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Contributo al tentativo di risoluzione del problema della (supposta) carenza dei posti in REMS: il punto di vista dello psichiatra

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Contributo al tentativo di risoluzione del problema della (supposta) carenza dei posti in REMS: il punto di vista dello psichiatra

Pietro Pellegrini

Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma Ho letto con attenzione e molto apprezzato l’articolo “Vademecum per tentare di affrontare (e risolvere) il problema dell’assenza di posti nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS)" della magistrata Dr.ssa Paola Di Nicola pubblicato da Diritto Penale Contemporaneo il 13 dicembre 2017.1 La rilevanza del tema mi ha sollecitato il desiderio di contribuire ad affrontare il problema a partire dal punto di vista dello psichiatra.

Il quadro di riferimento

Alla luce della legge 81/2014 occorre rilevare come la misura di sicurezza di tipo detentivo sia da considerarsi residuale ed applicabile alla persona solo“quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale”.

La finalità deve essere duplice: assicurare cure adeguate e fare fronte alla pericolosità sociale. Il legislatore è stato chiaro nello stabilire un ordine di priorità, cure adeguate in primis, e comunque contestuali ai provvedimenti per far fronte alla pericolosità sociale ma non subordinate a questi. Infatti, in riferimento al ricovero in OPG, la Corte Costituzionale scrive: “Le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente” (sentenza n. 253/2003).

Ne consegue la necessità di un’attività congiunta fra magistrati e psichiatri come indicato dalla risoluzione del 19 aprile 2017 del Consiglio Superiore della Magistratura2 secondo il quale “Il legislatore della conversione del 2014, ha ritenuto di introdurre una nuova disciplina riguardante le strutture sanitarie deputate alla tutela della salute mentale dei cittadini orientata a molteplici scopi: da un lato a favorire l’integrazione dell’operato dei giudici della cognizione e di sorveglianza con le strutture dei Dipartimenti di salute mentale e delineare un modello di assistenza improntato da un lato a modelli variegati; dall’altro lato, ad escludere che al centro del sistema si pongano le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.” E continua con un’affermazione fondamentale anche al fine di evitare che ad “OPG” si sostituisca la parola “REMS” e tutte le prassi restino invariate:

“La riforma ha, dunque, posto al centro del nuovo sistema i dipartimenti di salute mentale, divenuti titolari dei programmi terapeutici e riabilitativi allo scopo di attuare, di norma, i trattamenti in contesti territoriali e residenziali. Le REMS sono, pertanto, soltanto un elemento del complesso sistema di cura e riabilitazione dei pazienti psichiatrici autori di reato. L’internamento in REMS ha assunto non solo, come si è anticipato, il carattere dell’eccezionalità, ma anche della transitorietà: il Dipartimento di salute mentale competente, infatti, per ogni internato deve predisporre, entro tempi stringenti, un progetto terapeutico riabilitativo individualizzato, poi inviato al giudice competente, in modo da rendere residuale e transitorio il ricovero in struttura”. (..) “Corollario rilevante della nuova direzione terapeutica e riabilitativa attribuita all’istituto dal legislatore è il principio della territorialità del ricovero.”

Pertanto prima di procedere oltre nell’analisi occorre avere chiaro come la misura di sicurezza detentiva debba avere carattere di eccezionalità, sia residuale e transitoria e a sostituire gli OPG non sono le REMS ma i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM), parte del sistema di welfare di comunità.

1 https://www.penalecontemporaneo.it/d/5750-vademecum-per-tentare-di-affrontare-e-risolvere-il-problema-dellassenza-di-posti- nelle-residenze-pe

2 Risoluzione Fasc. 37/PP/2016 “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e di istituzione delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), di cui alla legge n. 81 del 2014". Questioni interpretative e problemi applicativi” del 19 aprile 2017. Scaricabile dal sito http://www.societadellaragione.it/2017/04/22/falsi- allarmi-la-verita-sulla-chiusura-degli-opg/

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Il fabbisogno dei posti REMS

In questo quadro deve essere valutato il fabbisogno dei posti REMS avendo presente in primo luogo una questione di metodo. In sanità ove è comune il problema delle liste di attesa, esso viene affrontato non solo dal lato dell’accesso (maggiore domanda-aumento dell’offerta) ma valutando il sistema nel suo insieme, cioè prendendo in considerazione, secondo precisi parametri (qualità, appropriatezza, efficacia, efficienza, tempistica) tutto il processo: prevenzione, accessi, monitoraggio della degenza, dimissioni, continuità delle cure.

Quindi il ragionamento non può essere sviluppato con riferimenti limitati ma con l’impegno a vedere la funzionalità dell’intero sistema a partire dalla presenza di dati certi, attendibili e costantemente monitorati riguardanti le persone, rilevando sia lo stato di salute e dando la necessaria importanza alla situazione familiare e collocazione sociale .

Per fare questo in sanità sono previsti specifici centri di responsabilità (direzioni sanitarie, di dipartimento) e strumenti come ad esempio “Cruscotti gestionali”, “Punti unici di accoglienza” che hanno il compito di monitorare in tempo reale tutti i processi e il corretto uso delle risorse, al fine di dare efficienza attraverso procedure e protocolli al sistema e soprattutto di dare risposte di qualità alle persone creando le necessarie connessioni per assicurare la continuità delle cure e affrontare anche eventuali problemi sociali e familiari che siano di ostacolo all’accesso alle cure e/o alla dimissione (definite “difficili”).

Per ciò vi sono figure professionali specifiche “bed manager”, “case manager”, assistenti sociali, infermieri e il punto focale è il “percorso” non il posto (letto). Questo diviene secondario e funzionale alle attività di cura previste dal programma diagnostico terapeutico. Quindi l’organizzazione degli ospedali e dei servizi sanitari viene effettuata per intensità di cura secondo Percorsi diagnostico terapeutico - assistenziali (PDTA) e vengono superate in questo modo le suddivisioni rigide per aree disciplinari, unità operative, reparti.

Questo modello di tipo gestionale viene abitualmente applicato nelle Aziende sanitarie e nei DSM.

A mio parere esso va applicato anche alle REMS nell’ambito dei percorsi per pazienti affetti da disturbi mentali con misure giudiziarie. Esso deve avvalersi di un efficiente sistema informativo nazionale le cui premesse sono date dal Sistema per il monitoraggio del superamento degli OPG (SMOP) e prevedere Centri di responsabilità (Tavoli o Cruscotti) che tramite incontri regolari (mensili, bimensili), protocolli regionali e provinciali assicurino una stabile collaborazione tra giustizia e psichiatria ed una costante attenzione al problema.

In termini generali, sul piano operativo occorre constatare come la cessazione dell’incarico del Commissario abbia determinato la perdita di un punto di riferimento in grado di raccogliere dati epidemiologici, diffondere le buone pratiche, creare cultura. Una carenza che dovrebbe essere rapidamente colmata.

Se le REMS sono residuali e transitorie,funzionali alla chiusura degli OPG e ad assicurare una temporanea ospitalità delle persone, è difficile dire quante debbano essere e quale sia il numero dei posti necessari3 nelle REMS provvisorie e in quelle definitive. Tuttavia a rigore di logica e in modo che può sembrare ideologico, il concetto di residualità fa pensare che la dotazione debba essere la più bassa possibile, tendenzialmente a zero e che le REMS restino comunque sempre temporanee sia per i pazienti ma anche come strutture. In altre parole, secondo questo orientamento, chiusi gli OPG attraverso le REMS, l’ulteriore fase potrebbe essere quella di superare anche le stesse REMS in favore di percorsi personalizzati da attuarsi nell’ambito dei DSM.

Pur senza intraprendere questa via, considerando con realismo l’attuale dotazione, la residualità andrebbe definita in termini negativi (non deve entrare...).

Contrasta invece con l’ottica della residualità, l’idea di stabilire ordini di priorità degli ingressi in REMS sulla base della tipologia delle misure giudiziarie4 senza tenere in adeguato conto che la legge stessa indica

3 La programmazione dei posti REMS ai sensi della legge 9 /2012 prevedeva 1055, ridotti successivamente a 736 in base alla legge 81/2014. Secondo la Società Italiana di Psichiatria, 800 posti se correttamente utilizzati potrebbero essere sufficienti. (Quotidiano Sanità 5 aprile 2017). La Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Dr. Franco Corleone, 19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017, indica in 604 il numero di posti REMS attivati e vi sono ospitate 350 persone con misure definitive e 215 provvisorie. Sono transitati nelle REMS 950 persone e 415 sono stati dimessi. In lista di attesa risultano 290 persone, 206 con misure provvisorie e 84 definitive. Negli Istituti Penitenziari di Reggio Emilia vi sono 46 persone ex OPG (32 ex art. 111. O.P, 13 ex art. 148 c.p.) e a Barcellona Pozzo di Gotto 55 persone ex OPG di cui 40 ex art. 111 e 13 ex art.148.

http://www.stopopg.it/system/files/2a_relazione_semestrale_commissario_OPG_febbraio_2017.pdf

4 Legge 103/2017 art. 1 comma 16 lett. D

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che si debbano sempre prevedere “cure adeguate” e francamente non è detto che la REMS sia il luogo più adeguato.

Da posto a percorso nella comunità

Il passaggio dal concetto di “posto” dove mettere le persone a quello di “percorso” da compiere insieme è essenziale anche per quanto attiene al tema delle persone con disturbi mentali autrici di reato.

In altre parole l’idea di luoghi dedicati va gradualmente sostituita con quella di percorsi personalizzati da realizzarsi nelle sedi ritenute più appropriate e con strumenti adeguati (ad esempio il budget di salute, diritti).

Questo è assai pertinente per la salute mentale la quale da molto tempo ha superato l’idea che la cura possa dipendere dal luogo (l’ospedale psichiatrico era stato pensato per questo5) ma esso deve essere funzionale alla realizzazione del programma terapeutico. Non solo si è constatato che l’ospedale psichiatrico non era in sé terapeutico ma l’istituzione manicomiale può portare alla perdita di abilità, ”a condizioni di estrema regressione, passività, chiusura nei rapporti interpersonali, stendendo un velo di anonimato indecifrabile sulle caratteristiche di ciascuno”.6

Quindi la chiusura dell’OPG porta con sé la necessità di superare il modello manicomiale - custodiale ritenuto non solo impossibile nell’organizzazione dei servizi di salute mentale scaturito dall’applicazione della legge 180/1978 ma anche fortemente antiterapeutico.

Questa acquisizione deve essere fatta propria anche dalla magistratura a fronte di un soggetto affetto da disturbi mentali autore di reato.

Questi vanno curati nella comunità, con un costante riferimento alla persona, alle sue relazioni, in un clima di speranza, diritti, opportunità, orientato al futuro. Un approccio che mira alla responsabilizzazione della persona e vede il funzionamento psicosociale non solo come espressione della psicopatologia e della sua terapia ma come il risultato di un incontro, di una relazione con l’altro nella comunità, dove risultano significativi accoglienza, aspettative, attitudini, protezione e opportunità.

E’ con questo diverso paradigma che occorre operare avendo presente che la cura richiede precise condizioni che non possono essere soffocate o rese vane dalla misura giudiziaria.

La riforma ha portato ad un sistema di cura e di sicurezza (controllo) di comunità. Questo implica, come dicevo una forte responsabilizzazione della persona e dei contesti, attraverso un sistema pattizio, molto simile alla messa alla prova. Un patto con la persona affinché abbia condotte tali da prevenire la commissione di nuovi reati e al contempo s’impegni nel programma di cura. Inoltre debbono essere intraprese azioni per la protezione delle vittime7, ma anche per la riparazione e la (possibile) conciliazione.

Questo in un contesto sociale e familiare attivamente coinvolto e compartecipe8.

Il doppio patto deve vedere attivamente coinvolta la giustizia (magistratura, UEPE, avvocatura ecc.) per la parte di sua competenza (controllo per la prevenzione delle recidive dei reati, della pericolosità sociale che non è solo riferibile al disturbo mentale) e la psichiatria al fine della creazione con la persona di percorsi terapeutico - riabilitativi per la cura della salute. In altre parole la giustizia non può delegare ogni azione alla psichiatria ma ha un suo specifico attivamente da svolgere. Questo sia per evitare confusioni fra mandati sia perché ciascuno possa svolgere bene il proprio compito evitando che la psichiatria assuma connotati custodiali quindi antiterapeutici o di impossibile controllo delle persone nel sociale o che la giustizia assuma un improprio ruolo “terapeutico” o da stato etico per il quale vengono punite con aggravamenti delle misure di sicurezza non la commissione di nuovi reati ma violazioni del programma di cura arrivando ad introdurre per via giudiziaria una sorta trattamento sanitario obbligatorio territoriale.

5 “Uno dei più grandi psichiatri tedeschi, Griesinger già nel 1867 poneva forti dubbi sulle capacità curative dell’istituzione manicomiale asserendo che dal trattamento, molto più che dal tipo di costruzione dipende il bene dei pazienti” (Rossi Monti M.

(2006), Manuale di psichiatria nel territorio, Fioriti Ed., pag. 80.)

6 De Martis D., Petrella F., Caverzasi E. a cura di) (1980) Il paese degli specchi. Confronto con lungodegenti manicomiali. Feltrinelli, Milano

7 D.Lgs212/2015 recepimento Direttiva UE 2012/29

8 Nel lavoro di comunità dovranno essere viste le peculiarità territoriali, differenze ambientali, la necessità di presidiare e bonificare territori con interventi sociali, la presenza della criminalità ecc.

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Si tenga conto che la maggior parte delle misure è costituita dalla libertà vigilata. A tal fine il secondo doppio patto è quello che le istituzioni devono fare con la persona e la comunità di riferimento: un patto con la persona e la comunità sociale.

Cosa protegge dalle recidive? Come e con cosa ci prende cura? Domande essenziali che richiedono la definizione degli interventi specifici e al contempo una visione d’insieme di un sistema riformato nel quale le misure di sicurezza di tipo detentivo sono residuali, eccezionali e temporanee. Il riferimento del nuovo sistema sono i DSM con i quali deve interagire l’operato dei giudici della cognizione e sorveglianza, tenendo conto del principio della territorialità e dei diversi modelli di assistenza. Un sistema di comunità incentrato non su luoghi ma percorsi definiti mediante un sistema collaborativo, tra magistratura e psichiatria che devono condividere premesse, responsabilità e metodo (pattizio), convergere nelle finalità ma con ambiti e strumenti specifici e indipendenti che debbono essere liberamente utilizzati, tenendo al centro la persona nel contesto sociale.

Occorre superare la concezione custodiale delle REMS, ogni visione che le collochi come appendici del sistema penitenziario e in questo rinnovato quadro cercare di dare soluzione ai problemi di chi, quotidianamente si trova ad operare per dare applicazione alla nuova legge.

La lista di attesa

Lista di attesa per i posti REMS: secondo Di Nicola “coloro che attendono un collocamento utile per il ricovero in REMS sono circa 200 in tutta Italia, un numero irrisorio se valutato complessivamente, e a livello nazionale, tale da poter essere assorbito con la semplice predisposizione di altre dieci REMS e con l’investimento di cifre contenute”. 9

Un modello lineare domanda-offerta ma prima di aprire altre REMS occorre, alla luce del metodo sopraesposto, farsi alcune domande.

In lista di attesa vi sono persone già ben curate alle quali può essere applicata la misura della libertà vigilata?

Queste persone non andrebbero tolte dalla lista di attesa? A mio avviso sì, non solo per correttezza ma soprattutto per evitarne, nell’eventualità della disponibilità di un posto, un inappropriato ingresso in REMS.

Una parte della domanda di accessi in REMS viene dagli Istituti di pena e questo apre altri quesiti. Che senso ha per la persona con seminfermità un periodo in REMS dopo anni di detenzione?

Nel prendere atto delle ragioni giuridiche credo vi sia la necessità di comprendere quali siano i bisogni di salute di ciascuna persona e quale sia il programma di cura e abilitazione necessario e di conseguenza anche quali debbano essere le sedi più idonee. La creazione di alternative richiede anche capacità creative e innovative e lo sviluppo di altri punti di vista come ad esempio quello dei pazienti.

In certi casi, ho l’impressione che siano ancora in atto percorsi mentali carcere-opg che sono totalmente superati.

Le persone con misure di sicurezza provvisorie hanno rappresentato una quota significativa degli accessi in REMS con gradi di appropriatezza assai vari e talora senza nessuna consulenza psichiatrica.10

Nel ribadire che è sempre necessaria la valutazione psichiatrica, per quanto attiene ai progetti di cura essi debbono essere realizzati ove è più indicato. Questo principio del tutto ovvio per quanto attiene la cardiologia o l’oncologia, va applicato anche alla psichiatria.

Ancora: quanti dei soggetti che si trovano in REMS possono essere dimessi?

Credo sia necessario un cambiamento della cultura operativa che veda una gestione di sistema e non di tipo individualistico e/o limitata alle singole strutture altrimenti, nella frammentazione, con logiche difensive (dove lo metto? Mando il fax e così cessano le mie responsabilità…) vi è il rischio di doversi arrangiare e di vedere la soluzione solo nella creazione di un numero crescente di REMS.

In realtà, credo sia in atto una ricerca di contatti, un poco visibile lavoro preventivo per prevenire le misure di sicurezza detentive e ridurre gli accessi alle REMS. Una prassi che pur in assenza di dati nazionali ho l’impressione si stia diffondendo in maniera significativa: ad esempio da un indagine effettuata nel marzo 2017 nella Regione Emilia Romagna a fronte di 24 posti in REMS vi erano 203 persone con misure

9 Di Nicola op. citata, pag. 2

10“Occorre considerare (.) che la collocazione dei soggetti con misura di sicurezza provvisoria in REMS non è coerente perché in assenza di diagnosi è comunque difficile predisporre un piano terapeutico di cura.” Consiglio Superiore della Magistratura op. cit., pag. 1

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giudiziarie (155 in libertà vigilata, 76% del totale delle misure) seguite dai DSM nel territorio. Ne consegue che il rapporto posti REMS/misure giudiziarie nel territorio è di 1 a 8,4 mentre il rapporto posti REMS/

libertà vigilata è di 1 a 6,4. Quindi si può dire su base induttiva che ad ogni misura di sicurezza detentiva ve ne siano circa 6 di libertà vigilata. Un dato che andrebbe verificato a livello nazionale e del quale occorrerebbe vederne l’evoluzione nel corso del tempo. Certamente la prassi preventiva va perfezionata tramite la conoscenza reciproca e incentivata sostenendo con adeguate risorse giustizia e i DSM.

Ancora per aumentare la disponibilità di posti REMS, le licenze finali di esperimento (ai sensi dell'art. 53, 1º comma, ord. pen.), non dovrebbero prevedere la conservazione del posto in REMS ma le persone dovrebbero essere dimesse e affidate al Dipartimento di salute mentale. In questo senso, si esprime all’art. 9 i

l Protocollo d’intesa tra Regione Lazio, Ministero della Giustizia, Corte di Appello di Roma e Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma firmato l’8 novembre 2017 :

”Durante il periodo di LFE non può essere garantito il posto letto al paziente e nel caso di revoca

della LFE, il paziente va avviato ad un percorso terapeutico riabilitativo stabilito dal DSM”.

La prassi delle dimissioni in prova era in vigore in epoca manicomiale (Regolamento 615/1909 art.

66) ed è stato completamente superato dalla riforma del 1978. Secondo la relazione del commissario Corleone

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le persone in Licenza finale esperimento erano 40 pari al 6,6% dei posti REMS disponibili.

Si potrebbe poi stabilire una prassi che preveda udienze dedicate e la possibilità di anticipare le udienza per la revisione della misura su richiesta del direttore della REMS o dei DSM creando le condizioni per cogliere il periodo più adatto per favorire le dimissioni e l’evoluzione del paziente. In sostanza si dovrebbe provare a dare una tempistica che sia in funzione del programma di cura e abilitazione. Questo avrebbe un sicuro impatto qualitativo mentre occorrerebbe verificare nel tempo quale può essere la ricaduta in termini quantitativi.

Un impegno in questo senso darebbe evidenza di uno sforzo nel quale coinvolgere Sindaci, enti locali, articolazioni della comunità sociale per andare oltre la giustizia e la psichiatria specie nei casi dove la dimissione dipende più da fattori sociali (reddito, casa, documenti, senza fissa dimora ecc.) che dalla cura dei disturbi mentali.

Infine un dialogo fra le magistrature di cognizione e sorveglianza è essenziale quanto quello fra le diverse articolazione dei DSM. Nel rispetto di prassi, indipendenze, chi ha responsabilità apicali, nei diversi ambiti non ha anche il compito di fare sintesi? Di non lasciare solo nessun operatore e utente?

Queste azioni di miglioramento del nuovo sistema ex legge 81 andrebbero applicate, specie in questa fase nella quale risulta difficile stabilire il numero ottimale di posti REMS in attesa dei decreti ex legge 103/2017 su “doppio binario”, sulle misure di sicurezza, art. 148 c.p.. e ancora non è definita la dotazione di posti nell’ambito delle articolazioni di salute mentale negli Istituti di pena.

Casistica

Caso 1: il vizio di mente dell’indagato si manifesta nel corso della convalida dell’arresto.

Vengono avanzate due possibilità e sia nell’opzione della custodia in una struttura carceraria sia in quella del ricovero in luogo di cura è essenziale assicurare alle persone una valutazione e se necessaria una cura psichiatrica adeguata.

Ed è chiaro che dopo un reato specie se grave occorre un setting che assicuri protezione, rispetto, consenta di restare accanto alla giusta distanza, per ascoltare, iniziare a capire in un clima di “sospensione”, di rispetto di costante attenzione. Certo vanno viste le questioni relative alla sicurezza, alla privazione della libertà e alle necessità di custodia (piantonamenti, sorveglianza ecc.). Un lavoro per tutti molto delicato nel quale entrano anche altri soggetti, periti, avvocati difensori creando una condizione di elevata complessità, anche gestionale, sicuramente più abituale per gli istituti di pena che non per un servizio psichiatrico. In questo giocano un ruolo anche i tempi, diversi per magistrati e psichiatri, il rispetto dei diritti. Sul piano psichiatrico è un momento utile per cercare di “agganciare” la persona, comprendere il quadro clinico, il senso di

11 Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Dr. Franco Corleone 19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017 http://www.stopopg.it/system/files/2a_relazione_semestrale_commissario_OPG_febbraio_2017.pdf

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responsabilità, del limite tramite l’inevitabile confronto con quanto accaduto. In questo sarebbe molto utile il superamento dell’art. 88 del c.p riconoscendo l’imputabilità della persona con disturbi mentali.

Non mi dilungo oltre ma questi temi andrebbero specificamente approfonditi con una forte propensione operativa, tenendo conto dei contesti locali e degli insegnamenti che derivano da casi importanti emblematici (Cucchi, Mastrogiovanni, Casu ed altri).

Nell’eventualità che la persona non risulti imputabile e debba essere revocata la misura cautelare, l’applicazione della misura di sicurezza, va ricordato con forza, deve avvenire secondo quanto previsto dalla legge 81/2014 dando priorità alla libertà vigilata. Senza entrare nel merito del ragionamento giuridico e di come nella pratica misure cautelari e di sicurezza vengano applicate, credo sia utile una precisazione psichiatrica: un soggetto non capace di intendere e volere al momento del fatto e quindi non imputabile può essere affetto da diverse condizioni cliniche che richiedono trattamenti specifici per i quali il riferimento alla luce delle osservazioni già svolte, non può essere solo la REMS. Lo stesso per quanto attiene alla nozione di pericolosità sociale che non necessariamente correla con la psicopatologia e la sua gravità. In questa ottica, ad esempio persone con quadri di schizofrenia che magari hanno commesso un reato grave in famiglia possono avere una modesta pericolosità sociale ed anche una limitata tendenza a recidivare nel reato e quindi possono essere seguiti nelle ordinarie strutture del DSM. Al contrario soggetti con disturbi della personalità, significativi livelli di psicopatia e magari uso di sostanze nell’eventualità che vengano considerati incapaci al momento del fatto reato (evenienza che dovrebbe essere residuale) presentano alti livelli di rischio di recidiva. D’altra parte questi soggetti se collocati in REMS sono quelli che ne mettono in crisi il funzionamento e la sicurezza. Di fronte a questi casi da un lato vi è chi ha invocato misure “gradate”12 e la previsione di REMS a diverso livello di protezione/specializzazione e chi pensa sia meglio definire percorsi caso per caso, anche innovativi tra istituti di pena, DSM e comunità.

Situazioni queste ultime che in larga misura sono parte della (micro)criminalità e che necessitano di strategie sociali e non solo di ordine pubblico. Persone che ogni giorno impegnano i servizi sanitari, si pensi al Pronto soccorso, psichiatrici e delle dipendenze patologiche. Le condizioni di cui si occupa la magistratura fanno parte della quotidianità del lavoro dove cura della persona, diritto alla salute, si confronta con il patto sociale, la sicurezza e la tranquillità di un condominio, di una via o di un parco.

Non sono possibili soluzioni facili, ma occorre assumersi la complessità del compito, al di fuori di ogni semplificazione: affrontare caso per caso, con un insieme di interventi, il problema della salute e della tutela delle vittime, specie nei casi di stalking, molestie ecc. a danno delle donne e dei minori.

Detto questo e aggiunti i limiti delle conoscenze e dell’efficacia dei trattamenti, per risolvere al meglio questi casi è essenziale un contatto del magistrato, dei periti con il DSM competente per territorio (e di chi opera negli Istituti di pena) per costruire con tutte le agenzie un programma personalizzato. Come è noto ai periti psichiatri, oltre alla valutazione puntuale anche quella diacronica, più di lungo periodo e strategica.

Caso 2: il vizio di mente si manifesta nel corso delle indagini per persona libera e la REMS non ha posto.

Il confronto con le liste di attese e l’assenza di posti nelle REMS (e nelle carceri) è una grande occasione per riflettere sull’andamento dell’intero sistema. Mettere in mora DAP, regioni, pensare di accusarli di omissioni di atti di ufficio ex art. 328 c.p. non credo sia la via più utile ed efficace. Trovo invece assai apprezzabile che il Consiglio Superiore della Magistratura ritenga “opportuno delineare un quadro di buone pratiche e di schemi procedimentali, volti a valorizzare le acquisizioni scientifiche e dottrinali emerse nell’ultimo decennio, nonché a garantire un effettivo sviluppo ai principi insiti nelle novelle legislative”.

Quindi attraverso una collaborazione proficua si possono trovare adeguate soluzioni sapendo che non esistono più “strutture chiuse” e che il consenso è sempre necessario in ogni percorso di cura. E’ con questo punto che occorre confrontarsi senza pensare che possa bastare collocare la persona in REMS per superarlo.

E’del tutto condivisibile il timore che dietro la misura della libertà vigilata si possano determinare condizione di detenzione (magari nel privato, ma su questo punto va detto che anche una parte delle REMS è gestito da

12 In passato era stata evocata la possibilità che tra libertà vigilata e misura di sicurezza detentiva (art 222 c.p) si potesse utilizzare l’art. 219 c.p. (ricovero in casa di cura e custodia). Questo sul piano pratico non ha avuto conseguenze essendo le case di cura e custodia solo presso gli OPG.

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privati) e questa attenzione ai diritti va estesa ad ogni ambito. D’altra parte è come vengono applicate le misure giudiziarie e sono realizzati i percorsi di cura ad essere rilevanti e per questo l’assenza di contenzioni, il rispetto dei diritti e della dignità sono essenziali. In questo quadro, è assai rilevante il ruolo degli avvocati difensori, dei garanti e delle associazioni che si occupano delle persone private della libertà. Nella ricerca di soluzioni altamente personalizzate mi chiedo anche quali possano essere i margini per applicare il secondo comma dell’art 211 bis del c.p.13 individuando di volta in volta la sede più idonea.

Al di là di questo, è fuori dubbio che la definizione dei percorsi dipende dalle risorse e dagli strumenti a disposizione dei DSM e quindi risente delle differenti dotazioni documentate dalla Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica.14 Un’ulteriore ragione per attivare collaborazioni locali.

Ricovero in REMS

Le caratteristiche del ricovero in REMS sono già stati ricordate. Quanto ai problemi delle traduzioni, piantonamenti, trasferimenti non entro nel dettaglio di quanto previsto nell’Accordo unificato per il superamento degli OPG n. 17 del 26/2/2015 e nel recente (8 novembre 2017) Protocollo d’intesa tra Regione Lazio, Ministero della Giustizia, Corte di Appello di Roma e Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma se non per ricordare ancora una volta quanto scrive il Consiglio Superiore della Magistratura:

“Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) assumono connotazioni del tutto differenti rispetto agli OPG anche in forza dello specifico decreto del Ministero della sanità 01.10.2012 che ne ha disposto le caratteristiche tecnico-strutturali. Si tratta di strutture a gestione specificamente ed esclusivamente sanitaria, dirette da un responsabile medico che ne assume la direzione sanitaria ed amministrativa, con ridotta capienza di posti letto, al massimo di venti, ove si svolgono attività terapeutico - riabilitative per gli ospiti in raccordo e coordinamento con i servizi psico-sociali territoriali”.

Le prassi proposte nei citati protocolli sono molto in continuità con quanto avveniva ai tempi dell’OPG. Va compreso che le REMS, in quanto “residenze” sono strutturalmente integrate nel territorio, non possono svolgere funzioni custodiali ed hanno finalità che il CSM ha colto in modo molto chiaro quando cita “attività terapeutico - riabilitative in raccordo con i servizi psicosociali territoriali”. Quindi non è la permanenza nella REMS ad essere terapeutica ma lo sono le attività che come per ogni altra residenza si svolgono in un continuum interno - esterno, nel consenso e nella prospettiva della libertà. Che occorra un lavoro di comunità anche al fine di un corretto utilizzo dei posti è ricordato anche dal CSM quando scrive: “la carenza di posti e la disomogeneità dei pazienti ricoverati comporta la difficoltà di assicurare risposta ai bisogni specifici di alcune categorie deboli tra i déboli (donne, stranieri senza fissa dimora).”15

Non solo rileva puntualmente le conseguenze dei ricoveri inappropriati, le difficoltà dei sanitari e conclude:

“i tempi di esecuzione della misura di sicurezza detentiva (e in particolare il suo protrarsi) saranno certamente influenzati dall’andamento, dalle sorti e dai ritmi del processo, il che può non sempre costituire una variabile positiva per gli sviluppi del disagio o del disturbo mentale dell’interessato”.

Quindi un invito seppure indiretto a far sì che la stessa azione giudiziaria non sia fonte di ulteriori inutili sofferenze ma al contrario valorizzi il PTRI e le possibilità di cura e inclusione sociale. Per questo ho l’impressione è che si debba fare ancora uno sforzo per umanizzare gli interventi superando un approccio custodiale che a mio avviso non aiuta i programmi di cura e talora confligge apertamente con essi e al contempo non incide nemmeno nel determinare un’attenuazione dei determinanti della pericolosità sociale.

La costruzione delle dimissioni dalle REMS è un compito prioritario sul quale lavorare congiuntamente.

Il quesito peritale

13 “Se la misura di sicurezza deve essere eseguita nei confronti dell'autore di un delitto consumato o tentato commesso con violenza contro le persone ovvero con l'uso di armi e vi sia concreto pericolo che il soggetto commetta nuovamente uno dei delitti indicati il giudice può ordinare il ricovero in una casa di cura o in altro luogo di cura comunque adeguato alla situazione o alla patologia della persona.”

14 Starace F., Baccari F., Mungai F (2017) Quaderno SIEP – La salute mentale in Italia.Analisi delle strutture e delle attività dei Dipartimenti di Salute Mentale http://siep.it/quaderno-siep/

15 La Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Dr. Franco Corleone 19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017 indica che le femmine in REMS sono 46 e le persone senza fissa dimora 47 di cui 9 italiani.

http://www.stopopg.it/system/files/2a_relazione_semestrale_commissario_OPG_febbraio_2017.pdf

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Concordo in linea di massima con la proposta di quesito peritale avanzato dalla Dr.ssa Di Nicola16 ma esprimo perplessità quando si chiede al perito/CTU di indicare “le strutture residenziali e sanitarie convenzionate presenti nella regione dell’indagato/imputato idonee alla cura della sua specifica patologica, comprese le REMS, descrivendone anche i servizi di controllo, sicurezza e vigilanza, avendo riguardo sia al profilo terapeutico che a quello di prevenzione e cautelare”.

Forse sfugge alla magistratura quali siano le caratteristiche delle attuali strutture psichiatriche nelle quali, in relazione al mandato terapeutico, si è operato l’abbandono di ogni approccio custodiale. Quindi controllo, sicurezza e vigilanza sono quelli funzionali all’ambito sanitario secondo precise procedure di qualità con una valutazione dei rischi/benefici e nella consapevolezza di una possibile azione iatrogena e regressiva del ricovero. Le strutture sanitarie non sono in grado di assicurare altro che un collegamento con l’Autorità giudiziaria per tramite delle forze dell’ordine. Pensare o chiedere che sia possibile altro può avere l’effetto di stravolgerne le funzioni.

Visto il nuovo impianto della legge, il quesito peritale non può considerarsi esaustivo di tutta la problematica, perché lo ripeto la nuova norma vede la misura di sicurezza, anche detentiva come misura di comunità il che richiede una sorta di messa alla prova contrattuale nella quale vi è a mio avviso un ruolo attivo e specifico del magistrato al di fuori di ogni possibile delega alla psichiatria. Si tratta di costruire un nuovo modo di operare “grazie ad una piena sinergia con la rete dei servizi di salute mentale operanti sul territorio; ciò garantirebbe la possibilità di ricorrere a misure provvisorie di gradata intensità e che possano contare sull’integrazione dell’imputato nelle attività di tutela e riabilitazione fornite da servizi dipartimentali, con regimi di prescrizione che corredino eventualmente la misura della libertà vigilata o, comunque, misure meno incisive della libertà personale dell’imputato.”17

La piena sinergia con la rete dei servizi di salute mentale operanti sul territorio colloca la realizzazione della legge 81/2014 in piena continuità con la legge 180 poi 833/1978:

“vi è condivisa consapevolezza che il magistrato giudicante debba poter disporre di un ventaglio di plurime soluzioni applicative adatte al caso di specie, così da poter impostare la risposta trattamentale del prosciolto non imputabile sin dal momento del giudizio, in modo adeguato alle esigenze del singolo. In particolare, perché ciò possa accadere, risulta opportuno che gli Uffici giudicanti di primo grado mantengano un rapporto costante di collaborazione, scambio di informazioni e conoscenza capillare della rete dei servizi di salute mentale che fanno capo al Dipartimento di Salute Mentale (DSM), cui la l. n. 833 del 1978, assegna la responsabilità di prevenzione cura e riabilitazione dei problemi di salute psichica.”18 Dialogo per un nuovo modello

Il dialogo fra magistratura e psichiatria deve avvenire tenendo conto del ventaglio delle soluzioni possibili sul piano sanitario, oggi organizzate per intensità di cura, evitando in ogni modo che l’intervento del giudice venga vissuto come un’imposizione ai servizi di una persona con una misura giudiziaria il che alimenta il senso di un’occupazione giudiziaria della psichiatria ma sia, invece, una scelta condivisa nell’interesse prioritario del paziente e sia associata alla disponibilità del giudice a modificare la stessa misura giudiziaria secondo l’andamento non solo processuale ma sanitario del paziente. In altre parole la permanenza nei servizi per la salute mentale deve rispondere in primis ai bisogni di cura e non alla misura giudiziaria in quanto non vi è alcun vantaggio, anzi vi sono elevati i rischi iatrogeni e regressivi e quindi di danno alla salute, nel mantenere ricoverato impropriamente la persona e questo non appare giustificato nemmeno dalle misure di sicurezza. Quindi la collaborazione è essenziale purché sia paritaria:

“La conoscenza aggiornata delle soluzioni offerte dai servizi consente, infatti, al giudice la possibilità di indirizzare il non imputabile ad un programma terapeutico adeguato al caso singolo; di poter plasmare il contenuto delle misure di sicurezza sin dal momento della pronuncia nel processo penale; di rispettare il fondamentale collegamento tra il tessuto territoriale di provenienza dell’infermo di mente autore di reato e l’esecuzione della misura di sicurezza nei suoi confronti; ed ancora, di prendere in considerazione il ricorso alla misura di sicurezza detentiva, cioè diversa dalla libertà vigilata, solo quando essa si appalesi l’unica soluzione utile e praticabile e non quando essa appaia, meccanicisticamente, la via più immediata per la neutralizzazione della sua carica di pericolosità. Tale esigenza di adeguata e capillare conoscenza delle

16 Op cit. pag. 1

17Consiglio Superiore della Magistratura op. cit., pag. 1

18Consiglio Superiore della Magistratura op. cit., pag. 1

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risorse e delle soluzioni offerte dai servizi di salute mentale sul territorio non è soltanto necessaria per evitare che, nelle REMS, si realizzi, nei fatti, una replica del grande internamento cui si è assistito sotto la piena vigenza degli istituti di cui artt. 219 e 222 c.p., ma anche perché l’autonomia regionale ordinaria e speciale ha determinato un panorama assai variegato di strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza”.19

Come si è già accennato, questo può avvenire attraverso protocolli e cruscotti regionali e provinciali che siano di riferimento per tutte le parti coinvolte, attivabili fin da prima che la misura venga adottata e possano poi monitorare i programmi di cura, favorire le dimissioni e l’inclusione sociale.

La capacità di incontro, ascolto e collaborazione reciproca deve tenere conto delle differenti impostazioni dei sistemi giudiziari e sanitari, delle chiavi di lettura e dei modelli interpretativi. L’avere affidato la gestione del sistema ai sanitari significa dover accettare che l’approccio della psichiatria sia diverso da quello della giustizia e dell’amministrazione penitenziaria.

Una lettura che parte dalla relazione con la persona, ne stimola la collaborazione e il consenso, cerca di costruire alleanze a partire dal mondo interno del paziente, dai suoi vissuti, dal funzionamento, dal significato relazionale, dalle sue aspirazioni, risorse e paure. In questo quadro vanno letti tutte le manifestazioni, i comportamenti compresi gli agiti e le violazioni.

Un approccio biopsicosociale che è più articolato di quello lineare comportamentista e può portare ad interventi con tempistiche assai diverse da quelle giudiziarie. Utilizza strumenti, farmacoterapia, psicoterapia, interventi psicosociali, abilitativi ed inclusivi nell’ambito di un Programma Terapeutico Riabilitativo Individualizzato che è ben diverso da un piano trattamentale-rieducativo.

Il percorso abilitativo del paziente con disturbi mentali gravi procede in modo non lineare e i passi vanno fatti quando la persona è pronta e pertanto se ha una misura giudiziaria questa dovrà assecondare e non ostacolare o addirittura soffocare il percorso di cura20. Anche nel nostro paese, come per altro avviene in Svezia e Germania, appare sempre più evidente la non coincidenza tra “ricovero” e “trattamento” seppure obbligatori e disposti dall’autorità.

Appare sempre più evidente che non vi è possibilità di cura e riabilitazione in medicina e non solo in psichiatria senza una prospettiva di libertà e senza la partecipazione responsabile del paziente che deve diventare protagonista del percorso di cura e della sua abilitazione, compreso per quanto possibile, anche l’elaborazione delle conseguenze del reato commesso. In questi percorsi è necessario favorire la recovery, le opportunità sociali di inserimento lavorativo, abitativo nel contesto di riferimento, preparato e sensibilizzato.

Per questo si devono prevedere l’innovazione delle prassi, il superamento o l’allargamento di molti istituti previsti nell’ordinamento penitenziario in larga parte inapplicabile nel nuovo contesto.

Infatti, non vi è cambiamento senza correre rischi che vanno valutati, condivisi, prevenuti e affrontati. Un cambio di paradigma che affronti in modo diverso le violazioni, l’aggressività nella convinzione, già sperimentata dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici, che un cambiamento di approccio e di metodi possa determinare anche una diversa espressione della psicopatologia e una migliore gestione dei comportamenti problematici. In questo quadro serve un forte sostegno ai diritti ma anche lo sviluppo di forme nuove come i programmi terapeutico - riabilitativi individualizzati con budget di salute che siano abilitanti e capacitanti e ridiano forza, speranza e futuro alle persone. Non preoccupiamoci solo di posti letto e sedi ma di persone, programmi di cura e progetti di vita.

In altre parole il dialogo tra magistrati e psichiatria sicuramente indispensabile, deve partire dalla comprensione delle caratteristiche del nuovo sistema, delle culture, delle conoscenze tecnico-scientifiche che animano le prassi e le condizioni per realizzarle. Del come si fa e di cosa è, con il massimo impegno, umanamente e realisticamente possibile: è questo il nuovo punto d’incontro, ciascuno con i propri strumenti ma utilizzati in modo sinergico.

Il clima di fiducia reciproca tra giustizia e psichiatria può facilitare il lavoro terapeutico che si confronta con difficoltà di vario tipo, le risorse, la cultura fino alla posizione di garanzia e all’impossibilità della veggenza circa i comportamenti umani, multideterminati e complessi, e pertanto con bassi livelli di previsione e scarse possibilità di prevenzione di quelli disfunzionali e auto-eterolesivi. Oltre a queste, la difficoltà maggiore è quella che il lavoro psichiatrico si svolge nell’incertezza, con delicati equilibri, richiede alta competenza e

19 Consiglio Superiore della Magistratura op. cit., pag. 1

20 Nella lingua inglese vi è una vicinanza semantica tra To mother (prendersi cura) e To smother (soffocare).

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persistenti motivazioni e resilienza per affrontare i conflitti e le contraddizioni e una logica difensiva o rigidamente burocratica lo può totalmente arrestare. Il mandato di cura proprio perché fragile, va difeso e sostenuto da tutti, in primis per il suo ruolo, dalla magistratura.

Quindi occorre coraggio, capacità di ascolto per prevenire con uno sforzo comune le misure di sicurezza detentive, più innovazione per preservare le caratteristiche essenziali della riforma: ad esempio avvallare l’intero programma di cura, il PTRI, sviluppare e favorire soluzioni altamente personalizzate anche sperimentali, garantire fin da subito permessi e attività, forte elasticità nei percorsi, libertà nelle cure: le misure di sicurezza non devono condizionare inutilmente o in modo dannoso il lavoro terapeutico.

L’esperienza di questi due anni e mezzo indica che gran parte delle misure detentive è evitabile, gran parte dei pazienti in REMS ha caratteristiche sovrapponibili a quelli in cura nel territorio e molti sono già dimissibili, ma manca un progetto, un’udienza, una famiglia, un reddito, una casa...

Occorre abbandonare posizioni autoreferenziali e decisioni unilaterali a volte, mi permetto, del tutto al di fuori dello spirito della nuova legge.

Ai sanitari non spetta la custodia e ancora troppe volte si ha una concezione delle misure amministrative di sicurezza come pena quando invece dovrebbero accompagnare e sostenere il percorso di cura.

Certamente la chiusura degli OPG ha evidenziato la questione della salute mentale negli istituti di pena e le difficoltà o l’impossibilità a realizzare un adeguato trattamento individualizzato all’interno dell’istituzioni penitenziario in apposite sezioni dedicate. Osserva amaramente il CSM:

“La realtà nota agli operatori, purtroppo, è nel senso della sostanziale inesistenza, allo stato, di contesti penitenziari in cui siano offerti regimi di trattamento differenziato indirizzati all’osservazione, alla cura ed alla riabilitazione effettive di individui affetti da infermità psichica.”21

Ancora nelle REMS si sono evidenziate difficoltà nella gestione e nella cura di persone con alto grado di psicopatia, disturbi gravi della personalità e uso di sostanze, antisociali, resistenti ai trattamenti il che richiede una riflessione su un insieme di questioni sia giudiziarie (imputabilità ecc.) sia circa i programmi di cura indicando l’opportunità di percorsi sperimentali e innovativi da realizzarsi di concerto tra magistratura, amministrazione penitenziaria e psichiatria. Ancora le REMS non sono le sedi adeguate per pazienti con deterioramento cognitivo, disabilità intellettiva, disturbi del neuro sviluppo, disturbi organici, utenti che spesso mettono in crisi i servizi territoriali e che, al di là della questione giudiziaria, richiedono soluzioni specifiche.

Se tutti i cittadini hanno diritto alla salute a prescindere dal loro stato giuridico e qualora le condizioni psichiche non siano compatibili con la detenzione in carcere, essi devono affidati ai Dipartimenti di Salute Mentale i quali provvederanno ad indicare alla magistratura la sede più idonea per la cura.

Un cambio di approccio che porti a superare il vissuto della REMS come custodiale, come appendice degli istituti di pena, e in favore di una REMS sociosanitaria, transitoria e capace di percorsi terapeutico abilitativi di comunità. I Regolamenti delle REMS devono tenere conto delle specificità territoriali e delle differenze regionali. La gestione delle REMS è in capo ai sanitari e deve vedere adeguati spazi di autonomia tecnico professionale. Quindi non può essere “eterodiretta” dalla magistratura, in quanto si creerebbe una condizione di per sé antiterapeutica (per una possibile implicita svalutazione dei sanitari) e poco efficace visto lo scarso potere reale della magistratura nel gestire le violazioni dei pazienti.

La psichiatria non chiede affatto una delega in bianco, al contrario auspica la collaborazione attiva del magistrato nell’incontro con la persona (e non solo indiretta tramite la documentazione) per definire insieme il senso e il patto relativo alle prescrizioni volte a prevenire le recidive e a superare le condizioni che hanno determinato la pericolosità sociale.

La riforma nell’affidare alla sanità (e non solo delle REMS) la gestione dei percorsi dei pazienti autori di reati e prosciolti, ha cambiato l’intero sistema, collocando il mandato di cura in una prevalenza di fatto che la misura giudiziaria deve assecondare perché è soprattutto attraverso questo che la persona può migliorare, cambiare e ritornare ad essere parte della comunità sociale. E’ un compito assai difficile che la psichiatria di comunità italiana si è assunta con coraggio e tra molte difficoltà sta portando avanti meglio laddove vi è il

21 La Seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Dr. Franco Corleone 19 agosto 2016 – 19 febbraio 2017 secondo i dati forniti dal DAP a gennaio 2017 nell’agosto/settembre 2016 i posti letto attivi nelle Articolazioni Psichiatriche di 16 Istituti penitenziari risultavano 192, occupati da 35 maschi e 7 donne ai sensi dell’art 148 c.p.

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sostegno della magistratura. Appare a tutti chiaro che il processo riformatore in meno di tre anni ha portato a risultati straordinari ma pur con tutte le difficoltà e le contraddizioni aperte, occorre continuare per affermare i diritti, superare pregiudizi22 e stigmi (della malattia mentale e della pericolosità) anche attraverso il linguaggio (non più internati ma ospiti, non più minorati ma persone con…), formazione congiunta e pensieri nuovi (anche organizzativi) nella relazione fra giustizia e psichiatria. Con i riferimenti esplicitati, il metodo e le azioni indicati possono essere affrontati i problemi compresi anche quello dei posti nelle diverse strutture, comprese le REMS. Ogni altra impostazione per quanto legittima è incompatibile con l’attuale assetto della psichiatria di comunità del nostro paese. Detto con chiarezza, se vi deve essere una prevalenza della misura giudiziaria e della necessità di custodia ben altre sono le soluzioni che devono essere approntate. Credo che la riforma che ha portato alla chiusura degli OPG sia un fatto di civiltà, una rivoluzione gentile dalla quale non si può e non si deve tornare indietro23.

22 “I pregiudizi ledono, e feriscono mortalmente, la dignità e la libertà delle persone, delle persone che soffrano in particolare di disturbi psichici, così facilmente ancora oggi incomprese nella loro fragilità e nella loro sensibilità, e così falsamente considerate come portatrici di aggressività, e di nonsenso.” Borgna E. (2013) La dignità ferita, Feltrinelli pag.33

23 “Liberarsi dalla necessità degli ospedali psichiatrici giudiziari. Quasi un manuale” P.Pellegrini, Edizioni alphabeta Verlag, Merano 2017

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