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CAPITOLO 1 IL MITO DI PERSEO E ANDROMEDA

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CAPITOLO 1

IL MITO DI PERSEO E ANDROMEDA DALL’ANTICHITÀ AL MEDIOEVO

Di ritorno dall’impresa dell’uccisione di Medusa, Perseo è in volo sopra i territori dell’Etiopia quando vede una ragazza incatenata ad una scogliera a precipizio sul mare. Ne rimane subito affascinato e le va incontro; la interroga su quale sia il suo nome e sulle ragioni del suo incatenamento. La giovane inizialmente esita a rispondere, ma poi gli rivela che il suo nome è Andromeda, offerta come pasto a un mostro marino (ketos) per ripagare le Nereidi dall’offesa fatta loro dalla madre, Cassiopea, che aveva osato ritenersi più bella delle ninfe marine. A quel punto Perseo, vinto d’amore per lei, propone al padre della giovane, Cefeo, uno patto: salverà la figlia in cambio della sua mano; l’uomo accetta senza esitazione e così Perseo affronta ketos. Ucciso il mostro, Perseo libera la principessa dalle catene e i due giovani si dirigono a palazzo, dove vengono celebrate le nozze.

La saga di Perseo venne tramandata fin dai tempi antichi, prima in forma orale e poi in forma scritta. L’episodio specifico della liberazione di Andromeda risulta noto in letteratura già dal VI secolo a.C., forse giunto in Grecia dall’est durante il periodo

orientalizzante1, mentre una narrazione completa risale all’epoca classica, con i poeti

tragici: le prime tragedie a narrare la storia furono quelle di Sofocle, del 442 a.C., e di Euripide, del 412 a.C., a noi giunte solo in frammenti. In epoca romana l’episodio venne ripreso da diversi autori, in particolare da Apollodoro ed Ovidio, che riferiscono nel dettaglio l’intera saga di Perseo, dalla nascita dell’eroe alla genealogia cui diede vita

insieme ad Andromeda2.

Le versioni del mito narrate dalle fonti antiche differiscono in merito all’uso specifico di catene per tenere ferma la giovane principessa, elemento che condizionò la produzione artistica: nel V secolo a.C., in Euripide ed Aristofane, si dice che la principessa venne esposta come cibo a ridosso di una parete rocciosa, ma senza menzionare delle catene. Il primo riferimento diretto a catene risale al I secolo a.C., all’epoca di Properzio ed Ovidio; la tradizione potrebbe risalire ad un’epoca precedente, ma non è possibile sapere da quale fonte esattamente derivi, se greca o latina. Ad ogni modo, a partire dalla Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, Andromeda è saldamente incatenata alla roccia: «Therefore, sometime between the late fifth century and the first century B.C. the

1 Kyle M. Phillips, Perseus and Andromeda, in «American Journal of Archaeology», 72, n.1, 1968, p. 1. 2 Veronica Provenzale, Echi di propaganda imperiale in scene di coppia a Pompei: Enea e Didone, Marte e

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completely developed form of the myth evolved and Andromeda was moved from posts to the cliff itself»3.

Per quanto riguarda le rappresentazioni figurative, la storia dell’incontro tra Perseo e la principessa Andromeda sembra comparire in un momento successivo rispetto ad altre imprese dell’eroe: infatti se la lotta di Perseo con Medusa è noto nell’ambito figurativo fin dal VII secolo a.C., soprattutto nel campo della produzione vascolare, la prima testimonianza figurata della lotta con ketos e la liberazione di Andromeda risale alla metà del VI secolo a.C. Si tratta di un’anfora corinzia a figure nere, sulla quale è raffigurato l’eroe che lancia pietre ad un mostro di cui è rappresentata solo la testa; anche Andromeda partecipa allo scontro, fornendo all’eroe altre pietre. Perseo indossa i calzari alati e regge sul braccio destro la kibisis contenente la testa di Medusa; tutti i personaggi sono poi indicati da scritte (Fig. 1). Quest’anfora è tuttavia un unicum del periodo, poiché la figura di Andromeda scompare anche dal campo della pittura vascolare per riapparire solo nel

corso del V secolo a.C.4.

1.1 IL MITO NELLA PRODUZIONE VASCOLARE

A partire dal V secolo a.C. vennero realizzati molti vasi rappresentanti la liberazione di Andromeda, la cui iconografia non è univoca. Kyle Phillips ha suddiviso le

diverse testimonianze in gruppi5.

Sono datati a prima del 430 a.C. alcuni vasi provenienti dall’Attica. L’iconografia è pressoché la stessa: Andromeda indossa abiti dalla foggia orientale, con un copricapo, dei pantaloni e una lunga veste; è rappresentata mentre viene condotta sul luogo dell’esposizione o già legata tra due pali. Vengono inoltre raffigurati alcuni servi impegnati a portare doni da collocare vicino alla sposa e, spesso, Cefeo, impotente di fronte al destino della figlia. Ad esempio di questo gruppo, si può citare un’hydria riscoperta a Vulci e oggi conservata al British Museum di Londra (Fig. 2).

Parte del gruppo è anche un cratere a calice trovato a Capua e conservato a Berlino, datato a fine V secolo, che presenta alcuni tratti specifici: Andromeda è già stata liberata, anche se le braccia sono ancora aperte come fossero legate; volge lo sguardo verso Perseo, raffigurato in piedi sulla destra, mentre viene incoronato vincitore dalla dea Afrodite. Nella

3 «Quindi, in un momento tra la fine del V secolo e il I secolo a.C. la forma completamente sviluppata del

mito evolse e Andromeda fu spostata dai pali alla roccia stessa», cfr. Phillips, Perseus, p. 3.

4 Provenzale, Echi di propaganda imperiale, pp. 147-148. 5

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parte sinistra sono rappresentati Cefeo, seduto a piedi della figlia, e il dio Ermes, che, non dovendo più condurre l’anima della giovane nell’aldilà, la guarda prima di andarsene. Andromeda indossa abiti di tipo orientale, ma senza più pantaloni, sostituiti da una veste svolazzante (Fig. 3). Secondo Erich Bethe, questo vaso sarebbe stato ispirato direttamente dalla tragedia di Euripide, prodotta nello stesso periodo: il cambio nell’abito della principessa potrebbe dunque riflettere una modifica nel costume indossato per la messa in

scena della tragedia euripidea6.

«These Athenian vases […], when lined up in a sequence, suggest a continuous cycle which depends on an outside source rather than the originality of a series of vase painters

of the last half of the fifth century B.C.»7.

Linda Roccos rileva come verso la fine del V secolo a.C. e durante il IV, il mito di Perseo venne rappresentato in misura minore in Attica, diventando più popolare nel sud

Italia e nella produzione etrusca8.

È infatti datata al IV secolo a.C. un’altra serie di vasi, la maggior parte dei quali proviene dalla Puglia; il centro artistico di produzione potrebbe essere stato la città di Taranto, dove lavorava un gruppo molto attivo di vasai. È possibile suddividere queste

testimonianze in vari gruppi, a seconda degli elementi che formano l’iconografia9:

1) Viene seguita l’iconografia dei vasi attici del V secolo a.C.: Andromeda è in piedi tra due pali o colonne; poche sono le altre figure presenti, quali Cefeo e Cassiopea. In un frammento di vaso risalente al primo quarto del IV secolo e conservato ad Heidelberg, l’artista, forse il pittore di Creusa, è riuscito a cogliere l’umore di Andromeda, che morde un lembo della veste visibilmente preoccupata per il destino che la attende (Fig. 4). Significativa è anche un’hydria conservata a Napoli, sulla quale si vede per la prima volta Andromeda rappresentata nuda (Fig. 5). 2) Una modifica nell’iconografia vede Andromeda legata tra due tronchi recentemente

tagliati. La scena diventa più complessa, coinvolgendo un numero maggiore di figure: quasi sempre sono raffigurati Cefeo e Cassiopea, insieme a diverse divinità. Si possono citare due vasi datati al terzo quarto del IV secolo a.C., una loutrophoros da Canosa e una pelike da Armento, entrambi conservati al Museo Archeologico di Napoli (Figg. 6-7): è la prima volta in cui Perseo viene

6 Per l’ipotesi di Eric Bethe, cfr. Ivi, p 7. 7

«Questi vasi ateniesi […], quando allineati in una sequenza, suggeriscono un ciclo continuo dipendente da una fonte esterna piuttosto che dall’originalità di una serie di pittori di vasi dell’ultimo quarto del V secolo a.C.», cfr. Ibidem.

8 Linda Jones Roccos, Perseus, in Lexicon iconographicum mytologiae classicae: LIMC, VII, p. 346. 9

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rappresentato nel suo ruolo di salvatore, a cavallo del mostro marino e pronto a sferrare il colpo mortale. In un cratere a calice oggi custodito a Matera, Perseo è invece raffigurato che regge la kibisis in cui è custodita la testa di Medusa (Fig. 8). 3) In questo terzo gruppo vanno inseriti quei vasi che vedono Andromeda legata

all’entrata di una grotta, mentre Perseo è raffigurato in piedi vicino a lei o sul registro inferiore del vaso che la guarda. Si può citare ad esempio una loutrophoros conservata a Bari, datata all’ultimo quarto del IV secolo a. C.: è possibile identificare la figura di Perseo grazie ai sandali alati che indossa (Fig. 9).

4) Con quest’ultimo gruppo avviene il passaggio di Andromeda dall’entrata della grotta ad una scogliera o promontorio. Ne è esempio un’hydria campana oggi a Berlino, datata al secondo quarto del IV secolo, che presenta Andromeda raffigurata nella parte alta del vaso, saldamente incatenata alla roccia, mentre nel registro inferiore Perseo si appresta ad affrontare ketos (Fig. 10).

Phillips ritiene improbabile che questi cambiamenti iconografici siano stati realizzati in maniera indipendente all’interno delle botteghe di vasai; in particolare, ritiene che le opere

degli ultimi tre gruppi potrebbero aver avuto come modello dei dipinti del IV secolo10.

Il primo starebbe alla base della composizione visibile sulle già citate loutrophoros e pelike conservate a Napoli, con Andromeda legata tra pali frondosi e Perseo che combatte con ketos (Figg. 6-7), mentre la seconda composizione potrebbe essere riflessa su un frammento di pelike a Würzburg, con la principessa etiope legata all’entrata di una roccia e Perseo che la guarda dal registro inferiore (Fig. 11). Infine, l’hydria a Berlino riprenderebbe l’iconografia del terzo dipinto monumentale, con la scena su due registri, Andromeda incatenata ad una scogliera e Perseo che combatte con il mostro (Fig. 10).

1.1.1 Andromeda seduta

Un caso particolare è costituito dai vasi sui quali Andromeda è raffigurata incatenata ad un trono; solitamente la figura seduta sul trono, collocata nelle vicinanze della scena principale, è Cassiopea, ma la presenza delle catene rende chiaro che si tratta della principessa etiope. È possibile osservare questo tipo iconografico su una oinochoe proveniente da Bari e datata verso la fine del IV secolo a.C.: oltre ad Andromeda incatenata, viene raffigurato Perseo con un piede poggiato su un’anfora e proteso verso

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l’amata; sul lato opposto vediamo una serva recante una cassa nella mano sinistra e un ventaglio nella destra, a proteggere la principessa dal sole (Fig. 12).

Nessuno dei vasi fin qui analizzati, come nessuno dei dipinti pompeiani conservati, riporta questa iconografia, che tuttavia si ritrova in alcune urne prodotte a Volterra, probabilmente risalenti alla fine del III – II secolo a.C. Nell’esempio citato vediamo al centro Andromeda seduta all’entrata della grotta a cui è stata incatenata, a sinistra la figura di Perseo che solleva il gorgoneion, mentre a destra è Cefeo; una figura alata, forse un demone, è in piedi a destra della grotta (Fig. 13).

L’ipotesi di Phillips è che questa iconografia sia nata in ambito etrusco per una errata comprensione dell’iconografia originale osservata sui vasi: fondendo il particolare di Cassiopea seduta sul trono con quello di Andromeda incatenata all’entrata di una grotta,

venne creato un proprio ibrido11.

1.2 I DIPINTI A POMPEI

Il mito di Perseo e Andromeda fu spesso utilizzato come motivo decorativo nelle domus pompeiane. Ad attrarre l’attenzione sono stati di volta in volta diversi momenti della storia: l’arrivo di Perseo sui cieli etiopi quando Andromeda è esposta sul promontorio; la lotta dell’eroe con il mostro ketos o l’attimo appena successivo alla sua uccisione; la liberazione di Andromeda, con Perseo che la aiuta a scendere dallo scoglio su cui era stata imprigionata. Si aggiunge poi un motivo iconografico, relativo ad un episodio non narrato dalle fonti, che vede i due giovani seduti al centro di uno spazio naturale, intenti a contemplare in uno specchio d’acqua il riflesso della testa mozzata della Medusa; il momento si collocherebbe, presumibilmente, dopo le nozze della coppia.

Dagli studi è emerso che la differente scelta del momento rappresentato corrisponde ad una diversa fase cronologica e stilistica: i quadri con Andromeda incatenata sarebbero infatti risalenti al III stile pompeiano, quelli con la sua liberazione apparterrebbero al momento di passaggio tra il III e IV stile, mentre sono tutte datate al IV stile pompeiano le immagini

con la coppia seduta12.

11 Ivi, p. 13.

12 Questa corrispondenza è stata notata da Bernhard Schmaltz, cfr. Provenzale, Echi di propaganda

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Phillips si è occupato in particolare delle pitture rappresentanti la liberazione di Andromeda ad opera di Perseo, realizzati tra gli ultimi anni del I secolo a.C. e il 79 d.C.;

suddivide le pitture in cinque gruppi iconografici distinti13:

1) Andromeda, incatenata ad una scogliera protesa verso il mare, è in attesa del mostro marino; la circondano dei doni, interpretabili allo stesso tempo come doni di nozze e offerte funebri, mentre non lontano dalla giovane è rappresentata una figura disperata, probabilmente Cassiopea, seduta sul trono. Perseo vola da sinistra grazie ai sandali alati ricevuti da Ermes, ha con sé la testa di Gorgone e l’harpe, una spada ricurva, anch’essa dono del dio; è rappresentato anche il colloquio del giovane con il re etiope Cefeo, che potrebbe collocarsi sia prima sia dopo l’effettiva liberazione della principessa. In alcuni casi sono presenti altre figure, testimoni e servi, secondo la fantasia dell’artista. Un esempio di questa composizione è dato dalla pittura proveniente dalla villa di Agrippa a Boscotrecase, oggi conservato al Metropolitan Museum di New York (Fig. 14). Secondo lo studioso Peter Blanckenhagen il dipinto sarebbe stato il modello per altre due rappresentazioni pompeiane dell’episodio, quella della Casa del Sacerdote Amandus e quella della Casa VII14.

2) La seconda tipologia iconografica è esemplificata da una pittura nella Casa IX con Perseo, Andromeda e ketos raffigurati in modo non dissimile dal primo tipo; attorno alla giovane sono raffigurati alcuni doni - un cesto, un alabastron, una scatola aperta e uno specchio (Fig. 15). Lo stesso schema si ritrova in altre abitazioni pompeiane quali la Casa della parete nera, la Casa VI e la Casa del Centenario – nella quale è scomparsa la figura di Andromeda, ma è ancora visibile la scogliera.

3) Nelle pitture del terzo gruppo Perseo è rappresentato in acqua, pronto ad affrontare il mostro usando una spada al posto della classica harpe. Il dipinto proveniente da un’abitazione nella Regione VI illustra la scena (Fig. 16); riprende di fatto la pittura della Casa IX.

4) Nella cosiddetta Casa del Menandro Perseo è raffigurato mentre punta l’arma contro il mostro, che ha appena ucciso; Andromeda è ancora incatenata e guarda

13 Phillips, Perseus, pp. 6 e segg.

14 Peter Blanckenhagen e Christine Alexander, The paintings from Boscotrecase, Heidelberg: F. H. Kerle,

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l’eroe con occhi languidi (Fig. 17). Un secondo esempio di questa tipologia sarebbe conservata nella Casa del primo Conacalo colonnato.

5) L’ultimo momento rappresentato vede Perseo accanto ad Andromeda, intento ad aiutarla a scendere dalla roccia su cui è stata esposta; un esempio è dato dalla pittura della Casa dei Dioscuri (Fig. 18), che secondo alcuni studiosi sarebbe copia di un capolavoro greco del tardo IV secolo a.C., opera del pittore greco Nicia e oggi

perduto15. L’originale dovette essere molto famoso dal momento che altre opere

riprendono questo motivo iconografico, non solo dipinti ma anche un mosaico oggi conservato al Museo del Bardo a Tunisi (Fig. 19), un rilievo ai Musei Capitolini (Fig. 20) e un gruppo scultoreo ad Hannover.

Secondo Kyle Phillips non si può ritenere che le composizioni originarie a cui si ispirarono i dipinti citati fossero tutti dello stesso periodo, ma probabilmente vennero ideati tutti nello stesso centro artistico16.

Nel caso del dipinto a Boscotrecase, realizzato negli ultimi anni del I secolo a.C.17,

Blanckenhagen ritiene che abbia preso ispirazione da un’opera ellenistica precedente, riflessa nella pittura della Casa IX a Pompei; l’archetipo per quest’ultima opera viene a sua

volta associato al pittore Euanthes, vissuto prima dell’88 a.C.18. Allo stesso modo, Phillips

ritiene che fosse ellenistico il dipinto a cui si guardò per realizzare il quadro nella Casa dei Dioscuri; nessuna notizia o fonte può invece aiutarci ad indicare con sicurezza il periodo o la scuola a cui appartengono gli altri dipinti elencati.

Phillips accenna infine alla relazione tra i dipinti pompeiani e i dipinti originali che

potrebbero aver ispirato le composizioni dei vasi apuli del IV secolo19.

L’iconografia visibile nell’hydria campana oggi a Berlino (Fig. 10) è la stessa che ritroviamo nel dipinto dalla Casa della Regione VI a Pompei (Fig. 16): la posizione del mostro marino e di Perseo sono state invertite, così come cambiano le figure secondarie, modifiche naturali per un copista, mentre gli elementi principali sono stati mantenuti,

15 Jones Roccos, Perseus, p. 347. 16 Phillips, Perseus, p. 6.

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Secondo Blanckenhagen, i primi lavori di costruzione della villa risalirebbero agli anni tra il 21 e il 16 a.C.; interrotti e ripresi non prima dell’11, le stanze furono decorate subito dopo, secondo la moda del III stile pompeiano, cfr. Blanckenhagen e Alexander, The paintings from Boscotrecase, p. 11.

18 L’autore greco Achille Tazio, vissuto nel III secolo d. C., ci descrive due dipinti opera del pittore presenti

all’interno del tempio di Pelusio in Egitto: Ercole libera Prometeo e la Liberazione di Andromeda. Secondo la descrizione, il secondo dipinto rappresentava la principessa Andromeda incatenata ad una roccia, la cui forma incavata ricordava una tomba; Perseo, in volo poco sopra la superficie marina, combatte con il mostro usando l’harpe, descritta accuratamente da Tazio. Purtroppo non ci sono prove che questo pittore fosse originario dell’Egitto solo perché due suoi dipinti si trovavano qui, cfr. Phillips, Perseus, p. 4.

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ovvero Andromeda incatenata alla scogliera e Perseo che sta per attaccare ketos; secondo Phillips fu un dipinto eseguito a Taranto, all’incirca nel 375 – 300 a.C., a fare da modello per entrambe le opere.

Il dipinto nella casa del Menandro (Fig. 17) potrebbe invece riflettere un altro archetipo realizzato a Taranto nel IV secolo. L’iconografia sembra proseguire la scena vista nella pittura della Regione VI e dell’hydria campana di Berlino: è come se Perseo, dopo aver ucciso il mostro con un colpo d’harpe, abbia fatto un passo indietro mantenendo la posizione di combattimento e puntando l’arma verso ketos.

1.2.1 Quadri con la coppia seduta

Veronica Provenzale ha condotto uno studio sulle pitture pompeiane che rappresentano Perseo e Andromeda seduti e abbracciati al centro di uno spazio roccioso: Perseo tiene in mano la testa mozzata della Medusa e la solleva in modo che questa si rifletta nello specchio d’acqua ai suoi piedi, dove si dirige lo sguardo di Andromeda. È una scena dominata da un’atmosfera serena che sembra collocarsi dopo l’uccisione del mostro marino e la celebrazione delle nozze. Non sono presenti altre figure, ad indicare un interesse totale per la coppia.

L’identificazione dei personaggi è possibile grazie agli attributi che caratterizzano l’eroe: Perseo è infatti sovente rappresentato con delle piccole ali sulle tempie o alle caviglie e la spada ricurva, o harpe, posta accanto a lui - non sempre sono presenti entrambi questi elementi; nel caso della figura di Andromeda non ci sono invece attributi specifici.

Il tema fece la sua comparsa nel repertorio pompeiano agli inizi della seconda metà del I secolo d.C., riprodotto diverse volte nel corso di poco più di un ventennio; non ci sono giunte testimonianze che attestino la sua diffusione in tempi precedenti, non solo nel

contesto della città campana, ma anche nel mondo greco o etrusco20.

Si sono conservati sette quadri rappresentanti la scena, che è possibile suddividere in due gruppi21:

1- Perseo seduto a sinistra - Andromeda seduta a destra: appartengono a questo tipo le pitture provenienti dalla Casa del Forno a riverbero (PA 6), dalla Casa del Principe di Napoli (PA 4), dalla Casa delle Danzatrici (PA 3) e dalla Casa del Menandro (PA 2). Perseo è raffigurato nudo, un mantello gli avvolge la gamba

20 Provenzale, Echi di propaganda imperiale, p. 104. 21

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sinistra che tocca a terra, mentre la destra posa su una pietra; appoggiato al masso su cui è seduto con il gomito sinistro, solleva la testa di Medusa con il braccio destro e si volta a guardare la compagna. Andromeda è seduta con le gambe unite e rivolte verso sinistra, i capelli sono raccolti e una veste le cinge fianchi e gambe lasciando il busto scoperto; con il braccio destro si appoggia alla spalla dell’amato, mentre l’altro è disteso; si sporge a guardare il riflesso del gorgoneion nella specchio d’acqua ai suoi piedi.

2- Perseo seduto a destra – Andromeda seduta a sinistra: si riferiscono a questo gruppo le raffigurazioni dalla Casa dei Capitelli colorati (PA 7), dalla Casa situata sotto la Masseria di Cuomo (PA 5) e dalla Casa dell’Efebo (PA 1). Perseo in questo caso ha le gambe incrociate rivolte verso destra, un mantello gli cinge i fianchi, il capo è girato a guardare l’amata mentre con il braccio sinistro solleva il gorgoneion. Andromeda, come nelle immagini del primo gruppo, ha i capelli raccolti e una veste che le copre solo la parte inferiore del corpo; le gambe sono unite e girate verso destra, con il braccio sinistro si appoggia all’amato mentre quello destro è disteso.

Pur facendo parte del primo gruppo, vanno segnalate alcune differenze riscontrabili nella pittura della Casa del Principe di Napoli (Fig. 21): solo in questo caso, infatti, Andromeda è rappresentata interamente vestita e con le gambe rivolte verso destra. La pittura è stata riferita al IV stile iniziale e datata tra il 50 e il 60 d.C. costituendo dunque il primo

esemplare ad essere stato realizzato22.

In tutti gli esempi a noi giunti la disposizione delle figure segue uno schema piramidale i cui lati sono costituiti dai corpi dei due giovani e che ha per vertice la testa della Medusa tenuta da Perseo. Nelle pitture della casa del Menandro e in quella dalla casa dell’Efebo questo schema è indebolito dal momento che il gorgoneion non si trova tra le teste dei due giovani, ma è leggermente decentrato: nel primo caso Perseo sembra più concentrato sulla compagna e si comprende meno il motivo del suo gesto, nonostante Andromeda si sporga a cercare nell’acqua il riflesso della testa di Medusa (Fig. 22); nel secondo caso, invece, il braccio della giovane non è disteso come negli altri esempi, ma sollevato in un gesto di paura che conferisce una nota drammatica alla scena, solitamente caratterizzata da un clima sereno (Fig. 23).

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La datazione della pittura dalla casa dell’Efebo è stata lungamente dibattuta, ma l’ipotesi attualmente più accreditata è che appartenga al IV stile iniziale, dunque agli anni intorno al 50 d. C.: come nel caso della pittura nella casa del Principe di Napoli, sarebbe una delle prime ad essere stata realizzata spiegando così le incertezze strutturali rispetto agli altri due quadri dello stesso gruppo.

1.2.2 Le immagini nel contesto delle domus

È ora opportuno, ai fini dell’indagine, precisare il contesto nel quale sono stati

rinvenuti i quadri con la coppia Perseo – Andromeda23.

La Casa del Menandro (PA 2) conta una delle superfici abitative più ampie (quasi

1800 m2), elemento che indica la condizione privilegiata dei suoi abitanti, che almeno in

età imperiale sarebbero stati membri della gens Poppaea. Il quadretto si trova nel cosiddetto oecus verde, collocato sul lato destro di accesso al peristilio, lo spazio di rappresentanza della domus, destinato ad accogliere gli ospiti e perciò dotato di un’elaborata decorazione pittorica, che è possibile ancora oggi osservare. La scena con Perseo e Andromeda è collocata sulla parete O dell’ambiente, mentre su quella E si trova una scena con un satiro e un amorino: il satiro stante solleva un oggetto non identificabile a causa delle cattive condizioni del quadretto, mentre l’amorino è inginocchiato a tenere un coniglio; sulla parete N è rappresentata una menade in piedi con tirso, che solleva un grappolo d’uva offrendolo ad un fanciullo, interpretato come Dioniso bambino. La presenza di una menade, un satiro e, forse, Dioniso, collega i due quadretti alla sfera dionisiaca, mentre gli amorini ci riportano al mondo di Venere. Se la relazione con quest’ultimo si comprende facilmente dato il tema della coppia di giovani amanti, poco chiaro risulta il legame con la sfera di Dioniso. Dal punto di vista compositivo, i quadri sulle pareti E ed O rappresentano entrambi una figura maschile con il braccio sollevato a tenere un oggetto, a cui si contrappone sulla parte N la menade con il braccio teso verso il basso.

Dotata di una superficie ancora maggiore è la casa dei Capitelli colorati (1850 m2

circa, PA 7), nella quale la scena con Perseo e Andromeda, oggi conservata al Museo Nazionale di Napoli, era collocata nell’oecus dell’abitazione, sulla parete O (Fig. 24). Le scene mitologiche presenti sulle pareti E ed O erano, rispettivamente, Apollo e Ciparisso e

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Ganimede e Zeus, raffigurato sotto le sembianze di un’aquila. Ancora oggi si conserva poi sulla parete S Venere trionfante al centro del tiaso marino, circondata da putti e venti e seduta su un centauro marino: è a lei che si devono rapportare tutti gli altri personaggi che vivono un amore, siano essi divini o umani, dolci fanciulle o affascinanti giovinetti. Dal punto di vista narrativo, al lieto fine della storia di Perseo e Andromeda si associa il trionfo in cielo di Ganimede ad opera di Zeus, ma si oppone la morte tragica di Ciparisso.

Apparteneva invece al ceto medio-alto la casa dell’Efebo (PA 1), ristrutturata negli ultimi anni di vita di Pompei dal suo probabile proprietario, P. Cornelius Tages. Il quadretto con Perseo e Andromeda, oggi scomparso, si trovava sulla parete N di un ambiente la cui funzione è oggetto di dibattito tra gli studiosi, potendosi trattare sia di un

tablino sia di un triclinio24; in ogni caso era collocato in un nucleo abitativo riservato

probabilmente alla famiglia, lontano dal settore centrale della casa più rappresentativo. Sono poi riferite ad un livello sociale medio-basso le case delle Danzatrici, del Principe di Napoli e del Forno a riverbero.

Nella casa delle Danzatrici (PA 3) l’ambiente che ospitava la scena con i due giovani amanti si trovava all’estremità del giardino; era uno dei pochi spazi decorato con quadretti mitologici e questo fa pensare che avesse una funzione di ricevimento. Le pitture originali non si sono conservate, tuttavia le tempere del Morelli ci restituiscono la composizione dei quadretti dell’ambiente: oltre alla già vista scena con Perseo e Andromeda sulla parete O (Fig. 25), il Ratto di Europa decorava la parete S. Diversi elementi accomunavano le due scene sul piano compositivo: il braccio sollevato di Perseo che regge il gorgoneion trovava riflesso nel braccio di Europa alzato a tenere il manto gonfiato dal vento, mentre la nudità del corpo di Andromeda riprendeva quella della giovane rapita dalla divinità.

Nella Casa del Principe di Napoli (PA 4) il quadro con Perseo e Andromeda è situato sulla parete N del tablino della domus (Fig. 21). Si conserva nella stanza un’altra pittura rappresentante un giovane in piedi appoggiato ad una colonnetta e una figura femminile stante, interpretati come Afrodite e Adone, in compagnia di un piccolo amorino, in piedi tra i due. Dal punto di vista tematico, si tratta di due storie dagli esiti opposti poiché al lieto fine della storia di Perseo si contrappone la tragica morte di Adone. Vi era

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inoltre un terzo quadretto, andato perduto nel terremoto del 62 d.C., che poteva ugualmente

rappresentare una mitica coppia di amanti25.

La Casa del Forno a riverbero (PA 6) deve il nome alla presenza di un forno, cui va aggiunta quella di una bottega, ad indicare il carattere modesto dell’abitazione. Le sono stati riferiti, seppur con qualche dubbio, due scene mitologiche, analizzabili grazie a dei disegni: oltre al quadro con Perseo e Andromeda (Fig. 26), era rappresentato l’episodio di Endimione e Selene, nel momento in cui quest’ultima viene condotta in volo da un amorino fino al giovane pastore addormentato su alcune rocce. Dal punto di vista compositivo, al Perseo e Andromeda seduti si contrappongono una figura in volo e una distesa; comune è tuttavia l’ambientazione, uno spazio aperto e dominato da rocce; tutti e quattro i protagonisti sono poi rappresentati nudi nella parte superiore, con un mantello ad avvolgere gambe e fianchi.

Infine, non è possibile indicare quale fosse l’ambiente che ospitava il quadro riferito alla casa sita sotto la Masseria di Cuomo (PA 5), oggi conservato al Museo

Nazionale di Napoli, né quali altri soggetti potessero accompagnarlo (Fig. 27)26.

La scena con Perseo e Andromeda seduti e abbracciati non si può ricollegare ad uno specifico ambito sociale dal momento che il tema era presente sia in case di alto livello che in abitazioni più modeste. Dall’analisi della collocazione dei quadretti si rileva che spesso decoravano ambienti di rappresentanza e ricevimento collegati direttamente ad uno spazio aperto, quali l’atrio o il peristilio, ma la scarsità delle testimonianze a noi giunte (solo sette) e l’incertezza nell’attribuzione alle domus di alcune di esse non consentono di formulare considerazioni definitive.

Per quel che riguarda, invece, le associazioni dei quadretti con le altre scene mitologiche, è stato rilevato come

«l’aspetto idillico-erotico risulta essere il più evidente ed immediato agli occhi dei pompeiani e il tema sembra essere volentieri inserito in vani che recavano un programma decorativo incentrato sull’amore che lega varie figure mitiche, con esiti più o meno felici»27.

Questo tipo di associazione sembra venire meno nel caso della pittura della casa del Menandro nel quale il riferimento a Venere, indicato dagli amorini, sembra essere

25

Questa è l’ipotesi di Volker M. Strocka, al quale si deve anche l’interpretazione delle figure del secondo quadretto come Afrodite e Adone, cfr. Ivi, p. 111.

26 La stessa Veronica Provenzale nella scheda di catalogo dedicata a PA5 riporta solo l’indicazione “quadro

strappato da ignoti e ritrovato nella Masseria di Cuomo”, cfr. Ivi, p. 245.

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secondario rispetto al riferimento a Dioniso; a questo proposito Veronica Provenzale sottolinea «il carattere polisemico delle associazioni e degli stessi quadri figurati, che

consentivano le connessioni più variate, certamente oggi solo percepibili parzialmente»28.

1.2.3 Interpretazioni del tema iconografico

Come precedentemente rilevato, in queste scene l’attenzione sembra essere concentrata sui due giovani e sull’esito felice della storia; pur nel richiamo agli avvenimenti precedenti, mediato dalla presenza del gorgoneion, Veronica Provenzale nota la perdita del carattere narrativo:

«questi quadretti idillici appaiono in completa sintonia con il loro tempo: […] le prime apparizioni del soggetto figurato a Pompei si datano agli inizi della seconda metà del I secolo d.C., ossia nella prima età neroniana. La sfera pastorale e quella campestre erano molto presenti nell’arte dell’epoca, sollecitata da un imperatore amante della cultura ellenistica, in particolare della poesia di ambiente bucolico»29.

Tuttavia, secondo Veronica Provenzale queste scene potrebbero nascondere un messaggio di tipo politico sulla base del confronto con una precedente rappresentazione nella quale Perseo porge il gorgoneion alla dea Atena; è visibile su una lastra fittile parte di un ciclo di lastre dette “Campana”, che decoravano il tempio di Apollo sul Palatino (Fig. 28). La lastra è stata analizzata con attenzione da Maria José Strazzulla che ipotizza due livelli di significato. In primo luogo, vi si nasconderebbe un riferimento alla vittoria riportata da Ottaviano Augusto su Cleopatra e Antonio: la testa di Medusa sarebbe una diretta allusione alla regina egizia, per indicare la quale già le fonti antiche utilizzarono

epiteti dispregiativi, vedi ad esempio l’espressione “fatale monstrum” usata da Orazio30.

Tuttavia la scena potrebbe anche alludere ad un concetto più ampio:

«tema dell’immagine è la vittoria di Perseo, sintetizzata nel mostruoso trofeo, che egli può offrire alla sua protettrice. Ottaviano si appropria del motivo, celebrando in chiave propagandistica non

28 Ivi, p. 113. 29 Ivi, p. 150.

30 Maria José Strazzulla, Il principato di Apollo: mito e propaganda nelle lastre campana del tempio di

(14)

16

solo la sua recente vittoria ma anche, in maniera più ampia, il conseguimento del potere, strappato a chi ingiustamente lo deteneva, e la fine della lotta sanguinosa, con la seguente pacificazione»31.

Nel nostro caso la coppia di amanti si sostituisce alla coppia eroe-divinità cosicché la connotazione idillico-amorosa risulta la più immediata. Tuttavia è possibile che anche in questo caso una componente “eroica di stampo trionfale” si sia conservata: la presenza del gorgoneion non sarebbe solo giustificabile in quanto attributo dell’eroe, ma, ben visibile in cima allo schema piramidale, avrebbe anche un ruolo a livello semantico.

La rappresentazione di Perseo che regge il gorgoneion potrebbe allora fare riferimento all’unica impresa portata avanti da Nerone durante il suo governo, ovvero la vittoria del 66 d.C. ottenuta contro il regno dei Parti e celebrata a Roma come un trionfo. La vittoria neroniana si collega ad un altro importante successo conseguito da Augusto nel 20 d.C., sempre contro i Parti, quando ottenne la restituzione delle insegne perdute da Crasso in battaglia (53 a.C.): la volontà di Nerone di riallacciarsi alla vittoria augustea si ritrova anche nella replica di iniziative e gesti del predecessore, quali la chiusura delle porte del tempio di Giano; «la natura stessa della “vittoria”, ottenuta in entrambi i casi per vie

diplomatiche, collega strettamente i due avvenimenti»32.

Analogamente al caso della lastra con l’offerta del gorgoneion ad Atena, anche il tema di Perseo e Andromeda potrebbe veicolare un messaggio più ampio: l’assimilazione di Perseo con lo stesso Nerone. Come per l’eroe argivo l’impresa dell’uccisione della Medusa fornisce gli strumenti per superare le successive difficoltà, allo stesso modo le guerre affrontate dal popolo romano all’inizio del regno di Nerone sono viste come male necessario che prelude alla nuova aurea aetas inaugurata dall’imperatore. Una simile associazione viene sviluppata dal poeta Lucano nell’elogio al sovrano, che introduce il poema Pharsalia:

«Il motivo della rigenerazione del mondo ad opera del nuovo imperatore era, quindi, ricorrente nella letteratura del tempo ed è facile presumere che il pubblico fosse atto a cogliere con prontezza questo tipo di allusione, nell’arte poetica come in quella figurata. […] La scena affrescata […] è il riflesso in chiave mitologica di un momento storico»33.

31 Provenzale, Echi di propaganda imperiale, p. 157. 32 Ivi, p.160.

33

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17

Infine la Provenzale pone l’accento su un altro fattore che potrebbe giustificare l’avvento del nuovo tema in contesto pompeiano. Durante l’età claudio-neroniana si verificò un’evoluzione socio-politica e un ampliamento della classe aristocratica, che finì per inglobare individui di estrazione non nobile e quindi incapaci di giustificare il loro potere a partire dall’antichità del proprio casato; si rendeva dunque necessario il riferimento a nuovi valori di matrice personale o, al contrario, collettiva. Diversi elementi intrinseci nel mito di Perseo e Andromeda rendevano questo tema particolarmente adatto a decorare le domus dei nuovi ricchi: l’ufficiale condizione di sposi dei due giovani, sancita dalle fonti, rendeva possibile «trasmettere un preciso messaggio relativo alla coppia dei domini e, più in generale, alla famiglia nel senso allargato del termine, previa integrazione del principio che l’armonia e la stabilità fra i coniugi è specchio dell’intera condizione familiare»; la stessa appartenenza dei due personaggi mitici alla sfera umana rendeva più facile per i signori identificarsi con loro.

1.2.4 Altri quadri con Perseo e Andromeda a Pompei

Sono poi da segnalare altre due rappresentazioni della coppia, entrambe provenienti da Pompei.

La prima, oggi non più conservata, è stata riferita alla Casa dei Capitelli figurati (PA.A) e vede la coppia di amanti in uno spazio aperto, circondata da rocce (Fig. 29): Perseo è raffigurato seduto su un masso a cui si appoggia con il braccio sinistro, mentre con la mano destra solleva il gorgoneion al di sopra della sua testa; appoggiata alle rocce dietro di lui, vi è l’harpe. Andromeda è in piedi, appoggiata ad una roccia, guarda in basso nello specchio d’acqua dove si riflette la testa di Medusa; i capelli sono per metà raccolti e per metà ricadenti sulle spalle, una veste le scivola sul corpo, cingendole i fianchi e le gambe. Come nota Veronica Provenzale, la presenza di questa nuova iconografia indica che lo schema con Perseo e Andromeda seduti non era vincolante nella rappresentazione della coppia34.

La seconda immagine da tenere in considerazione è lo stucco rinvenuto nella palestra delle Terme Stabiane (PA.B), purtroppo oggi quasi illeggibile per il cattivo stato di conservazione (Fig. 30). La scena è stata variamente interpretata dagli studiosi, ma la Provenzale sostiene che le due figure rappresentate siano Perseo e Andromeda in virtù

34

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18

delle somiglianze con gli altri quadretti analizzati. I due giovani sono raffigurati seduti su una struttura semicircolare: Perseo è semisdraiato, nella mano sinistra tiene una spada e con la destra solleva un oggetto sferico, che potrebbe essere il capo di Medusa; Andromeda è vestita con un abito dalla stoffa leggera, guarda verso la figura maschile e alza il braccio sinistro in risposta al suo gesto. All’interno della struttura semicircolare che ospita la coppia si vedono un mostro marino dalla coda a volute e delle acque: potrebbe trattarsi dell’antro di ketos, ma potrebbe anche alludere alla roccia su cui è stata esposta Andromeda. A sinistra, su uno scoglio, una figura maschile vista di spalle è seduta sopra un mantello, ha una corona di foglie in capo e regge un oggetto sferico non ben

identificabile; secondo l’interpretazione corrente sarebbe una divinità del luogo35.

Lo schema piramidale, l’atteggiamento intimo dei personaggi e il modo in cui sono raffigurati, la collocazione della coppia in uno spazio aperto rendono piuttosto evidente la vicinanza di queste raffigurazioni con le pitture rinvenute nelle domus pompeiane. Tuttavia, la rappresentazione del mostro marino nell’antro e la presenza di una terza figura riconducono la scena al contesto narrativo del mito, associando in parte lo stucco ai dipinti con Andromeda incatenata e con la liberazione di Andromeda.

1.3 ALTRE TESTIMONIANZE

Alcune opere riproducenti la stessa iconografia della coppia di amanti seduta testimonia la diffusione del tema anche nel campo delle arti minori. Si tratta di alcune lampade di età romana e di un cammeo: Perseo è ritratto nudo, il capo cinto da un elmo, solleva la testa di Medusa mentre si volta verso la compagna, la quale abbassa lo sguardo a cercare il riflesso del gorgoneion nella polla d’acqua ai loro piedi; la giovane si appoggia con la mano destra alla spalla dell’amato, ha i capelli raccolti e una veste che le copre solo la parte inferiore del corpo, le gambe sono unite e rivolte verso destra, secondo l’iconografia vista finora (Fig. 31).

Se le lampade romane risalgono al I secolo d.C., più dibattuta è tra gli studiosi la datazione del cammeo: lo Schauenburg propone la prima età imperiale, Jones Roccos oscilla tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., mentre Olga Neverov ritiene che sia del I secolo a.C. 36. Come sopra indicato, il tema di Perseo e Andromeda seduti a contemplare il riflesso del gorgoneion, non risulta prima della seconda metà del I secolo a.C.; tuttavia, se si arrivasse

35 Ivi, p. 97. 36

(17)

19

a definire una datazione precoce per il cammeo, questo verrebbe a costituire la primissima

rappresentazione del tema a noi giunta37.

1.3.1 Ultima testimonianza antica del mito

Durante alcuni lavori di sistemazione delle pendici occidentali del Campidoglio è emerso un antico edificio risalente all’età adrianea, ritenuto destinato ad un uso pubblico, forse un balneum, nel quale furono eseguiti restauri nel III e nel IV secolo d.C. Nella parete superstite di uno degli ambienti è stata rinvenuta una nicchia, forse un piccolo ninfeo, decorata con una pittura rappresentante Perseo e Andromeda, nel momento in cui il giovane eroe aiuta la principessa a scendere dallo scoglio su cui era stata incatenata (Fig. 32); l’ipotesi è che la lunetta sia stata realizzata nell’ultima fase di decorazione

dell’ambiente ovvero nel IV secolo d.C.38

.

L’immagine possiede molti tratti in comune con la rappresentazione tradizionale della coppia. Su un fondo celeste chiaro si stagliano le figure dei due giovani: Andromeda è rappresentata seminuda, con un veste a coprire solo la parte inferiore del corpo, i capelli sono semiraccolti e una pesante collana a doppio filo le adorna il collo; si possono ancora vedere intorno alle braccia gli anelli che la tenevano legata alla scogliera. È rappresentata nel gesto tradizionale di tenersi la veste mentre discende da una roccia, «atto che evidentemente l’artefice ha ripetuto meccanicamente e forse senza più comprenderlo

perché è incompatibile con una figura seminuda»39, risultando quindi goffo. A causa delle

cattive condizioni dell’affresco, quasi nulla è oggi visibile del volto della principessa così come della parte inferiore del corpo, dunque poco chiaro è il movimento delle gambe; ai suoi piedi è possibile intravedere alcuni oggetti, probabilmente doni funerari per la sposa della morte. A destra è raffigurato Perseo, tiene l’harpe nella mano sinistra mentre porge la destra alla principessa che sta scendendo dalla roccia; una veste copre la spalla sinistra e la parte inferiore del corpo, sulla testa ha un cappello dalla strana forma, «contaminazione fra il berretto frigio e la galea trace (evidente incomprensione di ambedue le forme) che l’arte

figurata greca sostituì spesso al primitivo e semplice polos o al petasos alato»40.

In basso, ai piedi delle due figure, è raffigurata la testa del mostro marino ormai sconfitto.

37

Ivi, p. 104, nota 48.

38 Gabriella Bordenache Battaglia, Perseo e Andromeda: pittura romana del IV secolo d. C., in

«Capitolium», IX, n. 9, Milano: Fratelli Treves, 1933, pp. 456-463.

39 Ivi, p. 457. 40

(18)

20

In tutta la pittura, nella resa dello spazio come nella resa delle figure, manca corporeità e accenno alla struttura muscolare sottostante: Andromeda dà l’impressione di essere inchiodata alla roccia, mentre la figura di Perseo «può dirsi tornata ad uno schema arcaico, ché al viso e al torso di prospetto sono inseriti il braccio e la gamba destra di

profilo»41; inoltre i suoi occhi non sono rivolti a guardare amorevolmente la giovane

principessa, ma sbarrati e come persi nel vuoto.

Dal punto di vista artistico questa pittura non riveste una grande importanza, tuttavia il suo valore deriva dall’epoca a cui appartiene. Prima della sua riscoperta, infatti, non si conoscevano rappresentazioni dell’episodio di Perseo e Andromeda posteriori alla prima metà del III secolo d.C:

«la nostra pittura viene a dirci non soltanto che non si era perduta la tradizionale iconografia di questo mito ma che si era mantenuta quasi inalterata – dal punto di vista della composizione – fino ad un’epoca molto più tarda di quella che sin’ora ci era dato riscontrare»42.

Gabriella Battaglia tenta poi di collocare con maggiore precisione questa pittura all’interno del IV secolo, ricorrendo al confronto con un dipinto proveniente da un antico edificio sotterraneo in via Livenza, sempre a Roma, datato alla prima metà del IV secolo, in cui si è conservata una raffigurazione della dea Artemide cacciatrice e di una ninfa (Fig. 33): «le due figure sono ancora piene di classico sapore e di pregio non comune soprattutto

per i colori brillanti e sapientemente lumeggiati»43. Con le dovute differenze, data la

maggiore maestria del pittore che ha realizzato la pittura di via Livenza, questa «mostra quei principi, quegli espedienti tecnici, quelle caratteristiche che vediamo portate alla loro

ultima espressione nella pittura con Perseo e Andromeda»44: l’uso di una spessa linea di

contorno dal colore rosso bruno, gli occhi grandi e privi di sguardo, lo stesso modo di rendere il panneggio con linee dure, uguale mancanza di corporeità nella resa dello spazio e delle figure. Tuttavia la studiosa ritiene che le due opere potrebbero anche essere separate da un periodo di cinquant’anni: «se le pitture di via Livenza appartengono alla prima metà del secolo IV la pittura con Perseo e Andromeda può ben appartenere alla fine del secolo»45. 41 Ivi, p. 459. 42 Ivi, p. 460. 43 Ivi, p. 462. 44 Ibidem. 45 Ibidem.

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21

1.4 LE COSTELLAZIONI DI PERSEO E ANDROMEDA NEL MEDIOEVO

Il mito della “Liberazione di Andromeda”, in quanto tema profano, non ebbe una grande diffusione in epoca medievale. Tuttavia nei manuali di astronomia vennero spesso rappresentati i singoli personaggi della storia: Andromeda e Perseo, la regina Cassiopea, il re Cefeo e il mostro marino Ketos. Nel corso dei secoli, nel passaggio da un testo ad un altro e da una cultura ad un’altra, l’iconografia classica dei personaggi ha subito delle modifiche, arrivando in alcuni casi a rendere irriconoscibile il soggetto originale.

Alcuni codici oggi conservati mostrano come l’iconografia di Andromeda sia più

variata rispetto a quella di Perseo46.

Il primo esempio si trova all’interno del carolingio Codice Vossiano Lat. Q 79, conservato

nella Biblioteca universitaria di Leyden e datato al IX secolo47, in cui Andromeda è legata

tra due pali rocciosi in attesa del mostro; una veste drappeggiata le cinge le gambe. I punti che si possono vedere lungo il suo corpo indicano le stelle formanti la costellazione

omonima (Fig. 34)48.

La seconda immagine è custodita in un codice proveniente dal sud Italia, datato al IX secolo e oggi conservato a Montecassino, nell’archivio della Badia (Codice 3, fol. 183 r): in questo caso Andromeda è interamente vestita e tiene le mani appoggiate su due sporgenze rocciose; l’illustratore ha omesso di rappresentare lacci o catene che dovrebbero indicare la prigionia della donna (Fig. 35).

In un codice del XII secolo, conservato al Vaticano (Codice Reg. lat. 123, fol. 192 v), la principessa è legata tra due tronchi dalla strana forma su cui sono appesi doni funebri (Fig. 36), mentre in un manoscritto al British Museum di Londra (Codice Royal 13 A XI, fol. 106 v) Andromeda, interamente vestita, è tenuta ferma da due piante rampicanti (Fig. 37). L’ultimo esempio che si può riportare appartiene ad un codice custodito al Vaticano e datato dal XV secolo, di produzione bizantina (Cod. gr. 1087, fol. 308 r): Andromeda è letteralmente inchiodata a due sporgenze rocciose su cui sono stati appesi doni funebri (Fig. 38); questa illustrazione mostra come l’iconografia fosse conosciuta nelle sue linee

46 Phillips, Perseus, pp. 18 e segg.

47 Una copia più completa del manoscritto è conservata alla Biblioteca Municipale di Boulogne-sur-Mer ed è

datato al X secolo; per gli studiosi il codice Vossiano potrebbe appartenere alla scuola di Reims o a quella di Saint Denis, cfr. Erwin Panofsky e Fritz Saxl, Classical Mythology in Medieval Art, in «Metropolitan Museum Studies», 4, n. 2, 1933, p. 236, nota 9.

48 Phillips fa notare la somiglianza con il tipo della Venere di Milo, datata al II secolo a. C., cfr. Phillips,

(20)

22

essenziali anche in Oriente49. Come sua controparte occidentale, si può invece citare un

manoscritto italiano conservato al British Museum, che mostra la principessa tenuta ferma da lunghe catene assicurate a due sporgenze rocciose (Cod. add. 15819, fol. 22 r, fig. 39).

Tutte le miniature mostrano Andromeda legata tra due elementi verticali, siano pali o rocce, e non ad una scogliera - iconografia che sappiamo essere conosciuta nell’antichità dal dipinto di Euanthes a Pelusio - ad indicare come sembra aver preso maggior piede la variante iconografica trasmessa dai vasi ateniesi e dalla maggior parte dei vasi del sud Italia. «It is impossible to establish which type, Andromeda between the posts or Andromeda between the rocks, represents the original Hellenistic illumination. Very likely

both were used»50. Nel testo di Licofrone Alexandria, scritto nel III secolo a. C., vengono

citate le rocce gemelle di Joppa come luogo dove venne esposta la principessa etiope. «As such they are more directly Alexandrian in conception, although the more conservative Attic iconography, honored by both Sophocles and Euripides, was held in equal esteem in

the library at Alexandria and could as easily have entered an Alexandrian text»51.

Ritornando alle immagini dei due codici al Vaticano, Phillips analizza i doni funebri rappresentati ai lati della principessa: si possono distinguere in particolare una oinochoe, uno specchio e una scatola dal coperchio a punta. Lo studioso è dell’idea che gli illustratori del XII e del XV secolo non avrebbero introdotto questi oggetti nelle loro composizioni se non fossero già stati nel modello, né avrebbero pensato di cambiare spontaneamente la tipologia di doni; non trattandosi di forme tipiche dell’epoca tardo bizantina o di quella medievale, ne deriva che queste illustrazioni furono copiate da testi

datati tra IV e il VI secolo d. C.52.

Si possono infine menzionare due manoscritti gotici: nel primo, conservato a Tübingen, Andromeda è legata tra due tronchi (Codice M. d. 2, fol. 315 v, fig. 40), mentre nel secondo, il Codice Arundel 66 al British Museum, la giovane è legata tra due alberi e indossa una veste corta, tipo chitone (fol. 38 r, fig. 41). Quest’ultima raffigurazione ricorre in un altro manoscritto del British Museum datato intorno al 1455 (Codice add. 41600, fol. 46 v, fig. 42). Secondo Phillips un’analisi più attenta dell’immagine rivela come il chitone, i pantaloni stretti e il fallo in vista siano i costumi di un attore comico; si tratterebbe

49 Ivi, p. 17.

50 «È impossibile stabilire quale tipo, Andromeda tra pali o Andromeda tra rocce, rappresenta la miniatura

ellenistica originale. Molto probabilmente entrambe furono usate», cfr. Ivi, p. 19.

51 «Come tali sono più direttamente alessandrini nella concezione, anche se l'iconografia attica più

conservatrice, onorata sia da Sofocle che da Euripide, era tenuta in egual misura nella biblioteca di Alessandria e poteva facilmente entrare in un testo alessandrino», Ibidem.

52

(21)

23

dunque di un’illustrazione di Mensiloclo, che ne Le donne alle Tesmoforie di Aristofane

interpreta la parte della giovane principessa53.

Nel caso della costellazione di Perseo, l’esempio più antico è dato dall’immagine riportata sul globo dell’Atlante Farnese, copia romana del II secolo d. C. derivata da un originale greco (Fig. 43): la figura di Perseo è caratterizzata dai suoi attributi classici, quali

la spada e il gorgoneion54.

Durante il Medioevo, l’arte occidentale fu incapace di utilizzare i prototipi classici senza distruggerne forma e significato originali; al contrario, l’arte bizantina non perse mai il suo contatto con l’antichità, incapace di trovare la via per uno stile moderno. Allo stesso modo, gli illustratori carolingi tentarono di copiare le immagini degli antichi libri astronomici seguendone lo stile e la tecnica, come mostrato dal già citato codice di Leyden e dal Codice Harley 647, risalente al IX secolo e conservato al British Museum di Londra, nel quale la figura di Perseo presenta tutti gli attributi tipici dell’eroe, comprese le ali alle caviglie (Fig. 44). Secondo Saxl e Panofsky, le illustrazioni di questi due codici sono vicine agli affreschi di Pompei più di qualsiasi cosa fatta in Occidente durante il

Medioevo55, mentre nel caso del codice Harley, Phillips fa un confronto con opere più

antiche che potrebbero essere state la fonte della miniatura: cita i dipinti nel mitreo della chiesa di Santa Prisca a Roma e una testa di putto ritrovata nella tomba A IV ad Anamur in

Turchia, opere entrambe datate al terzo secolo d. C.56.

Relativi ad un’epoca più tarda, sono le immagini di Perseo nei già citati manoscritti di Tübingen e il codice Arundel di Londra: nel primo l’eroe è vestito con l’armatura completa di scudo e spada, e si appresta a combattere il mostro (Fig. 40), mentre nel secondo troviamo un Perseo dall’aspetto grottesco, che brandisce la testa di Medusa nella mano sinistra e la spada affilata nella destra (fol. 35 v, fig. 41).

In un atteggiamento differente dall’Occidente, la cultura araba si basò molto su quella greca, venendo a conoscenza delle sue idee astronomiche fin dall’VIII secolo. Tuttavia, pur cercando di precisare i loro modelli nel senso di una maggiore correttezza nella collocazione delle stelle, gli illustratori arabi non seguirono gli aspetti più propriamente iconografici, rendendo difficile l’identificazione del personaggio mitologico originario. In questo modo, inoltre, quando nel XIII secolo l’Occidente iniziò a venire a

53 Ivi, p. 21.

54 Panofsky e Saxl, Classical Mythology, p. 232. 55 Ivi, p. 236.

56

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24

contatto con le illustrazioni arabe, poté nuovamente assimilare le perdute concezioni classiche57.

Ne è un esempio l’immagine di Perseo nel manoscritto siciliano risalente al XIII secolo e conservato alla Biblioteca dell’Arsenal di Parigi (ms 1036): il giovane indossa abiti dalla foggia orientale e nella mano destra non tiene più il gorgoneion, ma una testa di demone (Fig. 45). L’illustratore non conoscendo il mito classico ha interpretato l’effige di Medusa come un demone e i flutti di sangue sgorganti dalla testa mozzata come una barba folta. Lo stesso succede in un altro codice arabo conservato a Parigi (cod. 5036, fig. 46) e nel Codice Vind. 5415 del XV secolo: in quest’ultimo Perseo è indicato con il suo nome arabo e la testa barbuta è chiamata Caput Algol, da Ra’s al Ghūl che significa appunto “testa di

demone” (Fig. 47). Nell’incisione di Dürer, tuttavia, l’iconografia classica viene restaurata,

poiché ritornano l’indicazione del nome Perseus, le ali alle caviglie dell’eroe nonché la rappresentazione del gorgoneion con la sua denominazione di Caput Meduse (Fig. 48).

(23)

25

CAPITOLO 2

LA RAFFIGURAZIONE DEL MITO NEL CINQUECENTO

2.1 ILLUSTRAZIONI DELLE “METAMORFOSI” DI OVIDIO

La raffigurazione del mito di Perseo e Andromeda ricompare in modo sempre maggiore in età moderna, diffondendosi grazie alle illustrazioni presenti nei volgarizzamenti del testo delle Metamorfosi.

Il primo ciclo figurato incentrato sui miti ovidiani si ritrova nell’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Giovanni Bonsignori, edito a Venezia nel 1497 per Lucantonio Giunta,

corredato di 52 xilografie58. Nell’incisione illustrante il mito di Perseo e Andromeda, la

narrazione si svolge su più piani (Fig. 49): sulla sinistra vediamo Perseo con in mano la testa di Medusa, il cui corpo giace senza vita ai piedi dell’eroe; leggermente più indietro, ad indicare un momento successivo del mito, compare Pegaso, il cavallo alato nato dalla testa mozzata della gorgone. Subito sopra Pegaso, ricompare Perseo in volo grazie ai sandali e all’elmo alati, con lo scudo di Minerva e la spada; la sua presenza indica il momento in cui, in volo sui cieli etiopi, scorge Andromeda incatenata ad una scogliera, accanto alla quale è raffigurato un uomo barbuto forse interpretabile come il padre Cefeo. Infine, sulla destra, Perseo affronta Ketos, il mostro marino che emerge dalle acque. Una caratteristica che contraddistingue le incisioni nell’edizione giuntina del 1497, è la compresenza di elementi medievali ed elementi all’antica nelle architetture, negli abiti o

nelle acconciature59: in questo caso, l’armatura classicheggiante di Perseo si oppone

all’abito monacale con cui è raffigurato Cefeo e alla città medievale raffigurata sulla collina in fondo. A questo proposito, Huber-Rebenich nota come nelle incisioni giuntine «non lo straordinario stimola la rappresentazione, che viene invece dominata da motivi

58

Giovanni Bonsignori scrisse l’Ovidius Metamorphoseos vulgare tra il 1375 e il 1377, non basandosi sull’originale latino, ma su una parafrasi esplicativa, composta da Giovanni del Virgilio, che integrò Ovidio con altre fonti. Il testo dell’edizione del 1497 seguì il volgarizzamento trecentesco, ma con alcune revisioni operate dallo stesso editore per adattarlo al pubblico veneziano, cfr. Federica Toniolo, Immagini in

trasformazione. Le “Metamorfosi” illustrate dai manoscritti ai libri a stampa, in Ovidio: amori, miti e altre storie, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra

(catalogo della mostra, Roma 17 ottobre 2018 - 20 gennaio 2019), Napoli: Arte’m, Roma: L’Erma di Bretschneider, 2018, p. 100.

59 Ivi, p. 101; cfr. anche Giulio Pesavento, Alle origini dell’illustrazione xilografica delle “Metamorfosi”:

(24)

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quotidiani che corrispondono al mondo dell’immaginazione ed a quello dell’esperienza

dell’osservatore»60

.

Le matrici xilografiche del 1497 vennero riutilizzate per illustrare le edizioni successive del testo di Bonsignori, ma divennero anche un modello di riferimento per incisioni, dipinti o maioliche61.

Altro elemento da indicare in relazione a queste incisioni, è il decreto del 21 febbraio 1497 emanato dal patriarca di Venezia, Tommaso Donà, il quale minacciò di scomunicare l’editore Giunta e il tipografo Giovanni Rosso se il testo dell’Ovidio Metamorphoseos fosse stato pubblicato senza censurare le immagini: il pericolo maggiore era rappresentato

dalla raffigurazione del nudo, soprattutto di nudi femminili62. Per ovviare al problema,

spessi segni neri vennero realizzati in corrispondenza del pube di donne divine e mortali. Una traccia di censura sembra ritrovarsi nelle illustrazioni dell’edizione latina delle Metamorfosi edita da Giovanni Rusconi a Venezia nel 1517: nell’immagine sul mito di Perseo, un ramo con foglie copre il pube di Andromeda. Per il resto, le scene raffigurate e lo schema compositivo riprendono l’illustrazione del 1497, seppure l’immagine risulta in controparte e si differenzia per alcuni dettagli: Andromeda risulta ora legata ad un albero e il mostro marino è visto di spalle (Fig. 50). Anche il terzo esempio che si può riportare, l’edizione milanese del 1520, segue lo stessa schema, ripresentando il tipo di censura dell’edizione del 1517 (Fig. 51).

Altro esempio nell’iconografia del mito è l’incisione tratta da Tutti gli libri de Ovidio Metamorphoseos di Nicolò degli Agostini, pubblicato a Venezia per la prima volta nel 1522. L’immagine di Andromeda legata ad un albero divide il due lo spazio dell’illustrazione: la narrazione comincia dal lato destro con Perseo che regge la testa di Medusa e volge lo sguardo al corpo esanime ai suoi piedi; accanto compare Pegaso e, in secondo piano, una città con torri e mura difensive. Sul lato sinistro dell’immagine, Perseo è impegnato nella lotta con il mostro (Fig. 52). Le incisioni che accompagnarono questa edizione del testo risultano sostanzialmente originali, seppure sia possibile trovare

reminiscenze del ciclo giuntino63.

60 Gerlinde Huber-Rebenich, L’iconografia della mitologia antica tra Quattro e Cinquecento. Edizioni

illustrate delle “Metamorfosi” di Ovidio, in «Studi umanistici piceni», XII, 1992, p. 126.

61 Ibidem. A conferma del riutilizzo delle matrici, l’illustrazione nell’Ovidio Metamorphoseos vulgare del

1501, riportata da Guthmüller, risulta identica all’incisione pubblicata nell’edizione del 1497, cfr. Bodo Guthmüller, Mito, poesia, arte: saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma: Bulzoni, 1997, p. XXI, ill. 34.

62 Ivi, pp. 238, 240-241. 63

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27

Ulteriori immagini incentrate su Perseo e Andromeda mantengono la narrazione degli episodi dell’uccisione di Medusa, della nascita di Pegaso e della lotta con il mostro, ma il tutto risulta più semplificato: scompare la figura maschile accanto ad Andromeda, ora legata ad un palo, così come non ritroviamo la città sullo sfondo, restando la spiaggia e il mare a definire l’ambientazione; altro elemento nuovo è la presenza di scritte che aiutano ad identificare i personaggi (Figg. 53-54).

Si distingue per la forte espressività nella resa del soggetto un’incisione tedesca pubblicata a Mainz nel 1545. Tra gli episodi precedenti la liberazione, si aggiunge la pietrificazione di Atlante operata da Perseo usando la testa di Medusa, in secondo piano a sinistra. Volgendo invece lo sguardo al lato destro dell’immagine troviamo il momento dell’uccisione di Medusa: la gorgone ancora viva tenta di fuggire, ma non riesce perché l’eroe la sta tirando con forza per i capelli; non vi è traccia di riferimento allo stratagemma dello scudo narrato in Ovidio. Il primo piano è invece tutto dedicato al momento dello scontro tra Perseo e il mostro: sull’estrema sinistra vediamo Andromeda incatenata alla

roccia, in una posa scomposta dalla paura64; dietro di lei compaiono i genitori Cassiopea e

Cefeo, con le braccia aperte in un gesto implorante, lo sguardo rivolto all’eroe che si appresta a colpire il mostro con una lancia – arma che non risulta nominata da nessuna fonte narrante l’episodio. Ancora più particolare è la raffigurazione del mostro, metà pesce e metà donna; il suo gesto di spruzzare acqua con la mano, è probabilmente un riferimento al passo in cui Ovidio narra che l’eroe è costretto a poggiarsi su uno scoglio poiché l’acqua

e il sangue del mostro avevano appesantito i sandali alati (Fig. 55)65.

Infine, una diversa iconografia del mito risale all’edizione del Métamorphose d’Ovide figurée, edita a Lione nel 1557 e corredata dalle illustrazioni di Bernard Salomon. Nella scena presentata tutta l’attenzione è tutta incentrata su Andromeda incatenata ad una scogliera in mezzo al mare, mentre Perseo lotta con il mostro; in lontananza un gruppo di figure assiste alla scena. Il cambiamento maggiore sta nel fatto che Perseo non vola grazie

ai sandali alati, ma è in groppa a Pegaso66, e nuovamente combatte usando una lancia (Fig.

64 La paura che sconvolge Andromeda la differenzia dalle precedenti illustrazioni, nelle quali, come

sottolineato da Luba Freedman, la principessa è una figura del tutto passiva, completamente indifferente all’arrivo di Perseo, cfr. Luba Freedman, The Poesia: Ovid, Ariosto and Titian on “The Heroic Liberation of

the Maiden”, in Wege zum Mythos, Berlino: Mann, 2001, p. 28.

65 «La belva vomita acqua mista a rosso sangue e le penne delle ali di Perseo se ne imbevono e si

appesantiscono», cfr. Ovidio, Le Metamorfosi, introduzione di Gianpiero Rosati, traduzione di Giovanna Faranda Villa, note di Rossella Corti, 2 voll., Milano: BUR, 1997, I, p. 271.

66 Questo motivo, presente in diverse edizioni delle Metamorphose d’Ovide figurée, è anche più antico,

risalente alle miniature medievali: nell’Ovide Moralisé come nelle Genealogia Deorum di Boccaccio, Perseo vola in groppa a Pegaso, il quale nacque proprio dalla testa mozzata di Medusa. Si crea quindi una sovrapposizione con la storia di Bellerofonte, uccisore della Chimera e domatore di Pegaso, cfr. Eric J.

(26)

28

56). Lo schema compositivo presentato da quest’incisione sarà un punto di riferimento per l’iconografia successiva, venendo ripreso in altri testi illustrati di Ovidio o come fonte d’ispirazione dagli artisti italiani e d’oltralpe.

Al nord, le incisioni di Salomon vennero utilizzate come modello da Virgil Solis in due edizioni pubblicate a Francoforte nel 1563 e nel 1564 (Fig. 57). Eric Sluijter rileva come le illustrazioni delle diverse edizioni delle Metamorfosi abbiano colpito a tal punto la fantasia degli artisti nordici che difficilmente ci si avventurava al di fuori di questi schemi, sia per quanto riguarda il momento del mito da rappresentare sia in merito agli elementi della

composizione67.

Un elemento da sottolineare nell’iconografia del mito è la nudità di Andromeda. Come indicato da Morel, a partire dalle illustrazioni quattrocentesche e, in particolare,

dalle immagini del 149768, il mostrare Andromeda completamente nuda diventò un tratto

caratteristico nella raffigurazione. In questo dettaglio, l’iconografia differisce dal testo di Ovidio, il quale dedica pochi versi all’aspetto del principessa e non fa riferimento alla sua nudità: «L’Abantiade la vede, con le braccia incatenate alle aspre rocce (se la brezza non le agitasse i capelli e gli occhi non fossero madidi di caldi lacrime, la scambierebbe per una

statua di marmo) e subito, senza rendersene conto, è preso d’amore per lei»69.

2.2 GLI AFFRESCHI DEL CASINO DEL BUFALO

Un importante precedente per la decorazione della Galleria Farnese è costituito dal ciclo di affreschi che decorava il Casino della famiglia Del Bufalo a Roma, vicino a Fontana di Trevi. La decorazione, incentrata sul mito di Perseo e Andromeda, venne realizzata nel terzo decennio del Cinquecento da Polidoro Caldara da Caravaggio e Maturino da Firenze. I due si conobbero durante la comune esperienza nel cantiere delle

Sluijter, Rembrandt, Rubens and classical mythology: the case of Andromeda, in Classical Mythology in the

Netherlands in the Age of Renaissance and Baroque, Leuven: Peeters, 2009, pp. 28-29. Una sovrapposizione

avviene anche con la raffigurazione di Ruggiero che cavalca l’Ippogrifo, nell’episodio della liberazione di Angelica narrato nel canto X dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, cfr. Federica Caneparo, Pegaso e

l’Ippogrifo: la montatura dell’Anguillara, in Gli dei a corte. Letteratura e immagini nella Ferrara estense,

Firenze: Olschki, 2009, pp. 393-404.

67 Sluijter, Rembrandt, Rubens and classical mythology, p. 27. Per le diverse edizioni delle Metamorfosi

pubblicate oltralpe, con le illustrazioni di Salomon e di Solis, cfr. p. 26.

68

Philippe Morel, La chair d’Andromède et le sang de Méduse. Mythologie et rhétorique dans le “Persée et

Andromède de Vasari, in Andromède ou le héros à l’épreuve de la beauté (actes du colloque international,

Parigi 1995), a cura di Françoise Siguret, Alain Laframboise, Parigi: Klincksieck – Musée du Louvre, 1996, p. 62.

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