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Il settore e la struttura aziendale – pag.12 2.1. Il settore della moda e del lusso 2. Il settore e la struttura aziendale

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2. Il settore e la struttura aziendale

Per poter raggiungere gli obiettivi prefissati, è stato fondamentale sviluppare un quadro generale dell’ambito della tesi. Il settore della moda presenta delle peculiarità che lo differenziano dagli altri, e che è stato necessario analizzare.

In particolare si sono dovute capire le modalità di gestione e produzione, e le tipologie di rapporti sviluppati con i fornitori. Le caratteristiche più rilevanti sono risultate proprio la stagionalità della produzione, legata ai cicli della moda, e il forte legame con la supply chain, dove risiede il vero know-how .

Gucci, che rappresenta un’azienda leader del settore, presenta poi delle caratteristiche ancora più accentuate, legate all’importanza data al Made in Italy e, quindi, a tutta la rete di fornitori presente sul territorio, in particolare in Toscana.

L’analisi di questi rapporti permette di capire quanto fondamentale sia curare la comprensione dei principi di Responsabilità Sociale in tutta la catena di fornitura, che rappresenta, al pari dell’azienda stessa, l’anima del prodotto e della sua immagine.

2.1. Il settore della moda e del lusso

Il settore della moda e del lusso rappresenta uno dei più importanti campi di eccellenza del made in Italy, il cui peso sulla nostra economia è pari a pochi altri ambiti produttivi.

L’oggetto di attività dell’industria della moda, ovvero un prodotto ad alto contenuto creativo, rende le imprese uniche per la necessaria compresenza al loro interno di quella che è stata definita una doppia anima:

 emozionale, costituita da stilisti e creativi,

 razionale, rappresentata da manager che in essa lavorano ed affiancano l’attività dei primi.

La moda, infatti, è un insieme di intuito, estro e creatività, ma anche management ed organizzazione. Si tratta, dunque, di componenti apparentemente discordanti ma che devono convivere al fine di raggiungere l’obiettivo ultimo del successo dell’impresa.

Si presenta, quindi, la necessità di un compendio tra esigenze diverse: i creativi sono costretti ad adeguarsi alle esigenze poste dai vincoli di bilancio, senza che ciò sminuisca però il loro estro e la loro capacità innovativa e gli amministratori devono anch’essi adattarsi al particolare contesto in cui operano e alle esigenze, talvolta inusuali, degli stilisti dalla cui attività dipende, in gran parte, il successo delle imprese di moda.

Si capisce come sia fondamentale che il management di queste aziende cerchi di coniugare ed amalgamare le diverse istanze presenti al suo interno e che non sono

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esclusivamente amministrativo-gestionali: il management della creatività non si deve limitare a mantenere le competenze creative esistenti, ma ne deve favorire l’ampliamento e l’arricchimento continuo.

Da quanto osservato si capisce come il prodotto moda abbia caratteristiche proprie e sia, dunque, di difficile collocazione all’interno dei tradizionali schemi economici e produttivi.

Il prodotto di moda ha caratteristiche di temporaneità e brevità; le mode sono per natura passeggere, destinate a rinnovarsi nel corso di una stagione, e questo è uno degli aspetti più rilevanti che condizionano la vita delle imprese del settore.

La stagionalità di queste attività, se, da una parte, le rende di difficile interpretazione, dall’altra costituisce uno dei fattori fondamentali del loro successo: il continuo rinnovarsi di anno in anno, di stagione in stagione, offre sempre una nuova platea di potenziali clienti. Ciò si traduce in un notevole vantaggio anche per i nuovi entranti perché, dal momento che sorgono nuove mode continuamente, tutti, in teoria, possono concorrere a dettarne una nuova e, quindi, a giocare un ruolo nelle collezioni di quella stagione.

2.2. Le imprese dell’alta moda e del lusso

Occorre ora restringere il campo d’osservazione, focalizzandolo non sull’intero settore moda, ma solo sulle imprese dell’alta moda e del lusso.

Una rappresentazione delle varie categorie relative al settore moda può essere data dal seguente modello:

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Dalla figura emerge la ripartizione per fasce che caratterizza il settore dei prodotti di moda. Si può così individuare un livello basso (mass market) caratterizzato da oggetti di prezzo modesto e di contenuto stilistico semplice: sono prodotti basici e meno differenziati. Si tratta dei prodotti comunemente acquistati dalla maggior parte dei consumatori interessati a spendere cifre ridotte e che non sono attratti dal capo particolare ed esclusivo. Nell’ambito della fascia bassa si distinguono generalmente due segmenti: better caratterizzato dalle linee più economiche dei marchi industriali e moderate caratterizzato dalle linee delle marche commerciali, nonché dai prodotti unbranded.

Il secondo step è caratterizzato dai prodotti di fascia media (bridge), ovvero prodotti che racchiudono un certo contenuto stilistico ma che presentano ancora prezzi accessibili alla maggior parte delle persone; si tratta di beni realizzati per giovani o comunque per persone attratte da un certo contenuto stilistico ma che non richiedono al prodotto eccezionalità ed unicità. Questo segmento di mercato ha origine nei department store presenti sul segmento americano e nasce come ponte tra i prodotti di fascia bassa e le prime e seconde linee dei designer. Il successo di questa categoria non deriva tanto dallo stile del prodotto quanto dalla capacità di servire le novità al mercato in tempi ridotti.

Il terzo livello è invece costituito dalla fascia medio-alta (diffusion), che si rivolge ad una cerchia ristretta di persone benestanti, con una certa disponibilità economica; si tratta, per lo più, di consumatori interessati alla qualità e disposti anche a spendere cifre consistenti. I prodotti che rientrano in questa fascia possono essere sia beni ad elevato contenuto stilistico, per i quali il prezzo è giustificato proprio dall’innovazione e dalla moda, nonché prodotti più classici, dal contenuto tradizionale, ma caratterizzati da un elevato livello qualitativo. La fascia medio-alta comprende le seconde e le terze linee degli stilisti (D&G, Emporio Armani, etc.). Si tratta, per lo più, di linee giovani realizzate dagli stessi stilisti che disegnano le prime linee ed indirizzate ad un pubblico giovane, disposto a spendere ma che ricerca un prodotto nuovo, di moda ma comunque sempre accessibile ed indossabile.

Infine, la quarta fascia, caratterizzata dall’alta moda, che comprende prodotti a cui difficilmente possono essere applicate le categorie definitorie generalmente utilizzate. Si tratta, infatti, di prodotti unici ad elevatissimo contenuto stilistico; sono beni che talora non vengono neanche acquistati per la loro effettiva utilità ma per le sensazioni che suscitano, e perché generano un senso di appartenenza a classi elitarie in chi le indossa.

Occorre a questo punto fare una precisazione, dando una definizione più precisa dei concetti di alta moda e di lusso, e delle differenze tra loro. Entrambi sono caratterizzati da unicità, esclusività ed eccellenza, ma si riferiscono ad ambiti differenti. L’alta moda infatti si riferisce esclusivamente all’abbigliamento, mentre il lusso ha un’ottica più ampia, che comprende al suo interno comparti come l’abbigliamento, le

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calzature, l’orologeria, gli occhiali e la gioielleria. Si può parlare di prodotti di lusso anche per altri settori non strettamente legati alla sfera personale come la nautica, il settore automobilistico e quello alberghiero.

Il concetto di lusso si sta continuamente evolvendo nel corso degli anni. Ora non è più, come in passato, soltanto qualcosa di costoso e necessariamente ostentato, ma è in qualche modo legato ad un’elevata qualità della vita.

Un bene di lusso, infatti, deve essere di estrema qualità e deve rappresentare un’esperienza unica per il consumatore. Oggi il concetto del lusso non è sparito, ma si possono individuare al suo interno due filoni differenti, in base alla tipologia di clienti a cui i prodotti sono diretti.

Esiste così una forma di lusso eccessivo ed ostentato al quale si rivolgono i consumatori per i quali il prodotto deve essere prezioso ed appariscente, si tratta di un lusso ostentato che deve rappresentare il loro successo sociale.

L’altro filone è rappresentato da una clientela interessata ad un bene che sia unico e, quindi, di lusso non in quanto caro ma in quanto raro, che richiede esperienze e conoscenze scarsamente diffuse ed in estinzione e che conduce ad un’esperienza unica ed esclusiva.

Si possono individuare tre livelli distinti di lusso: inaccessibile, intermedio ed accessibile.

Il primo costituisce il grado più elevato, detto anche “super lusso”; a questa categoria appartengono prodotti realizzati in pochissimi esemplari e dal prezzo elevatissimo. Le imprese in questo segmento sono per lo più di derivazione di maisons basate sul talento artistico del loro fondatore oppure imprese operanti nel campo dei gioielli di lusso.

Alla seconda categoria appartengono prodotti non più personalizzati ma realizzati comunque in numero limitato e distribuiti attraverso canali di vendita ben selezionati. Si tratta di oggetti che talvolta, per marca e stile, si rifanno a quelli appartenenti alla categoria del lusso inaccessibile ma che, pur mantenendo caratteri di originalità, hanno prezzi più contenuti. In questo segmento di mercato le strategie di comunicazione e di marketing sono rilevanti, a differenza, invece, di quanto avviene per i prodotti del lusso inaccessibile che spesso vivono della loro stessa esclusività e per i quali politiche in tal senso sono molto ridotte.

Al lusso accessibile appartengono, infine, i prodotti realizzati su larga scala, accessori facenti capo a marchi appartenenti alle prime due categorie ma che sono venduti a prezzi più convenienti. Si tratta di oggetti destinati a consumatori molto sensibili alla marca ma che, non volendo o non potendo spendere cifre ingenti, sono comunque disposti a pagare un plus per avere un profumo o un accessorio di moda. In questo campo le politiche di marketing sono ancora più importanti nel creare

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un’immagine del prodotto diversa da quella dell’impresa concorrente, visto che le differenze qualitative sono, per lo più, modeste.

La collocazione dei prodotti all’interno delle tre categorie può essere la seguente:

Fig.2 – Le categorie del Lusso

In generale le peculiarità dell’oggetto di lusso possono essere rappresentate in questo modo:

Fig.3 – Peculiarità dell’Oggetto di Lusso

2.3. Caratteristiche delle imprese operanti nel settore

2.3.1. Il sistema della subfornitura

In questo ambito produttivo, il ricorso a tale forma di outsourcing assume un peso essenziale per determinare il successo delle imprese che vi operano. Moltissime sono, infatti, le aziende che ricorrono alle produzioni ed alle lavorazioni per conto terzi; non vi è dubbio che tale pratica, diffusa da anni, ha assunto nel corso del tempo caratteristiche e finalità diverse. Se in passato, infatti, ha prevalso il concetto di subfornitura di capacità, oggi si può parlare piuttosto di subfornitura di specialità.

Con la prima espressione ci si riferisce ad una forma di contoterzismo utilizzata per far fronte a grandi quantità di prodotti, per lo più standardizzati. Tale soluzione, in parte ancora utilizzata in alcuni settori, ben si applica ad ipotesi di produzioni di massa,

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per le quali è conveniente ricorrere a terzi per la realizzazione di unità di prodotto che l’impresa non riesce, quantitativamente, a realizzare oppure che ritiene più conveniente effettuare presso terzi sostenendo così solo costi variabili e non anche quelli fissi derivanti da un eventuale ricorso all’acquisto di materiali ed impianti supplementari.

Se le soluzioni di questo tipo potevano adattarsi alle soluzioni standardizzate e di massa del passato oggi, con il sempre crescente ricorso alla specializzazione ed alla personalizzazione dei prodotti, la subfornitura di capacità sembra perdere appeal, almeno per le imprese dell’alta moda. Ciò non ha però significato il venir meno di soluzioni di contoterzismo, ma si può parlare piuttosto di forme diverse, di una subfornitura di specialità.

Con questa espressione si fa riferimento a forme di esternalizzazione realizzate con lo scopo non tanto di ottenere maggiori quantità di uno stesso prodotto, bensì prodotti che, per qualità e caratteristiche intrinseche, la società non sarebbe in grado di produrre. Beni che richiedono una manodopera altamente specializzata, frutto di un’esperienza decennale se non addirittura secolare. È a questo bacino di conoscenze, diffuse specialmente in alcune zone d’Italia, si pensi al Veneto, alla Toscana e ad alcune zone della Campania, che attingono la maggior parte delle imprese della moda, almeno per alcune loro fasi di lavorazione.

Non vi è dubbio che tale ricorso costituisca un fattore critico di successo rilevante per le aziende del settore, che si assicurano così produzioni di qualità a costi complessivamente ridotti e, soprattutto, un’elevata flessibilità del sistema.

I contratti di subfornitura, infatti, hanno generalmente breve durata e consentono alle imprese di assecondare gli andamenti del mercato, concentrando di volta in volta la produzione sui beni maggiormente vendibili.

Inoltre si possono ottenere altri vantaggi dal ricorso a contratti di subfornitura. In primo luogo si evita di assumere personale dipendente che potrebbe non essere necessario in tutti i periodi dell’anno; è noto, infatti, che l’attività di tali imprese è strettamente legata al susseguirsi delle collezioni e, quindi, delle stagioni.

Ai vantaggi in termini di flessibilità si deve aggiungere quello legato alla possibilità di ricorrere a manodopera altamente specializzata, non altrimenti reperibile. Spesso infatti i terzisti sono imprese a gestione familiare e di piccole dimensioni, e non sarebbero disposti a lavorare in azienda come dipendenti.

Ci sono due ulteriori aspetti da tenere in considerazione: il rischio di dipendenza dal fornitore e la qualità del prodotto. Questi costituiscono dei potenziali rischi per il ricorso alla subfornitura.

La forte dipendenza dai contoterzisti potrebbe generare una situazione in cui le imprese risultino in balia dei subfornitori, rischiando così di perdere molti dei vantaggi, tra cui quelli legati ai minori costi, e finendo per essere oggetto dei loro ricatti. Per questo motivo è opportuno, e per lo più così avviene, che la produzione non venga

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attribuita ad un solo contoterzista ma a più di uno, generando così concorrenza tra loro e, soprattutto, evitando all’impresa di trovarsi in gravi difficoltà qualora questo cessi l’attività o, comunque, il rapporto commerciale.

Il secondo aspetto, non meno rilevante, riguarda la qualità dei prodotti realizzati o, comunque, delle fasi di lavorazione effettuate fuori dall’impresa. Nonostante i contoterzisti siano altamente specializzati, ciò non garantisce le imprese da difetti di lavorazione. Per questa ragione l’impresa deve mantenere il controllo di qualità al suo interno, così da assicurarsi che i prodotti ricevuti rispettino tutti i requisiti richiesti. Allo stesso modo i subfornitori pretendono che vi siano dei controlli sulla qualità delle materie prime o dei prodotti che gli arrivano, per evitare successive contestazioni da parte dell’impresa cliente.

Si possono distinguere diversi modelli di subfornitura:

 Strutture a cascata;

 Modello unidirezionale;

 Modello bidirezionale;

 Modello multidirezionale.

La struttura a cascata è caratterizzata dal ricorso ad una serie di subfornitori, di vario livello (ovvero subfornitori dei subfornitori). È evidente che soluzioni di questo tipo sussistono prevalentemente nelle ipotesi di imprese di grandi dimensioni. Gli altri tre modelli individuati (unidirezionale, bidirezionale e multidirezionale) non prevedono casi di fornitura a cascata ma si caratterizzano per il maggior o minor interscambio di informazioni tra l’azienda ed i subfornitori, e viceversa, nonché tra i subfornitori stessi.

Il primo modello individua un rapporto di tipo unidirezionale nel senso che è l’azienda ad impartire le direttive al terzista che, sostanzialmente, esegue la produzione secondo le indicazioni fornitegli senza intervenire attivamente nelle decisioni e nelle scelte della società; negli altri due modelli il rapporto tra l’impresa ed il subfornitore è più stretto essendovi interscambio di informazioni e di suggerimenti sia in un senso che nell’altro e, nel caso che il modello sia multidirezionale, anche tra i diversi contoterzisti.

Il migliore modello di fornitura per il settore si ritiene sia quello bidirezionale o multidirezionale, eventualmente adeguato con strutture a cascata qualora se ne presenti la necessità. Dallo scambio comunicativo tra l’impresa e coloro che effettuano alcune lavorazioni l’impresa può trarre spunti interessanti, adottare soluzioni innovative ed anche economicamente più convenienti anche se il core business dell’attività legata alla realizzazione delle collezioni e dei modelli, così come quella del controllo qualità, deve necessariamente rimanere in azienda.

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Il concetto di collezione nel mondo della moda equivale sostanzialmente a quello delle linee di prodotti nella maggior parte delle imprese. La collezione è, infatti, costituita dall’insieme dei capi realizzati per una determinata stagione considerando la varietà dei prodotti, le varianti e le diverse occasioni d’uso.

In questo settore, però, le diverse linee sono fortemente influenzate dalla stagionalità: nel mondo della moda, almeno in quello europeo, esistono, infatti, per ogni anno due stagioni principali che sono l’autunno-inverno (A/I) e la primavera-estate (P/E). Per ognuna di esse deve essere ripresentata una nuova collezione costituita in parte da prodotti rinnovati ed in parte da prodotti continuativi secondo una diversa percentuale che varia in base alla fascia di settore in cui si colloca l’impresa.

La stagionalità influenza fortemente l’attività delle imprese del settore, e, di conseguenza, la loro stessa gestione: acquisti e vendite sono, infatti, concentrati nei due periodi dell’anno.

Con riferimento alle collezioni possono essere individuati tre fattori chiave, fondamentali per capire la natura di questo concetto e l’impatto che ha esso sulla complessità aziendale: questi sono l’ampiezza e la varietà, il grado di innovazione e la modalità di articolazione.

Fig.4 – Fattori chiave della collezione

La complessità del sistema comporta che in ogni periodo dell’anno si accavallino tre fasi che devono essere considerate contemporaneamente all’interno dell’impresa. Queste sono: una prima, di analisi dei risultati passati attraverso i consuntivi delle vendite, una seconda di monitoraggio dell’andamento della stagione corrente ed, infine, una terza di messa a punto della collezione della stagione seguente.

Il processo di sviluppo delle collezioni è quindi molto articolato e si svolge con ritmi frenetici, in quanto i tempi di presentazione delle collezioni non sono rinviabili. Per

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questo è opportuno che le varie aziende del settore siano consapevoli delle varie fasi che contraddistinguono il suddetto processo che, in linea di massima, sono:

 Definizione delle linee guida della collezione;

 Definizione del piano di collezione;

 Sviluppo esecutivo della collezione.

La prima fase non può prescindere dall’analisi delle vendite della passata stagione, supportata dalle conoscenze e dall’esperienza sviluppata dal marketing. Quest’area, infatti, essendo a contatto diretto con i clienti, siano essi clienti trade che consumatori finali, ha conoscenza non solo dell’andamento delle vendite ma anche delle esigenze, delle aspettative e del grado di attenzione della clientela. In questa fase si devono definire i segmenti di clientela a cui si rivolgono i prodotti, i canali ed i mercati geografici di sbocco nonché l’identità stilistica del prodotto.

La seconda fase va più nel dettaglio, passando dalla definizione della missione della collezione alla sua pianificazione e programmazione. Si tratta, infatti, di procedere ad una definizione più precisa della qualità e della quantità dell’offerta della collezione tenendo in considerazione le diverse occasioni d’uso ed il grado di innovazione stilistica.

Infine, la terza fase è quella operativa di realizzazione dei prodotti. Si tratta di un momento caotico e concitato nel quali si producono i primi prototipi ed i campionario per presentarlo al commerciale oltre che alla rete di vendita.

2.3.3. Le strategie delle imprese: crescita, diversificazione e

rifocalizzazione

Volendo entrare nell’analisi delle scelte di crescita e diversificazione adottate dalle imprese del sistema moda è necessario considerare l’evoluzione del settore avvenuta negli ultimi anni, sia a livello nazionale che a livello mondiale. Alle strategie di crescita incondizionata che hanno caratterizzato gli ultimi anni novanta hanno fatto seguito, a partire dal duemila, nuove scelte strategiche volte al consolidamento della crescita realizzata nel decennio precedente nonché alla rifocalizzazione sul core business delle imprese.

L’importanza della crescita delle vendite del decennio passato è testimoniata dall’incremento dei volumi d’affari del settore, passati dai settanta miliardi di euro del 1994 ai centotrenta miliardi di euro del 2001.

La dinamicità del settore è evidenziata anche da un altro indicatore: il numero di operazioni di fusione ed acquisizione; sono state complessivamente 658 le operazioni che hanno interessato imprese operanti nel settore tra il 1997 ed il 2002.

Tale crescita è strettamente legata ad una fase fortemente espansiva dell’economia mondiale e soprattutto del mercato borsistico; la crescita esponenziale ha

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determinato un notevole aumento di ricchezza, soprattutto tra le persone più vicine al settore della borsa e della finanza, ma in parte anche tra i piccoli investitori.

Questo fatto ha permesso ad un numero maggiore di persone di avvicinarsi al mondo dell’alta moda e del lusso; ciò ha, senza dubbio, determinato una crescita sostanziosa dei volumi complessivi di fatturato ed ha spinto le imprese del settore a seguire la via della crescita dimensionale entrando in molti ambiti produttivi, più o meno vicini al core business iniziale.

Alle società si è presentata l’esigenza di investire le ingenti disponibilità finanziarie a loro disposizione. Le strategie adottate sono state di varia natura ma possono essere di due tipologie: la crescita interna e la crescita esterna.

Alcune imprese hanno deciso, così, di crescere attraverso un potenziamento interno dell’azienda; la via prescelta è stata quella di una diversificazione all’interno dello stesso marchio. Tale soluzione di diversificazione correlata è stata per lo più preferita proprio per il maggior sfruttamento dei denominatori comuni e delle sinergie tra prodotti vecchi e nuovi.

Infatti, molte imprese hanno voluto puntare sulla forza del loro marchio e sul potere di questo di creare affezione e senso di appartenenza nella clientela; per tale motivo si è deciso di usare il marchio come strumento evocativo di un determinato stile di vita.

L’altra via seguita, che non necessariamente esclude la prima, è stata quella della crescita esterna attraverso l’acquisizione di aziende e marchi già presenti sul mercato. In questi casi si è trattato di una diversificazione multibrand con conseguente gestione di un determinato portafoglio di marchi.

Tale forma di crescita ha coinvolto molte imprese ed è stata la scelta prediletta da quelle imprese bisognose di effettuare ingenti investimenti per impiegare le proprie disponibilità. Indubbiamente questa modalità si presenta molto più rapida della prima ma può comportare anche alcune difficoltà.

Un primo problema da non sottovalutare è il mantenimento dell’identità del marchio; la percezione di questo da parte della clientela e la perfetta identificazione dell’azienda con il medesimo è fondamentale per il successo. Nell’ipotesi in cui l’azienda passi in breve tempo da impresa monobrand, come è inevitabile nelle sue prime fasi di vita perché possa imporsi nel mercato, ad impresa multibrand, è fondamentale che gli altri marchi rispettino a pieno l’identità del marchio principale oppure ne vengano tenuti completamente distinti in modo che non si generi nel consumatore un senso di disorientamento.

Il secondo problema riguarda la difficoltà di integrazione tra realtà diverse, soprattutto quando non viene acquisito solo il marchio ma l’intera azienda. In tale contesto, prima di effettuare l’operazione deve essere valutata attentamente la complementarietà dei marchi non solo in termini di identità di immagine ma anche in

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termini di complementarietà economica ed organizzativa. Si deve, infatti, tenere in considerazione che i marchi acquisiti sono spesso da rilanciare e che, dunque, comportano all’azienda acquirente non solo un onere al momento dell’acquisto ma un notevole aggravio di bilancio negli esercizi successivi in termini di debiti da rimborsare, oneri finanziari da pagare oltre che forti investimenti pubblicitari per il rilancio.

Alcune imprese dell’alta moda hanno deciso di andare verso forme di diversificazione più spinte, andando oltre i settori tradizionali e spostandosi verso il settore alberghiero, della nautica e dell’arredamento.

La spinta verso tali forme di diversificazione è dovuta alla volontà di sfruttare al massimo l’identità dell’impresa di proporre uno stile che vada oltre il modo di vestire ma che coinvolga a pieno l’intero lifestyle; anche in questo settore però la diversificazione si viene a realizzare attraverso modalità diverse. Vi sono, infatti, imprese che si spingono nei nuovi settori portando con sé il loro marchio quale garanzia di successo e segno distintivo di un certo stile ed altre, invece, che diversificano senza utilizzare il marchio storico ma infondendo nelle strutture alberghiere o nelle imbarcazioni il gusto e la classe che contraddistingue da sempre il marchio come se vi fosse da sempre un legame sotto traccia che però non si vuole svelare troppo.

Se la fase della crescita e delle acquisizioni ha contraddistinto gli anni novanta, con l’esplosione della bolla speculativa a partire dal 2001 si è dovuto procedere con un ridimensionamento dei consumi.

Alla tumultuosa crescita degli anni novanta è così seguita una fase di debolezza dell’intero settore, che ha portato ad un sostanziale stallo del mercato e ad una riduzione del fatturato complessivo fino al 2004, anno che sembra aver costituito un punto di svolta verso una nuova fase espansiva.

La fase di stallo ha portato le aziende, che avevano alle spalle le consistenti espansioni debitorie degli anni novanta, a non poter disporre dei flussi positivi di reddito dei marchi acquisiti ed ancora in fase di rilancio. Questi fatti stanno portando le imprese verso una sostanziale rifocalizzazione delle attività e della loro produzione; non sempre si tratta di un ritorno all’origine ma, comunque, si valuta l’importanza di puntare sul marchio principale dell’azienda evitando inutili dispersioni.

2.4. Il caso specifico: Gucci

Dopo aver fatto una panoramica dell’intero settore, ora si passa ad analizzare l’ambito specifico di svolgimento della presente tesi. Per prima cosa è necessaria una presentazione storica dell’azienda e del suo prestigioso marchio, che negli anni ha acquisito sempre più valore, fino a diventare uno dei più importanti al mondo, per poi analizzare la situazione attuale.

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2.4.1. Storia

Fig.5 – Il Marchio Gucci

L’azienda Gucci è fondata nel 1921 da Guccio Gucci (1881-1953). Figlio di un fabbricante di paglie fiorentino, si trasferisce giovanissimo prima a Parigi e poi a Londra dove, lavorando come “liftboy” al Savoy Hotel, assorbe il gusto del bello e la raffinatezza della nobiltà inglese che poi porterà in Italia. Al suo ritorno a Firenze apre un piccolo negozio ed un laboratorio di articoli da viaggio e selleria in via della Vigna. Cinque anni dopo produce, in un suo stabilimento artigianale ancora situato sul Lungarno Gucciardini, borse, valigie ed articoli sportivi.

Nell’arco di pochi anni gode di un successo tale da attrarre clientela internazionale specializzata. I primi successi della griffe sono perciò legati ai complementi per l’equitazione: molto presto, infatti, i motivi del morso e della staffa diventano l’emblema della casa fiorentina.

Le vendite diventano tali da spingere Gucci fuori dai confini della sua città natale. Nel 1938 approda a Roma con un negozio in via Condotti. Nei difficili anni dell'autarchia, la fantasia fa fronte alla carenza di materie prime con l'introduzione di materiali come canapa, lino, juta e il celebre bambù, meno costosi dei consueti pellami e tali da alimentare l'originalità della griffe.

Nel 1939, il passaggio da ditta individuale a società anonima segna l’ingresso ufficiale nell’attività dei quattro figli Aldo, Vasco, Ugo e Rodolfo.

Gli anni cinquanta rappresentano un momento altrettanto importante per la vita dell’azienda che, avendo già una dimensione europea, decide di radicarsi in maniera più stabile oltreoceano aprendo il primo punto vendita a New York sulla 58° strada. Si affermano intanto quei prodotti destinati a divenire delle vere e proprie icone dello stile e

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dell’eleganza del marchio Gucci: la prima borsa con il manico in bambù (1947), il mocassino con il morsetto28 (1952-1953), la cosiddetta “Jackie O”29 in onore di Jacqueline Kennedy Onassis, il foulard Flora creato per Grace Kelly (1967). Sono gli anni in cui l'azienda decide di usare il logo GG, a indicare le iniziali del fondatore, come motivo ornamentale per una stoffa in tela di cotone, chiamata GG Canvas, con cui realizzare borse, piccola pelletteria, valigeria, oggettistica e i primi capi di abbigliamento.

Il processo di internazionalizzazione prosegue negli anni sessanta con l’apertura dei negozi di Londra (1961), Palm Beach (1961), Parigi (1963) e Beverly Hills (1968). Gucci comincia a sviluppare così una presenza globale come simbolo del lusso moderno.

Negli anni Settanta l’azienda sviluppa maggiormente la capacità produttiva aprendo il nuovo stabilimento di Scandicci, a Firenze, che consente un’espansione diretta anche nei mercati dell’estremo Oriente. Si aprono infatti depositi ad Hong Kong e Tokyo. L’azienda aumenta e differenzia la produzione effettuando ricerche su nuovi materiali e metodi innovativi di progettazione.

Nel 1982 l’azienda si trasforma in società per azioni: la sua guida, dopo un periodo difficile sotto il profilo delle scelte strategiche, passa a Maurizio Gucci, figlio di Rodolfo.

Nel 1989 la finanziaria anglo-araba Investcorp acquista il 50% delle azioni sino ad acquisire l’intero pacchetto dell’azienda nel 1993. A gestire il rilancio della griffe sono Domenico De Sole, che viene nominato CEO di Gucci Group, e Tom Ford, stilista di origine statunitense, che viene nominato nel 1994 direttore creativo dell’intera produzione. Egli ridisegna l'identità della griffe e, grazie ad un mix di classico e moderno, di tradizione e innovazione, il nuovo stile della casa fiorentina conquista il mondo.

Tramite un attento processo di attualizzazione dei codici stilistici, che avevano determinato i successi del passato, viene realizzata una strategia di riposizionamento del brand che si dimostra vincente confermando il marchio Gucci leader nel settore della pelletteria e degli accessori, puntando anche sulle collezioni di abbigliamento uomo-donna che raccolgono subito grande successo di critica e di pubblico.

Negli anni ’95 e ’96, Gucci diventa una vera e propria public company con il collocamento dell’intero capitale alla borsa di Amsterdam e di New York. Ciò rende, di fatto, l’azienda “scalabile” e, alla fine degli anni ’90, si registra un tentativo di inserirsi nella gestione dell’azienda da parte di B.Arnault, tramite LVMH, mediante il rastrellamento in borsa del 34,4% del capitale. A questa operazione si oppone il supervisory board della Gucci che, dopo l’adozione di un piano di azionariato per i dipendenti (col quale viene accordata loro un’opzione per l’acquisto di azioni Gucci pari alla quota detenuta da LVMH), sigla nel marzo 1999 un’alleanza strategica con il gruppo francese Pinault-Printemps-Redoute (PPR) per la creazione di un polo multibrand del lusso. È infatti nello stesso anno che Gucci è nominata “European Company of the Year”

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dalla federazione europea della stampa per le sue prestazioni economiche e finanziarie e per la visione strategica e la qualità dell’amministrazione.

Nel 1999 inizia così un processo di acquisizioni:

 Yves Saint Laurent Beauté (proprietaria dei profumi Van Cleef & Arpels, Oscar de la Renta, Roger & Gallet);

 Sergio Rossi (Gucci Group acquista il 70 per cento del Calzaturificio Sergio Rossi, marchio di calzature da donna di fascia alta, per un valore di 96 milioni di dollari. Il restante 30 per cento rimane alla famiglia Rossi);

 Boucheron (Gucci acquisisce la griffe storica della gioielleria e degli orologi, il cui giro d'affari è di circa 85 milioni di dollari);

 Bedat & Co. (Gucci acquisisce l'85 per cento della Bedat Co, società svizzera che opera nel settore degli orologi, nata nel '96 a Ginevra);

 Alexander Mc Queen (Il Gruppo sigla un accordo per sviluppare il marchio Alexander McQueen, che comporta l'acquisto del 51% del business. Alexander McQueen continua ad avere piena autonomia creativa);

 Bottega Veneta (azienda di pelletteria di lusso, con sede a Vicenza.);

 Stella Mc Cartney (Siglato un accordo per sviluppare, il brand focalizzato nel segmento femminile, abbigliamento e accessori. Il nuovo business è di proprietà sia di Stella McCartney sia del Gucci Group. Stella McCartney è direttore creativo della nuova azienda);

 Balenciaga (Gucci acquisita il 91 per cento di Balenciaga. Nicolas Ghesquière continua a essere il Direttore Creativo. Con questa operazione, Gucci Group ha accelerato lo sviluppo del brand, focalizzando le strategie nel segmento donna ready-to-wear, accessori e fragranze).

2.4.2. Gucci Group: la situazione attuale

Gli ultimi anni sono stati all’insegna di una crescita straordinaria per il gruppo, sempre con percentuali in doppia cifra.

Il Gucci Group ha chiuso il 2007 con un utile operativo di 730 milioni di euro, in aumento del 29,3% rispetto all’anno precedente. In totale il fatturato del gruppo, comprensivo quindi degli altri marchi Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, etc., ha raggiunto i 3,8 miliardi, con una redditività salita di tre punti percentuali (18,9%).

La sola griffe Gucci ha realizzato un utile operativo in aumento del 5,7% fino a 647 milioni, per un fatturato in aumento a dati costanti dell’11% fino a 2,1 miliardi. Il numero di negozi di proprietà è passato da 219 a 233, con l’obiettivo di un ulteriore aumento per il 2008.

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Gucci è il marchio italiano più importante al mondo (classifica Interbrand 2008), e complessivamente si classifica al quarantacinquesimo posto, con un valore di circa 6,4 miliardi di euro.

2.4.3 - Le scelte strategiche

I numeri appena visti rappresentano dei risultati di crescita straordinaria per un’azienda, che quindi richiedono un’analisi più approfondita. È necessario quindi capire quali sono le politiche e le scelte alla base di questo successo, che ha portato la Gucci ad essere una delle imprese principali sia a livello italiano che mondiale.

Negli ultimi quindici anni le scelte strategiche dell’azienda sono state legate al rilancio del marchio e al ritorno verso i valori che l’avevano caratterizzata nei primi anni di esistenza, ovvero concentrarsi sulle produzioni tradizionali del lusso, rispettando la centralità del core business di origine (quello degli accessori in pelle) e puntare ad un’immagine che sia capace di far corrispondere il brand Gucci ad un fattore di status sociale.

Naturalmente questo ritorno all’impostazione strategica tradizionale viene inserito in un concetto moderno di lusso, il che ha significato:

 Sfruttamento delle potenzialità del marchio, attraverso una diversificazione che eviti l’errore di indebolirne l’immagine;

 Internazionalizzazione strutturale;

 Impegno sulla comunicazione e distribuzione non inferiore a quello legato al prodotto.

La scelta della diversificazione produttiva segue sostanzialmente due percorsi. Il primo è quello di utilizzare il brand Gucci andando oltre il core business, tenendo comunque limitata e qualificata l’articolazione dei prodotti. L’obiettivo è quello di realizzare un mix virtuoso di sfruttamento del marchio, il che significa rinunciare alle licenze e aumentare il fatturato attraverso le produzioni tradizionali del lusso, controllate direttamente dall’impresa.

Il secondo e nuovo percorso è quello di acquistare altri marchi, corrispondenti a diverse nicchie di prodotti e consumatori, da potenziare utilizzando il know-how strategico maturato nell’esperienza Gucci. Questo significa, anche per i nuovi brand, superamento delle licenze, ampliamento degli investimenti in comunicazione, orientamento della distribuzione verso i canali a controllo diretto.

Quest’ultimo ha portato ad un notevole aumento del giro d’affari, attraverso l’acquisizione di tutti i marchi elencati nel paragrafo precedente.

Relativamente al brand Gucci si è invece avuto un notevole cambiamento delle sue componenti. Tra queste la pelletteria è l’elemento principale, che da solo rappresenta

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più della metà del fatturato, mentre tra gli altri si registra una crescita nel settore delle calzature. I dati relativi agli ultimi tre anni sono rappresentati nella seguente tabella:

Fig.6 – Vendite del Brand Gucci

Per quanto riguarda l’internazionalizzazione, l’obiettivo è quello di strutturarsi come sistema globale del lusso, con un’articolazione geografica e di prodotti, in grado di generare una presenza sufficiente per sostenere una competizione con i principali concorrenti mondiali. L’azione strategica, che si sovrappone all’obiettivo di diversificazione produttiva, si è concretizzata in un rafforzamento del brand Gucci, attraverso investimenti diretti nelle aree-obiettivo, e nell’acquisizione di marchi del lusso internazionalmente riconosciuti.

Si è registrata una forte crescita, oltre che a livello europeo, anche nel mercato statunitense ed in quello asiatico, con il Giappone in prima linea. Attualmente lo sviluppo maggiore si ha in Cina, dove sono stati aperti nuovi negozi e si hanno elevati tassi di crescita.

Internazionalizzazione e diversificazione produttiva: in ambedue le politiche si prevedono acquisizioni esterne, questo perché l’obiettivo centrale è quello di raggiungere in tempi più brevi una massa critica minima per diventare competitori globali del lusso e ottenere quelle sinergie nella produzione, nella distribuzione e nella comunicazione, fondamentali per abbattere i costi e ottimizzare la redditività.

Questa strategia di crescita esterna selettiva si concretizza a partire dal novembre 1999 con tre importanti acquisizioni: Yves Saint Laurent Beauté, Sergio Rossi e Boucheron. La prima detiene nel suo portafoglio i marchi moda Yves Saint Laurent e Roger & Gallet, e le licenze Van Cleef & Arpels, Oscar de la Renta, Fendi e Krizia per la profumeria. Sergio Rossi, acquistato per il 70% del capitale, rappresenta uno dei più importanti marchi delle calzature di lusso made in Italy. Infine, Boucheron è uno dei nomi più prestigiosi dell’alta gioielleria.

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Insieme alle altre acquisizioni avvenute in seguito, queste operazioni hanno fatto assumere al gruppo una filosofia multi marchio. Il risultato è stato una dimensione, articolazione di prodotti e di aree geografiche sufficiente per far diventare il gruppo Gucci un competitore globale nel settore del lusso.

Nella strategia di questo polo del lusso, distribuzione e comunicazione sono considerati fattori strategici alla pari della qualità e contenuto moda del prodotto. Per questa ragione sono stati realizzati per il brand Gucci, e previsti per i nuovi brand acquistati, ingenti investimenti di comunicazione è di riqualificazione della distribuzione. In particolare, si punta alla selezione della distribuzione indiretta e all’ampliamento della distribuzione diretta, in quanto considerata fattore di traino per una corretta comunicazione esterna.

Negli ultimi anni si è avuto un aumento esponenziale dei punti vendita. In particolare la priorità è stata data ai negozi a gestione diretta, che sono cresciuti fino ad arrivare ai 233 attuali, e sono diffusi in tutti i continenti.

Relativamente alla produzione sono state fatte scelte differenti, in base alla tipologia di prodotto. La produzione della pelletteria, ad esempio, viene fatta in outsourcing controllato. Il gruppo ha scelto, infatti, di non possedere fabbriche proprie, concentrandosi invece sul controllo della creazione del valore. Questo ha significato occuparsi direttamente del design, sviluppo prodotti, engineering, pianificazione della produzione, acquisto di semilavorati, componenti e logistica.

Il sistema è quello di una rete integrata dove la fornitura, in gran parte localizzata nella regione Toscana, è strutturalmente unita all’impresa. La scelta del territorio nasce perché in quell’area si concentrano le professionalità indispensabili per una produzione di pelletteria di elevata qualità.

Il modello di rete integrato prevede un gruppo ristretto di fornitori “partner” ed un altro più grande di fornitori “integrati”, che insieme costituiscono la prima cerchia di fornitori con un rapporto di esclusiva. A questi se ne aggiungono altri di seconda cerchia (accordi quadro, contratti base o occasionali/campionatura), oltre agli altri fornitori (concerie, accessori, materie prime complementari).

Per mantenere questo sistema ben saldo e capace di una risposta rapida, si è provveduto ad un collegamento della rete via Intranet e alla diffusione delle innovazioni di processo e di pianificazione della produzione. Inoltre per offrire anche maggiore sicurezza economica vengono garantiti contratti per tre anni e anticipato il fatturato ogni sei mesi.

Una scelta diametralmente opposta è stata fatta per l’orologeria, prodotto sul quale dal 1997 si è decisa una completa internalizzazione del ciclo, dalla produzione alla distribuzione. Per l’attuazione di questa strategia, nel 1997, sono state acquistate dalla Severin Montres tutte le attività Gucci orologi, per un valore di circa 170 milioni di dollari.

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Il controllo è stato affidato alla nuova società, con sede in Svizzera, Gucci Timepieces, diventata in questo modo leader mondiale nella produzione e distribuzione di orologeria.

Infine, per quanto riguarda gli altri principali prodotti che sono distribuiti con il marchio Gucci, occhiali, profumeria e oggettistica varia, è stata fatta una scelta ancora diversa, decidendo una combinazione tra una quota di produzione in decentramento controllato, e un’altra quota di esternalizzazione completa, dalla produzione alla distribuzione, attraverso il sistema delle licenze.

2.4.4. Gucci Logistica

L’ambito reale di svolgimento della tesi è stato presso la sede della Gucci Logistica S.p.A. che, come accennato prima, rappresenta il punto centrale per la gestione della Supply Chain in tutto il mondo.

La sua posizione è dovuta al fatto che in questa zona si concentra quasi tutta la produzione dell’azienda. Ciò permette di aumentare l’identità del marchio, nato dall’artigianato, e del know-how toscano.

All’interno del complesso è presente la struttura organizzativa e gestionale, suddivisa per ambito produttivo (Pelletteria, Gioielleria, Calzature ed altri brand). In particolare il presente lavoro fa riferimento al settore della Pelletteria.

Fig.7 – Gucci Logistica, sede di Scandicci

Inoltre all’interno della struttura della Pelletteria e delle Calzature sono presenti dei laboratori, che si occupano della produzione di campioni e di modelli mentre, come

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specificato in precedenza, l’intera produzione viene affidata all’esterno attraverso una ramificata catena di fornitura.

In questa sede sono presenti anche i magazzini per lo stoccaggio del materiale acquistato. Le materie prime vengono consegnate in magazzino, che poi provvede al loro smistamento verso i fornitori di prodotto finito, che si occuperanno della loro lavorazione, e lo stesso avviene per gli accessori che vengono acquistati.

Per quanto riguarda le materie prime complementari, ovvero quelle relative al packaging, la gestione è impostata diversamente. Infatti, nella quasi totalità dei casi, vengono consegnate direttamente a chi si occupa della realizzazione del prodotto finale, evitando, in questo modo, altri ulteriori costi di gestione del materiale.

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