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XXXIII 3. J. M. W. TURNER Joseph Mallord William Turner è il più grande pittore di paesaggio della prima metà dell'Ottocento; John Ruskin, suo fedele ammiratore, che gli aveva dedicato i cinque volumi di

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XXXIII

3. J. M. W. TURNER

Joseph Mallord William Turner è il più grande pittore di paesaggio della prima metà dell'Ottocento; John Ruskin, suo fedele ammiratore, che gli aveva dedicato i cinque volumi di Modern Painters, lo considerava un artista straordinario:

Sono stato presentato oggi all'uomo che senza dubbio è il più grande dell'epoca; il più grande per capacità di immaginazione e in ogni ramo della conoscenza scenografica; ad un tempo il pittore e il poeta del giorno, J. M. W. Turner. Tutti me lo avevano descritto rozzo, maleducato, di scarso intelletto, volgare. Sapevo che non era possibile. Ho trovato in lui un signore piuttosto eccentrico, di maniere fini, molto naturale, tipicamente inglese; una natura buona, ma un cattivo carattere, nemico di ogni inganno, pungente, forse un poco egoista, profondamente intellettuale; in lui la potenza della mente non si manifesta con compiacimento, con esibizione, ma brilla all'improvviso in una parola o in uno sguardo1.

Il paesaggio contraddistingue tutta la sua opera: lo studio dei grandi maestri lo accompagna lungo la carriera artistica, ma non si accontenta di filtrare il paesaggio che vede attraverso schemi precostituiti, mira a cogliere la natura con i propri occhi, a esprimere se stesso e a non cadere nell'imitazione, fino a giungere a un paesaggio che 1 J. RUSKIN, Praterita, in R. TASSI, L'atelier di Monet. Arte e natura: il paesaggio

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XXXIV non riproduce solo il dato naturale, ma anche la sua anima e la sua sensibilità. Egli riesce a fondere l'idealismo classico, la bellezza del pittoresco, studiata negli acquerelli di Cozens, e le emozioni e le passioni del sublime, teorizzato da Burke, in un paesaggio naturale che diverrà paesaggio della mente2.

Tutta la sua vita è «immersa […] nel gran gesto del dipingere»3, centinaia sono gli

schizzi, gli acquerelli, i dipinti a olio che partendo dal dato empirico, dall'osservazione diretta della natura, giungono in quella estrema regione della visione e della luce che altro non è che la disgregazione della coscienza. Le tempeste di mare, gli incendi, le piogge, le nebbie esprimono non solo lo sconvolgimento della natura ma anche l'inquietudine dell'animo umano. I grandi modelli della pittura di storia e di paesaggio, Nicolas Poussin, Claude Lorrain, Richard Wilson, giungono a frantumarsi nelle sue mani, gli elementi naturali che egli raccoglie negli schizzi si «dilatano», si modificano, si distorcono lentamente per immergersi in quel mondo interiore tipicamente romantico, in cui le forme divengono rappresentazione della psiche4.

Turner nasce il 23 aprile 1775 al numero 21 di Maiden Lane, Covent Garden, Londra; il padre è barbiere mentre la madre è una donna fragile, i cui squilibri mentali si acuiscono con la morte prematura della sorella nel 1779. Per questa difficile situazione Turner viene mandato a vivere da uno zio a Brentford e qui, lungo le rive del Tamigi, inizia a dipingere. Nel 1789 viene ammesso alla Royal Academy e comincia ufficialmente il suo percorso di formazione. La tenacia e la dedizione, oltre a un innato talento, lo portano a essere nominato nel 1802, all'età di soli ventisette anni, membro effettivo dell'Accademia. Nel periodo che intercorre a questa nomina conosce 2 Si veda S. GINZBURG, Turner, Mondadori, Milano 1990.

3 R. TASSI, L'atelier di Monet, cit., p. 28. 4 Cfr. ibidem, p. 26-30.

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XXXV importanti artisti e anche i suoi primi committenti.

Nel 1791 intraprende dei viaggi per la Gran Bretagna, che ripete quasi ogni anno. Durante queste escursioni osserva e cattura la natura che poi riproduce nei quadri. Nel 1794 conosce Thomas Monro e frequenta, assieme ad altri giovani artisti, la sua casa, dove studia a fondo gli acquerelli di Cozens, paziente del dottore. Nel 1802, con la pace di Amiens e la breve riconciliazione tra Francia e Inghilterra, Turner può lasciare la nazione e visitare la Francia e la Svizzera. Ha così la possibilità di studiare gli antichi maestri, in particolare Poussin e Lorrain, in alcune visite al Louvre e «di arricchire il proprio repertorio di studi sul paesaggio con le marine della Francia settentrionale e i monti della Savoia»5. Nel frattempo diviene padre, ha due figlie da Sarah Danby, che

non sposerà mai, ma non si conoscono molti particolare della sua vita personale, in quanto era un uomo schivo e riservato. Nel 1804 apre una propria galleria al 64 di Harley Street, dove può esporre e vendere i propri quadri senza l'intercessione dell'Accademia, e nel 1806 comincia il progetto del Liber Studiorum. Questo è una raccolta di composizioni paesaggistiche, nata sull'impronta del Liber Veritatis di Claude, in cui Turner identifica sei tipi differenti di paesaggio. Nel 1807 è eletto Professore di prospettiva alla Royal Academy, ma tiene la sua prima lezione solo nel 1811.

Negli anni successivi alla nomina dipinge una serie di quadri in cui è forte l'influsso del «maestro» prediletto, Claude Lorrain: Didone ed Enea (1814), Apulia in cerca di Appulo (1814), Il lago Averno: Enea e la Sibilla Cumana (1814-1815), Didone fonda Cartagine. L'ascesa dell'Impero cartaginese (1814), Il golfo di Baia, con Apollo e la Sibilla (esposto nel 1823) e numerose altre tele di impianto paesaggistico e di soggetto storico mitologico6. Nell'agosto del 1819 compie il primo viaggio in Italia toccando

5 F. VARALLO (a cura di), Turner, Rizzoli/Skira: Corriere della sera, Milano 2004, p. 31. 6 Per approfondire il repertorio artistico completo di Turner si veda J. M. W. TURNER,

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XXXVI Roma, Napoli, Venezia e altre città dello stivale che erano inserite nella «guida» di J. C. Eustace, A Classical Tour through Italy. Finalmente vede con i propri occhi i paesaggi che aveva osservato attraverso quelli di Lorrain, ma ciò che lo colpisce e a cui non era stato preparato dalle tele del maestro francese è la luce abbagliante del mezzogiorno italiano. Durante il soggiorno a Roma riempie i suoi quaderni di appunti, che rielabora una volta tornato in patria. La città incarna la storia e il mito, in cui passato e presente si fondono inestricabilmente, e il suo fascino gli offre ispirazione e materiale artistico per il suo lavoro. Si reca anche a Mergellina e di fronte alla tomba del sommo poeta latino prova un'emozione incredibile. Soggiorna persino a Venezia (nel 1819, nel 1833 e nel 1840) e a differenza di Roma, dipinta con grande attenzione e accuratezza, la città lagunare si fa sempre più indistinta e nebulosa7.

A Londra nel 1820 rielabora gli schizzi italiani e produce numerosi dipinti in cui la luce si fa protagonista principale e il giallo, il colore prediletto da Turner, domina sempre più le sue opere dopo la visita in Italia. Nel 1826 inizia un importante lavoro di incisione sulle vedute del paesaggio inglese e gallese, che dà origine a Picturesque Views in England and Walles. Nel 1828 tiene le ultime lezioni come professore alla Royal Academy e nel 1829 espone Ulisse schernisce Polifemo. Il dipinto suscita giudizi negativi vista la complessità della composizione e la «follia» del colore. Nel 1834 assiste all'incendio della Camera dei Lord ed esegue una serie di schizzi da cui ricava due dipinti che espone alla Royal Academy e alla British Institution. I critici si dividono in chi li apprezza e in chi li giudica in maniera negativa. Una testimonianza curiosa di un artista ci descrive il metodo di lavoro di Turner. Egli era solito terminare i suoi quadri durante i Varnishing Days, i giorni poco prima dell'apertura dell'esposizione in

BUTLIN, Rizzoli, Milano 1982 e 1983.

7 Si veda J. HAMILTON (a cura di), Turner e l'Italia. Ferrara, Palazzo dei Diamanti 16

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XXXVII cui i pittori potevano ritoccare i loro dipinti allo scopo di armonizzarli con quelli che gli stavano vicini. Quando giunse una delle tele sull'incendio della Camera, questa era solo uno schizzo, che Turner completò in un'intera giornata dei Varnishing Days. Questo permette di cogliere un aspetto importante del lavoro artistico del pittore: tra l'abbozzo e l'opera finita «intercorre un arco temporale, che attinge alla visione sedimentata nella memoria pronta a riaffiorare per tradursi in viva materia pittorica»8. Nel 1835 esce,

ambientato a Venezia, Giulietta e la balia; il dipinto riceve una pesante critica dal reverendo John Eagles e ciò persuade il giovane Ruskin a scrivere la difesa dell'artista, che porta alla creazione dei cinque volumi dei Modern Painters. Le critiche sul colore sollevate dal reverendo inducono Turner a riflettere a fondo sul problema della colorazione e della luce. Nel 1843 espone la coppia Ombra e tenebre. La scena del diluvio e Luce e colore (la teoria di Goethe). Il mattino dopo il Diluvio. Mosè scrive il libro della Genesi. Nel 1844 espone Pioggia, vapore e velocità. La grande ferrovia occidentale, un'opera importante sia dal punto di vista iconografico che formale.

Con il passare del tempo Turner si fa sempre più schivo, si ritira dalla scena londinese e prende il soprannome di Mr. Booth, essendosi accompagnato alla vedova Sophia Caroline Booth. I quadri che dipinge sono sempre meno e sempre più assorbiti dalla luce e dal colore. Nel 1845 le sue condizioni fisiche si aggravano e nel 1850, nell'ultimo sforzo creativo, dipinge una serie di quattro tele sul tema di Enea e Didone, in cui l'episodio classico si fonde in un vortice di luce. Nel 1851 si ammala gravemente e muore il 19 dicembre dello stesso anno.

Alla morte del pittore venne aperto il testamento: Turner offriva Didone fonda Cartagine, il suo capolavoro e la tela con cui, in un primo momento, avrebbe voluto essere avvolto alla morte, e Sole nascente nella foschia alla National Gallery, a patto che 8 F. VARALLO (a cura di), Turner, cit., p. 67.

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XXXVIII fossero esposti accanto a Il porto e Il mulino di Claude Lorrain; lasciava tutte le sue opere, il famoso Turner Bequest, allo stato e il suo patrimonio a un'istituzione filantropica che avrebbe aiutato i poveri artisti. Parte del testamento non fu rispettata9.

3.1. TURNER E L'ICONOGRAFIA VIRGILIANA

In generale il XIX secolo non amò molto Virgilio e la Rivoluzione francese scatenò una serie di eventi che non permise ai giovani artisti britannici di far visita a quei luoghi in cui aveva avuto origine la cultura latina e il suo maggior interprete per più di quindici anni. Essi, non potendo vedere con i propri occhi l'Italia, spostarono la loro attenzione sul proprio territorio, ricercando le suggestioni virgiliane vicino casa e accrescendo la passione romantica per la natura. Virgilio li colpì per la sua immaginazione e per la straordinaria eterogeneità della sua opera: era stato lo scrittore di uno dei più grandi poemi epici della tradizione classica che, nella distruzione di Troia e di Cartagine e nelle numerose battaglie per compiere il destino di Roma, permetteva nutriti paralleli con la storia contemporanea. L'abolizione dell'ancien régime, la perdita delle colonie inglesi in America, le guerre tra Francia e Inghilterra, la caduta di Napoleone, la crescente egemonia britannica venivano considerati in relazione al poema virgiliano. Tuttavia l'Eneide non era solo un'opera di guerra, ma anche un'intensa storia di passione, dolore e speranza, «a very human story of penetrating psychological insight, reaching into the heart and the unconscious mind»10. Inoltre il mondo contadino

e pastorale delle Bucoliche e delle Georgiche aveva ispirato il paesaggio settecentesco e 9 Si veda A. J. FINBERG, The Life of J. M. W. Turner, Clarendon Press, Oxford 1961, O. MESLAY, J. M. W. Turner. The Man Who Set Painting on Fire, Thames & Hudson, London 2013 e J. WALKER, Turner, Garzanti, Italia 1984.

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XXXIX aveva nutrito il concetto di pittoresco, ma nel XIX secolo la guerra e le sue conseguenze avevano gettato nuova luce su Virgilio, considerandolo non più solo come scrittore ma anche come uomo, sia impegnato nella vita pubblica del principato augusteo che schivo e riservato. I tempi e i gusti cambiavano, ma la varietà che caratterizzava il mantovano e il suo repertorio letterario riuscì a non farlo soccombere sotto il peso dei Greci, che emergevano come nuovi modelli rispetto ai Romani, e a farlo competere spalla spalla con Omero11.

3.1.1. VIRGILIO NEL PAESAGGIO TURNERIANO

Turner è considerato il più grande interprete della poesia e del paesaggio virgiliano in epoca romantica. Egli nutriva un profondo interesse per la letteratura classica, che accrebbe nel corso del suo lungo percorso artistico. Iniziò a esplorare l'antichità raffigurando un episodio tratto dall'Eneide e lo concluse sempre coinvolto nell'iconografia virgiliana. Dopo una lettura e uno studio attento dei principali conflitti che animavano le più importanti opere dell'epica classica, Iliade, Odissea ed Eneide, scelse di rappresentare quei momenti in cui gli individui erano impigliati nella rete del destino. I tipici eroismi dell'epica non catturarono la sua immaginazione, mentre quei personaggi colpiti, spesso sfavorevolmente, dalle imprese degli eroi animavano la sua mente e li relazionò frequentemente alla sua stessa vita.

«Studies for Pictures. Isleworth» e «Wey, Guil[d]ford», due album di schizzi riempiti di disegni e appunti tra il 1804 e il 1806, contengono gli studi iniziali del pittore sui temi dell'epica. Nel primo Turner si concentrò sull'Iliade, sull'Odissea, sulle

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XL Argonautiche e sull'Eneide; egli fece particolare attenzione alla trama e probabilmente pensò a un loro ulteriore sviluppo in tele importanti, considerato l'elaborato sviluppo delle scene abbozzate. Il secondo si focalizzava sulle opere di Omero e sul poema virgiliano e, nell'insieme, presentava un'eccellente coerenza narrativa, a tal punto da pensare che gli schizzi raccolti fossero stati eseguiti in un'unica sessione.

Le storie riprese dall'epica classica occupavano una posizione privilegiata nel complesso delle opere turneriane: il mito era capace di dar spiegazione alle forze della natura e il paesaggio di «far rivivere le ossa secche della vecchia mitologia»12. Inoltre la

materia epica era un soggetto utile per rimarcare i propri principi sull'arte e sulla vita, che gli permetteva di ricostruire l'iconografia della grande tradizione della pittura di storia all'interno del genere del paesaggio inglese contemporaneo e di relazionare l'elemento naturale alle esperienze degli esseri umani che lo abitavano13.

L'Eneide, e in particolar modo il IV Libro, affascinò Turner, divenendo un punto fermo del suo repertorio. Egli aveva letto il poema grazie alla traduzione di Dryden e da romantico si era appassionato sicuramente alle peregrinazioni dell'eroe e al conflitto tra le aspirazioni personali e il bene collettivo che percorreva tutta l'opera. Il tema epico era poi un soggetto perfetto da rappresentare nel paesaggio per riallacciarsi alle pitture di storia ed elevare il genere oltre la considerazione di semplice «mappatura». Inoltre gli avvenimenti narrati nel poema, il prosperare delle grandi civiltà di Troia, Cartagine e Roma e il loro successivo decadimento, lo affascinavano. Questa fascinazione si arricchiva di ulteriori significati in relazione alle vicende contemporanee: le guerre con Napoleone riverberavano le guerre tra Roma e Cartagine e creavano un'associazione tra l'Inghilterra e la città africana (già espressa da Eustace nella sua «guida») e tra la 12 K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscapes, cit., p. 274.

13 Si veda R. PAULSON, Literary Landscape: Turner and Constable, Yale University Press, New Haven and London 1982.

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XLI Francia e la città italiana, oltre a impreziosire i grandi avvenimenti storici dell'aura della leggenda; inoltre si misurava con la conosciuta e diffusa storia secondo cui i re britannici erano discesi da Bruto, nipote di Enea14.

Turner si interessò solo ad alcuni episodi che, come altri soggetti epici che aveva rappresentato, trattavano temi quali l'aspirazione e il sacrificio personale e l'amore genitoriale. Dipinse, in diversi momenti della sua carriera, undici tele ispirate all'Eneide: otto riguardavano la storia d'amore di Enea e Didone, mentre le altre tre curavano l'episodio dell'incontro tra l'eroe troiano e la Sibilla Cumana e ognuno occupava un posto privilegiato nella sua mente per l'associazione con Claude.

Il maestro francese era il modello prediletto dai giovani artisti ottocenteschi. Tagliati fuori dal continente a causa delle guerre con la Francia, i pittori britannici cercarono i soggetti da dipingere nelle vedute locali. Nel tentativo di dare peso storico e intellettuale a questa pratica, Claude divenne un importante esempio da seguire:

a new generation of British landscape painters looked increasingly to his pictures as examples of how a reverential study of nature might produce a model of painting that transcended the limits of its genre. […] the combination of natural detail and ethereal effect witnessed in Claude's paintings proved irresistible15.

Lo stesso Sir Joshua Reynolds, presidente della Royal Academy, instillava negli studenti, durante i suoi discorsi, un amore e un'ammirazione per il grande paesaggista francese. Egli non amava molto la pittura di paesaggio, la considerava un genere inferiore rispetto alla grande pittura di storia, poiché non trattava il soggetto principale dell'arte «alta» ovvero la condizione umana. I paesaggisti erano obbligati dalla scelta del

14 Cfr. G. FINLEY, Love and Duty: J. M. W. Turner and the Aeneas Legend, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 53 Bd., H. 3, 1990, pp. 376-377.

15 I. WARRELL, Turner Inspired in the Light of Claude, National Gallery Company, London 2012, p. 19.

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XLII soggetto a rappresentare ciò che vedevano e niente di più, quindi egli raccomandava ai pittori uno studio attento di Claude16, che «painted compositions in which buildings

from classical antiquity and mythological or historical scenes provide a foreground to a landscape whose atmosphere owes as much to reason as to feeling»17. Il francese era

stato capace di fondere immagini ideali con una natura estremamente vera, di esprimere sulla tela la sua visione del classicismo in cui si armonizzavano immaginazione, concetto e paesaggio, di rappresentare una natura «eletta» in cui si palesava, nonostante l'adesione al vero, quell'ideale di perfezione che giustificava l'idea secondo cui egli dipingeva la natura non come era, ma come avrebbe potuto essere, indipendentemente dalla storia e dallo scorrere del tempo18:

Sir Joshua Reynolds instilled in his students an admiration for Claude founded on a belief that the earlier painter's example offered a way of imbuing landscape art with the same kind of intellectual framework expected in the higher genre of history painting. According to Reynold's precepts, the idealised perfection achieved in Claude's scenes arose only partly from his direct observation of nature, and was more importantly indebted to his skilful selection and composition of «the various draughts which he had previously made from various beautiful scenes and prospects»19.

Turner amava veramente il grande pittore francese. Si racconta che di fronte a Il Porto dipinto da Claude, il giovane inglese fosse scoppiato a piangere, perché consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscito a dipingere niente che potesse essere all'altezza di quel quadro:

When Turner was very young he went to see Angerstein's pictures. Angerstein came into the room while the young painter was looking at the Sea Port by Claude, and spoke to him. Turner was awkward, agitated, and burst into tears. Mr. Angerstein enquired the 16 Cfr. E. SHANES, Turner, tr. it. di C. GUALTIERI, Orsa maggiore, Torriana 1989, pp. 8-10. 17 O. MESLAY, J. M. W. Turner, cit., p. 29.

18 Si veda AA. VV., Lo sguardo sulla natura. Luce e paesaggio da Lorrain a Turner, Silvana editoriale, Milano 2008.

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XLIII cause and pressed for an answer, when Turner said passionately, «Because I shall never be able to paint any thing like that picture»20.

Egli tentò comunque di emulare il lorenese secondo i dettami di Reynolds, rimanendo fedele agli «ingredienti» paesaggistici che caratterizzavano l'opera del maestro. Questi erano: la rappresentazione di una veduta topografica (anche se questo aspetto non era frequente nel francese), di un paesaggio pastorale con figure e greggi, di un panorama di una vallata attraversata da un fiume, di uno sfondo cittadino incorniciato dagli alberi, di scenari costieri e dei famosi soggetti portuali, oltre all'elemento unificate dei suoi paesaggi, la luce. Turner non si fermò però alla semplice emulazione, cercò di sorpassare il lorenese e di far mostra dei suoi interessi e delle sue abilità. Ciò che li distingueva era l'idea del naturalismo: per Claude esso era scrupolosamente perfetto, per Turner invece era molto più istintivo21. Il giovane pittore poneva inoltre uno scarto

temporale tra l'osservazione dell'evento naturale, registrato nei taccuini che portava sempre con sé, e la rappresentazione dello stesso sulla tela, che gli permetteva di rielaborare e ricostruire il ricordo e di arricchire l'atto creativo. Lo spazio di tempo che interponeva gli consentiva quindi di creare una nuova immagine che non era solo vista, ma anche rivissuta tramite la memoria22.

Nel 1795 Turner visitò la residenza degli Hoare a Stourhead con lo scopo non solo di studiare la collezione della famiglia, ma anche di vedere con i propri occhi il famoso giardino, il più grande tentativo di riprodurre in un'ambientazione naturale lo stile pittorico di Claude, arricchito dalle suggestioni letterarie virgiliane. La prima tela «virgiliana» che Turner dipinse era Enea e la Sibilla al lago Averno23 (fig. 48),

20 A. WILTON, Turner in his Time, Thames & Hudson, Malaysia 2013, p. 38. 21 Cfr. ibidem, pp. 26-30.

22 Cfr. F. VARALLO (a cura di), Turner, Rizzoli/Skira: Corriere della sera, Milano 2004, p. 42-46.

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XLIV commissionata nel 1798 da Richard Colt Hoare per Stourhead. Quest'ultimo aveva ereditato la proprietà nel 1783 dal nonno, Henry Hoare, il quale aveva dato origine a un bellissimo giardino di ispirazione virgiliana, che Horace Walpole definì «one of the most picturesque scenes in the world»24. Il progetto era stato ideato iconograficamente

dallo stesso Hoare, mentre gli aspetti «tecnici» erano stati curati dall'architetto Flitcroft. I primi edifici costruiti furono il Tempio dorico, la grotta e il lago artificiale: essi non avevano niente a che fare con il poema latino, erano semplicemente elementi tipici dei giardini dell'epoca. Dopo l'inaspettata morte del nipote, della figlia, della madre e della moglie e la nascita di un altro nipote, Hoare dette avvio alla fase virgiliana del giardino creando, tra il 1753 e il 1765, un viaggio visivo e topografico attraverso l'Eneide. Egli fece del giardino sia il proprio omaggio al mantovano, sia un tentativo di consolazione per le perdite subite attraverso la trasposizione del poema nella realtà fisica della tenuta e infine un luogo di celebrazione per la famiglia: come Enea era riuscito a portare in salvo la sua gente e a stabilirsi in Italia, così gli Hoare avevano trovato il proprio «paradiso» a Stourhead.

Il giardino prevedeva un percorso attorno al lago (fig. 49) in cui si ricreava pittoricamente e letteralmente l'Eneide. Dalla casa in stile palladiano il visitatore si avventurava nell'«Henry Hoare's Paradise» percorrendo un sentiero attorno al «lago Averno» che lo conduceva, come prima tappa, al Tempio di Flora (anche conosciuto come Tempio di Ceres, il sito da cui i troiani avevano abbandonato Troia (Libro II)) (fig. 50). Qui si leggeva l'iscrizione Procul o procul este, profani (VI Libro) pronunciata dalla Sibilla al momento di iniziare la discesa nell'Oltretomba. Il visitatore proseguiva il viaggio e giungeva alla grotta, dimora delle Ninfe, che recava l'iscrizione intus aquae

L'opera completa: 1793-1829, 1830-1851, cit.

24 G. SHAW DUCLOS, Henry Hoare's Virgilian Garden, in «Vergilius» (1959 -), XLII, 1996, p. 3.

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XLV dulces vivoque sedilia saxo (I Libro). Essa conteneva anche la statua del dio Tiberino (fig. 51), ulteriore rimando al poema, che nell'VIII Libro era apparso in sogno a Enea e gli aveva suggerito di ripercorrere il fiume e giungere al Palatino; inoltre il dito della statua indicava il sentiero da seguire per arrivare alla tappa successiva: il Pantheon, che dominava il paesaggio di Stourhead (fig. 52). Era stato pensato come Tempio di Ercole e doveva contenere la statua dell'eroe, egli era infatti nominato da Evandro nel VI Libro ed era una figura tanto importante per Roma da essere venerato come un dio, ma con l'inserimento di altre statue si optò per un nome diverso. Fiancheggiando una cascata che richiamava la descrizione virgiliana della valle d'Ansanto (VII Libro: «V'è un luogo in mezzo all'Italia […] la Valle dell'Ampsancto; oscuro di dense fronde lo serra da ambedue le parti il fianco d'un bosco, e nel mezzo un torrente strepita fragoroso tra i sassi e il risucchio dei gorghi»25) si arrivava al Tempio di Apollo (fig. 53), tappa finale

del viaggio. Qui si rendeva esplicitamente omaggio al dio del Sole, che aveva guidato Enea nel suo viaggio (III Libro) e che aveva successivamente protetto Augusto nella battaglia di Azio e nella reggenza sul mondo romano (VIII Libro)26.

Il percorso attraverso il giardino ripristinava il viaggio di Enea e della fondazione di Roma e presentava una duplice connotazione: una struttura fisica, che si proiettava davanti agli occhi del visitatore che lo percorreva, e una testuale, caratterizzata dalle allusioni e dalle iscrizioni che arricchivano di significato il luogo in cui erano inserite27.

Stourhead appariva quindi come un «quadro vivente» in cui si evocavano alcuni passi dell'Eneide, ma filtrati attraverso il paesaggio di Claude28, il cui dipinto Costa di Delo

25 VIRGILIO, Eneide, tr. it. di L. CANALI, Mondadori, Milano 1999, VII Libro, vv. 563-568. 26 Si veda ibidem.

27 Si veda J. TURNER, The Structure of Henry Hoare's Stourhead, in «Art Bulletin», LXI, 1979.

28 Si veda M. KELSALL, The Iconography of Stourhead, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XLVI, 1983.

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XLVI con Enea (fig. 54), di cui la famiglia possedevano una copia, aveva ispirato il progetto: esso raffigura Enea, Anchise, Ascanio e Anio, sacerdote di Delo, affacciati su una terrazza che sovrasta il porto della città. L'episodio era tratto dal III Libro e faceva parte di una serie di sei tele incentrate sulla storia del troiano. La disposizione degli edifici nel dipinto era identica a quella nel giardino: il Pantheon che fronteggia l'edificio colonnato dipinto dal lorenese era lo specchio esatto della collocazione del Pantheon e del Tempio di Flora nel paradiso degli Hoare; si creava così una connessione perfetta tra pittura e giardino29.

Turner trovò sicuramente, nel celebre giardino virgiliano di Stourhead, un ambiente in cui approfondire il suo studio del classicismo e degli Old Masters. Richard Hoare commissionò al giovane pittore un quadro sul lago Averno che potesse fare da pendant a Il lago di Nemi, o Speculum Dianae (fig. 55) di Richard Wilson, che già possedeva. L'episodio del pittore settecentesco era tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, ma Hoare desiderava avere un altro quadro sullo stesso soggetto che si confacesse all'iconografia virgiliana del giardino. Egli dette a Turner degli schizzi prettamente topografici sul luogo identificato come il lago Averno, che aveva realizzato durante il suo Grand Tour, tra il 1785 e il 1786, affinché potessero aiutare l'artista a sviluppare la scena. Turner scelse però di scostarsi dal lavoro topografico del mecenate e dipinse Enea e la Sibilla al lago Averno in un gesto di affiliazione con la pittura di paesaggio del XVII e XVIII secolo: la composizione è perfettamente bilanciata, Enea è al centro intento ad ascoltare le parole della Sibilla; ella tiene il ramo d'oro nella mano sinistra, offerta a Proserpina, mentre con la destra indica l'apertura che condurrà nel mondo sotterraneo, vicino all'eroe alcuni soldati troiani e le rovine di un castello, sullo sfondo il

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XLVII paesaggio dominato dal lago30.

Il quadro ricalcava in particolare l'esempio di Richard Wilson, considerato il padre fondatore della pittura di paesaggio britannica. Le sue vedute italiane ispirarono l'opera turneriana, che nella simmetria e nell'elaborata costruzione scenica riproduceva quella wilsoniana, a cui avrebbe fatto da pendant (anche se le dimensioni e la forma erano diverse): Turner offriva così allo spettatore la possibilità di recuperare il passato e rivivere un momento di pietà e valore attraverso l'interazione tra letteratura e paesaggio, caricando di significato il luogo in cui l'episodio virgiliano veniva ambientato:

[Richard Wilson] made a second contribution to the genre's viability by adopting the Claudean (and Grand Tour takers') practice of establishing the legendary or eponymous history of a place. For example, Wilson included figures of Diana and Callisto in views identifiable as Lake Nemi, a locale associated since Roman times with the goddess. Such landscapes reinforced a traveller's memories of a given setting and confirmed his or her learnedness, bringing the vignette – and antiquity to life, as it were. […]

In the finished painting Lake Avernus has become the locale where Aeneas encounters the Cumaean Sibyl. By incorporating an episode from Virgil's Aeneid, Turner offered the viewer a way to recoup the past and relive a moment of ancient piety and valor. In effect, the artist's imagination responded to the delicate interplay of landscape and literary associations that Henry Hoare had built into his Virgilian garden31.

Sfortunatamente Richard Hoare non apprezzò il dipinto, che rimase nelle mani dell'artista. Nel 1814 l'antiquario acquistò però una versione «aggiornata» del soggetto da Turner: Lago Averno: Enea e la Sibilla Cumana (fig. 56). Nella composizione la tela era simile alla precedente, ma risentiva maggiormente dell'influenza di Claude, soprattutto per la luce. Esso ricalcava in particolar modo il quadro Marina con Enea e la Sibilla Cumana (andato perduto) e presentava alcuni elementi aggiuntivi: la Sibilla è al centro con in mano il ramo d'oro, Enea è vicino a un altare in cui compaiono delle 30 Cfr. J. GAGE, Turner and Stourhead – the Making of a Classicist?, in «Art Quarterly»,

XXXVII, 1974, pp. 71-73.

31 K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscapes: Myth and Meaning, Princeton University Press, Princeton N. J. 1990, p. 15 e pp. 32 e 35.

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XLVIII figure, una di queste vestita con abiti orientali che Gage identifica come Crise, che sembra stiano svolgendo dei sacrifici; queste non riempiono solo lo spazio, ma alludono al fatto che Enea, prima di poter accedere all'Oltretomba, deve fare delle offerte agli dei. Sul sarcofago inoltre compare la figura di Cerbero; sempre secondo Gage questo crea un contrasto tra la luce (Crise era sacerdote di Apollo) e le tenebre dell'Ade, dove Enea dovrà presto discendere. Turner cercò di integrare l'evento e le figure nel paesaggio del lago Averno dopo un'attenta lettura dei versi virgiliani.

Virgilio offrì al pittore una fonte inesauribile di temi da sviluppare nel paesaggio e anche un legame con Claude, che aveva dipinto diverse tele ispirate alle opere del mantovano. Il maestro francese era infatti rimasto stregato dall'Eneide e aveva rappresentato, su sei tele, diversi episodi sui viaggi e le avventure del troiano. Turner condivise con il lorenese l'interesse per le storie dell'incontro tra Enea e la Sibilla Cumana e dell'amore con la regina cartaginese e inoltre realizzò una serie di schizzi su altri episodi. Questi disegni vennero realizzati da Turner lungo il Tamigi, zona prediletta dal pittore non solo a livello paesaggistico ma anche per le suggestioni letterarie che gli ispirava. Il Tamigi era l'equivalente della campagna romana per Claude, una sorta di Arcadia dove far rivivere e ricostruire la mitologia classica. Uno di questi schizzi abbozzava un episodio del VII Libro dell'Eneide, quando Ascanio, figlio di Enea, uccide con l'arco il cervo di Silvia e a causa di tale errore scoppia la guerra (fig. 57). Questo bozzetto si riallacciava direttamente all'olio di Claude, Paesaggio con Ascanio che uccide il cervo di Silvia (fig. 58), e per le caratteristiche generali a un'altra opera del lorenese, Costa della Libia con Enea a caccia. Altri soggetti sull'Eneide che lasciò irrealizzati riguardavano Enea e Evandro e la partenza di Enea per la guerra con Pallante, figlio del re degli Arcadi (VIII Libro), pensati come alternative per lo stesso

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XLIX bozzetto. Entrambi i soggetti non avevano precedenti nella storia della pittura e mostravano come a Turner non interessassero gli accesi eroismi dell'epica, quanto piuttosto quegli episodi in cui emergevano i conflitti della condizione umana. Nel primo soggetto Evandro, che, come Didone, aveva dovuto lasciare la propria patria e aveva fondato una nuova città sul Palatino, accoglie Enea e gli mostra la sua città, ulteriore rimando alla regina cartaginese (VIII Libro). Il secondo soggetto è più toccante: nell'Eneide Evandro, che invia Pallante a combattere al fianco di Enea, parla dell'amore genitoriale, ripetendo lo stesso discorso in maniera più commovente quando accoglie le spoglie del figlio avvolto nelle vesti che Didone aveva regalato all'eroe troiano, testimonianza del doppio dolore causato da quest'ultimo.

A questi schizzi appartengono anche i disegni preparatori (fig. 59) per Didone ed Enea (fig. 60), esposto nel 1814. Il disegno precedeva quello riguardante Ulisse e Nausicaa, a dimostrazione del fatto che il pittore era pienamente consapevole del rapporto tra i due episodi: Virgilio aveva infatti modellato la storia tra il troiano e la regina su quella dell'incontro tra l'astuto Ulisse e la giovane Nausicaa raccontato da Omero. L'attenta lettura dell'Eneide da parte di Turner si mostrava anche nel dipinto finito, in quanto egli aveva seguito alla lettera le indicazioni del poema per quanto riguarda il corteo, i costumi e le armature. Tali dettagli gli permisero anche varie allusioni: il gruppo centrale che accompagna la coppia reale, composto dai migliori cacciatori, ricorda, nella grazia femminea, Venere, che nel I Libro aveva assunto le sembianze di una giovane cacciatrice. Dal 1798 il regolamento dell'Accademia consentì inoltre agli artisti di inserire nel catalogo della mostra, accanto ai dipinti, citazioni poetiche. Turner aggiunse così al quadro una citazione dall'Eneide che alludeva al seguito della vicenda32:

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L

Enea e la sventurata Didone si preparano

a partire a caccia nella selva appena il sole di domani avrà sollevato l'alba e illuminato il mondo di raggi33.

L'inserimento dei versi permetteva ai pittori di comunicare qualcosa che altrimenti la pittura non avrebbe potuto esprimere. Secondo Turner l'interrelazione tra pittura e poesia era un processo di inestimabile valore, che dava la possibilità «di ampliare l'immaginazione dilatando le immagini in aree che la pittura non avrebbe potuto esplorare senza un apporto verbale»34.

La scena del dipinto è ambientata in un tranquillo paesaggio alla Claude, sullo sfondo un fiume e la città di Cartagine; sulla destra, in piedi su di un ponte, sono rappresentati Didone ed Enea, nel momento successivo alla visita della città e delle sue ricchezze (Libro IV), mentre al centro li attende la corte, pronta a celebrare i «Silvan Games» e a partire per la caccia, che porterà alla consumazione del loro amore. Turner decise di non rappresentare il momento «cruciale» della tempesta, soggetto che godeva di grande fortuna all'epoca, ma di alludere a essa solo attraverso le fronde incurvate degli alberi35.

Il paesaggio è insolito per la rappresentazione di una zona costiera come quella di Cartagine. L'ambiente dipinto ricorda le rive del Tamigi vicino Richmond, un luogo spesso associato con la poesia classica; Turner doveva sapere di questa associazione e quindi doveva aver pensato che potesse essere una zona perfetta per la scena. Alcuni critici hanno sostenuto che il pittore, come Virgilio (nell'Eneide si rintraccia una delle prime concettualizzazioni dell'Oriente come Altro)36, avesse ricostruito Cartagine come

un luogo fantastico per accontentare i gusti occidentali, tanto che Hazlitt considerò il 33 VIRGILIO, Eneide, cit., IV Libro, vv. 117-119.

34 E. SHANES, Turner, cit., p. 15.

35 G. FINLEY, Love and Duty, cit., pp. 379-380.

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LI paesaggio di Didone ed Enea né naturale (alla maniera dei pittori olandesi e fiamminghi del XVII secolo) né tanto meno classico (alla maniera di Claude e Poussin). Era proprio questa aura di mistero e di fascino, la collocazione geografica e la sua storia, che rendeva Cartagine così fascinosa agli occhi di Turner e dei suoi contemporanei. Inoltre l'artista costruì la scena in maniera del tutto diversa da Vista di Cartagine con Didone ed Enea di Claude (fig. 61): il francese dispose le figure e gli edifici seguendo le leggi prospettiche e di ordine, l'inglese invece li collocò in un mucchio colorato di forme e di case, torri, ponti, templi, a tal punto da costringerci a ricercare attentamente i protagonisti della vicenda37.

Nello stesso anno Turner realizzò un'altra tela su Enea e Didone: Didone fonda Cartagine. L'ascesa dell'impero cartaginese (fig. 62). Egli lo considerava il suo capolavoro e voleva essere sepolto avvolto in questa tela. Lo espose nel 1815 alla Royal Academy, ma non volle mai venderlo e alla fine lo lasciò alla National Gallery a patto che fosse esposto, assieme a Sole nascente nella foschia, accanto a Il porto con l'imbarco della regina di Saba di Claude (fig. 63).

Il dipinto raffigura la costruzione di Cartagine e la scena è divisa in due dal fiume che attraversa la città (un'ambientazione considerata più adatta per una zona costiera): dalla parte destra vediamo alcuni edifici che sono stati completati, vi domina il mausoleo dedicato a Sicheo, che reca il suo nome iscritto, dietro di esso un boschetto che si erge al centro di Cartagine, proprio come descrive Virgilio nel I Libro; qui tutto è statico e desertico. Dalla parte sinistra invece la città è ancora in costruzione e la regina, con il suo seguito di architetti, muratori, costruttori la sta progettando. Di fronte a Didone vi è Enea, vestito con un elmo e un mantello nero. Vicino al fiume ci sono dei fanciulli che

37 Cfr. K. DIAN KRIS, Dido versus the Pirates: Turner's Carthaginian Paintings and the

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LII giocano con delle barche, che sembrano rappresentare il futuro: saranno infatti la nuova generazione che solcherà il mare e fisserà il dominio di Cartagine; qui tutto è brulicante di vita, energia e speranze. Al centro della composizione domina il sole nascente, simbolo del sorgere della città.

Nel 1817 Turner espose il pendant a Didone fonda Cartagine del 1814: Il declino dell'impero cartaginese (fig. 64). Il titolo completo era Il declino dell'impero cartaginese – essendo Roma determinata alla disfatta della sua odiata rivale, voluta con tale potenza da ricorrere perfino alla guerra o alla rovina della nemica costringendola all'arrendevolezza: i cartaginesi, snervati dal desiderio di pace, acconsentirono a cedere le loro armi e i loro bambini, che il pittore allungò ulteriormente inserendo nel catalogo della Royal Academy versi tratti da Fallacies of Hope, il poema che lui stesso aveva scritto. La presenza dei versi, in questo come in altri quadri, sottolineava la funzione della letteratura sia come fonte che come commento dell'immagine raffigurata:

[…] Al sorriso ingannevole della Speranza la sicurezza del capitano e l'orgoglio della madre

erano abbandonati nella stretta dell'insidioso conquistatore; mentre sull'onda occidentale il sole insanguinato

sprigiona nella fitta bruma un segnale di tempesta

che rimane immobile, funesto38.

Temporalmente Turner rappresentò il momento tra la prima e la seconda guerra punica, quando i cartaginesi non avevano più la possibilità di fronteggiare i romani e gli offrirono come ostaggi più di trecento bambini, che popolano la scena assieme alle loro madri piangenti. Il declino di Cartagine è espresso non tanto dalle rovine della città

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LIII quanto dal sole che tramonta, che domina il centro della composizione, dagli oggetti cartaginesi sparsi in primo piano e da «feminization and slavery»39.

Ciò che accomunava i due quadri era ovviamente la storia di Didone ed Enea. Turner nutriva un profondo interesse per Didone e in generale per tutti quei personaggi su cui si ripercuotevano negativamente le azioni degli eroi (come nel caso di Medea). In Didone fonda Cartagine egli mostra una donna forte, coraggiosa, intelligente, capace di fondare una nuova città in terra straniera e di comandare saggiamente il suo popolo. Nonostante il quadro del 1817, in cui, per di più, non riusciamo a gioire delle vittorie dei romani, ma proviamo solo compassione per gli sconfitti, egli mantenne sempre un giudizio positivo nei suoi confronti, tanto da non raffigurarla mai come tragica suicida o come infelix Dido. Inoltre la storia dei due amanti veniva anche letta come la causa originaria dell'inimicizia tra Roma e Cartagine. Alla luce delle vicende contemporanee si creava quindi un parallelo tra Inghilterra e Francia: i francesi erano come i romani, distruttori di una civiltà meravigliosa, e l'impero britannico stava svanendo come era successo a Cartagine40.

Non solo Didone ma anche Enea aveva un ruolo di grande importanza per Turner. Il pittore amava il conflitto che egli dovette affrontare per compiere il suo destino e lo considerava specchio di se stesso: l'eroe troiano aveva ripudiato la sua donna per perseguire un compito più grande, aveva lasciato tutto per fondare Roma; anche l'artista non si era legato a nessuno per dedicarsi solo alla sua arte. Era devoto al padre e non alla divina madre come Turner; il pittore aveva infatti un rapporto profondo con il padre, il primo estimatore dei suoi quadri, mentre aveva sentito la mancanza e l'assenza della madre affetta da squilibri mentali. Il troiano era disceso negli inferi della 39 K. DIAN KRIZ, Dido versus the Pirates, cit., p. 124.

40 Cfr. K. KROEBER, Experience as History: Shelley's Venice, Turner's Carthage, in «ELH», XLI, 1974, p. 324.

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LIV terra per poter dare inizio al suo compito di eroe; l'iniziatrice di questo straziante percorso era stata la Sibilla Cumana, nel caso di Turner sua madre o anche Sarah Danby. Egli era veramente affascinato dalla leggenda di Enea e probabilmente anche dall'aura di profezia che la percorreva e proprio la lotta e i conflitti che animano la storia del troiano per compiere il suo destino era il fulcro centrale di tutti i dipinti che realizzò su di lui41.

Nel 1828 Turner considerò ancora Cartagine. Regolo e Didone che dirige l'equipaggiamento della flotta (fig. 65) hanno come ambientazione la città africana, ma solo il secondo è in relazione con la storia di Enea. Il dipinto era, in qualche modo, enigmatico: era stato commissionato da un certo Mr. Broadhurst, ma non lasciò mai l'atelier dell'artista. Sfortunatamente la tela è in pessime condizione, ma riusciamo a vedere raffigurato il grande porto cartaginese in espansione, quando il declino è ancora lontano. L'attività dell'equipaggiamento delle navi avviene talmente in lontananza da non attirare l'attenzione dello spettatore, mentre la luce irradia di splendore la città ancora feconda.

Nel 1834 Turner tornò sull'episodio con cui aveva aperto il suo studio dei classici e dipinse Il ramo d'oro (fig. 66), rimanendo fedele alle prime considerazioni in chiave classica di Enea. L'ambientazione è la stessa dei precedenti dipinti, il lago Averno fa nuovamente da paesaggio all'incontro di Enea con la Sibilla, ma in questo quadro Turner raffigurò la veggente da sola, con il ramo d'oro nella mano sinistra, mentre il serpente in primo piano, presente anche nel Golfo di Baia, è simbolo di paura o tentazione suscitata dal paesaggio. Al centro della composizione vi sono delle figure danzanti attorno a un fuoco.

Solo nel 1850 Turner tornò a considerare, per l'ultima volta, la storia di Didone 41 Cfr. J. LINDSAY, Turner. His Life and Work, Granada, London 1981, pp. 91-92.

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LV ed Enea. Nella serie dei quattro dipinti che realizzò si visualizzava un percorso che percorreva e riassumeva tutta l'Eneide, tracciando in progressione i temi della speranza e della seguente delusione, della partenza e della morte. Le tele erano: Enea narra la propria storia a Didone (andato perduto), Mercurio inviato a esortare Enea (fig. 67), Visita al sepolcro (fig. 68) e La partenza della flotta (fig. 69) e ognuna era accompagnata da versi da Fallacies of Hope, che spiegavano la trasformazione in atto. Esse erano probabilmente pensate come un unico gruppo nell'intento dell'artista di rappresentare una visione completa del mondo classico, dilatando il racconto su quattro scene diverse. I dipinti presentano la medesima composizione: le figure sono collocate in primo piano, in piedi, separate dal paesaggio che si presenta come un vortice luminoso che le risucchia non appena viene messo in scena il destino di Enea e di Didone (IV Libro).

Il dipinto andato perduto, attraverso le storie di Enea, preparava lo spettatore alla caduta di Didone. Gli amanti erano collocati sotto una tettoia sul ponte di una nave decorata. I due creavano un parallelo con un'altra famosa coppia: Cleopatra e Antonio (fig. 70), che Turner aveva disegnato in uno schizzo in «Studies for Pictures. Isleworth». Il quadro era accompagnato da versi che recitavano: «la fallace speranza si era mostrata sotto falce pallida di luna / Didone ascoltava Troia persa e vinta»42.

Mercurio inviato a esortare Enea raffigura Enea in piedi su una piattaforma con a fianco Cupido. La figura in primo piano con l'elmo e il mantello rosso potrebbe essere Mercurio, arrivato a esortare Enea a riprendere il suo viaggio e a compiere il suo destino: «Sotto la nebbia del mattino / Mercurio lo aspettava per ricordargli della flotta trascurata»43. Turner raffigura l'eroe in un momento di lotta personale: egli deve

42 K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscape, cit., p. 287. 43 Ibidem.

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LVI scegliere tra la felicità privata e il dovere, tra l'amore per Didone e il compimento del suo destino, il sogno cartaginese inizia a distruggersi44.

Visita al sepolcro raffigura un episodio che non è contenuto nell'Eneide; nel dipinto Turner presenta Didone in primo piano accanto al sepolcro del marito Sicheo, vicino a lei c'è Ascanio/Cupido con delle colombe blu e dietro Enea. Il pittore toccò un tema che lo aveva sempre affascinato: l'inganno e il tradimento associato all'amore. I versi che lo accompagnano recitano «il sole andava giù collerico a tale inganno»45 e,

assieme al dipinto, alludono alla negligenza di Didone sia nei confronti del marito, a cui aveva giurato fedeltà eterna, che del suo popolo, inoltre presagiscono il tradimento che ella stessa subirà quando Enea sceglierà di partire alle volte dell'Italia46.

La partenza della flotta raffigura Didone e le donne della sua corte che guardano Enea che, assieme alla flotta, sta lasciando il porto di Cartagine. I versi «La luna d'oriente splendeva sulla flotta in partenza, / Nemesi invocata, il sacerdote sollevò la coppa avvelenata» profetizzano il futuro: Nemesi assicura l'inimicizia tra Roma e Cartagine, mentre la coppa avvelenata allude alla morte della regina (anche se nel testo virgiliano lo strumento è diverso: ella si getta su una pira funebre in fiamme, dopo essersi pugnalata con la spada che apparteneva all'amato). Il dolore e la disperazione sono trasmessi dalla colorazione calda, dalle pennellate brusche e dalle figure incorporee che sembrano degli spettri47.

Egli dimostrò come diverse fonti (un poema epico, un motivo classico e il colore e le pennellate) potessero integrarsi in una nuova narrativa del paesaggio. Questi ultimi dipinti divengono visioni delle visioni: quelle di Claude, del paesaggio classico, del

44 Cfr. G. FINLEY, Love and Duty, cit., p. 385-386.

45 K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscape, cit., p. 287. 46 Cfr. G. FINLEY, Love and Duty, cit., p. 386-387.

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LVII paesaggio del XVIII secolo e delle prime considerazione sull'epica di Turner stesso. Non appena Didone accarezza la possibilità di creare un futuro con Enea, il mondo diviene la nebbia brillante presente in Mercurio inviato a esortare Enea, in cui ogni dettaglio si perde in un vortice luminoso. Sulla fallace speranze nutrita dalla regina incidono il destino e la realtà, il sogno che si è creata si infrange nella luce che assorbe il tutto. Questi ultimi dipinti sono il testamento del pittore: essi concludono perfettamente il lungo percorso turneriano dell'esplorazione dei poteri affettivi ed espressivi del paesaggio. Iniziato con Claude e i modelli della pittura paesaggistica sei e settecentesca, esso termina in un paesaggio non più naturale, in cui, in un vortice indistinto di luce nebulosa, si fondono passato e presente, sentimenti, esperienze, drammi ed eventi per giungere, in compagnia del sommo poeta latino Virgilio, in «quella estrema regione della luce e della vertigine»48 che altro non è che un paesaggio

della mente, in cui l'io diviene parte integrante del paesaggio rappresentato49.

3.2. OMERO E OVIDIO NELL'ICONOGRAFIA TURNERIANA

Se Virgilio era un punto fermo nel repertorio di Turner, Omero e soprattutto Ovidio non erano da meno. La letteratura dei grandi classici era una fonte inesauribile di ispirazione per il pittore, il quale traduceva i testi poetici in immagini visive in cui lo spettatore si immergeva come in un sogno a occhi aperti, anche se molti dei soggetti tratti dalle opere del poeta greco e, in particolar modo, dal poeta latino non furono trasposti in dipinti, ma rimasero annotati negli album di schizzi50.

48 R. TASSI, L'atelier di Monet, cit., p. 27.

49 Cfr. K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscape, cit., p. 285-291.

50 Si veda A. WILTON, Painting and Poetry: Turner's Verse Book and his Work of 1804-1812, Tate Gallery, London 1990.

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LVIII Omero fu, tra gli autori classici, quello che meno ispirò Turner. Egli non amava la violenza e le lotte che animavano l'Iliade, tanto che si focalizzò su quegli episodi che trattavano gli innocenti colpiti dalla guerra. Uno di questi, narrato nel I Libro, riguardava Crise, sacerdote di Apollo, a cui era stata rapita la figlia come bottino di guerra. Turner realizzò una serie di schizzi sulla vicenda. In «Studies for Pictures. Isleworth» abbozzò il ritorno di Criseide all'interno di un porto classico alla maniera della tela di Ulisse restituisce Criseide di Claude (fig. 71), concentrandosi sulla celebrazione pubblica. In «Wey, Guil[d]ford» si focalizzò invece sulla decisione finale che il sacerdote dovette prendere per ottenere il ritorno della figlia (fig. 72). Quest'ultimo schizzo dà origine all'acquerello del 1811 (fig. 73) dove, lungo una costa solitaria, Crise è inginocchiato a implorare il dio affinché, con i suoi poteri, punisca i Greci. Al dipinto il pittore incluse una citazione dal poema stesso:

Così disse, e il vecchio ebbe paura ed ubbidì alla parola; andò in silenzio lungo la riva del mare rumoreggiante, e in disparte rivolse molte preghiere

al dio Apollo, figlio di Leto dai bei capelli:

«Ascoltami, dio dell'arco d'argento, tu che proteggi Crisa e la sacra Cilla, e sei il signore di Tenedo, Sminteo, se mai t'ho eretto un tempio gradito, se mai ho bruciato in tuo onore cosce grasse di tori e di capre, tu compi questo mio desiderio:

i Greci paghino con le tue frecce il mio pianto»51.

Questa riguardava l'invocazione del sacerdote ad Apollo e la presenza del sole al centro della composizione rese, in termini naturali, la metafora: con la storia di Crise il pittore riuscì a incamerare perfettamente gli elementi del paesaggio come aspetti significativi della narrazione.

Anche l'Odissea ispirò l'immaginazione di Turner, specificamente l'episodio di

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LIX Ulisse e Nausicaa (VI Libro) e la fuga da Polifemo (IX Libro). Le due vicende erano in netto contrasto tra loro, mostrando le due facce dell'astuto eroe. Nella prima storia il pittore raffigurò Nausicaa e la sua corte impegnati nei preparativi per il matrimonio, mentre in «Wey, Guil[d]ford» abbozzò l'incontrò tra Nausicaa e Ulisse (fig. 74). Qui l'eroe è privato della gloria e si «umilia» pur di raggiungere il suo obiettivo, riuscire a tornare a casa.

Il secondo episodio raffigura invece Ulisse, fiero e forte, che deride il ciclope Polifemo. Il bozzetto non differisce molto dal dipinto esposto nel 1829 alla Royal Academy, Ulisse schernisce Polifemo – l'Odissea di Omero (fig. 75), e considerato da Ruskin «il quadro centrale della carriera di Turner»52. Il pittore aveva attentamente letto il poema e

aveva deciso di rappresentare il momento cruciale del IX Libro, quando Ulisse e i suoi compagni, dopo aver accecato il ciclope, fuggono dalla caverna. Sulla cima della montagna, con cui ne diviene un tutt'uno, sta il gigante cieco, mentre sulla barca si trova Ulisse che lo deride. L'albero maestro della nave mostra una bandiera in cui appare il nome del greco, mentre al di sotto un'altra bandiera celebra un precedente trionfo: la disfatta di Troia grazie all'inganno del cavallo, ideato proprio da Ulisse. Sulla prua della nave compaiono le fosforescenti Nereidi e quest'area di luminescenza dimostra gli interessi del pittore per qualsiasi fenomeno visivo. Nel cielo il sole infrange le tenebre del ciclope irradiando i suoi raggi, che sono «spezzati» dalla rossa pennellata dei fiammeggianti cavalli del carro del Sole. Il dipinto è una mostra di effetti: la trasparenza delle Nereidi, l'opacità del cielo fumoso, l'uso dei blu e dei lavanda contro i gialli e i rossi immergono lo spettatore nell'esperienza visiva del colore e dell'effetto atmosferico e il mito diviene «un'occasione per esibire [ancora di più] il prepotente scatenarsi della

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LX natura»53. Ruskin sostenne che questo dipinto fosse una dichiarazione quasi

autobiografica: il giovane scrittore spiegava che lo stesso Turner era stato imprigionato in una caverna abitata da ciclopi; lì erano morti molti dei suoi compagni e quando era giunta la sua ora, egli era riuscito a uscire dalla caverna sotto la pancia di una pecora e se ne era andato via in mare aperto. Certamente questa è la considerazione di Ruskin, ma non ci sono delle prova concrete per poter definire il dipinto una «dichiarazione autobiografica», instaurando così un parallelo tra Turner e Ulisse. Sicuramente nella tela il pittore aveva proiettato se stesso, sia come paesaggista che come «mitografo», aspetto questo che emergeva chiaramente quando lasciava spazio al suo immaginario, alla sua capacità di penetrazione nello spirito dei poemi letti e alla sua abilità a rapportare la natura alle emozioni umane che lui stesso interpretò e relazionò alla propria vita54.

Ovidio godeva già di grande fortuna nelle arti figurative: era un'eredità trasmessa dagli Old Masters ai pittori di paesaggio come Wilson, Thomas Jones e Jacob More. I giovani artisti recuperarono ancora e con nuovi significati i temi ovidiani e Turner non ne fu immune. Le Metamorfosi influenzarono moltissimo il pittore, sin dagli anni giovanili: il poema gli offriva l'equazione perfetta tra natura e uomo e gli permetteva di concentrarsi sulle sperimentazioni formali, poiché non aveva da revisionare il materiale o sviluppare la giusta ambientazione paesaggistica in cui ambientare la scena. Egli non era interessato, a differenza di molti suoi contemporanei, all'atto della metamorfosi in sé, ma partendo da un'attenta lettura del testo selezionò piuttosto quegli episodi in cui si affrontava il tema dell'amore e delle sue trappole, esplorandone le passioni e gli intrighi. Egli approfondì l'opera ovidiana in un gruppo di schizzi giovanili, in una collezione di disegni e acqueforti per il Liber Studiorum e in una serie di dipinti realizzati tra gli inizi

53 F. VARALLO (a cura di), Turner, cit., p. 120.

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LXI dell'Ottocento fino agli anni quaranta.

I primi soggetti di ispirazione ovidiana compaiono in «Studies for Pictures. Isleworth»: la storia di Mercurio e Argo (fig. 76), quella delle sorelle di Fetonte (fig. 77) e un appunto su possibili temi quali Latona e i pastori (VI Libro), Pan e Siringa e Salmace ed Ermafrodito (IV Libro) (fig. 78).

Nello schizzo sull'inganno di Mercurio ai danni di Argo il pittore disegnò una armonica scena claudiana in cui creò un rifugio boschivo che ricordava l'affascinante mondo delle Metamorfosi. L'episodio era ripreso dal I Libro e faceva riferimento a Io, che venne tramutata in giovenca da Giove per salvarla dall'ira di Giunone. La dea però, non fidandosi, la fece sorvegliare da Argo dai cento occhi. Il re degli dei allora incaricò Mercurio di addormentare il guardiano e poi di tagliargli la testa.

Agli elementi ovidiani Turner dette giusto risalto nel dipinto del 1836: Mercurio e Argo (fig. 79). Al centro della composizione scorre il ruscello presso cui si abbevera la giovenca Io, riconoscibile dal collarino rosso; dietro di essa Argo, incaricato di sorvegliarla, viene cullato dalla musica di Mercurio, trasformatosi in pastore. Il paesaggio nella disposizione degli elementi ricordava Paesaggio con Argo che controlla Io di Claude (fig. 80).

Lo schizzo sulle sorelle di Fetonte (I e II Libro) raffigura un aspetto della vicenda non comunemente affrontato. Richard Wilson, per esempio, aveva dipinto il momento in cui Fetonte implora Apollo affinché gli faccia guidare il suo carro; Turner invece aveva dato vita al momento meno conosciuto della storia, quando le sorelle piangono la morte del fratello caduto dal cielo. Egli disegnò semplicemente tre graziose figure di fronte a una tomba, senza nessun accenno paesaggistico.

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LXII trattavano l'amore. Partendo dalla suggestiva ambientazione naturale in cui il poeta aveva raffigurato le passioni umane, egli dette «sfogo» alla sua pessimistica visione delle relazioni tra uomo e donna:

The concentration of Ovidian themes that Turner treated or considered in the decade between 1804 and 1814 suggests that their insistent rehearsal of the antagonism between the sexes held a personal relevance for the artist, providing an oblique way to assess or confront his own otherwise guarded emotional life55.

Il pittore aveva avuto una duratura relazione con Sarah Danby, da cui erano nate due figlie, ma non la sposò mai ed estromise pure le tre donne dal testamento, mentre vi inserì una nipote della Danby, Hannah, che era divenuta sua governante, e successivamente anche Sophia Booth, con cui condivise gli ultimi anni di vita. La complicata situazione sentimentale ed emozionale del pittore potrebbe essere ravvisabile nella complicata condizione della madre, che fece sentire la sua assenza sin dall'infanzia del figlio: «Turner may have shifted allegiance from the women in his life to his art and the institution that promoted it»56.

Gli schizzi che riflettono il conflitto amoroso e che affrontano le conseguenze della brama, dello stupro e dell'incesto sono cinque. I primi tre riguardano linearmente la storia di Ercole (IX Libro), in cui l'artista si concentrò su quegli eventi che lo condussero alla disfatta finale a causa dell'amore. Il primo schizzo raffigura il momento in cui Ercole uccide Acheloo (fig. 81), pretendente alla mano di Deianira, che si era trasformato in toro (Ercole dalla sinistra m'affonda le mani nel collo e me, che infurio, trascina e mi segue e m'abbassa le dure corna e le figge nel suolo atterrandomi sopra l'arena)57. Il secondo schizzo, «Morte di Nesso» (fig. 82), raffigura il momento della

55 K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscapes, cit., p. 152. 56 Ibidem.

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LXIII vendetta di Ercole, quando egli prende la mira con l'arco e uccide Nesso, il rapitore della sua amata. Il terzo schizzo, «Morte di Lico [Lica]» (fig. 83), rappresenta l'episodio della morte dell'innocente servitore Lica, il quale aveva portato a Ercole il mantello di Nesso, inconsapevole del fatto che fosse avvelenato. In un gesto di estremo dolore l'eroe afferra il povero Lica, pronto a lanciarlo in aria.

Gli ultimi due schizzi affrontano due episodi in cui due donne divengono vittime d'amore: la storia di Driope e quella di Mirra (IX Libro). Il quarto schizzo (fig. 84) abbozza un'ambientazione in cui, tramite il gesto della raccolta dei fiori, si ricorda il tema della violenza sessuale: dopo essere stata violentata da Apollo, Driope si reca presso un laghetto con il figlio; ella raccoglie un fiore, inconsapevole del fatto che fosse la ninfa Loti, trasformatasi per sfuggire alla violenza di Priapo. L'ultimo schizzo, «Nascita di Adone» (fig. 85), raffigura Mirra allineata a un albero pronta a pagare per aver commesso incesto con il padre. Ella verrà tramutata in albero dalla cui corteccia nascerà il figlio58.

Nel Liber Studiorum Turner trattò altri episodi ovidiani che riguardavano coppie sfortunate che soffrivano per amore. Tra le composizione pubblicate inserì Cefalo e Procri, Esaco ed Esperia e il rapimento di Europa; tra quelle non pubblicate Glauco e Scilla, Pan e Siringa e Narciso ed Eco; inoltre annotò tra i possibili soggetti Piramo e Tisbe, Didone ed Enea ed Ero e Leandro. Ciò che colpisce di questi episodi è il fatto che gli elementi del paesaggio animano le storie e le arricchiscono di ulteriori significati: ancora una volta il paesaggio diviene ed è parte integrante della narrazione. Egli riprodusse le storie di Ovidio all'interno di un paesaggio reale, quello delle rive del Tamigi dove andava spesso a dipingere, in cui la natura diveniva complice degli intrighi amorosi che si venivano a consumare. In Pan e Siringa (fig. 86), ad esempio, la 58 Cfr. K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscapes, cit., p. 144-165.

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LXIV vegetazione ripete quello che avviene all'interno della vicenda: essa si infittisce non appena Pan si avvicina all'oggetto del desiderio. Lo stesso accade in Esaco ed Esperia (XI Libro) (fig. 87): il giovane Esaco invade il rifugio di Esperia come il raggio di sole che penetra tra la vegetazione. Anche nell'episodio di Glauco e Scilla (XIII Libro) è l'ambientazione che dà voce ai desideri opposti dei due protagonisti: ognuno è rappresentato nel proprio elemento, ma essi sono al tempo stesso uniti e separati dall'arco che crea l'acqua unendosi alla sabbia. In Cefalo e Procri (VII Libro) (fig. 88) il dramma della morte di Procri, colpita involontariamente dal marito, è ambientato al di fuori della vegetazione, in uno spiazzo deserto che permette allo spettatore di vedere il loro ultimo abbraccio. Nuovamente la natura è coprotagonista della storia: l'albero morente in primo piano sulla destra fa da eco alla vicenda, mentre sullo sfondo domina una rigogliosa vegetazione nell'opposizione tra vita e morte.

Per quanto riguarda i dipinti, il primo sui temi ovidiani è Narciso ed Eco (III Libro) (fig. 89) del 1804, in cui in un'ambientazione boschiva ha luogo l'episodio del bel giovane e della ninfa.

Nel 1811 Turner espose Mercurio ed Erse (II Libro) (fig. 90). Egli scelse di raffigurare, in un paesaggio alla Claude, l'unico momento della vicenda che si svolge all'aperto. Mercurio si era infatuato della bella Erse, che aveva visto durante una processione di vergini, e ciò aveva scatenato la gelosia della sorella Aglauro. Ovidio non aveva dato indicazioni precise sull'ambientazione della scena, aveva semplicemente specificato che aveva luogo da qualche parte tra Atene e la Munichia, così Turner lavorò per rendere una giusta ambientazione all'episodio. La disposizione verticale, gli alberi che incorniciano l'evento e i colori immergono lo spettatore in uno scenario fuori dal tempo. La processione delle vergini avviene al centro della composizione, mentre

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LXV Mercurio osserva la scena sulla destra; la ragazza sulla sinistra, assieme a un giovane, può essere identificata con Aglauro, che sarà trasformata in statua, mentre all'epilogo della vicenda l'artista potrebbe aver alluso attraverso le rovine.

Nel 1814 Turner espose Apulia in cerca di Appulo – vedi Ovidio: (fig. 91) esso era la copia quasi esatta del dipinto di Claude del 1647, Paesaggio con Giacobbe, Labano e le sue figlie59 (fig. 92). Il pittore si riallacciava alla grande tradizione del

paesaggio classico, di cui il francese era il suo modello prediletto, inserendo nella stessa ambientazione del lorenese un'altra vicenda. Nella traduzione delle Metamorfosi di Garth, posseduta dal pittore, il pastore apulo era chiamato Appulo, mentre sembra di Turner l'invenzione della moglie Apulia. L'episodio trae origini dal XIV Libro, in cui si racconta che Appulo aveva preso in giro le ninfe parodiando la loro danza; Turner raffigurò il momento in cui Apulia viene a sapere della trasformazione. Il dipinto è legato a un episodio particolare: l'artista lo aveva mandato alla British Institution per un concorso riservato ai giovani pittori sconosciuti. Il gesto era ovviamente di sfida, soprattutto rivolto ai principali sostenitori dell'istituzione e suoi oppositori. Egli fu accusato di aver copiato il dipinto di Claude, ma in realtà il concorso prevedeva la realizzazione di un dipinto che potesse fare da pendant a un quadro di Lorrain o di Poussin; quello di Turner fu sicuramente un atto provocatorio nei confronti di quelle istituzioni che consideravano la pittura di paesaggio un genere «inferiore».

Nel 1823 realizzò Il golfo di Baia, con Apollo e la Sibilla (fig. 93). L'episodio, tratto dal XIV Libro, narrava come la Sibilla, amata dal dio, gli avesse chiesto tanti anni di vita quanti i granelli di polvere compresi in una manciata di sabbia; egli gliela concesse e le avrebbe concesso anche l'eterna giovinezza in cambio del suo amore. Ella lo rifiutò e di lei rimase solo la voce, che riecheggiava nelle sue profezie. Il coniglietto e 59 Cfr. I. WARRELL, Turner Inspired in the Light of Claude, cit., p. 19.

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LXVI il serpente in primo piano sono simboli allegorici di Venere e del male latente. Secondo Lindsay, il dipinto appartiene al gruppo di Enea e la Sibilla, tanto che Enea/Apollo e Didone/Sibilla sono intercambiabili: in entrambi gli episodi la speranza viene delusa dal «tradimento»60.

Nel 1828 espose La visione di Medea (fig. 94), accompagnata da versi da Fallacies of Hope:

O Medea, che in un'ondata di stregoneria

Aveva attirato il drago, guadagnato l'amore di Giasone, Aveva riempito la ciotola incantata con la vita di Esone, Eppure la scaraventò a terra, e innalzò il serpente velenoso Alto nel livido cielo per avvolgere la spira omicida, Infuriare nella speranza distrutta, si allontanò

E nel palazzo infiammato la sua prole gemella gettò61.

La tela era stata ispirata da diverse fonti: le Metamorfosi di Ovidio (VII Libro), la Medea di Seneca e un'opera di J. S. Mayr, Medea in Corinto. Turner raffigura Medea mentre sta preparando l'incantesimo per ringiovanire il padre di Giasone; l'ambientazione è la stessa di Venere e Adone, ma questa volta è divenuta un luogo di stregoneria, in cui i putti danzano assieme ai serpenti. In cielo i due figli di Medea, che la strega getta giù dal carro per punire Giasone che l'aveva tradita. In primo piano tre fanciulle che rappresentano i fati; sopra di loro delle bolle che escono dalla pozione: esse sottolineano la fugacità e la fragilità dell'amore e delle speranze62.

Tra gli anni trenta e quaranta dell'Ottocento Turner realizzò una serie di olii in cui mostrava l'alto grado di proiezione immaginativa a cui era giunto con lo studio attento e profondo del poema.

In Bacco e Arianna (VIII Libro) (fig. 95), esposto nel 1840, Turner raffigurò il 60 Cfr. J. LINDSAY, Turner, cit., p. 192.

61 K. NICHOLSON, Turner's Classical Landscapes, cit., p. 274. 62 Cfr. ibidem, p. 274-276.

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