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DANNO BIOLOGICO, INDENNITA’ PREVIDENZIALI E RIVALSA di Giuseppe Marando

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DANNO BIOLOGICO, INDENNITA’ PREVIDENZIALI E RIVALSA di

Giuseppe Marando* e Daniela Verrina**

L'ampia e diffusa problematica fiorita sul danno alla salute, o "danno biologico" come frequentemente detto, con una diversificazione lessicale peraltro non priva di significato (riferendosi il "biologico" soltanto alla lesione somato-psichica), assomiglia ad un fiume in piena che dilaga senza controllo, al punto da far parlare di "tendenze alluvionali della giurisprudenza”1. Nè il suggestivo tema risulta semplificato se circoscritto all'ambito dei rapporti con gli enti previdenziali (specificamente l'Inail); chè anzi è questo uno dei punti tuttora più controversi.

La nuova categoria di danno, sorta in origine con riguardo alla responsabilità aquiliana, e trasferita nell'ambito del lavoro subordinato per effetto del dovere di protezione di cui all'art. 2087 c.c, arriva con le pronunce costituzionali del 1991 ad interessare il settore infortunistico pubblico2. Il triplice ordine di problemi, che scaturisce da questo approccio, riguarda l'inserimento nella tutela infortunistica (T.U. 10 giugno 1965, n. 1124) della menomazione dell'integrità fisica di per sè stessa, la sfera di esonero del datore di lavoro dalla speciale responsabilità civile prevista nell'art. 10 del T.U. cit. ed infine l'azione risarcitoria supplementare del danneggiato e quelle di

"rivalsa" dell'Ente (espressione atecnica, ma onnai invalsa nel linguaggio corrente per indicare la surroga ed il regresso).

Tutti i profili, però, sono condizionati dalla pregiudiziale definizione della natura dei ristorati dall'Inail. Il tema, rimasto inizialmente negletto nonostante la fuga (almeno in teoria) del danno a persona - nella veste del "biologico" - dal comune parametro risarcitorio della capacità lavorativa, è venuto prepotentemente alla ribalta dopo i precisi e recenti "distinguo" della Corte Costituzionale.

Proprio la sostanziale omogeneità di contenuti, attribuita in passato al danno civile ed a quello previdenziale, aveva consentito l'equilibrato sistema di rapporti (art. 1916 c.civ. ed artt. 10 e 11 T.U. 1124/1965) volto a rendere compatibili le posizioni dei soggetti coinvolti dall'illecito (responsabile, infortunato e Istituto assicuratore pubblico) nel rispetto di tre precisi assiomi: un giusto risarcimento, un giusto esborso del responsabile, un giusto recupero dell'Ente; che in altre

* Avvocato, Inail, Genova

** Magistrato di Tribunale

1La metafora di BUSNELLI, Tre “punti esclamativi”, “tre punti interrogativi”, un “punto e a capo

2Il diaframma che avvolgeva lo speciale sistema di questo danno si è aperto a seguito del famoso trittico di sentenze costituzionali del 1991, pubblicate e commentate su varie Riviste: C. Cost. 15 febbraio 1991, n. 87, in Foro it., 1991, 1664; C. Cost. 18 luglio 1991, n. 356, ivi, 2967; C. Cost. 27 dicembre 1991, n.485, ivi, 1993, 1, 72

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parole significano la salvaguardia del principio indennitario e del principio di responsabilità e la razionalizzazione dei costi di gestione assicurativi. Ma la costante rilettura dell'ordinamento alla luce dei principi costituzionali non poteva lasciare inalterate queste correlazioni, utilizzando il connubio fra l'art. 32 Cost. e l'art. 2043 c.civ. per incidere in un settore finora riservato al diritto pubblico dall'art. 38 Cost. senza, tuttavia, pervenire alla dovuta considerazione dei connotati risarcitori che tuttora qualificano, in certa misura, le prestazioni attribuite dalle norme speciali dell'assicurazione infortuni.

Le prime "manipolazioni" della normativa del T.U. risalgono alla metà degli anni sessanta quando ha inzio il processo di rivalutazione di quel diritto comune che proprio per la sua inadeguatezza aveva costituito sul finire dell'Ottocento la spinta propulsiva per la creazione di un sistema speciale finalizzato ad una più idonea tutela degli infortuni. L'inversione di tendenza, che fa confluire la disciplina speciale nell'alveo della normativa comune, è dovuta al superamento di numerose regole ad opera dei principi garantistici sanciti dalla Costituzione, realizzati attraverso lo strumento di una rinnovata funzione della norma ordinaria, che finisce per subentrare a quella speciale. Con la sentenza della Corte Cost. n. 22/1967 viene sostituito al "preposto" il semplice dipendente quale possibile fattore di responsabilità indiretta per il datore di lavoro (in ossequio all'art. 2049 c.c.; ma anche in ragione dell'art. 1228 c.civ. per la responsabilità contrattuale) e si aggiunge la "prescrizione" del reato all'amnistia e morte del reo indicate nel quinto comma dell'art.

10 T.U., mentre la giurisprudenza ordinaria già consentiva l'azione di responsabilità pure in mancanza di una dichiarazione giudiziale della causa estintiva (applicazione dell'art. 198 cod. pen.

e dell'art. 2947 c.c.). La sentenza 102/1981 agevola poi l'accertamento della r.c. del datore, già ampliata con la precedente decisione, abbattendo anche nel sistema speciale il principio di pregiudizialità penale in precedenza caduto nel diritto comune; e l'art. 92 della legge 689/1981, che generalizza la perseguibilità a querela delle lesioni gravi e gravissime (tranne quelle dovute a violazione delle norme di sicurezza o estrinsecatesi in una malattia professionale), finisce per restringere la speciale responsabilità del datore precludendo il regresso e l'azione risarcitoria dell'infortunato per una vasta serie di reati infortuni. Ma fin qui l'opera rinnovatrice si è mossa unicamente nel solco della responsabilità, con effetti contrapposti sulla sua sfera di estensione, che annulla nella stessa misura l'esonero del datore di lavoro e collima con le azioni che ne conseguono (quella risarcitoria dell'infortunato ed il regresso dell'Istituto), lasciando inalterato il problema del danno.

Il vero scardinamento di quel modello originario, che all'epoca aveva costituito una autentica novità politico-legislativa per comporre il conflitto di interessi fra produzione e lavoro, si verifica

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a partire dalla fine degli anni ottanta, quando la decisione costituzionale n. 319/1989 (di cui sulle prime non si avvertì la potenziale forza dirompente sul sistema), affermando il diritto dell'infortunato di rivalersi dei "danni non altrimenti risarciti" con priorità sul massimale assicurativo insufficiente, pone le fondamentali premesse per la dissoluzione del principio dell'unità del danno considerato ius receptum. L'indirizzo, infatti, consolidato in giurisprudenza (con il dissenso di parte della dottrina) riteneva il danno un unicum da comparare con l'importo delle erogazioni previdenziali ai fini dell'azione di surroga e del regresso (la ratio dei commi sesto e settimo dell'art. 10 T.U. è del tutto equivalente a quella dell'art. 1916 c.c.: C.Cost. n. 485/1991), dopo aver semplicemente accertato la corrispondenza fra bene leso e bene oggetto della garanzia previdenziale.

La chiave di volta per una completa riorganizzazione delle categorie giuridiche viene fornita due anni dopo dalla stessa Consulta con la sent. 87/1991, che ha ritenuto non incluso nella copertura previdenziale il danno biologico “in sè considerato” e nella sua interezza (da porre a carico, per tale parte, del datore responsabile alla stregua della normativa comune sul fatti illeciti:

nell’ispecie si trattava di una lesione non incidente sull'attitudine al lavoro), portando ad una decisa ripartizione del danno nelle sue varie voci e come ulteriore conseguenza, sancita dalle immediate pronunce nn. 356 e 485 dello stesso anno, alla esclusione della surroga e del regresso per i danni "non collegati alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica".

Si ritorna, così, al punto focale del nostro tema che impone di accertare la qualità e la misura del danno alla persona del lavoratore coperto dalle prestazioni previdenziali, al fine di disegnare l'ampiezza della possibile rivalsa per il danno permanente (non la sua anmissibilità, che ha fondamento in precise e tuttora vigenti norme di legge: art. 1916 c.c. ed art. 11 T.U. inf., dichiarati incostituzionali solo in parte qua). Il dato letterale dell'art. 74 della legge speciale (che, tutelando gli infortunati sul lavoro, non poteva, sin dall'origine, non riferirsi alle limitazioni derivanti al soggetto in tale ambito della sua vita) induce la Consulta a ritenere che l'Inail non risarcisce esclusivamente il danno patrimoniale in senso stretto (da intendersi quale perdita o riduzione di reddito), nè l'intero danno biologico, limitandosi a considerare la perdita o riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto, come avviene per l'attitudine al lavoro, mentre nessun rilievo assumono "gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella propria vita" (sent. 356/91).

Non sembra dubbio, alla luce di queste precisazioni, che la Corte ha proseguito decisamente nel processo di frazionamento del danno, superando il modello genetico costruito vent'anni fa

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dalla giurisprudenza genovese. Allora, nonostante le diffidenze per la forte carica innovatrice di tale intuizione, confliggente con una lunga e radicata tradizione, molti cultori della materia avevano salutato con vivo e giustificato interesse la nuova ed autonoma categoria di danno alla persona svincolata dalla produttività del danneggiato (e dalla sua condizione sociale) che portava ad una tecnica risarcitoria indipendente da ogni redditualità soggettiva. I limiti sono apparsi più tardi, quando la valenza dogmatica dell'istituto riceveva la piena consacrazione dei giudici di legittimità e costituzionali. Le modalità di valutazione ad opera del consulente medico-legale rimaste, infatti, praticamente immutate e 1’indennizzo attuato con l'automatica trasposizione delle percentuali invalidanti su speciali tabelle di capitalizzazione del triplo della pensione sociale, conducevano ad un livello risarcitorio uniforme per la medesima aliquota di danno, a parità di sesso e di età.

I vari appunti mossi da più parti al metodo genovese3 si possono, quindi, ricondurre, ad una rigidità strutturale e ad un livellamento dei valori individuali, data l'impossibilìtà delle percentuali di invalidità assunte, siccome avulse dal contesto della fattispecie, di recuperare la specificità del caso singolo (che pure, in qualche misura, la prassi tradizionale cercava di qualificare con gli accorgimenti del danno alla vita di relazione e del danno estetico). Ha cercato di sopperire il sistema pisano del "valore a punto" che dovrebbe servire proprio a personalizzare il danno con riguardo ai riflessi sui multiformi aspetti della vita quotidiana4.

La concezione “genovese”, svincolando la lesione dallo stato economico del danneggiato e comunque dal "valore di scambio" dell'attività umana, con l'eliminazione di varie sottospecie che rappresentavano un espediente per supplire alla mancanza di reddito o per compensare particolari lesioni prive di incidenza patrimoniale, si ferma al danno biologico in senso stretto, quale menomazione dell'integrità psico-sisica uguale per tutti. L'ulteriore salto di qualità avviene ad opera della Corte Costituzionale che si spinge oltre, fino al più ampio e completo concetto di

"danno alla salute" personalizzando il risarcimento. Esclude, infatti, che si debba applicare una

3Cfr. IANNARELLI, Il risarcimento del danno alla persona e l'analisi economica del diritto, in Foro it., 1979, V, 259.

La stessa Corte di legittimità, a distanza di otto anni dal riconoscimento del criterio di cui all'art. 4, 3° c., della legge n. 39/1977 quale “seria base di calcolo” per la liquidazione del danno alla salute (così Cass. 16 gennaio 1985, n. 102), ha rivisto il proprio giudizio escludendo la validità di tale criterio in quanto disomogeneo (siccome rapportato ad un dato reddituale) rispetto alla natura schiettamente non patrimoniale dei requisiti ed attributi biologici lesi: Cass. 13 gennaio 1993, n. 357, in Foro it., 1993, 1, 1897 con nota di DE MARZO; Cass. I8 febbraio 1993 n. 2009 (in Giust. civ., 1993, I, 2 I 0 1, con nota critica di ALPA).

4Ma conduce al versante opposto di una notevole discrezionalità lasciata al giudice. V., ad es., Trib. Milano 30 gennaio 1991 (in Resp. civ. prev., 1993, 641) il quale, premesso che l'entità di tale calcolo deve essere adeguata alla gravità del caso, liquida, per l’elevata invalidità (75%) di un soggetto ventisettenne rimasto paraplegico, quindici milioni a punto per il danno biologico ed un risarcimento patrimoniale commisurato al quintuplo della pensione sociale.

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assoluta ed indifferenziata liquidazione dello stesso danno e suggerisce, invece, nel rispetto di una uniformità pecuniaria di base, elasticità e flessibilità "per adeguare la liquidazione del caso di specie alla effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psicofisica del soggetto danneggiato”5.

La Consulta ha tracciato una linea operativa ben precisa nella concreta disamina del danno e dei relativi effetti, imponendo di considerare, non la lesione in sè e per sè dell'integrità fisica (secondo la concezione naturalistica del Gerin), bensì le sue proiezioni nella vita del danneggiato, per tutti i riflessi pregiudizievoli che può manifestare un’ordine a "sfera produttiva, sfera spirituale, sfera culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ogni altro ambito o modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, cioè tutte le attività realizzatrici della persona umana"6. In definitiva, occorre far riferimento al complesso dei rapporti familiari, sociali, alle potenzialità produttive ed alle attività extralavorative in genere per valutare tutti gli impedimenti ed i sacrifici che la menomazione della salute ha prodotto in questi ambiti; che vanno, però, definiti su una certa scala di grandezza, per generali categorie, evitando una eccessiva frammentazione che moltiplicherebbe senza fine le varie “funzioni naturali” ricollegabili al danno biologico e i diritti che se ne fanno scaturire, in un panorama caratterizzato da incertezza e confusione e, appunto, da crescite pretorie alluvionali7.

5C. Cost. 14 luglio 1986 n. 184, in Foro it., 1986, I, 2054. Di recente ha sostenuto Cass. 18 febbraio 1993 n. 2009, cit., che nella determinazione del danno alla salute occorre individuare il “valore umano perduto attraverso la personalizzazione, nel caso concreto, quantitativa (con aumenti o diminuzioni) o persino qualitativa (con scelta tipologica diversa), di parametri in linea di principio uniformi per la generalità delle persone fisiche”.

6C. Cost. 14 luglio 1986 n. 184 e 18 luglio 1991, n. 356, citt. Identifica la menomazione somatopsichica con il danno biologico, BUSNELLI (Danno biologico e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, Padova, 1988, p. 11) che lo fa oggetto di una valutazione standardizzata, mentre il danno alla salute deve essere valutato caso per caso contemperando le esigenze di uniformità con la considerazione delle conseguenze pregiudizievoli di tale evento sull'equilibrio psicofisico del danneggiato.

7 Non rileva, quindi, il profilo patrimoniale del valore econonomico del tempo libero ("time allocation ") per calcolarne il "costo di opportunità", secondo la tesi di IANNARELLI (Il risarcimento, cit.), criticata da PARADISO, Il danno alla persona, Milano, 198 1, pag. 72 in nota. Con una pronuncia ante litteram i giudici pisani avevano riconosciuto che “l'entità del risarcimento del danno alla salute deve essere, in linea di tendenza, proporzionale alla gravità degli impedimenti economici e sociali causati dal fatto lesivo" ed avevano liquidato in via equitativa una piccola permanente (7% da frattura di una clavicola), priva di influenza sul reddito, considerando: l'entità della menomazione anatomo-funzionale, l'incidenza negativa della stessa nell'impiego del tempo libero, il disagio ed il fastidio fisico derivanti dalla particolare terapia di tali fratture, il periodo di assestamento necessario perché l'organismo ritrovi un proprio pieno equilibrio, nonchè l'impedimento a svolgere le supplementari mansioni di casalinga e di giovane madre (Trib. Pisa 10 marzo 1979, in Resp. civ. prev., 1979, 356). I riferimenti positivi cui riportare l'indicato criterio di proporzionalità vengono individuati dalla dottrina nell'art. 3 Cost. secondo comma: PARADISO, Il danno, cit., pag. 147 e segg.; BUSNELLI, Il problema dalla valutazione dei danni alla salute, in Resp. civ. prev., 1981, 132.

Hanno riguardo alla menomazione dell'integrità psicofisica (e quindi al danno biologico in senso stretto) l'art. 19 della nuova legge sull'assicurazione obbligatoria r.c. auto, in corso di approvazione, ed il disegno di legge sen. DE LUCA n. 1276 del 10. 1. 95. Per la necessità, invece, di una distinzione, V. ESPOSITO, Danno alla salute per infortunio sul lavoro, in Foro it., 1992, 1, 2340

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E primo rilevante effetto di un simile approfondimento costituzionale è quello di imporre al giudice un nuovo metodo di valutazione, che deve evidentemente superare il tradizionale quesito medico-legale posto al consulente d'ufficio ed approfondire le conseguenze dell'evento naturalistico sulle esplicazioni concrete del soggetto nel suo vivere abituale. La scindibilità delle componenti lesive consente un processo analitico, per così dire “interno” che si traduce in una valutazione dell'incidenza del danno in ciascuno del suoi possibili ambiti di ricaduta - riguardati con specifico e peculiare riferimento alla persona del danneggiato - e che si richiude all'atto della quantificazione del risarcimento.

L'ulteriore conseguenza, che scaturisce dalla distinzione dei vari aspetti del "danno alla salute"

configura un nuovo limite oggettivo alla rivalsa, costituito dalla non completa equivalenza fra titoli indennizzati dall'Istituto e titoli risarcibili dal terzo, in aggiunta ai due tradizionali derivanti dalle erogazioni assicurative e dalle somme per il risarcimento dovute dal terzo. Dall'esame coordinato delle quattro pronunce costituzionali emerge che la Corte si è comunque fatta carico della ricerca e della salvaguardia, sia dell'equilibrio nei rapporti fra i soggetti coinvolti, sia dell'indispensabile raccordo fra il diritto previdenziale e quello civile, estrapolando una specifica voce con riferimento alla speciale disciplina degli infortuni sul lavoro per investire la posizione dell'Ente pubblico in funzione di un completo assetto delle situazioni conflittuali che scaturiscono dall'evento dannoso. Tale ricerca, inevitablhnente e correttamente condotta alla stregua delle norme vigenti - e quindi anche degli artt. 2 e 74 del T.U. 1124/1965 - ha imposto l'attribuzione ed il riconoscimento di una rilevanza esterna alla capacità lavorativa, ai fini della chiarificazione del rapporto fra risarcimento civilistico del danno e indennizzo Inail.

Le decisioni del 1991, come risulta da una semplice lettura delle medesime, consacrano la nozione di "capacità lavorativa generica" (o attitudine al lavoro), evidenziando che la stessa ed il danno biologico sono parziahnente sovrapponibili. Gli enunciati delle sentenze appaiono quanto mai puntuali ed inequivocabili e non autorizzano un loro arbitrario superamento senza stravolgere e mutilare la logica che presiede all'intero costrutto: l'Inail “non indennizza il danno biologico di per sè stesso e nella sua integralità” (dunque solo una parte dello stesso), poichè le prestazioni assicurative sono commisurate esclusivamente alla menomazione dell'attitudine al lavoro; il divieto della rivalsa concerne solo " il danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa" (sent. 356 e 485); l'esonero del datore di lavoro non può riguardare “il

risarcimento del danno biologico non riducibile a perdita o riduzione della capacità lavorativa"

(sent. 356); attesa, dunque, la parziale protezione 'biologica" (limitata alla capacità lavorativa), è necessaria, ad opera del legislatore, “una garanzia differenziata e più intensa, piena ed integrale

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per il danno biologico derivante da lavoro” (sent. 87 e 356): in altre parole, l'art. 32 Cost., che non prevede distinzioni sulla fonte del rischio causativo dell'evento dannoso, opera in simbiosi con l'art. 38, portando ad una integrazione della r.c. con la previdenza per la tutela del lavoratore.

Criterio sovrano nella prassi giurisprudenziale e medico legale del risarcimento patrimoniale alla persona fino agli anni settanta, la "capacità generica" di lavoro è definita dal Giolla "capacità di riserva, all'infuori dell'attività attuale, di guadagnare in occupazioni confacenti alle proprie attitudini nel luogo di residenza"8. Equivale al valore lavorativo della funzione perduta e coincide, nell'indirizzo consolidato di legittimità, con l'attitudine al lavoro espressamente prevista nel T.U.

inf. (v. artt. 74 e 78) - dal quale è stata appunto mutuata - che rapporta l'inabilità pemanente a percentuali tabellari commisurate alla tipicità delle lesioni, senza riguardo al lavoro in concreto esercitato. Viene qualificata come capacità biologica al guadagno, attitudine ad un lavoro genericamente proficuo, capacità di svolgere un qualunque lavoro manuale medio, senza che debba necessariarnente tradursi in una immediata perdita di lucro, la quale rimane al di fuori del danno biologico e ricade nel "danno conseguenza" di natura patrimoniale. Le nuove teorie risarcitorie non l'hanno confinata nel periodo “giurassico” delle vicende del danno a persona o nel limbo delle pure astrazioni, perchè, a parte il preciso riconoscimento legislativo del T.U., è tuttora prevista nelle polizze private contro gli infortuni (eventualmente con il richiamo delle tabelle Inail), in buona sostanza anche a proposito della invalidità civile (D.L. 509/1988) e dell'invalidità nel settore dell'Inps (legge 222/1984), dimostrando così una sua concretezza e specificità nella liquidazione di innumerevoli danni; a tacere poi che, in linea di fatto, è spesso sottostante a molte valutazioni medico legali qualificate come danno biologico 9.

L'attualità di tali profili normativi di rilevanza della categoria del danno alla capacità lavorativa generica impedisce - e la Corte Costituzionale ha dimostrato di esserne consapevole - di liquidare la categoria stessa come relitto storico, concetto elaborato per conferire patrimonialità a situazioni di danno che, non avendo un riflesso economico immediato, rimanevano prive di tutela risarcitoria: di concepirlo, insomma, quale frutto di una elaborazione dottrinale e giurisprudenziale

8GIOLLA, Valutazione del danno alla persona da responsabilità civile, Milano, 1967.

9Per un'affemiazione “ragionata” della identità fra il concetto medico legale di capacità lavorativa generica e quello normativo di attitudine al lavoro, accolto nel T.U. 1124/65, V. FIORI - MARCHETTI - MARMO, Danno alla salute, danno biologico, incapacità lavorativa generica e specifica, ridotta attitudine al lavoro (nota a C, Cost. 485/1991), in Riv. it. medic. leg., 1992, 693 e segg. Anche secondo loro, il concetto di capacità generica è profondamente radicato nelle norme, nei contratti, nelle consuetudini, nella prassi" (pag. 710).

La questione di costituzionalità dell'art. 74 T.U. inf., intesa a “sostituire“ la capacità di lavoro generica con la capacità di lavoro "attitudinale" (ovvero confacente alle attitudini dell'assicurato) è stata, al momento, dichiarata inammissibile perchè sollevata dal giudice remittente dopo l'applicazione con sentenza non definitiva della norma contestata: C. Cost. 8 aprile 1993 n. 154 (in Giur. cost., 1993, 1172).

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precedente all'approdo alla categoria del danno biologico e che da questa sarebbe stata completamente e definitivamente superata.

Il processo di unificazione dell"incapacità lavorativa, del danno estetico, alla vita di relazione, alla sfera sessuale e simili nel danno biologico, ha svolto la funzione di semplificare l'accertamento e la liquidazione togliendo a ciascuna delle indicate figure la dignità di autonoma categoria di danno (ripartito nel triplice settore “biologico” “patrimoniale” e “morale”), ma non ha annullato l'identità e la dimensione di componenti del medesimo diversamente caratterizzate, in rapporto ai modi di esplicazione della personalità del danneggiato.

Le proiezioni in ambito pubblicistico dell'evento e della responsabilità, unite alla delimitazione delle rivalse previdenziali per effetto della (costituzionale) scindibilità del danno, scolpiscono la valenza concettuale di una in particolare delle indicate componenti, quale la "capacità lavorativa generica", correlata alla sfera produttiva (ampiamente intesa e non in termini di realizzo

economico, ch'è proprio del “patrimoniale”), espressione del diritto-dovere al lavoro nella completa integrità psicofisica, senza usure nè limitazioni di qualsiasi ordine presente o futuro, con il pieno sviluppo della potenzialità soggettiva a prescindere da una immediata riduzione dei guadagni. Non si tratta di clonare una autonoma e superata categoria di danno offùscando, come molti potrebbero paventare, quella che ormai si è imposta come una intangibile realtà costituzionale; ma solo di ridisegnare in modo diverso e attuale il ruolo che può rivestire nella nuova problematica taluna delle sperimentate acquisizioni medico-legali10. L’incapacità lavorativa assume rilievo, non per il risarcimento di un danno altrimenti non collocabile (come avveniva in passato), ma quale strumento di individuazione della parte di danno biologico che viene ristorata dall'Inail secondo i più ampi parametri del T.U. - e della corrispondente quota in r.c. (con i diversi criteri ivi adottati) ai fini di quantificare il debito del datore escluso dall'esonero e, in sede di rivalsa, il nuovo limite oggettivo al credito dell'Istituto assicuratore pubblico. Diviene in tal guisa anche canale di collegamento (artt. 1916 e 1886 c.civ.; artt. 10 e 11 T.U. inf.) fra la tutela privatistica e quella previdenziale - in un'armonica convergenza del diritto comune con quello speciale - sotto il profilo del contenuto del rapporto di responsabilità che coinvolge l'Ente pubblico “anticipatore” del risarcimento di taluni danni.

10Analogo discorso potrebbe farsi per il danno alla "vita di relazione che, in quanto prescinde dalla capacità di produrre reddito, rientra nel danno alla salute e va liquidato a tale titolo autonomamente: Cass. 10 ottobre 1992, n.

11096; Cass. 3 dicembre 1991, n. 12958; Cass. 9 febbraio 1991, n. 1341; Cass. 8 febbraio 1991, n. 1328; Cass. 17 novembre 1990, n. 11133; per Cass. 14 ottobre 1993, n. 10153 “se la domanda di risarcimento non è limitata al pregiudizio della vita di relazione, il giudice di merito deve considerare tutti i possibili profili del danno alla salute e liquidarlo anche per la parte che non coincide con quello alla vita di relazione”.

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Il valore più autentico dell'autorevole pensiero della Consulta è di garantire l'intangibilità del quantum della menomazione della salute non coperto dalle prestazioni previdenziali; in altri

termini, del danno biologico “puro”, concernente le sole voci diverse dalla capacità lavorativa generica. L'ulteriore significativo dettato, che lo stesso tenore letterale della motivazione evidenzia, è il riconoscimento del principio che la lesione di tale capacità del soggetto costituisce un quota identificabile del danno biologico11, ricadente nell'ambito della copertura assicurativa e collegata alle posizioni debitorie del datore e del terzo verso l'Istituto. In medicina legale si rileva che “la riduzione o la perdita dell'attitudine al lavoro assicurativamente indennizzate, essendo costituite da danni alla persona il cui riflesso reddituale è inifluente al fini del diritto all'indennizzo stesso, sono del tutto assimilabili ai danni biologici di rilievo civilistico in quanto tali risarcibili indipendentemente dalla loro influenza sul reddito”, se la salute è un bene unitario per qualsiasi attività (lavorativa o non), “è altrettanto vero che ogni danno biologico è anche contemporaneamente e integralmente danno riduttivo della attitudine al lavoro”12. E in dottrina si sottolinea l'idea centrale delle indicate pronunce costituzionali secondo cui “l'assicurazione Inail copre solo un certo tipo, una certa componente di danno a persona, quello alla capacità lavorativa, e di conseguenza anche l'esonero del datore di lavoro (e il regresso dell'Inail) riguarda solo quel tipo di danno”13. D'altra parte non si comprenderebbe la correttezza giuridica di un procedimento che accoglie la scindibilità del danno per ricercare le parti di esso non incluse nella copertura assicurativa e quindi sottratte all'esonero, per una più completa garanzia dell'infortunato, e poi nega l'effetto residuale dell'operazione che riguarda il danno risarcito in via previdenziale e pertanto sensibile alla rivalsa dell'Ente pubblico.

11Di questo avviso anche GIANNINI, Surroga Inail e danno biologico (in Dir. e prat. assic., 1987, 458);

GUJSSONI, Danno biologico, capacità lavorativa generica e capacità lavorativa specifica (in Giur. mer., 1992, 923); F. DEL CASTELLO, Risarcimento del danno biologico e diritto di regresso dell'assicuratore (in Giust. civ. 1992, 1, 20) per il quale l'affermazione non potrebbe essere più esplicita.

In tal senso anche Trib. Piacenza 18/4/1988, in Arch. circ., 1989, 591 e Trib. Novara 23/6/1987, ivi, 1988, 644. Ritengono che la rendita Inail indennizza il danno biologico: Trib Milano 20 luglio 1990 (in Riv. giur. circ.

trasp., 1990, 789) e App. Firenze 17 marzo 1987 (in Dir. prat. assic., 1987, 701).

Non mancano, peraltro, gli Autori che, aborrendo l'idea di una scomposizione del danno alla salute e di una deteminazione "algebrica" del risarcimento sottratto alla rivalsa dell'Inail, rifiutano una tale interpretazione delle decisioni costituzionali e ritengono che “la capacità lavorativa generica” costituisce unicamente l'incongruo (perchè astratto e presuntivo) parametro di determinazione del danno patrimoniale ristorato dall'Ente pubblico: cfr.

NAVARRETA, Capacità lavorativa generica, danno alla salute, e nuovi rapporti tra responsabilità civile e assicurazione vociale (in margine a Corte Costituzionale n. 48519 1), in Resp. civ. prev., 1992, 63.

12BARNI, Verso una accezione unitariamente biologica della invalidità permanente, in Resp. civ.prev., 1994, 527.

Sulla stessa linea, altri medici legali: FIORI - MARCHETTI - MARMO (Danno alla salute, danno biologico, cit.) che affermano la parziale sovrapposizione fra danno alla salute e incapacità lavorativa generica (quest'ultima espressamente riconosciuta dála Corte Costituzionale); INTRONA, Il danno biologico nell'assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ivi, 1992, 757

13MARIANI, Il risarcimento del danno biologico al lavoratore vittima di infortunio o malattia professionale, con particolare riferimento ai criteri di valutazione, in Riv. it. dir. lav., 1992, Il, 813.

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La convinta adesione alla tesi appena prospettata, con il conforto delle enunciazioni costituzionali, viene espressa in consapevole disaccordo con la giurisprudenza, di merito e di legittimità, che dopo gli interventi della Consulta esclude ogni copertura assicurativa del danno biologico, conseguentemente negando qualsiasi diritto di rivalsa dell'Inail sulle somme dovute per questo titolo all'assicurato, come pure ogni esonero da responsabilità del datore di lavoro in relazione a tale voce di danno14. Il forte timore di approdare a risultati concettuali di segno

“restaurativo” induce a seguire una logica che si basa su due omissioni ed una pregiudiziale non dimostrata: mancata considerazione dell'amplezza dell'indennizzo previdenziale; mancato accertamento della sua natura; e, per conseguenza, asserita estraneità del danno biologico alla copertura assicurativa pubblica15.

Le innegabili difficoltà a disconoscere nell'indennizzo previdenziale un ristoro del pregiudizio alla persona del lavoratore spingono a “ricercare soluzioni” diverse ancorchè si rivelino contraddittorie. A queste posizioni va ricondotta la singolare tesi che, ammessa una parziale sovrapposizione fra il danno alla salute e quello al lavoratore, per la natura di componente del

“bene-salute” ravvisabile nella potenziale attitudine lavorativa, esclude poi una qualsiasi coincidenza fra i due concetti e riconduce la rivalsa dell'assicuratore al danno patrimoniale in senso stretto, assimilando la rendita Inail ad un pregiudizio da lucro cessante, che talvolta è presunto 16.

Appare evidente come, sottesa a tali incertezze, ci sia la convinzione di fondo che l'Ente previdenziale copra, almeno in parte, il danno alla persona; accompagnata nel contempo da un

14Si vedano, fra le altre, Cass. 14 dicembre 1993, n. 12333; Cass. 8 luglio 1992, n. 8325, in Foro it.,1992, 1, 2965.

Per la giurisprudenza di merito, si segnalano, in particolare, Trib. Piacenza 19 maggio 1993 e 22 maggio 1993, in Arch. giur. circ. sin., 1994, 749; e Trib. Torino 11 dicembre 1993 di cui si parla nella nota che segue.

15Emblematica è la sentenza di Trib. Torino 11 dicembre 1993 (in Resp. civ. prev., 1994, 778) la quale estrapola dal contesto brani di pensiero della Corte Costituzionale per ricavarne asserzioni che sono contraddette dalle pronunce (come ad es. l'estraneità integrale del danno biologico alla copertura assicurativa quale fondamento della dichiarata incostituzionalità della rivalsa, mentre invece la Corte individua nel danno biologico sia una quota della menomazione dell'attitudine al lavoro, sia una parte ad esso non collegata), relegando allo stretto ambito del diritto previdenziale la rilevanza della lesione alla capacità lavorativa generica. La autonomia di questa sorgerebbe sotto il profilo civilistico solo per effetto di perdite reddituali, senza però necessariamente coincidere con il danno patrimoniale da lucro cessante (data la sua possibile mancanza). Poichè l'Inail indennizza le lesioni indipendentemente dalle ripercussioni sul reddito, non può rinvenire “nella liquidazione civilistica del danno una corrispondente voce patrimoniale in cui affondare utilmente la propria rivalsa” Come si vede, per sostenere la tesi adottata è giocoforza, non solo sorvolare su precise affermazioni della Corte, ma altresì sancire una sorta di incomunicabilità fra i due settori dell'ordinamento, ch'è smentita da precise norme di legge e dalla più generale integrazione fra diritto comune e diritto speciale (come accennato nel testo).

16POLETTI (La rivalsa previdenziale e il danno alla salute del lavoratore, nota a Trib. Torino cit.; e Il danno biologico del lavoratore fra tutela previdenziale e responsabilità civile, in Foro it., 199 1, I, 3292); DE MARZO (Pregiudizio alla capacità lavorativa generica: danno da lucro cessante o danno alla salute?, in Foro it., 1991, 1, 2968) il quale, nonostante le diverse "certezze" della Consulta, intravede in tali prestazioni un ristoro forfettizzato del lucro cessante. Per la qualificazione “patrimoniale” del danno in questione v. anche NAVARRETA, cit. alla nota

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rifiuto delle conseguenti implicazioni per la pregiudiziale ostilità al concetto di capacità lavorativa.

Ma il ripiego sui tentativi di “patrimonializzazione” del danno alla persona non pare oggettivamente giustificato a fronte della evoluzione del concetto di danno alla salute e del riconoscimento (con le decisioni costituzionali nn. 356 e 485 del 1991) della appartenenza del pregiudizio in esame a tale tertium genus (rispetto al danno patrimoniale e morale); ed altresì ove si approfondisca, come si dirà appresso, il carattere delle prestazioni previdenziali. Mentre, per altro verso, confinare il danno alla capacità lavorativa nell'ambito previdenziale significa provocare una profonda ed ingiustificato separazione tra due sfere del nostro generale ordinamento, che mai come nei tre decenni passati hanno visto una loro accentuata integrazione per effetto dei principi costituzionali; significa ancora sminuire il “valore uomo”, riconoscendo talune potenzialità espressive della persona solo se attualizzate nel soggetto che lavora ed in quanto indennizzate dall'Ente pubblico.

Coerente con queste proposizioni è un insegnamento dei giudici di legittimità che ci trova del tutto concordi: “la riduzione della capacità lavorativa genenca, intesa come potenziale attitudine alla prestazione di attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolga, al momento, attività produttiva di reddito nè sia in procinto presumibilimente di svolgerla, in quanto costituente lesione di un generico modo di essere del soggetto che non comporta alcun rilievo sul piano delle produzione del reddito e quindi si sostanzia in una menomazione della salute intesa in senso lato, è risarcibile in quanto tale e, cioè, come danno alla salute”17. Come autorevolmente affermato, “la salute è la matrice unitaria, il presupposto della validità, della capacità al lavoro, della capacità al guadagno, alla vita di relazione, alle attitudini ad operare nel mercato del lavoro, alla libertà di dilettarsi nelle ordinarie occupazioni pur se meramente voluttuarie”18.

Più aderente alla realtà, espressa dal dettati costituzionali si dimostra pertanto l'indirizzo di pensiero che riconduce alla tutela assicurativa pubblica una parte del danno alla salute del lavoratore, permettendo di eliminare tutte le discrasie, le incongruenze e le forzature che la tesi opposta denuncia19.

17Cass. 19 marzo 1993 n. 3260, in Resp. civ. prev., 1993, 268. Vi si contrappone, tuttora, un orientamento favorevole alla configurabilità del pregiudizio alla capacità lavorativa generica, quale voce di danno patrimoniale autonomamente risarcibile sotto il profilo appena indicato, in presenza di potenzialità produttive non ancora

"sviluppate": App. Milano 25 ottobre 1991, in Resp. civ. prev., 1992, 797, con nota critica di GUSSONI, Danno biologico, capacità lavorativa generica e capacità lavorativa specifica. Analoga soluzione è ipotizzata da Trib.

Torino, I I dicembre 1993, cit.

18BARNI, Verso una accezione, ecc., cit.

19Agli autori indicati nelle note (11) e (12 ) si aggiungano: FIORI - MARCHETTI - MARMO (Danno alla salute, cit.) per i quali la diminuzione presunta del reddito è espressione e conseguenza diretta e non mediata della invalidità psicosomatico che il Testo Unico di fatto indennizza”: MARINO (La responsabilità del datore per

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In realtà, la valenza delle contrarie affermazioni giurisprudenziali andrebbe verificata alla luce dell'ampiezza - spesso non esplicitata - del concetto di danno biologico al quale, di volta in volta, si è fatto riferimento, giacchè un problema di inclusione o esclusione del danno alla capacità lavorativa può porsi solo con riferimento a quell'accezione estesa e "dinamica" cui più propriamente calza la definizione di "danno alla salute" Ciò premesso, non si vede in qual modo le dette enunciazioni siano conciliabili, da un lato, con il chiaro (ed imperativo, siccome formulato con sentenza di accoglimento) dettato della Corte Costituzionale (che ha per l'appunto individuato il danno non ristorato in quello biologico non collegato alla perdita o alla riduzione della capacità lavorativa) e, dall'altro, con la palese non riconducibilità dell'indennizzo dell'Inail a riparazione del solo danno patrimoniale, attesa la indifferenza della prestazione previdenziale rispetto alla sussistenza di un riflesso reddituale dell'evento lesivo.

A ben guardare, se vi sono aspetti del vigente sistema indennitario che introducono profili di dubbio in merito all'ampiezza dell'oggetto della copertura assicurativa, essi conducono nella direzione opposta rispetto a quella sino ad ora considerata, ovvero sia nel senso della sua estensione all'integrale ristoro del danno biologico (beninteso con esclusivo riferimento alla invalidità permanente, giacchè le erogazione per la “temporanea” e la “rendita superstiti” hanno carattere patrimoniale e legittimano la rivalsa nella sua pienezza)20.

infortuni e malattie da lavoro, Milano, 1990, 340) che considera il danno fisico in sè implicitamente oggetto della tutela assicurativa, la quale, altrimenti, dovrebbe manifestarsi solo rispetto ad una perdita effettiva di reddito", MARIANI (i1 risarcimento del danno biologico, cit.) secondo cui è "giocoforza, in linea di principio, considerare la rendita Inail (almeno nei casi in cui non vi è stata diminuzione di reddito) come risarcimento del danno alla salute", ancora più esplicitamente Ferrari (Danno biologico e danno previdenziale:una questione di copertura assicurativa del rischio, in Foro it., 1993, 1, 75) rileva che la sent. 485/1991”circoscrive i confini del danno biologico avulso dalla copertura assicurativa a quella parte di lesione del bene salute non collegata alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica. Ne scaturisce una nozione di danno biologico necessariamente articolata fra lesione dell'integrità psicofisica della persona sotto il profilo dell'attitudine al lavoro e lesione della stessa integrità della persona in quanto tale, con tutte le possibili opzioni di vita al di là del momento del lavoro.

Nel primo caso può parlarsi anche di danno previdenziale, nell'altro di danno biologico propriamente detto (o puro)"- per RECCHIONI (Considerazioni sul contenuto e sul risarcimento dc1 danno biologico, in Arch. giur.

cìrc., 1992, 881) la sentenza 485/91 C.Cost. consente di prescindere - nella entità del danno biologico - un contenuto di strettissima spettanza al diretto danneggiato, ma anche un nucleo riversibile nella portata del diritto di rivalsa dell'Istituto di assicurazione sociale" (questa parte è costituita dalla menomazione dell'attitudine al lavoro, detta “incapacità generica", che trova copertura assicurativa sociale nella relativa legislazione); per GADDI (Danno alla persona: il lucro cessante come "danno conseguenza", nota in Giur. it., 1989, I 1; 1178) “l'entità della diminuzione della capacità lavorativa generica dà la misura della lesione subita dal soggetto nella sua attitudine (generica) al lavoro”.

20Non sussistono dubbi di sorta sulle perdite patrimoniali che conseguono a questi due tipi di eventi, anche se vi si possono accompagnare un danno biologico e un danno morale. Una espressa conferma per la rendita ai superstiti viene, comunque da C. Cost. 27 ottobre 1994, n. 372, cit., ed è più ampiamente motivata in nota a tale pronuncia da BUSNELLI (Tre "punti esclamativi", cit.) .Quanto alla inabilità temporanea, essa consiste, a norma dell'art. 68 T.U., nella impossibilità totale e di fatto di attendere al lavoro e comporta l'erogazione di una indennità giornaliera conmisurata alla retribuzione dell'infortunato; il danno (parzialmente) coperto dall'assicurazione sociale coincide, pertanto, con il pregiudizio, di natura patrimoniale, alla capacità lavorativa specifica: v. una conferma in CARINZI, Note in tema di danno biologico ed infortuni sul lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali. L'obbligazione di sicurezza, Torino, 1994, pag. 169

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In primo luogo si consideri che gli elevati valori di indennizzo del T. U. I 124/65 attribuiscono un credito risarcitorio che oltrepassa di frequente la soglia della quantificazione civilistica del danno biologico (un esempio per tutti: la supervalutazione della perdita di un occhio); la base di calcolo monetario è data, poi, dalla retribuzione effettiva, purchè ricompresa entro un minimo ed un massimo di legge (art. 116 T.U.) che superano il triplo della pensione sociale comunemente adottato dal Tribunali quale parametro di liquidazione del comune danno biologico21. Inoltre, la rendita previdenziale compete all'infortunato pur nella perdurante attualità di lavoro e di reddito, e continua ad assisterlo anche dopo la cessazione dell'attività lavorativa (in un momento, quindi, che vede l'assoluta irrilevanza di ogni compromissione della attitudine al lavoro); e ciò anche nell'ipotesi in cui il lasso di tempo intercorrente fra l'infortunio e la cessazione dell'attività lavorativa sia così breve da rendere estremamente ridotta l'effettiva rilevanza della perdita di produttività. Da ultimo, deve evidenziarsi come l'indennizzo copra certi tipi di lesione, riguardanti ad esempio la milza, che certamente non influiscono sulla capacità lavorativa22; mentre, per altro verso, le tabelle percentuali, calcolate molti decenni addietro per il lavoro degli operai agricoli e industriali, sono rimaste eguali per tutti i lavoratori, indipendentemente dall'attività in concreto svolta, specie considerando che nella tutela Inail rientrano oggi anche impiegati, dirigenti, custodi, insegnanti, ballerini e tersicorei, ecc., per i quali è difficile ipotizzare una riduzione della capacità lavorativa negli stessi termini valevoli per i tradizionali assicurati (ed inoltre lo sviluppo dell'automazione comporta profonde diversificazioni anche nella stessa categoria del lavoratori manuali).

Tali rilievi forniscono un fondamento obiettivo all'affermazione secondo la quale i cospicui indennizzi dell'Inail andrebbero al di là di quella parte di danno alla salute che investe l'attitudine al lavoro, per interessare quanto meno un diverso profilo dello stesso. Non sarebbe il primo caso in cui il diritto infortunistico avrebbe anticipato istituti e soluzioni (si pensi al tema della pregiudizialità penale) che poi hanno trovato attuazione nella normativa comune. Il danno da infortunio sul lavoro è presunto "sub specie " biologica in conseguenza della lesione alla integrità fisica avulsa da ogni decremento retributivo, similmente a quanto, nel regime ordinario, avrebbe sancito circa un secolo dopo la Corte costituzionale con la teoria del "danno-evento". Non modifica i termini della questione la recente inversione di rotta della Corte stessa - autodefinita, però, una semplice più corretta lettura della precedente pronuncia - che circoscrive gli effetti della

21Il triplo della pensione sociale, aggiomato al 1995, ammonta a L. 18.798.000, mentre in minimi e massimi dell'art. 116 T.U. cit., riferiti però al 1994, sono rispettivamente di L. 17.597.000 e di L. 32.680.000 (D. M. 2 marzo 1994, in Gazz. Uff. 31 marzo 1994, n.75).

22BARNI (Verso una accezione, ecc., cit.) ricorda anche gli esiti di frattura della clavicola ben consolidata e senza limitazione funzionale del braccio.

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lesione alla sola prova (in re ipsa) del danno biologico, dovendosi dimostrare l'entità del medesimo, che rappresenta le conseguenze risarcibili23. La presunzione iuris et de iure degli esiti dannosi per il lavoratore comporta l'esercizio della rivalsa pubblica per la stessa voce di danno ove le suddette conseguenze siano ravvisabili anche sotto il profilo civilistico.

L'ipotesi di una tale estensione della copertura previdenziale ha trovato l'avallo - sebbene con valutazione non unanime, da essa dissociandosi tre dei ventiquattro componenti - della Commissione di esperti istituita dall'Inail per lo studio del danno biologico di origine professionale a seguito delle sentenze della Corte costituzionale del 1991. Nella propria relazione conclusiva24, la Commissione accoglie la definizione di danno biologico come "menomazione dell'integrità psico-fisica lesiva della salute in quanto attitudine a compiere qualsiasi attività realizzatrice della persona umana e, pertanto, comprensiva anche, ove sussista, del pregiudizio all'attitudine al lavoro". Osserva, poi, come la stessa Corte Costituzionale abbia confermato (sent. n. 356/1991) che “la copertura assicurativa non ha per oggetto esclusivamente il danno patrimoniale in senso stretto”e come l'Inail indennizzi “ogni permanente menomazione di ordine biologico che possieda, in misura essenziale, riverbero funzionale dislavorativo”, ma, “giacchè è lo stesso il patrimonio di efficienza fisiopsichica potenzialmente impiegabile per diversi fini (lavorativo e non)..., la valutazione della inabilità permanente, esperita in base ai criteri suindicati (cioè quelli particolari per gli infortuni sul lavoro previsti dal T U, n.d.r), risulta comprensiva della componente relativa

al pregiudizio dell'integrità psicofisica che non incide sull'attitudine al lavoro”.

Peraltro, tale convincimento - che la stessa Commssione accompagna alla consapevolezza della necessità di un'integrale rilettura della normativa attuale - deve confrontarsi, de iure condito, con due incontestabili punti fermi: il dato legislativo ed il (cogente) insegnamento della Corte Costituzionale.

Quanto al primo, il combinato disposto degli artt. 2 e 74 T.U. 1124/65 individua l'oggetto dell'assicurazione (esteso dall'art 131 anche alle malattie professionali) nel casi di infortunio da cui sia derivata (la morte o) una inabilità permente al lavoro, totale o parziale; da qui la riconduzione dell'indennizzo Inail alla sola sfera produttiva. In realtà, fra premessa e conclusione non sembra esservi stringente e irrinunciabile conseguenzialità: se per “oggetto dell'assicurazione” si intende il

23C. Cost. 27 ottobre 1994, n. 372 (in Giust. civ., 1994, I, 3029) in contrapposto alle sentenze della stessa Corte 14 luglio 1986 n, 184 e 17 febbraio 1994 n. 37: la contraddizione, però, a proposito del danno morale (che ricomprenderebbe anche quello alla salute per l'uccisione dei familiari) è innegabile. Sostenitori della sola configurabilità del danno-conseguenza sono, fra gli altri, BUSNELLI, Tre 'Punti csclamativi " e Danno biologico e danno alla salute, pag. 10 segg., Citt.; MASTROPAOLO, La nozione di danno biologico in Giust. civ., 1991, 11, 275.

24Pubblicata in Riv. inf. mal. prof., 1993, 1, 3 75.

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rischio o l'evento assicurato, il riferimento normativo al pregiudizio per l'attitudine lavorativa ben potrebbe essere inteso quale profilo qualificante ai meri fini della operatività della copertura previdenziale, senza farne derivare ipoteca alcuna sulla individuazione delle conseguenze dannose che l'indennizzo mira a ristorare.

Ma tale ipotesi interpretativa non sembra avere oggi serie possibilità di affemazione: e ciò non tanto per la sua opinabilità sotto il profilo logico o letterale, quanto per la sua incompatibilità con l'indirizzo impresso dalla Corte Costituzionale alla ricostruzione dei rapporti fra risarcimento civilistico del danno biologico e rendita Inail; indirizzo che - sul ritenuto e dichiarato presupposto della estraneità del danno biologico alla copertura assicurativa Inail e della modificabilità di tale scelta legislativa tramite pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme in cui essa si traduce (sent. 8 7/1991) - identifica nella riduzione della capacità lavorativa generica il limitato ed esclusivo ambito di sovrapposizione fra questi due momenti di ristoro della lesione da fatto illecito per causa o in occasione di lavoro.

D'altra parte, tale orientamento del giudice delle leggi si inquadra in un'ottica di valorizzazione, non solo della autonomia e personalità del danno biologico (che rappresenta un ulteriore e significativo passo avanti rispetto al livello indifferenziato della originaria costruzione), ma anche della natura indennitaria e della funzione pubblicistica dell'intervento previdenziale, basato su principi costituzionali di solidarietà e garanzia di soddisfacimento delle fondamentali esigenze di vita, invocati quale autonoma e sufficiente giustificazione della tutela differenziata riservata alle ipotesi di danni da lavoro, rispetto alla generalità dei casi di danno ingiusto. In un fenomeno molto diffuso e per certi versi analogo a quello considerato dal T.U. 1124/65, l'infortunistica da circolazione stradale, il legislatore ha provveduto ugualmente con l'assicurazione obbligatoria, accompagnata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada che riveste carattere squisitamente sociale. Ma, per il diverso rango giuridico della tutela accordata, il risarcimento del cittadino che subisce un comune incidente da rischio della circolazione non puo avvenire che nel quadro dei rimedi apprestati in generale dalle norme ordinarie, con riguardo alla semplice lesione della integrità fisica ed al fattore causale della colpa. L'infortunato sul lavoro ha invece una tutela rafforzata dalla previsione dell'art. 38 Cost., che si aggiunge all'art. 32.

Non a torto la Consulta invita a predisporre - come prima ricordato - una diversa garanzia “che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare” (sent.

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87/1991)25. L'originaria matrice privatistica dell'assicurazione infortuni, già ampiamente superata dal notevole sviluppo della tutela previdenziale nell'ultimo trentennio in attuazione dell'art. 38 Cost., assiste così ad un capovolgimento della sua logica originaria, intesa a risarcire i lavoratori per le conseguenze dannose dell'infortunio sul proprio lavoro (talora presunte, altre volte reali specie per effetto del cumulo successivo di menomazioni). Al danno “da lavoro ed influente sull'attitudine al lavoro” si aggiungerà, con il varo della riforma “prescritta” da C. Cost. 87/1991, il semplice "danno occasionato dal lavoro" da ristorare mediante i più favorevoli criteri del T.U.

(automatismo, irrilevanza del fattore causale) ma con gli stessi limiti della forfettizzazione e con parametri legislativi uniformi ispirati all'art. 32 Cost. (dato che l'art. 38 postula pur sempre un impedimento sul lavoro cagionato dall'infortunio). Ma è indubbio che, già ora, le provvidenze Inail, dopo l'ampio sviluppo della tutela pubblicistica in ossequio all'art. 38 Cost., anno in parte mantenuto la natura originaria e rivestono quindi il duplice carattere indennitario e risarcitorio. In quest'ottica vanno considerate le azioni di rivalsa dell'Ente pubblico26.

La rimeditazione dei rapporti fra indennizzo previdenziale e risarcimento civilistico e la integrale riconduzione del danno biologico all'interno della copertura assicurativa sono compiti inevitabilmente riservati ad un intervento legislativo che dovrà muoversi secondo le linee tracciate, ancora una volta, dalla Consulta, e quindi: conciliare le esigenze di integrale riparazione del danno con l'eliminazione di possibili, improprie duplicazioni risarcitorie (C. Cost. 134/71 e 184/86)27; contemperare equamente i vari interessi, pubblici e privati, fra di loro, nonchè con le disponibilità finanziarie, le esigenze di bilancio e le finalità di risanamento delle gestioni previdenziali (sentt.

128/1973, 160/1974, 180/1982, 173/1986, 221/89, 441/1989 e ord. 171/90); ricercare ed attuare la giusta misura della funzione indennitaria dell'intervento previdenziale ex art. 38 Cost. (sentt.

22/67, 87/91, 356/91, 71/93); consentire all'Inail il recupero delle prestazioni anticipate in luogo del responsabile, sul quale debbono ricadere in via definitiva (sent. 134/71).

25Sulle ragioni, anche di ordine costituzionale, che dovrebbero indirizzare l'auspicato intervento riformatore verso la copertura previdenziale anche del danno biologico - piuttosto che verso l'eliminazione dello stesso dall'ambito della tutela assicurativa sociale (con l'effetto di relegarne ogni chance di ristoro all'incerto funzionamento dei meccanismi risarcitori) - v. anche GIUBBONI, Il danno biologico del lavoratore tra responsabilità civile e tutela previdenziale, in Quaderni di diritti del lavoro e delle relazioni industriali. L'obbligazione di sicurezza, cit., pag.

198 e segg.

26Sulla diversità dei concetti giuridici di risarcimento e indennizzo, v. GIANNINI, Riflessioni sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 356 del 18 luglio 1991 in tema di esonero del datore di lavoro da responsabilità civile per gli infortuni e di surrogazione dell'assicuratore ex art. 1916 c.c. (in Resp. civ. prev., 1991, 695

27Timori di duplicazioni di voci risarcitorie, in caso di cumulo di danno biologico ed alla capacità lavorativa generica, erano già stati manifestati, fra gli altri, da BILE, Il danno risarcibile: problemi e prospettive, in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno (danno biologico, danno morale, danno alla vita di relazione), Trevi 30 giugno - I luglio 1989, Roma, 1990

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Nell'attesa dell'indicato, auspicabile intervento legislativo, non rimane all'interprete che prendere atto dell'attuale assetto del rapporti fra risarcimento civilistico del danno biologico e indennizzo Inail, come disegnato dagli interventi costituzionali, ed individuare, quindi, criteri e modalità - anche processuali - di quantificazione del danno alla capacità lavorativa generica, da applicarsi tanto in sede di rivalsa Inail quanto per la determinazione del cosiddetto "danno differenziale" (cioè del danno biologico residuo, di cui il lavoratore potrà chiedere direttamente il ristoro al datore o al terzo responsabili).

Per fornire una congrua risposta a tale interrogativo, s'impone la consapevolezza di due

"momenti" del procedimento logico da seguirsi: il primo attiene alla quantificazione dell'incidenza della menomazione sulla capacità di lavoro del danneggiato; il secondo consiste nel rapportare tale pregiudizio alla valutazione complessiva del danno biologico28. La prima operazione appare di natura schiettamente scientifica, in quanto si tratterà di valutare la diminuzione dell'attitudine al lavoro, che potrà essere pari o inferiore alla perdita di efficienza psicofisica, e potrà addirittura mancare laddove le caratteristiche della lesione siano tali da escludere influenza alcuna sulla validità lavorativa del danneggiato; l'ulteriore e complementare indagine comporta l'attribuzione di un valore percentuale alla capacità di lavoro rispetto alla valenza complessiva delle possibilità di realizzazione personale e sociale dell'individuo.

Se il primo profilo della ricerca attiene sicuramente alle competenze professionali del medico legale, il secondo abbraccia profili valutativi di non pura “tecnicità” e di indiscutibile complessità.

Si comprende, allora, l'atteggiamento sotteso a qualche pronuncia di merito che, da un lato, rivendica al giudice un tale compito e, dall'altro, prende atto della estrema difficoltà di dare spazio ad una indagine "caso per caso", che tenga conto della specifica incidenza della sfera lavorativa nella vita del singolo individuo, optando, quindi, per un criterio unitario fondato su altri parametri29.

28Ciò nell'ambito di una indagine - per la quantificazione complessiva del danno biologico - che, secondo Cass.

13 gennaio 1993, n. 357, cit., si articola sempre e comunque in due momenti: uno diretto all'accertamento della specifica lesione dell'organismo umano (l'evento biologico o danno biologico in senso stretto o danno alla salute nel suo aspetto “statico”); l'altro volto alla “specificazione giuridica” di tale lesione nella vicenda concreta, attraverso un “giudizio di sintesi che inquadri e pesi l'evento biologico... nel preciso contesto organico e, in proiezione, nel quadro delle funzioni vitali in cui questo si estrinseca e si realizza. Ed entrambi questi profili, secondo il giudice di legittimità, esigono motivazione in sentenza.

29Si veda, ad es., Trib. Milano, 19 marzo 1992 (in Resp. civ. prev., 1993, 174) che si riporta alla consueta ripartizione “temporale” delle energie psicofisiche fra impegno lavorativo ed altre attività realizzatrici, quantificando in non meno di un terzo - quota parte del giorno solitamente dedicata al lavoro - la percentuale del danno biologico riconducibile a lesione della capacità lavorativa.

Sul medesimo criterio temporale si fonda la più elaborata soluzione proposta da MASTROPAOLO, Il risarcimento del danno biologico e il problema della sua liquidazione, in Giornate di studio sul danno alla salute, Pisa 12 -13 maggio 1989, a cura di BASSI, LUCIANI e POLETTI, Padova, 1990, p. 21 e segg.: assunta a

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Non può escludersi, tuttavia, che un valido contributo per una valutazione maggiormente

"personalizzata”, possa derivare dall'apporto medico-legale, se correttamente indirizzato attraverso la formulazione di quesiti specifici e non esorbitanti dai limiti tecnico-scientifici della sua indagine.

parametro una giornata “attiva" di complessive 14 ore, otto delle quali normalmente dedicate al lavoro e le residue sei ad altre attività realizzatrici, l'autore propone di ripartire nella medesima proporzione il danno biologico complessivo, sì che il pregiudizio alla capacità lavorativa resterebbe quantificato il 4/7 dell'importo complessivamente liquidato a titolo di danno alla salute.

Per App. Genova, 1a Sez., 26 novembre 1993-27 giugno 1994 (Pres. Piccardo, Rel, Ferro, in causa First Italiana di Assicurazioni s.p.a. c. Inail e Abelchimica s.n.c., inedita) “la linea di demarcazione non può essere tracciata in base a rigorosi criteri precostituiti - che sarebbe vano ricercare - ma resta affidata alla sensibilità del giudice nell'apprezzamento specifico e comparato dei modi in cui il danno si manifesta o è destinato a incidere sulla vita del soggetto, in vista di un risultato che non può essere raggiunto se non in via di approssimazione tendenziale, che si sottrae a qualunque forma di verifíca diretta, e che in definitiva costituisce estrema e massima manifestazione di valutazione equitativa" (nell'ispecie la Corte, tenuto conto di tutte le circostanze del fatto e di tutti gli aspetti che caratterizzano le lesioni riportate dal danneggiato, opina di poter limitare alla metà del danno biologico riconosciuto dal Tribunale l'oggetto della surroga dell'lnail; non diversamente da quanto ritenuto, “Il difetto di elementi che inducano ad una diversa valutazione", da Trib. Torino, 18 novembre 1992, in Riv. inf. mal.

prof, 1993,11, 182 ss.).

Ricordiamo, poi, Pret. Parma 31 marzo 1992 (in Riv. it. dir. lav., 1992, 11, 780) che invece limita il danno biologico a quelle componenti (danno estetico, alla vita di relazione, ecc.) non riconducibilì alla capacità di lavoro generica, già risarcita dalle indennità liquidate dall'Inail.

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