieme alla produzione di dati empirici nelle prove di resistenza al fuoco e alla loro sistematizzazione nelle tabelle prescrittive degli spessori minimi per classe di resistenza, sono state elaborate formulazioni di calcolo della resistenza al fuoco. Questi metodi hanno lo scopo di fornire strumenti utili per evitare o limitare i costi della valutazione sperimentale, ed a superare, ove necessario, i limiti della classificazione tabellare che spesso non può rendere conto della resistenza al fuoco di spessori murari composti da diversi strati eterogenei o con intercapedine.

Ad esempio, le norme statunitensi avallano un metodo di calcolo elaborato in base ai risultati di prove standard, basato sulla seguente formulazione [10]:

R = (cV)

n

(3) in cui:

- R è il tempo di resistenza al fuoco misurato in ore;

- V il volume effettivo (al netto della foratura) per unità di superficie;

- c un coefficiente dipendente dal materiale, dall’apparecchiatura muraria e dalle unità di

misura;

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- n un esponente che dipende dal tasso di crescita della temperatura sulla superficie esposta, in genere pari a 1,7.

Nel caso di murature composte da diversi strati di materiale, la (3) diventa:

R = (c

1

V

1

+ c

2

V

2

+ … + c

i

V

i

)

n

= (R

11/n

+ R

21/n

+ … + R

i1/n

)

n

(4) in cui:

− R1 … Ri sono i valori noti delle resistenze dei singoli strati.

Nel caso dell’inclusione di intercapedini, si aggiunge il contributo favorevole dei vuoti tramite un fattore A

i

che per larghezze dell’intercapedine comprese fra 12,7 e 89 mm è pari a 0,30 (cioè si considera che ogni vuoto aumenti il tempo di resistenza di circa 20 minuti):

R = (R

11/n

+ R

21/

n + … + R

i1/n

+ A

1

+ A

2

+ … + A

i

)

n

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Inoltre le norme statunitensi forniscono la possibilità di tenere conto per via analitica della presenza dell’intonaco, con la conversione dello spessore del rivestimento in uno spessore murario equivalente tramite un moltiplicatore dipendente dal tipo di intonaco (nel caso di rivestimento applicato al lato non esposto) o un contributo esplicito alla resistenza espresso in minuti (rivestimento sul lato esposto) [11].

1.4. Prove di resistenza al fuoco di elementi non portanti: UNI EN 1364

Nel campo dell’ingegneria civile l’utilizzo di prodotti commerciali che influiscono sulla resistenza al fuoco è disciplinato dal D.M: 16/02/2007.

Tale decreto ribadisce la possibilità di impiego di tutti i prodotti da costruzione marcati CE ai sensi della direttiva prodotti da costruzione e la possibilità di impego di prodotti non marcati CE subordinati però ad una corretta valutazione della classe di resistenza al fuoco e al rilascio dell’omologazione del Ministero dell’Interno [1].

L’Italia ha stabilito i requisiti di resistenza al fuoco dei prodotti da costruire e ha sancito i livelli minimi di prestazione. Gli aspetti da tenere presente per la classificazione sono due:

− i requisiti applicabili;

− il livello di prestazione attribuibile ai requisiti.

Per quantificare e classificare un prodotto/elemento costruttivo ci sono tre diversi metodi tra loro

equivalenti (Fig. 1.5):

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− un metodo sperimentale attraverso prove di laboratorio (prove EN + fascicolo tecnico);

− un metodo analitico attraverso calcoli (Eurocodici);

− un metodo tabellare (D.M. 16/02/2007).

E’ importante precisare che molti requisiti prestazionali sono pensati per descrivere le proprietà dei prodotti attraverso il solo metodo sperimentale.

Fig.1.5 Possibili metodi per la certificazione.

Per quanto riguarda la classificazione mediante prove, dal 25/09/2007 non è più utilizzabile la Circolare n. 91 del 1961; la scelta del legislatore è stata quella di adottare le medesime norme europee utilizzate per la classificazione dei prodotti CE: EN 13501 (parti 2,3 e 4) e EN 1363 (parti 1 e 2) che stabiliscono i principi generali per l’esecuzione delle prove validi indipendentemente dal prodotto da classificare.

Per gli elementi di nostro interesse si fa riferimento alla UNI EN 1364 il cui scopo è quello di misurare la capacità, di un provino rappresentativo di muro non portante, di opporsi alla diffusione del fuoco da un lato all'altro del muro stesso.

1.4.1. Gli impianti

Gli impianti che consentono l’esecuzione della prova sono costituiti da forni che possono essere di

tipo verticale, orizzontale o combinato. Per le prove di nostro interesse si usano forni verticali

alimentati da combustibile liquido o gassoso che riscaldano, un solo lato, gli elementi di

compartimentazione. La bocca ha dimensioni tali da ottimizzare la posa del campione di prova, in

genere per i forni verticali è circa 3m x 3m con una profondità di 1-1,5 m, tale da consentire una

comoda movimentazione degli affluenti della combustione (fiamme e fumi).

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Il rivestimento interno della camera di combustione gioca un ruolo molto importante nella conduzione della prova, infatti, la riproduzione della curva temperatura/tempo dipende da un insieme di fattori collegati al bilancio termodinamico delle varie componenti energetiche. Una di queste è la facoltà del rivestimento di porsi rapidamente in equilibrio con la temperatura dei gas di combustione; in questo modo è minore l’assorbimento di energia da parte del rivestimento ed è presente una maggiore uniformità dell’azione termica sul campione in quanto anche le pareti di rivestimento contribuiscono all’emissione di calore.

L’interno normalmente è rivestito per almeno il 70% da materiali la cui densità è minore di 1000 kg/m

3

e con spessore minimo 50 mm; i rivestimenti migliori sono quello con mattoni refrattari a basso tenore di silice e quello costituito da fibre ceramiche.

Per quanto riguarda il numero e la potenzialità dei bruciatori in genere sono presenti 8 bruciatori disposti sulle due pareti laterali e indicativamente la potenzialità complessive dei bruciatori sono di circa 6000-10000 MJ/hr. Sono inoltre da preferire bruciatori a fiamma diffusa con una lunghezza non superiore a 50 cm e posizionati ad almeno 60 cm dalla parte più vicina del campione.

E’ raccomandato che i bruciatori lavorino in eccesso di ossigeno al fine di consentire un’idonea combustione dei materiali combustibili. Le bocche di estrazione dei prodotti della combustione devono essere dimensionate e posizionate per minimizzare l’azione erosiva sul campione prodotta dal movimento di gas ad alta temperatura e velocità in modo da ridurre turbolenze e vibrazioni (Fig. 1.6).

Fig.1.6 Caratteristiche di un tipico forno verticale[12].

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Un elemento importante per l’accostamento dei campioni alla bocca del forno è rappresentato dal telaio di prova che deve rappresentare le condizioni reali di posa dei campioni fra il solaio di calpestio e quello sovrastante, per questo ai telai di prova è richiesta un’elevata rigidezza nel proprio piano.

Sono in genere realizzati in c.a. ma sono frequenti anche casi di telai in acciaio rivestiti di materiale refrattario.

Il forno sperimentale rappresenta il volume di un compartimento all’interno del quale si sviluppa un incendio controllato e i campioni di prova costituiscono una delle limitazioni di questo volume; è quindi molto importante che si realizzino all’interno le condizioni normalizzate di esposizione al fuoco.

I laboratorio iscritti all’E.G.O.L.F. (European Group of Official Laboratories of Fire) in Italia sono:

− CSI a Milano;

− DCPST (Direzione Centrale Prevenzione e Sicurezza Tecnica) a Roma;

− Istituto Giordano a Rimini;

− Ivalsa CNR a Trento;

− LA.PI. a Prato.

1.4.2. Temperatura del forno

Le condizioni di riscaldamento e di pressione da attuare nel forno di prova sono specificate nella UNI EN 1363-1; la curva temperatura/tempo che meglio rappresenta lo stress termico in caso di esposizione reale è quella standard. Questa curva, introdotta con la ISO 834, è stata adottata come scenario d’incendio per la situazione degli edifici civili in tutti i principali protocolli di prova al fuoco, ed altresì nelle norme di progettazione al fuoco, costituendo per molti anni l’unico modello di incendio nel corso della quale i requisiti di progetto devono essere mantenuti.

I test per la messa a punto di questa curva (Bukowski 2006) simulavano un compartimento con funzione di ufficio, adoperando combustibile di natura cellulosica; le condizioni al contorno prescindevano, in favore di sicurezza, dalla possibilità di spegnimento dell’incendio e dai fattori che influenzano il tasso di combustione (presenza di aperture, ventilazione, forma del combustibile, proprietà termiche delle pareti).

La curva ISO 834 ha un andamento monotono crescente e fornisce la temperatura del gas in funzione

della sola durata d’incendio; prevede una crescita della temperatura da 20 a 842 °C nell’arco di 30

min con una velocità media di riscaldamento dell’ordine di 27,4 °C/min e successivamente presenta

un lento incremento della temperatura fino a 1000 °C, nell’arco temporale di 120 min. Rapprensenta

solo una singola condizione di esposizione ad un incendio pienamente sviluppato e non include un

ramo finale di raffreddamento presente in condizioni reali (la temperatura decresce una volta che la

maggior parte del materiale combustibile è stata consumata).

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La temperatura media del forno, rilevata da apposite termocoppie interne, è regolata dalla curva ISO la cui relazione:

T = 345 log

10

(8t + 1) + T

0

(6) dove:

− T è la temperatura media dei gas nel forno in gradi Celsius;

− T è il tempo in minuti;

− T

0

è la temperatura iniziale assunta pari a 20°C.

Tempo t [min] Temperatura forno [°C]

0 20

5 576

10 678

15 738

20 781

30 842

45 902

60 945

90 1006

120 1049

150 1082

180 1110

210 1133

240 1153

300 1186

360 1214

Fig.1.7 Curva normalizzata temperatura/tempo e tabella.

E’ opportuno precisare che per validare le prove di certificazione eseguite in laboratorio sono precisate delle tolleranze massime da rispettare; in particolare lo scarto percentuale d

e

dell’area sottesa alla curva normalizzata temperatura/tempo deve rimanere entro:

− 15 % per 5 < t ≤ 10

− [15 - 0,5 (t-10)]% per 10 < t ≤ 30

− [5 - 0,083 (t-30)]% per 30 < t ≤ 60

− 2,5 % per t > 60 con:

d =

× 100 (7)

− d

e

è lo scarto percentuale;

− A è l’area sottesa della curva temperatura media del forno/tempo;

− A

s

è l’area sottesa della curva normalizzata temperatura/tempo;

− t è il tempo in minuti.

Tutte le aree devono essere calcolate con lo stesso metodo, cioè sommando le aree ad intervalli non

maggiori di 1 min e devono essere calcolate a partire da zero.

(16)

Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 18

1.4.3. Gli strumenti di misura

I principali strumenti di misura utilizzati per il controllo dei requisiti prestazionali del campione sono i trasduttori di spostamento e le stazioni totali per il requisito “R”, le termocoppie per la misura della temperatura della faccia non esposta per il requisito “I”, il batuffolo di cotone e il gap gauge per il controllo del requisito “E”. Per ciascuno di questi strumenti la norma UNI EN 1363-1 prescrive un valore limite dell’incertezza di misura ma ciò nonostante la stessa conferma l’impossibilità, per le prove di resistenza al fuoco, di passare da un’incertezza di misura ad un’incertezza del risultato di prova. Infatti, a causa dell’utilizzo di manodopera molti dei fattori che influenzano il risultato dipendono dall’operatore e ad oggi non è possibile quantificare questi fattori.

Per la misurazione della temperatura raggiunta nel forno si utilizzano dei termometri a piastra (PT per Plate Thermometer) costituiti dall’accoppiamento di una termocoppia di tipo K di diametro di 1 mm (a giunto caldo isolato in ossido minerale e rivestita con guaina di acciaio inossidabile) e una lastra di acciaio legato al nichel di dimensioni 100 x 100 m, isolata sul retro con un tampone rigido di fibre minerali (Fig.1.8). La presenza di un piatto a protezione del giunto caldo della termocoppia minimizza l’influenza che hanno, sull’andamento delle temperature, i fenomeni di irraggiamento delle pareti e della fiamma dovuti ai diversi materiali di rivestimento e all’utilizzo di vari combustibili per l’alimentazione dei bruciatori, in maniera tale da rendere ripetibili le prove anche con impianti differenti. Il numero e il posizionamento delle PT è fissato da norme specifiche di prova dei vai campioni; nel caso di elementi non portanti deve esserci almeno un termometro per ogni 1,5 m

2

di superficie esposta della costruzione in prova (minimo 6 PT). I termometri a piastra devono essere orientati in modo che il lato "A" sia rivolto verso la parete posteriore del forno.

Fig.1.8 Termometri a piastra per prove in forno.

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Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 19

Il principio di funzionamento delle termocoppie è l’effetto Seebeck in base al quale si genera una forza elettro motrice in grado di produrre una debole corrente all’interno di un circuito costituito da due conduttori metallici di diverso materiale con giunzioni poste a temperature differenti. L’intensità della corrente indotta è proporzionale al salto di temperatura con legge e campo di validità, funzione dei conduttori accoppiati. Letta l’intensità della corrente nei conduttori e nota una delle due temperature in cui si trovano i giunti, si individua l’altra temperatura attraverso la legge di proporzionalità.

Dato i molti impieghi tecnologici delle termocoppie sono stati individuati diversi accoppiamenti di conduttori al fine di poter osservare temperature in range differenti e con una elevata accuratezza.

Le termocoppie per la misurazione dell’isolamento sono di tipo K di 0,5 mm di diametro a giunto aperto e rivestite con calza di vetro isolante. Devono essere saldate o brasate ad un disco di rame (spessore 0,2 mm e diametro 12mm) tenuto a stretto contatto al campione attraverso un tampone isolante di fibra minerale incollato sui bordi del campione stesso con collante ceramico, affinché la termocoppia non sia influenzata da fonti di calore diverse (Fig. 1.9).

Fig.1.9 Schema di termocoppia per la misura dell’isolamento.

Qualora siano richieste informazioni circa la temperatura interna al campione di prova, devono essere

installate particolari termocoppie con caratteristiche adatte al campo di lettura da misurare e al tipo di

materiale per non influire sulla prestazione del campione. In generale le termocoppie devono essere

attaccate alla superficie del campione preferibilmente con un adesivo resistete al calore, se

l’incollaggio non è possibile si devono usare spilli, viti o graffette [I].

(18)

Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 20

Il tampone di cotone, per la misura della tenuta, non rappresenta uno strumento vero e proprio.

E’ costituito da un batuffolo di soffici fibre di cotone vergine, non trattato e non colorato, di forma quadrata con 100 mm di lato, spessore pari a 20 mm e peso tra 3 e 4 g. Deve essere accostato al punto del campione in prova che si vuole verificare, attraverso una gabbietta metallica che lo tiene distante 30 mm dal campione stesso. In queste condizioni il campione è tenuto contro la superficie non esposta del campione di prova finché non ne avviene l’accensione in forma d’incandescenza o sviluppo di fiamma per un massimo di 30 s.

La misura della tenuta è la più controversa perché non è facile né decifrare l’inizio della combustione del tampone né individuare il punto di emissione di gas caldi. Sempre per la misurazione della tenuta si possono utilizzare due tipi di calibri per le fessure costituiti da barre d’acciaio a sezione circolare di diametro 6±0,1 mm o 25±0,2 mm con manici isolanti di adeguata lunghezza (Fig. 1.10).

Fig.1.10 Tampone di cotone per la misura della tenuta.

Infine per la misurazione degli spostamenti si possono utilizzare attrezzature che impieghino tecniche meccaniche, ottiche o elettriche; in genere si utilizzano dei trasduttori di spostamento o delle stazioni totali in grado di misurare lo spostamento con una frequenza di almeno una lettura al minuto.

1.4.4. Esecuzione della prova

La prova sperimentale consiste nel realizzare un campione di prova che può, o rappresentare effettivamente l’elemento da costruzione nel suo impegno effettivo, o rappresentare l’elemento in modo da ottenere una vasta applicabilità dei risultati di dimensioni minime 3 x 3 m.

In genere è sufficiente una sola prova ma qualora siano richieste informazioni aggiuntive riguardo alle condizioni di esposizione o alla presenza di elementi vetrati devono essere realizzati più provini.

Se nella pratica il provino non è più largo dell'apertura frontale del forno, i bordi del provino devono

essere vincolati come avviene nella costruzione reale; se la larghezza della costruzione reale è

(19)

Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 21

maggiore dell'apertura frontale del forno, uno dei bordi verticali del provino deve essere lasciato libero con un interstizio largo da 25 mm a 50 mm tra tale bordo libero e l'intelaiatura di prova. Questa intercapedine in genere è riempita con materiale resiliente e non combustibile, per esempio fibre minerali, al fine di garantire la tenuta senza limitare la libertà di movimento; mentre gli altri bordi del provino devono essere vincolati all'intelaiatura come previsto nella costruzione reale.

Una volta realizzato il campione, sono installate le termocoppie interne e esterne per poi procedere con l’inizio della prova (Fig. 1.11).

Fig.1.11 Esempio di posizionamento delle termocoppie non esposte e dei punti di misurazione della flessione nelle pareti in muratura.

Per la misurazione della temperatura media sono presenti cinque termocoppie, di cui una posta in

prossimità del centro del provino e le altre situate ciascuna in prossimità del centro di ogni quarto del

provino. Per la misurazione della temperatura massima si ha una termocoppia in cima al provino e a

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metà larghezza, una a metà altezza del bordo vincolato e una a metà altezza del bordo libero e a 100 mm di distanza dal bordo (Fig. 1.12).

Fig.1.12 Esempio di punti di applicazione di termocoppie non esposte nelle pareti in muratura.

L’esecuzione della prova prosegue fino a che uno dei requisiti che si intende determinare viene meno;

i risultati sono direttamente applicabili alle costruzioni simili in cui siano state effettuate una o più delle seguenti modifiche:

− riduzione di altezza;

− aumento di spessore del muro;

− aumento di spessore dei materiali componenti;

− riduzione delle dimensioni lineari dei riquadri o dei pannelli, ma non dello spessore;

− riduzione dello spazio tra gli irrigidimenti;

− riduzione della distanza tra i vincoli;

− aumento di numero dei giunti orizzontali in caso di prova effettuata con un solo giunto a distanza non maggiore di 500 mm dal margine superiore;

− giunti orizzontali e/o verticali, del tipo sottoposto a prova.

I rapporti di classificazione per la resistenza al fuoco dei campioni di prova devono descrivere:

− gli scopi ed il campo di applicazione delle procedure indicate;

− il controllo delle condizioni di prova: procedure di simulazione dell’incendio attraverso una curva tempo-temperatura (la prova al fuoco vera e propria) e dell’eventuale spegnimento (prova di spegnimento, per mezzo di un naspo);

− le caratteristiche del forno di prova;

− la misurazione delle temperature sulle superfici dell’elemento provato;

− il contenuto del rapporto di prova;

(21)

Capitolo 1- Quadro Normativo e Stato dell’Arte │ 23

− le dimensioni e le caratteristiche di preparazione dei provini;

− l’applicazione dell’eventuale carico e le condizioni di vincolo ai bordi durante la prova;

− l’eventuale durata massima e i criteri di superamento della prova.

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