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S6.4

CRITICITÀ NELLA DETERMINAZIONE DELLA SENSIBILITÀ AGLI AGENTI ANTIMICROBICI

Fiscarelli E.

Laboratorio di Microbiologia

- Alta Specializzazione in Microbiologia della Fibrosi Cistica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ IRCCS, Piazza S.Onofrio 4, 00165 Roma

Nella pratica clinica, è ormai consolidato l’uso di un test di sensibilità per identificare un appropriato agen-te antimicrobico per il trattamento di un processo infet-tivo. Nella maggior parte dei casi, trovare che il ceppo batterico isolato dal focus di infezione è sensibile ad uno specifico antibiotico, è indice dell’efficacia di quel farmaco.Una eccezione è rappresentata dal trattamento delle infezioni polmonari in pazienti con Fibrosi cisti-ca (fc). Pseudomonas aeruginosa (PA) è il patogeno opportunista isolato con maggior frequenza dall’espet-torato di soggetti con fc in tutti i gruppi di età. Nonostante trattamenti anche molto aggressivi con combinazioni di antimicrobici con dimostrata potenza

in vitro, l’acquisizione di PA conduce quasi sempre a una colonizzazione cronica per mancata eradicazione del microrganismo. Numerose evidenze in vivo e in vitro suggeriscono che PA cresce nelle vie aeree del paziente con fc sotto forma di biofilm.

I biofilm batterici, che possono essere definiti come comunità di batteri adesi ad una superficie ed immersi in una matrice esopolisaccaridica, presentano una architettura caratteristica e proprietà fenotipiche molto diverse rispetto ai microrganismi in fase planctonica. Una di queste è rappresentata dalla minore sensibilità ai farmaci antimicrobici; pertanto, anche in individui immunocompetenti, le infezioni associate a biofilm sono persistenti e/o ricorrenti.

Queste osservazioni sono in conflitto con la pratica del Laboratorio di microbiologia clinica, in cui i conven-zionali test di sensibilità utilizzano cellule batteriche in fase planctonica. Le MIC cosi’ misurate, riferimento per il clinico per eventuali scelte terapeutiche, potreb-bero non essere predittive dell’efficacia di un antibio-tico nei confronti degli stessi batteri in forma sessile in vivo. Appare, pertanto, opportuno e necessario svi-luppare e standardizzare metodi per la determinazione dell’attività degli agenti antimicrobici verso il biofilm, affinché i risultati dei test di sensibilità abbiano un impatto sempre migliore sull’outcome clinico.

volume 20, numero 3, 2005 RELAZIONI

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