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Academic year: 2021

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1. La didattica per task

1. Dall’ approccio comunicativo alla didattica task-based

A partire dagli anni Settanta dello scorso secolo i principî dell’ approccio comunicativo hanno rivoluzionato il campo della didattica delle lingue straniere: il riconoscimento della centralità dello studente nel processo di apprendimento e di insegnamento e l’ importanza conferita allo sviluppo da parte di questo di una competenza comunicativa, piuttosto che linguistica, per potersi esprimere in modo adeguato nei diversi contesti della vita reale, hanno costituito una conquista imprescindibile per tutti gli approcci e le metodologie sviluppatesi successivamente. La didattica task-based nasce a partire da tali premesse e si sviluppa in maniera significativa grazie ai contributi degli studi in campo acquisizionale, che hanno posto in prima linea l’ importanza di una didattica compatibile con i processi cognitivi coinvolti nell’ acquisizione della L2 e allo stesso tempo motivante e coinvolgente per lo studente.

1.1 Verso l’ approccio comunicativo

Negli anni Settanta dello scorso secolo la didattica delle lingue straniere vide l’ inizio di un processo di evoluzione che portò importanti innovazioni teoriche e pratiche in questo campo di studi, oggi tuttora indispensabili e imprescindibili per l’ insegnante o lo studioso che vi si approcci.

Una serie di fattori socio-economici (fenomeni di internazionalizzazione, aumento dei viaggi turistici e di affari, crescita dei flussi migratori) contribuì ad un aumento del numero di apprendenti di lingue straniere. Parallelamente, in campo didattico, si fece spazio l’ idea che fosse necessario porre l’ accento sull’ aspetto funzionale e strumentale della lingua, piuttosto che su quello strutturale, per rispondere in maniera

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efficiente a queste nuove esigenze pratiche degli apprendenti ma anche in considerazione del fallimento di metodi didattici tradizionali in voga fino agli anni ’60 (come il metodo grammaticale-traduttivo o il metodo audio-orale) ai fini del raggiungimento di elevati livelli di competenza e fluenza da parte dello studente e anche in termini di capacità di applicare quanto appreso in classe in situazioni esterne reali.

Questo rinnovato bisogno non più teorico ma pratico delle lingue straniere, combinato con le suddette considerazioni in campo didattico, determinò una sempre maggiore attenzione allo scambio di significati e al raggiungimento di determinati scopi comunicativi come obiettivi principali dell’ insegnamento linguistico, piuttosto che alle strutture linguistiche.

Alla base dell’ approccio didattico comunicativo (Communicative Language Teaching), sviluppatosi su queste premesse a partire dalla metà degli anni ’70 nel Regno Unito e in Europa, e poi successivamente nell’ America del Nord, vi sono prima di tutto una teoria linguistica che intende la lingua come un sistema di significati, piuttosto che di strutture, finalizzati alla comunicazione e la convinzione che comunicare significati reali sia fondamentale per imparare una lingua con successo.

Gli studi di pragmatica linguistica, attraverso la teoria degli atti linguistici di Austin (1962) e di Searle (1969) e la teoria conversazionale di Grice (1975), costituiscono delle tappe fondamentali in direzione di una visione olistica della comunicazione. Sul piano didattico, i sillabi grammaticali vengono progressivamente sostituiti da sillabi nei quali l’ enfasi viene posta sull’ uso della lingua a scopo comunicativo, per cui i contenuti del corso vengono espressi in situazioni comunicative nelle quali lo studente deve essere in grado di interagire e, nello specifico, vengono organizzati in “funzioni” (ciò che lo studente “fa” con la lingua, intesa nella sua natura pragmatica) e in “nozioni” (categorie concettuali, come quelle di tempo e spazio, e categorie grammatico-semantiche, come la comparazione o la negazione, necessarie al parlante per comunicare) da acquisire1.

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Il sillabo nozional-funzionale di Wilkins (1976) ha come punto di partenza proprio domande come: “Cosa necessitano di fare gli apprendenti con la lingua?”, “Di quali significati hanno bisogno per comunicare?”.

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Se la lingua diventa dunque un sistema di funzioni, di elementi pragmatici della comunicazione (“atti comunicativi”, come presentarsi, salutare, chiedere l’ ora…), questi – e, di conseguenza, la lingua d’ uso - diventano lo scopo primario dell’ apprendimento, mentre la grammatica e il lessico vengono intesi come il mezzo per raggiungere tale scopo.

Il materiale linguistico utilizzato in classe deve perciò essere quanto più autentico possibile, non più una selezione di elementi lessicali o grammaticali spesso anche lontani dal parlato spontaneo rintracciabile dagli studenti fuori dalla classe, e nelle lezioni assumono un ruolo centrale attività improntate alla comunicazione, piuttosto che alla riproduzione di forme standard della L2.

La conoscenza di una lingua straniera non viene più intesa solo come abilità nell’ applicare delle regole grammaticali e formare frasi corrette (“competenza linguistica”2

), ma anche e soprattutto come capacità di saper scegliere le forme linguistiche in base agli obiettivi e ai contesti comunicativi, quella che Dell Hymes ha definito “competenza comunicativa” (Hymes 1972)3

.

Per i sostenitori di tale approccio, parlare di agire, di “fare” con la lingua straniera implica un radicale sconvolgimento dei tradizionali ruoli e relazioni all’ interno della classe: la lezione è incentrata sul discente e sui suoi bisogni, il primo chiamato a svolgere un ruolo attivo nel processo di apprendimento, non più semplice destinatario di contenuti linguistici, mentre gli insegnanti sono chiamati in causa con il ruolo di facilitatori e di co-partecipanti insieme agli studenti, ai quali si richiede di interagire continuamente tra di loro.

A partire da queste basi, tale approccio incentrato sulla comunicazione e che pone il discente al centro delle scelte didattiche ha determinato sillabi che tengono conto degli stili individuali di apprendimento degli studenti ed enfatizzano lo sviluppo delle loro strategie al fine di promuoverne l’ autonomia.

In quella che Howatt (1984) ha definito “versione debole” dell’ approccio comunicativo – sulla quale torneremo nel prossimo paragrafo -, lo sviluppo delle abilità comunicative si instaura all’ interno di attività di tipo più tradizionale,

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Paulston (1974)

3 Brown definisce la competenza comunicativa “the aspect of our competence which enables us to convey and interpret messages and to negotiate meanings interpersonally within specific contexts […] the knowledge that enables a person to communicate functionally and interactionally” (Brown 1994, 227).

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incentrate sulla pratica delle strutture grammaticali; la “versione forte”, invece, implica una radicale riorganizzazione dei contenuti delle lezioni, per realizzare l’ apprendimento linguistico “attraverso” la comunicazione.

Dagli anni Settanta in poi, dunque, l’ approccio comunicativo è stato protagonista di applicazioni numerose e diversificate e si è evoluto grazie ai contributi di discipline quali la psicologia umanistica, la sociolinguistica, l’ etnolinguistica, l’ antropologia.4 In particolare, è dagli studi in campo acquisizionale che si ottiene un ulteriore importante sostegno alla promozione di tale approccio.

1.2 I contributi della linguistica acquisizionale alla nascita della didattica task-based

Un importante contribuito teorico a sostegno di un approccio improntato alla comunicazione è da considerarsi quello ad opera degli studi di linguistica acquisizionale delle lingue seconde (SLA, Second Language Acquisition): le ricerche in questo campo – tappe fondamentali gli studi di Selinker (1972) sullo sviluppo dell’ interlingua e di Corder (1967) sulla natura degli errori - hanno dimostrato infatti, in contrasto con le teorie di tipo comportamentista, che l’ acquisizione della L2 è determinata per la maggior parte da processi di sviluppo interni e non consiste in una semplice conversione di input in output (Skehan 1996b, 18) e soprattutto che l’ insegnamento non può determinare il modo in cui si sviluppa la lingua degli apprendenti: le strategie e i processi cognitivi coinvolti nello sviluppo dell’ interlingua sono indipendenti dal modo in cui gli apprendenti vengono istruiti.

Sulla base di queste considerazioni vengono mosse le critiche (Littlewood 1981) verso una strategia didattica molto diffusa e che presenta residui anche in sillabi improntati alla comunicazione: si tratta di quella strategia alla base di modelli di apprendimento di tipo comportamentista che viene comunemente indicata con la formula PPP (“Presentation-Practice-Production”) e che si basa su tre fasi per l’ insegnamento della lingua straniera: una fase di Presentazione di un singola porzione

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Per una storia dell’ approccio comunicativo si veda Apprendice A: i principali approcci e metodi del XX secolo, in Balboni, P. (2002), Le sfide di Babele: insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, Utet, pp. 238-244.

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grammaticale o di una regola, solitamente esposta esplicitamente in un contesto, in modo da sviluppare una comprensione teorica da parte dello studente; una fase di Pratica che, tramite lo svolgimento di esercizi con la supervisione dell’ insegnante, dovrebbe rendere lo studente in grado di usare correttamente la regola o la struttura presentata; una fase di Produzione libera, in cui l’ apprendente riproduce quanto appreso in maniera più spontanea e flessibile, possibilmente adattandolo in nuovi contesti.

Come già accennato, residui di tale impostazione dell’ insegnamento si trovano anche nell’ approccio improntato alla comunicazione (in quella che è stata definita “versione debole”), qualora esso venga inteso come pratica di strutture già esposte precedentemente in situazioni realistiche ma comunque ben controllate, piuttosto che come vera espressione libera da parte degli studenti di propri significati.

Jane Willis muove una critica alla natura stessa della fase di libera produzione, che non può essere libera proprio perché le strutture linguistiche di cui si farà uso sono state già presentate:

“The irony is that the goal of the final P – free production – is often not achieved. How can production be free if students are required to produce forms that have been specified in advance?” (J. Willis 1996a, 135)

Spesso in quest’ ultima fase, prosegue Willis, si presentano due situazioni: o gli studenti si conformano ai desideri dell’ insegnante e quindi si concentrano esclusivamente sulla forma, sostanzialmente ripetendo e ampliando la fase di pratica, oppure si focalizzano sul significato svolgendo adeguatamente l’ attività che viene loro richiesta ma in realtà senza utilizzare la nuova struttura.

Proprio quest’ ultima situazione fornisce un’ importante argomentazione per i teorici della didattica task-based: perché non partire dalla fase di libera produzione, assegnando un compito comunicativo che richieda agli studenti di concentrarsi sul significato, piuttosto che sulla forma, lasciando loro utilizzare le conoscenze di cui già sono in possesso e specificando solo a fine attività le strutture linguistiche con lo scopo di ampliare e perfezionare le loro abilità?

La strategia didattica PPP si basa sulla convinzione che per assimilare e saper usare una lingua straniera in maniera accurata fuori dalla classe sia sufficiente e necessario che una determinata struttura linguistica venga presentata, imitata e praticata

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intensivamente, evitando errori; si basa inoltre sull’ assunto che gli studenti impareranno ciò che viene insegnato nello stesso ordine in cui esso viene presentato, percorso che la linguistica acquisizionale ha largamente smentito.

La didattica task-based (Task-based Language Teaching o Task-based Istruction), prendendo le mosse da un approccio di tipo comunicativo, propone il ribaltamento dell’ ordine proposto dal metodo PPP, per partire dalla fase di libera produzione, che avviene tramite l’ assegnazione di task, che per il momento definiamo “compito comunicativo” incentrato sul raggiungimento di un obiettivo pratico extralinguistico, utilizzato come unità centrale dell’ insegnamento.

Le parole di Ellis riassumono in maniera efficace le ragioni avanzate dai promotori di questa didattica:

“First and foremore it is premised on the theoretical view that the instruction needs to be compatible with the cognitive processes involved in L2 acquisition. Second, […] the importance of learner ‘engagement’ is emphasized; tasks, as long as they provide a ‘reasonable challange’, will be cognitively involving and motivating. Third, tasks serve as a suitable unit for specifying learners’ needs and thus for designing specific purpose courses.” (Ellis 2003, 209)

Alla base di tale approccio, dunque, vi sono prima di tutto due convinzioni circa l’ apprendimento linguistico, confermate dalla ricerca linguistica acquisizionale: la prima è che, come abbiamo visto, esso non proceda in maniera lineare, ma sia un complesso processo organico in cui l’ apprendente attraversa dei passaggi intermedi prima di arrivare all’ acquisizione di un determinato concetto linguistico; l’ altra convinzione è che l’ apprendimento richieda tre condizioni fondamentali: esposizione, pratica (e interazione), motivazione.

Per quanto riguarda la prima, Jane Willis la definisce “exposure to a rich but comprehensible input of real spoken and written language in use” (J.Willis 1996b, 11), in riferimento all’ “Input Hypothesis” di Krashen: l’ input può comprendere tanto l’ ascolto quanto la lettura e fa sì che l’ apprendente si sforzi di comprendere tale input ma anche che egli osservi come altre persone esprimono dei significati che anch’ egli vorrebbe essere in grado di esprimere.

L’ input fornito all’ apprendente deve essere ricco nel senso che egli deve essere esposto non ad una selezione e ad una varietà semplificata della lingua d’ uso, ma ad

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una lingua quanto più varia e realistica e che allo stesso tempo sia per lui comprensibile, ovvero contenga “elementi nuovi rispetto a quelli già noti e [da lui] acquisiti” (Diadori, Palermo, Troncarelli 2009, 102).

L’ output, ciò la rielaborazione dell’ input nella produzione linguistica dello studente, è considerato altrettanto essenziale per l’ acquisizione linguistica (“Output Hypothesis”), non solo come risultato di una conoscenza acquisita (intake), ma come fase fondamentale nel processo stesso di apprendimento. Si ritiene infatti che l’ output forzi lo studente a riflettere in maniera cosciente sulla lingua che sta producendo; ciò facendo, il discente nota la discrepanza tra ciò che può dire e ciò che vuole dire e questo attiva lo sviluppo dell’ interlingua con lo scopo di colmare tale lacuna.

L’ output inoltre deve essere di tipo comunicativo; ciò permette un’ acquisizione più veloce ed efficace, perché la pratica attraverso attività centrate sulla forma linguistica non attiva quei processi cognitivi in grado di promuovere l’ acquisizione linguistica. Inoltre, in accordo con l’ “Interaction Hypothesis”, l’ interazione, oltre a fornire opportunità sia di ricevere input comprensibili che di produrre output modificati, promuove possibilità di negoziazione di significati, che, secondo alcuni studiosi, favorisce ulteriormente l’ acquisizione della L2, in quanto innesca dei processi attraverso i quali gli studenti cercano di raggiungere la comprensione degli altri interlocutori5.

Secondo i promotori dell’ approccio task-based l’ uso dei task combina in maniera ottimale queste due condizioni necessarie per l’ apprendimento linguistico: favorisce l’ elaborazione sia di input che di output e aumenta le possibilità di negoziazione di significati, sviluppando contesti migliori per attivare i processi di acquisizione negli studenti.

In secondo luogo l’ uso di task incrementa la terza condizione necessaria per l’ apprendimento linguistico, che è la motivazione dello studente, il quale è anche

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Per un approfondimento sullo sviluppo di queste tre ipotesi e sul loro ruolo nella ricerca task-based, si veda Shehadeh, A. (2005), Task-based Language Learning and Teaching: Theories and Applications, in Edwards, C./ Willis, J. (2005), Teachers exploring tasks in English language teaching, New York, Palgrave Macmillan, pp. 13-30 e Willis, J., Language learning: creating the best environment, in Willis, J. (1996b), A framework for task-based learning, Harlow (U.K.), Longman, pp. 3-19.

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stimolato da una sorta di “piacere intellettuale” nello svolgere con successo il compito assegnato, specialmente se esso ha una qualche somiglianza con attività della vita reale. Se gli studenti, infatti, sentono di aver raggiunto uno scopo pratico tramite il loro sforzo individuale – che, come vedremo, è al centro degli scopi di un task – sono poi più stimolati a proseguire nell’ apprendimento.

Nei task, dunque, l’ uso della L2 in contesti che riproducono attività della vita reale o processi mentali messi in atto quotidianamente consente di stimolare le capacità cognitive e offre agli studenti occasioni di comunicazione autentica su argomenti che li interessano.

Se una delle idee-base della didattica task-based è che ciò che lo studente apprende non è necessariamente ciò che il docente gli ha insegnato e che il suo intervento non può modificare il modo in cui l’ interlingua progredisce, è pur vero che non si può negare in toto la ragion d’ essere dell’ insegnamento: esso può sicuramente aiutare gli studenti a notare in maniera conscia specifici tratti della L2. In quest’ ottica, attività che promuovono la consapevolezza di una determinata forma linguistica tramite l’ inclusione di un “Focus on Form” (Long 1991), in un contesto in cui la comunicazione è comunque primaria, sembrano avere più benefici tanto di attività incentrate sulla ripetizione automatica di tale struttura quanto di attività in cui viene negato qualsiasi intervento sulla forma (come accade nella versione “forte” dell’ approccio comunicativo).

Negli ultimi trent’ anni l’ uso dei task è diventato un importante argomento di studio sia nel campo della ricerca che in quello didattico: se i ricercatori hanno approcciato e approcciano i task da diversi punti di vista, privilegiando a seconda dei casi una prospettiva socio-culturale, psicolinguistica, cognitiva o interazionista all’ analisi dei compiti6 ed esaminando come la strutturazione e l’ utilizzo dei task permetta di formulare ipotesi sulla progressione dell’ interlingua, gli insegnanti utilizzano i compiti in maniera creativa e in diversi tipi di sillabo per aiutare gli studenti ad apprendere in modo veloce ed efficace, ma anche per testare la loro abilità nell’ usare

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Per una panoramica su tali approcci all’ uso dei task si veda P.Skehan (2003), Task-Based Instruction. Language Teaching 36, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 1-14.

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la L2 nella comunicazione in tempo reale, quando l’ attenzione è focalizzata più sul significato che sulla forma7.

Per la natura di tale lavoro, in questo capitolo i task verranno trattati privilegiando il punto di vista didattico.

2. Una definizione di task

Se gli anni Ottanta possono essere considerati un periodo di esplorazione nel campo della ricerca e della didattica task-based, gli anni Novanta costituiscono un periodo di incredibile espansione in questi due settori.

Dalle numerose pubblicazioni dedicate all’ argomento8 emerge una varietà di definizioni del termine “task” che mettono in luce la ricchezza di dimensioni che esso chiama in causa: a seconda dei campi di interesse e dei punti di vista degli studiosi, vengono infatti messi in evidenza lo scopo didattico del task, il suo obiettivo extralinguistico, il grado di autenticità, il tipo di abilità richiesta per svolgerlo, i processi cognitivi coinvolti.

Nella seguente tabella vengono riportate le definizioni formulate dai principali studiosi:

Autore Definizione

Long (1985) A piece of work undertaken for oneself or

for others, freely or for some reward. Thus examples of tasks include painting a

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P.Skehan sintetizza così gli scopi della ricerca e della didattica nell’ utilizzo dei task: “…in terms of purpose in using tasks, there is a movement from demonstrating theoretically-valued ‘effects’ of tasks, on the one hand, to enabling teachers and others involved in pedagogy to work with learners over extended periods to promote change in the learner’s language system, on the other.” (Skehan 2003, 3)

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Tra i lavori più importanti quelli di Prabhu, N. S. (1987), Second Language Pedagogy, Oxford, Oxford University Press; Nunan, D. (1989), Designing tasks for the communicative classroom. Cambridge, Cambridge University Press; Willis, J. (1996b), A framework for task-based learning, Harlow (U.K.), Longman; Skehan, P. (1998), A cognitive approach to language learning, Oxford, Oxford University Press; Bygate, M./ Skehan, P./ Swain, M. (2001), Researching Pedagogic Tasks. Second language learning, teaching and testing, Harlow, Pearson Education; Ellis, R. (2003), Task-based Language Learning and Teaching, Oxford, Oxford University Press.

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fence, dressing a child, filling out a form, buying a pair of shoes, making an airline reservation… In other words, by “task” in meant the hundred and one things people

do in everyday life, at work, at play, and

in between. “Tasks” are the things people will tell you they do if you ask them and they are not applied linguists.

Richards, Platt & Weber (1985) An activity or action which is carried out as the result of processing or understanding language i.e. as a response. For example, drawing a map while listening to a tape, and listening to an instruction and performing a command, may be referred to as tasks. Tasks may or may not involve the production of language. A task usually requires the teacher to specify what will be regarded as successful completion of the task. The use of a variety of different kinds of tasks in language teaching is said to make teaching more communicative… since it provides a purpose for classroom activity which goes beyond practice of language for its own sake.

Prahbu (1987) An activity which required learners to arrive at an outcome from given information through some process of thought and which allowed teachers to control and regulate that process was regarded as a task.

Candlin (1987) One of a set of differentiated,

sequenceable, problem-posing activities involving learners’ cognitive and communicative procedures applied to existing and new knowledge in the collective exploration and pursuance of foreseen or emergent goals within a social milieu.

Nunan (1989) A piece of classroom work which

involves learners in comprehending, manipulating, producing or interacting in the target language while their attention is primarily focused on meaning rather than

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11 form.

Willis (1996b) Activities where the target language is used by the learner for a communicative purpose (goal) in order to achieve an outcome.

Skehan (1998) An activity in which: meaning is primary; there is some sort of relationship to comparable real-world activities; task completion has some priority; the assessment of the task is in terms of outcome.

Bygate, Skehan, Swain (2001) An activity which requires learners to use language, with emphasis on meaning, to obtain an objective.

Il task viene prima di tutto definito come un’ attività (qualcosa che si fa) diretta ad un obiettivo.

Secondo Long, nello svolgimento di tale compito è incluso in qualche modo l’ uso della lingua: ciò significa che l’ obiettivo non deve essere necessariamente linguistico (vestire un bambino, dipingere uno steccato), ma il task necessita dell’ uso della lingua per poter raggiungere tale obiettivo. Quindi, vestire un bambino diventa un’ attività linguistica se non può essere svolta senza l’ uso della lingua, ad esempio se per farlo è necessario seguire i consigli di qualcuno.

Secondo altre definizioni più restrittive (ad esempio quelle di Richards, Platt & Weber e Nunan), il task è un’ attività che coinvolge necessariamente la lingua.

Uno degli aspetti più controversi messo in luce da alcune definizioni selezionate è l’ autenticità del task: secondo alcuni studiosi, ciò che viene chiesto agli studenti di svolgere in classe tramite il task deve replicare azioni che essi possono ritrovarsi a dover svolgere fuori dalla classe. Secondo Long, ad esempio, i task svolti in classe devono essere delle vere copie, o quanto meno delle approssimazioni molto vicine, delle attività che si svolgono nella vita reale (vestire un bambino, comprare un paio di scarpe, prenotare un aereo, prendere in prestito un libro dalla biblioteca); secondo altri (ad esempio Skehan) nel task c’ è “una sorta di relazione col mondo reale”, nel senso più generale che l’ attività svolta in classe richiede l’ uso di una lingua che

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riprenda quella utilizzata nella realtà esterna alla classe. In tal senso un task può anche essere raccontare una storia basata su delle figure, trovare le differenza tra due immagini: ciò su cui, in quest’ accezione, si vuole porre attenzione è la natura della risposta dello studente, piuttosto che una qualche forma di autenticità del compito, intesa come occorrenza dell’ attività nel mondo reale.

Secondo Skehan, infatti, “it is the reaction of the learner or the research subject which is the key, rather than the fact that a particular task may have, at some time, been used by native speakers (possibly in a different context)” (Skehan 2003, 3). Come vedremo, tale distinzione ha dato luogo a due differenti tipologie di task, i task pedagogici e i task reali.

Come sottolinea Willis (1996b, 16), l’ elemento di somiglianza con la vita reale è importante per la motivazione dello studente: specialmente gli adulti vogliono pensare di non stare perdendo tempo studiando cose di cui non avranno mai bisogno. La motivazione risulta specialmente dall’ avere obiettivi reali da raggiungere con la lingua che si sta apprendendo.

Per quanto riguarda il tipo di lingua che deve essere usata per svolgere un task, le definizioni pongono l’ accento sul primato del significato: l’ attenzione dell’ apprendente deve essere focalizzata sullo scambio di significati, cioè sull’ uso della lingua, più che sulla forma.

Ecco dunque come un task si distingue da un semplice esercizio: il primo è un’ attività che prevede un uso della lingua incentrato sul significato, il secondo invece si concentra sulla forma.

Durante lo svolgimento dell’ attività gli studenti non mostrano semplicemente il controllo di determinate strutture linguistiche o frasi (quello che sarebbe un obiettivo linguistico), ma, come sottolinea la prima definizione (Richards), il task prevede uno scopo che va oltre il praticare la lingua in sé.

Ciò si basa sul presupposto, già messo in luce, che attività incentrate sullo scambio di significati promuovano maggiormente l’ acquisizione della L2.

Ellis (2003, 3) sottolinea come questa distinzione tra attività “meaning-focused” ed esercizi “form-focused” implichi anche un differente ruolo di chi le svolge: un task implica un partecipante che “usa” la lingua, nel senso che deve impiegare dei processi comunicativi uguali a quelli implicati in attività della vita reale e quindi in

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questo contesto l’ apprendimento è qualcosa di incidentale. Al contrario, chi svolge un esercizio è coscientemente apprendente: in questo caso l’ apprendimento avviene in maniera intenzionale.

Questo punto pone un ulteriore quesito sul ruolo del focus linguistico (“focus on form”) e su come esso possa o debba essere incluso, implicitamente o esplicitamente, nel task (durante lo svolgimento, prima o dopo).

Come vedremo, secondo alcuni studiosi (in prima fila Long e Willis) nell’ approccio task-based è necessaria un’ attenzione tanto allo scambio di significati quanto alla forma, perciò chi progetta il task deve prevedere, a conclusione dell’ attività, una fase di riflessione sulle forme linguistiche utilizzate, perché si ritiene che ciò promuova l’ acquisizione della L2.

Infine, le definizioni di Prahbu e Nunan sono quelle che pongono maggiormente l’ attenzione sul coinvolgimento di processi cognitivi: come vedremo, classificare, selezionare, confrontare, risolvere problemi, elaborare opinioni personali sono i principali processi attivati dall’ apprendente durante lo svolgimento di un task.

2.1. La definizione di Ellis

Rod Ellis, uno dei principali esperti di uso dei task sia nel campo della ricerca acquisizionale che in campo didattico, fornisce la definizione che ci è sembrata più completa ed esaustiva ai fini di questo lavoro:

“A task is a workplan that requires learners to process language pragmatically in order to achieve an outcome that can be evaluated in terms of whether the correct or appropriate propositional content has been conveyed. To this end, it requires them to give primary attention to meaning and to make use of their own linguistic resources, although the design of the task may predispose them to choose particular forms. A task is intended to result in language use that bears a resemblance, direct or indirect, to the way language is used in the real world. Like other language activities, a task can engage productive or receptive, and oral or written skills, and also various cognitive processes.”

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La definizione di Ellis mette in luce alcuni aspetti importanti: il task è un’ attività che segue un piano di lavoro (workplan) e delle istruzioni che definiscono lo scopo e il risultato che deve essere raggiunto. Lo scopo è l’ uso pragmatico e comunicativo della lingua e, altro elemento distintivo di questa definizione, il task può essere pianificato in modo tale da indirizzare lo studente verso l’ uso di una specifica forma linguistica, ad esempio una particolare struttura grammaticale (Ellis distingue, come vedremo, tra “focused” e “unfocused” task), senza però che l’ insegnante le anticipi in qualche modo.

Il risultato è ciò a cui gli studenti arrivano quando hanno completato il task: prenotare una cena al ristorante, raccontare una storia basandosi su alcune immagini…

La distinzione è importante: è possibile che il task abbia successo in termini di scopo, ma non in termini di risultato pedagogico: Ellis porta l’ esempio degli studenti che trovano tutte le differenze tra due immagini semplicemente mostrandosele a vicenda, ma senza usare la lingua.

Quindi, aggiunge, sostenere che “the assessment of task performance is in terms of task outcome” è giusto dal punto di vista dello studente, ma non dell’ insegnante, secondo il quale è più importante che egli raggiunga l’ obiettivo pedagogico del task. Ultimo aspetto rilevante messo in luce esplicitamente dalla definizione di Ellis è che il task può coinvolgere tutte le abilità linguistiche: lettura, produzione scritta, ascolto o produzione orale, ma anche un’ integrazione di alcune di esse.

2.2 Linee guida per la descrizione di un task

Sulle basi della definizione fornita, Ellis propone una lista di elementi di cui tenere conto nella descrizione di un task (Ellis 2003, 17-21):

- OBIETTIVO: è lo scopo generico del task: può consistere nello sviluppo di una determinata componente della competenza comunicativa cui esso vuole contribuire (linguistica, sociolinguistica, discorsiva, strategica) o nello sviluppo di una o più delle quattro abilità linguistiche, di una tipologia testuale (descrizione,

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argomentazione…) o di determinate funzioni linguistiche, come ad esempio dare direzioni, raccontare storie, avanzare delle soluzioni ad un problema, identificare una persona a partire da descrizioni scritte o orali.

- INPUT: il tipo di input che il task fornisce come punto di partenza, che può essere verbale o non verbale, scritto o orale: una serie di immagini, una storia raccontata dall’ insegnante, una mappa, un testo scritto, un registrazione.

- CONDIZIONI: il modo in cui l’ input viene presentato. Ciò riguarda la configurazione delle informazioni, cioè se sono suddivise tra gli studenti, condivise da tutti, affidate ad un solo componente di una coppia; se è richiesta o meno l’ interazione tra gli studenti e in che modo (uno studente che controlla il flusso di informazioni verso tutti, o più studenti che lo fanno).

- PROCEDIMENTO: il modo in cui il task viene eseguito: in gruppo, a coppie o individualmente; in un tempo stabilito o senza limite temporale; con il permesso di prendere appunti o meno; con esposizione finale orale o scritta.

Molti studi sui task sono diretti a verificare in che modo i vari procedimenti possono influire sullo svolgimento e sul successo del compito.

- RISULTATO PREVISTO: secondo alcuni studiosi (ad esempio Nunan), è impossibile prevedere l’ esito di un task, ma, come abbiamo visto, il concetto stesso di task come attività pianificata prevede il raggiungimento tanto di uno scopo pedagogico quanto di un risultato effettivo dell’ attività.

Ellis parla di “Prodotto” a proposito di quest’ ultimo; esso può essere individuato in base alla natura dell’ output elaborato (orale, scritto, ma anche non verbale) o in base al tipo di discorso (una descrizione, un’ argomentazione) o di genere prodotto (una ricetta, un discorso politico…).

La gamma di risultati ottenibili è quindi molto vasta: un percorso tracciato su una mappa, una lista di differenze o di somiglianze tra due immagini, la conclusione di una storia sono solo alcuni esempi.

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Il prodotto inoltre può essere aperto, se permette diverse possibilità, o chiuso, se implica una sola soluzione.

Il risultato in termini di “Processo” previsto, invece, include i processi linguistici e cognitivi che il task è chiamato a generare: selezione, ordine, partizione, comparazione, ragionamento, valutazione, giustificazione, ipotesi.

2.3 Prime sperimentazioni didattiche: The Bangalore Project

Il Bangalore Communicational Teaching Project (anche conosciuto come Bangalore/Madras Project) è stata una delle prime iniziative pedagogiche basate sull’ uso di task in un contesto specifico e in un determinato periodo di tempo. In Second

Language Pedagogy (1987) Prahbu, il coordinatore del progetto, espone la

preparazione, lo svolgimento e i risultati di questo esperimento svoltosi nell’ arco di sei anni (1979-85) con trecento studenti della scuola primaria e secondaria (tra gli otto e i tredici anni) nella zona sud dell’ India. Esso prende le mosse da una generali insoddisfazione nei confronti dei metodi tradizionali di insegnamento linguistico (in particolare i metodi strutturale, audio-orale e situazionale), considerati utili a conseguire una conoscenza soltanto esplicita della grammatica, ma incapaci di promuovere un sistema interno di conoscenza, e dalla conseguente necessità di esplorare alternative didattiche.

L’ ipotesi alla base di tale progetto è che l’ acquisizione della forma linguistica sia facilitata quando l’ attenzione dell’ apprendente è rivolta al significato: “language form is best learnt when the learner’s attention is focused on meaning” (Prabhu 1982, in Brumfit 1984, 234).

Più specificatamente, “Grammar-construction by the learner is an unconscious process which is best facilitated by bringing about in the learner a preoccupation with meaning, saying and doing.” (Prahbu 1987, 147).

In accordo con Krashen (1981), l’ acquisizione di strutture linguistiche non avviene istantaneamente, ma è un processo che si attua per gradi a livello subconscio tramite la costruzione di un sistema interno di regole o principi astratti (Prabhu 1987, 70).

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Lo sviluppo di tale sistema interno avviene nel momento in cui lo studente concentra la propria attenzione sul messaggio e sulla comunicazione.

L’ uso dei task viene promosso da Prabhu nella convinzione che essi creino le condizioni per cui avvenga tale processo: mentre l’ apprendente è impegnato nella comprensione e nell’ espressione di significati richieste dal task, parallelamente, a livello subconscio, si ritiene che si attui la progressione del sistema.

In altre parole, mentre l’ attenzione dell’ apprendente è rivolta alla risoluzione del task, inconsciamente egli acquisisce le competenze linguistiche.

Durante lo svolgimento del compito, in pratica, si innescano nella mente degli studenti una serie di processi cognitivi che agiscono su due livelli, conscio e inconscio: a livello conscio, avviene la costruzione dei significati, quando il significato è compreso e trasmesso; a livello inconscio, invece, avviene lo sviluppo e la fissazione delle strutture linguistiche:

“Task-based teaching operates with the concept that, while the conscious mind is working out some of the meaning-content, some subconscious part of the mind perceives, abstracts or acquires (or re-creates, as a cognitive structure) some of the linguistic structuring embodied in these entities, as a step in the development of an internal system of rules. The intensive exposure caused by an effort to work out meaning-content is thus a condition which is favorable to the subconscious abstraction or cognitive formation of language structure.” (Prahbu 1987, 71)

Qualsiasi tentativo di sviluppare il sistema linguistico a partire dalle strutture, e non dai significati, viene rifiutato, proprio perché si ritiene che esso avvenga quando la mente è concentrata, al contrario, sulla scambio di significati.

Per questo, come vedremo, il sillabo elaborato in questo progetto non è specificato in termini di strutture o vocaboli, ma è costituito da una serie di task graduati per difficoltà e raggruppati per somiglianza.

Il progetto si basa infatti sull’ ideazione e sullo svolgimento di attività “meaning-focused”, con l’ idea che gli studenti debbano concentrarsi sul loro completamento tramite la comunicazione e non sull’ accuratezza con cui la soluzione del compito viene espressa. In altre parole, il task non viene valutato in termini di correttezza formale, ma in termini di contenuto.

Le attività – come anticipato nella definizione di task elaborata da Prabhu (§2) – coinvolgono gli studenti da un punto di vista cognitivo e richiedono loro di

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interpretare dati, per esempio una tabella con degli orari ferroviari, una lista di regole, una mappa in cui devono individuare, nominare e descrivere specifiche località.

Nel materiale non viene specificata la lingua di cui dover far uso. Gli eventuali errori linguistici vengono corretti senza interrompere lo scorrere della conversazione e soprattutto senza alcuna spiegazione di regole grammaticali.

Il task viene strutturato in due fasi: una fase di pre-task in cui viene assegnata un’ attività che gli studenti svolgono collettivamente sotto il controllo e la guida passo dopo passo dell’ insegnante; il task vero e proprio, che viene svolto dallo studente individualmente.

Si passa dunque da una fase di partecipazione dell’ intera classe, basata sull’ interazione orale e sulle direzioni dell’ insegnante, a una di sforzo individuale degli studenti nel sostenere lettura, ascolto e produzione scritta (Prahbu 1987, 55).

Le due fasi sono simili per il fatto che richiedono simili processi di ragionamento, consistono in sequenze analoghe di domande o impiegano situazioni, testi, fatti affini.

C’è inoltre una terza fase nella quale gli studenti ricevono un feedback riguardo al risultato del task.

Conquistare l’ approvazione dell’ insegnante o l’ ammirazione di un compagno, ma anche ottenere soddisfazione nel risolvere problemi sono fattori considerati fondamentali per la motivazione degli apprendenti. Anche se l’ impegno degli studenti nel task è più importante della loro riuscita, un certo grado di successo assume rilevanza per mantenere la loro predisposizione al rischio e ai tentativi, poiché fallimenti ripetuti possono provocare in loro un senso di frustrazione.

A tal proposito scrive Prahbu:

“Tasks in a procedural syllabus should be intellectually challenging enough To maintain students’ interest, for that is what will sustain learners’ affects at task completion, focus them on meaning and, as part of that process, engage them in comprehending the task’s linguistic demands.” (Prahbu 1987, 56)

Alcune critiche sono state mosse sia alla natura dei task e al loro impiego sia, come vedremo più avanti, al tipo di sillabo in cui sono stati utilizzati.

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Greenwood, analizzando alcune tipologie di task utilizzate nel progetto, ritiene che la maggior parte dei task esposti nel testo di Prahbu non si allontanino dalle nozioni e funzioni proposte nel sillabo di Wilkins. Ad esempio: “carrying out directions seems to be the familiar function prevalent in many a recent course book. Does it mean that tasks equals function?”, “detecting chronological contradictions seems to bring us back to notions” e “describing person would appear to be a function again” (Greenwood, 1985, 269).

Il progetto ha comunque il merito di essere un primo esperimento pratico a lungo termine di utilizzo di task in contesti reali di insegnamento (contesti, per altro, non facili per il numero di alunni per classe e per le scarse risorse disponibili) e di concentrare l’ attenzione dell’ insegnamento linguistico sullo scambio di significati, piuttosto che sull’ apprendimento delle strutture.

La negazione di qualsiasi istruzione di tipo formale costituisce però, allo stesso tempo, uno dei punti più critici del progetto, dal momento che, come vedremo, si ritiene che un certo grado di attenzione alla forma sia fondamentale nell’ apprendimento linguistico, anche in contesti di tipo comunicativo.

3. Tipologie di task

Varie classificazioni di task sono stata formulate, sia da ricercatori (ad esempio G.Crooks/ S.Gass 1993) sia da professionisti della didattica (Prahbu 1987; D.Willis 1996). Ellis (2003, 210-216) ce ne fornisce una recensione dettagliata.

Qui ci concentreremo sulle classificazioni formulate per scopi didattici e terremo conto di tre macro-categorie di task, individuate secondo il principio su cui si fondano: 1. principio del “gap”, 2. raggiungere una decisione o una soluzione, 3. processi cognitivi coinvolti.

1. Principio del “gap”

Task basati sul ritrovamento di informazioni mancanti (“information gap”, vuoto informativo) furono probabilmente tra i primi ad essere usati. L’ idea è che uno studente avesse un’ informazione di cui un compagno ha bisogno per poter

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completare il task. Al fine di ottenere l’ informazione mancante e quindi raggiungere la soluzione del compito, deve aver luogo una serie di interazioni comunicative. Prahbu (1987) ha esteso questa idea e nel suo Bangalore Project ha identificato tre tipi di gap-task:

• vuoto informativo (information gap): trasferire informazioni da una forma ad un’ altra (ad esempio da un testo ad una tabella) o da uno studente ad un altro, tramite procedimenti di codifica e decodifica o selezione di elementi importanti.

• vuoto ragionativo (reasoning gap): derivare un’ informazione nuova da un’ informazione data, attraverso processi di deduzione, ragionamento, individuazione di relazioni. Un esempio fornito da Prahbu: dedurre le ore di lavoro di un insegnante a partire dal quadro-orario di una classe.

• vuoto di opinione (opinion gap): identificare o esprimere una preferenza personale, una sentimento o un modo di comportarsi in una determinata situazione, ad esempio dare un’ opinione personale su un tema sociale.

All’ interno del progetto i “reasoning tasks” basati su diagrammi, calendari, tabelle di orari, itinerari, mappe sono risultati i più riusciti in termini di impegno degli studenti a concentrarsi sul significato.

Molti materiali possono essere ideati per creare tali “vuoti” da completare: mappe, immagini, foto…, ognuno dei quali contenga solo una parte dell’ informazione necessaria per raggiungere la soluzione del task, possibile solamente tramite un lavoro di condivisione, confronto e collaborazione tra gli studenti.

Compiti del tipo memory-play sono anch’ essi basati sul principio del vuoto da colmare. Essi si basano sul fatto che, dato solo un breve tempo per memorizzare l’ immagine/il testo/la storia, gli studenti ricorderanno ognuno elementi diversi, quindi il “gap” da risolvere si presenta in maniera naturale.

Ad esempio, per completare un riassunto, una lista o una descrizione completa di oggetti, gli studenti hanno bisogno di assemblare informazioni basandosi su ciò che ognuno di essi ricorda.

Possiamo quindi aggiungere anche un “memory gap” ai gap-task individuati da Prahbu.

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21 2. Raggiungere una decisione o una soluzione

Il principio su cui si basano task di questo tipo è il “problem-solving”: essi prevedono cioè che ci sia una decisione da prendere o una soluzione da trovare tramite un qualche tipo di interazione tra gli studenti.

Si parte da una serie di informazioni che vengono fornite loro in una fase preparatoria o delle quali essi sono già a conoscenza (un esempio: i problemi che si possono avere nel trovare un parcheggio in città). Gli studenti lavorano insieme per trovare soluzioni possibili, giustificare il loro punto di vista, valutare le idee degli altri compagni.

Task di questo tipo, però, possono anche essere strutturati in maniera tale da non essere convergenti ma divergenti: agli studenti vengono affidate una o più soluzioni da sostenere, mentre altri studenti devono controbattere.

Secondo Long (1989) questi ultimi produrrebbero minore negoziazione di significati rispetto ai primi (nei quali gli studenti devono trovarsi d’ accordo su una soluzione, piuttosto che difendere la loro posizione rispetto a quella di un compagno) e per questo vengono considerati meno efficaci per l’ apprendimento linguistico.

3. Processi cognitivi

Willis (1996a) offre una classificazione basata su sei principali processi cognitivi che possono essere coinvolti nei task. Le sue tipologie di compiti, ordinate dal processo cognitivo più semplice al più complesso, sono:

• Fare una lista (di cose, persone, azioni, processi, motivi, requisiti…), attraverso brainstorming individuale o di gruppo, oppure attraverso la ricerca, la lettura o l’ uso di materiale di riferimento.

• ordinare e classificare. Ciò può comprendere fare una classifica, mettere in ordine di importanza e poi motivare le proprie scelte. Questo tipo di task quasi sempre segue un task del primo tipo (ad esempio fare una lista delle parti di un oggetto e poi

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classificarle in base alla loro funzione) e spesso include una parte basata sul prendere una decisione.

• confrontare, ad esempio cercando e trovando somiglianze o differenze (in testi, diagrammi, immagini…)

• Risoluzione di problemi. Si va da problemi logici e puzzle a rispondere ad avvisi o dare consigli. Questi tipi di task comportano spesso esprimere ipotesi, descrivere esperienze, confrontare diverse strategie di soluzione, valutare e accordarsi su una di esse.

• Condividere esperienze personali. Questo tipo di processo chiede allo studente di formulare discorsi più lunghi e articolati (raccontare aneddoti, descrivere esperienze avute) e a chi lo ascolta di reagire a quanto detto e di fare un confronto con la propria esperienza personale; per questo i task basati su tale processo sono più utili per la conversazione spontanea.

• Attività creative. Queste possono comprendere scrittura creativa, registrare un’ intervista, condurre e riportare un’ indagine, produrre un video. In base all’ argomento scelto, si può chiedere di portare avanti una ricerca e di riportarne via via i risultati.

I principî elencati da Willis non sono compartimenti stagni, nel senso che spesso i processi sono compresenti o si alternano in uno stesso task; gli ultimi tre, ad esempio, possono spesso includere anche processi di ordine, comparazione, classificazione. Il livello di difficoltà cognitiva può essere alzato o abbassato modificando ognuno dei parametri esposti da Ellis.

I task basati su questi processi cognitivi possono essere costruiti attorno a qualsiasi argomento, selezionato in base ai bisogni lessicali e discorsivi degli studenti, siano essi generici o specifici.

Secondo Willis (1996b, 23), ogni tema può dar vita a numerose tipologie di task che possono essere eseguiti in serie, in modo tale che il lessico utilizzato può essere “riciclato” nel contesto di task differenti che coinvolgono operazioni cognitive diverse e diversi tipi di discorso.

In aggiunta a questi sei tipi, J.Willis (1996b, 74-81) aggiunge sei tipi di task basati su testi: “prediction”, “jigsaw/split information”, “jumbles/sequencing”, “restoration”,

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“memory challenge”. Questi coinvolgono svariati processi cognitivi insieme a dettagliate interpretazioni di significato. I primi tre sono particolarmente adatti a specifici generi testuali: ad esempio, testi narrativi e cronache con titoli si prestano bene a pronostici, liste, sequenze. Testi espositivi di natura descrittiva si adattano bene a task a puzzle. Giochi di memoria sono utilizzabili con ogni testo dopo che ci sia stato un primo task basato sulla lettura del materiale. Nei “text restoration”, parole o frasi vengono rimossi o aggiunti e il compito dello studente è di ricordare e trovare cosa c’ era nel testo originario.

Bygate (1987) suggerisce l’ analisi dei generi testuali come base per un sillabo task-based (per esempio narrativo, descrittivo, espositivo).

In ogni caso, una classificazione come quella proposta da Willis rimane utile quando si vogliono progettare task a partire da testi estratti da specifici generi testuali selezionati.

Potendo approcciare la progettazione dei task da diverse angolazioni, è anche vero che questo modo di classificare le tipologie può creare delle sovrapposizioni e che allo stesso tempo possano esserci delle omissioni.

3.1 Parametri per la progettazione di task

Dalla letteratura sulla didattica task-based si ricavano quattro principali parametri per la progettazione di task:

1. Task “focused” e “unfocused”

Ellis (2003) usa questi termini per riferirsi a task che sono o non sono costruiti sulla base di scelte linguistiche specifiche e prestabilite. Un task senza focus incoraggia lo studente ad usare liberamente la lingua in suo possesso, senza concentrarsi su una o più forme particolari. Un task con focus, invece, è progettato con lo scopo di indurre gli apprendenti ad usare (in senso ricettivo o produttivo) un particolare elemento linguistico, come ad esempio una specifica struttura grammaticale.

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Ovviamente tale risultato deve comunque avvenire a partire dall’ esecuzione di attività che soddisfano il criterio fondamentale di un task, ovvero l’ uso pragmatico della lingua per raggiungere un obiettivo non linguistico.

Gli scopi di un task con focus sono dunque due: stimolare l’ uso comunicativo della lingua (cosa che accade anche nei task senza focus) e incentivare l’ uso di una particolare strutture predeterminata.

Ellis propone due tipologie di “focused” task:

• un task in cui la lingua stessa è il contenuto dell’ attività: in questa tipologia di compito si vuole promuovere la consapevolezza linguistica, per cui il focus si concentra sull’ esaminare alcuni campioni di lingua per esplorarne alcune caratteristiche particolari (si parla anche di “attività meta-cognitive”). Ciò che rende tale attività un task e non un esercizio è il fatto che essa richiede agli studenti di parlare della lingua insieme - così come essi parlerebbero di un qualsiasi altro argomento-, concentrandosi sullo scambio di idee e di informazioni, cioè sui significati.

• un task usato perché incoraggi la comprensione e/o l’ uso di particolari forme linguistiche, ad esempio un’ attività di simulazione.

Esempi di attività con focus linguistico del primo tipo includono identificare in un testo scritto o in una trascrizione di un discorso orale tutte le preposizioni di un certo tipo (ad esempio la preposizione “per”) e classificarle a seconda del loro uso. In questo modo si ritiene che gli studenti non solo entrino all’ interno della lingua classificandone alcune caratteristiche ma raggiungano anche un certo livello di esperienza nel parlare della lingua stessa (abilità metacognitiva), che è un’ abilità molto utile per chi vuole apprenderla.

A causa della natura imprevedibile dell’ interazione durante un task, il secondo tipo di task con focus si adatta più facilmente a compiti di tipo ricettivo. Alcuni testi contengono necessariamente un tipo di costrutto o delle frasi che esprimono una determinata funzione; altri no. In questo caso tocca agli insegnanti cercare dei testi che contengano gli esempi stabiliti da far leggere agli studenti.

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Ellis (2003) propone di modificare i testi in modo tale da arricchirli deliberatamente della struttura che si vuole analizzare. Si parla in questo caso di “intensificare l’ input”.

In ogni caso, si ritiene che task progettati con lo scopo di incoraggiare l’ uso di specifiche forme linguistiche abbiamo minore probabilità di successo in tal senso, specialmente se si tratta di task aperti, dove gli studenti hanno maggiore scelta riguardo a ciò che possono dire. In task chiusi del tipo “Trova le differenze”, costruiti in modo tale che i partecipanti non possano vedere le immagini degli altri, gli insegnanti potrebbero aspettarsi che gli studenti usino formule del tipo: “Hai per caso…?”, “Si tratta di…?” e poi aggiungano espressioni di luogo. Ma essi potrebbero anche usare altre forme e riuscire comunque a completare il task, ad esempio dicendo: “La mia immagine ha… e la tua?”.

Dunque, suggerisce Willis (2004, 26), l’ unico modo per scoprire se un task incoraggia veramente l’ uso di determinate strutture (o di un determinato lessico) è proporre il compito in questione a studenti di livelli avanzati e verificarne i risultati ottenuti.

2. Task reali e task pedagogici

Secondo Long e Crookes (1992), i primi sono attività che una qualsiasi persona può ritrovarsi a svolgere nella vita di tutti i giorni, come comprare un biglietto del treno, leggere e seguire le istruzioni in un manuale tecnico, prendere appunti ad una lezione o guardare la televisione. Si parla per questo anche di task “autentici”.

Alcuni task possono essere svolti in un contesto reale, piuttosto che in classe: ad esempio, gli studenti devono organizzare una festa e vanno a comprare realmente gli ingredienti necessari.

Tramite l’ analisi dei bisogni, è possibile individuare le situazioni reali (ad esempio candidarsi per un lavoro per studenti adulti, prendere in prestito un libro in biblioteca per studenti universitari) in cui gli studenti possono ritrovarsi a dover usare L2 e poi trasferire queste situazioni nel task.

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I task pedagogici sono invece attività appositamente progettate per la classe con l’ intenzione di richiedere l’ uso di specifiche strategie interattive e possono anche indirizzare verso l’ utilizzo di specifici tipi di lingua (grammaticale, lessicale..), cioè possono essere “focused task”.

Un task del tipo “Trova le differenze” è un buon esempio di task pedagogico: non è un’ attività che necessariamente può trovarsi nella vita reale, ma i processi cognitivi e comunicativi che richiede forniscono condizioni utili all’ apprendimento linguistico.

Secondo alcuni studiosi (D.Willis 1996; Ellis 2003) qualsiasi interazione durante i task (sia essa spontanea o programmata) contiene strutture linguistiche che sono utili per la comunicazione nella vita reale e di conseguenza questa distinzione non è necessaria.

3. Task aperti o chiusi

I task chiusi hanno obiettivi molto specifici, sono spesso molto ben strutturati e hanno solo una risposta o soluzione giusta (J.Willis 1996b, 28). Un buon esempio può essere la già citata attività del tipo “Trova le differenze”, dove due immagini hanno dieci differenze e gli studenti lavorano in coppie per trovare un numero specifico di differenze e scrivere una lista di esse da mostrare ad altre coppie della classe.

La lingua usata in task di questo tipo tende a poter essere più prevedibile di quella usata in task più aperti.

I task aperti includono compiti in cui si condividono esperienze o si raccontano aneddoti, dove il contenuto e lo stile del prodotto finale può variare molto a seconda degli studenti, anche se l’ argomento è molto specifico.

Un task del tipo “Organizza una festa” avrà bisogno di essere progettato per fasi, ad esempio fare una ricognizione del necessario e poi decidere il budget che si vuole spendere. Ogni fase corrisponderà in qualche modo ad un finale aperto, con alcune fasi più prevedibili di altre.

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La ricerca sulla SLA (Long 1991; Ellis 2003) preferisce generalmente i task chiusi sulla base del fatto che essi generano più interazione, più negoziazione di significati (incluse richieste di chiarimenti o di conferme e maggiore complessità nelle formulazioni) rispetto ai task aperti. Come abbiamo visto, si ritiene che l’ interazione con la negoziazione di significati promuova l’ acquisizione linguistica. Secondo Skehan (1998a) ci sono buoni argomenti anche a favore dei task aperti, poiché essi danno maggiori opportunità ai singoli studenti di esprimersi più a lungo e di organizzare il loro proprio discorso.

Nel programmare i task gli insegnanti dovranno decidere quali tipi riflettono meglio la lingua da apprendere e quali tipi aiutano maggiormente gli studenti nel raggiungere obiettivi linguistici e comunicativi stabiliti.

4. Task “one-way” o “two-way”

Con questi termini ci si riferisce alla direzione del flusso informativo tra gli studenti. Sono in parte corrispondenti ai task reciproci e non reciproci usati da Ellis (2003). Ellis spiega che i task reciproci o two-way richiedono interazione tra due o più studenti per raggiungere l’ obiettivo del task quando entrambi gli studenti hanno uguali spazio per parlare.

Nei task non reciproci o one-way, solo un partecipante controlla il flusso d’ informazione. Gli altri sono chiamati ad ascoltare o a fare qualcosa; ad esempio identificare quale persona viene descritta, ascoltare e ordinare una sequenza di immagini oppure ascoltare una breve lezione e fare un diagramma. L’ ascoltatore può avere o meno il permesso di fare domande o chiedere chiarimenti, ma il suo ruolo è sicuramente subordinato.

Le ricerche su questi tipi di task, seppur non molto sviluppate, suggeriscono che i task two-way generalmente forniscono più opportunità per l’ interazione; in caso di task one-way si può aumentare tale opportunità lasciando al compagno la possibilità di fare domande per completare il compito.

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28 3.2 La scelta del tema del task

Oltre ad una scelta sulla tipologia di task da adottare, l’ insegnante deve anche decidere l’ argomento su cui incentrare il task.

A questo aspetto è stata data maggiore rilevanza da chi si approccia all’ argomento in maniera pratica (ad esempio Estaire e Zanon 1994, secondo i quali la scelta del tema è il primo passo nella progettazione del task), piuttosto che dai ricercatori.

La selezione dell’ argomento è influenzata principalmente dallo scopo pedagogico del corso, generico oppure specifico (ad esempio un corso di tipo accademico o un corso incentrato sulla lingua economica).

Nel primo caso, suggerisce Ellis (2003, 218), i principî-guida per la scelta del tema saranno la familiarità degli studenti con esso e l’ interesse intrinseco al tema stesso. Ovviamente, argomenti relativi agli studenti stessi e al mondo intorno a loro (scuola, abitudini alimentari…) saranno sviluppati in task chiusi, mentre argomenti relativi a temi generici saranno utilizzati per task aperti.

La scelta del tema è anche influenzata dal livello linguistico degli studenti: task chiusi si adattano meglio ad apprendenti dei livelli inferiori, mentre task aperti, nei quali è chiesto di esprimersi su temi più generici e “lontani” dall’ esperienza quotidiana, sono consigliabili a studenti di livello avanzato.

Nel caso di corsi ideati per scopi specifici, la scelta del tema cadrà su quelle attività che gli studenti si troveranno a dover affrontare realmente fuori dalla classe, dando quindi maggiore importanza a quelli che sono stati definiti “task reali”.

In questi contesti potranno essere tenute in considerazione le proposte degli studenti stessi, specialmente se il corso è di breve durata.

Inoltre, concedere autonomia a discenti poco collaborativi nella scelta degli argomenti da trattare può anche influire positivamente sulla loro motivazione.

Una corretta analisi dei bisogni degli studenti e la conoscenza della classe con cui si lavora sono quindi elementi fondamentali per un’ efficace individuazione delle tematica da affrontare nei task.

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4. Il ciclo del task

L’ approccio task-based permette una ricchissima varietà di applicazioni pratiche, a seconda del livello degli apprendenti, dei loro bisogni e interessi, del contesto di apprendimento (in presenza o online), del materiale e del tempo disponibili.

La didattica task-based, come sottolinea Willis, non concerne soltanto il modo in cui guidare gli studenti nello svolgimento del task, ma riguarda anche l’ escogitare le strategie migliori da usare per creare condizioni ottimali di apprendimento, per stimolare l’ interesse degli studenti e allo stesso tempo l’ uso della L2, sia in maniera ricettiva che in maniera produttiva.

Nel volume A framework for task-based learning (1996), che costituisce ad oggi la trattazione più esaustiva tra quelle che guardano al task da un punto di vista applicativo, Jane Willis, sulla base delle sue esperienze come insegnante, fornisce uno schema-base per strutturare il task, che è il più citato e seguito sia dagli insegnanti che dai ricercatori, proprio perché presentato come il risultato di concrete esperienze pedagogiche.

Le opzioni metodologiche possibili all’ interno di queste fasi sono numerose.

Lo schema stesso non deve essere interpretato come una “scatola chiusa”, ma anzi è importante tenere presente che possiamo adattarlo a seconda delle esigenze: task scritti o report registrati, ad esempio, necessitano di una fase di progettazione più lunga. Un intero capitolo del testo di Willis è dedicato all’ uso dei task con studenti principianti e con bambini, due categorie che necessitano di particolari accortezze nella pianificazione dei compiti.

Tenere presente la ricchezza di strategie da poter seguire è un vantaggio, perché fornisce una soluzione in ogni occasione.

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Pre- task

L’ insegnante introduce l’ argomento del task, sottolinea parole o frasi utili, aiuta gli studenti a comprendere le richieste del task.

Si può utilizzare una registrazione di altre persone che svolgono lo stesso task o un task simile. Gli studenti annotano parole o frasi utili e possono prendere qualche minuto per prepararsi al

task individualmente.

Ciclo del task Task

Gli studenti eseguono il task, in coppie o in piccoli gruppi.

L’ insegnante controlla e incoraggia gli studenti

senza intervenire

Pianificazione

Gli studenti si preparano ad esporre a tutta la classe

(in forma orale o scritta) come essi hanno svolto il task, cosa hanno deciso

o cosa hanno scoperto. L’ insegnante si assicura che lo scopo del report sia chiaro, si comporta da consulente

linguistico, aiutando gli studenti a correggere, riformulare, ripetere e/o

stendere il report.

Report

Gli studenti presentano un’ esposizione orale o si

scambiano i loro report scritti e confrontano i risultati. L’ insegnante si comporta da moderatore, selezionando gli interlocutori, creando collegamenti tra i contributi, riassumendo. Focus linguistico Analisi

Gli studenti esaminano e discutono specifiche strutture riscontrate durante lo svolgimento del

task.

L’ insegnante porta all’ attenzione degli studenti altri termini, frasi o strutture utili.

Pratica

L’ insegnante guida la pratica di nuovi vocaboli, frasi e strutture emerse.

Gli studenti praticano le strutture, le parole, le frasi tratte dalle attività di analisi.

(mia traduzione da Willis, J., A framework for task-based learning, Harlow, Longman, 1996, 38)

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Come si vede dall’ immagine, la struttura del task consta di tre fasi: 1) Fase pre-task

Qui gli insegnanti introducono l’ argomento del task, espongono l’ obiettivo da raggiungere e richiamano alla mente degli studenti parole o frasi utili (ma possono anche introdurne di nuove indispensabili per svolgere l’ attività), con lo scopo di “let the language relevant to (the task) come into play” (Prahbu 1987, 54).

Rendere espliciti lo scopo e l’ utilità dell’ attività – specialmente a studenti che non sono avvezzi a tale approccio didattico - è importante non solo per aumentare le probabilità di successo del task stesso ma anche per incrementare la motivazione degli apprendenti.

Le possibilità per introdurre l’ argomento sono numerose: l’ insegnante può svolgere un task simile al task vero e proprio con la classe oppure la fase pre-task può consistere nel vedere un video o nel sentire una registrazione di introduzione. In questo modo si fornisce un supporto a quegli studenti che si sentono più sicuri se l’ insegnante o altri mostrano loro un modello da seguire.

Infine, un’ altra possibilità è quella di proporre agli studenti di pianificare strategicamente ciò che andranno a fare durante lo svolgimento del task.

In questa fase non devono essere spiegate particolari strutture grammaticali, ma si deve fornire agli studenti un supporto linguistico per poter sostenere il task. Ciò può avvenire tramite attività di brainstorming, liste di parole, domande relative a immagini legate al tema…

Secondo Foster e Skehan (1996) dare un limite temporale a questa fase può aumentare l’ impegno degli studenti nell’ attività e può accrescere la qualità e la quantità della lingua usata durante lo svolgimento del compito, poiché viene ridotto l’ impegno mentale.

2) Ciclo del task

Il ciclo è al suo interno suddiviso in tre fasi: svolgimento del compito, progettazione dell’ esposizione, esposizione dei risultati.

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