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Il reddito nazionale: da dove viene e dove va

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

Il reddito nazionale: da dove viene e dove va

Domande di ripasso

1. I fattori di produzione e la tecnologia di produzione determinano il livello della produzione aggregata di un sistema economico. I fattori di produzione sono gli input utilizzati per pro- durre beni e servizi: i fattori più importanti sono capitale e lavoro. La tecnologia di produ- zione determina la quantità di prodotto che può essere generata per ogni data quantità dei fattori di produzione. L’aumento di uno dei fattori o il progresso della tecnologia di produ- zione portano a un aumento della produzione aggregata dell’economia.

2. Nel determinare la quantità di un fattore da impiegare nella produzione, un’impresa prende in considerazione l’effetto di tale decisione sul profitto. Per esempio, utilizzare una unità di lavoro in più fa aumentare il prodotto e perciò i ricavi; l’impresa confronta il ricavo addizionale con il costo addizionale che deriva da un più alto monte salari. Il ricavo addi- zionale dell’impresa dipende dal prodotto marginale del lavoro (PML) e dal prezzo del bene prodotto (P). Una unità addizionale di lavoro produce PML unità addizionali di prodotto, che l’impresa vende a P euro ciascuna. Pertanto il ricavo addizionale per l’impresa è pari a P ⫻ PML. Il costo addizionale che l’impresa sostiene per utilizzare una unità aggiuntiva di lavoro è pari a W. Di conseguenza, la decisione ha il seguente effetto sul profitto:

⌬ Profitto ⫽ ⌬Ricavo – ⌬Costo

⫽ (P ⫻ PML) – W

Se il ricavo addizionale, P ⫻ PML, è maggiore del costo di assumere una unità addizionale di lavoro, W, il profitto aumenta. L’impresa assumerà unità di lavoro aggiuntive fino a quando non sarà più redditizio farlo, cioè fino a quando PML raggiunge il punto in cui la variazione del profitto è nulla. In termini algebrici, l’impresa assume nuove unità di lavoro fino a quando ⌬ Profitto ⫽ 0, cioè fino a quando (P ⫻ PML) ⫽ W.

Tale condizione può essere riscritta come:

PML ⫽ W/P

Pertanto un’impresa concorrenziale che massimizza il profitto assume lavoro fino al punto in cui il prodotto marginale del lavoro è uguale al salario reale. La medesima logica si appli- ca alla decisione relativa alla quantità di capitale da utilizzare nel processo di produzione:

l’impresa prende in locazione nuovo capitale fino al punto in cui il prodotto marginale del capitale è uguale alla rendita reale del capitale.

3. Una funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti se un uguale incremento per- centuale di tutti i fattori di produzione provoca un aumento di pari percentuale del pro- dotto. Per esempio, se un’impresa aumenta l’utilizzo di capitale e lavoro del 50% e l’aumento conseguente del prodotto è del 50%, la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti.

Se la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti, il reddito totale (cioè il pro- dotto totale) di un’economia nella quale operano imprese concorrenziali che massimizzano il profitto viene interamente suddiviso tra la remunerazione del lavoro, L ⫻ PML, e la re- munerazione del capitale, K ⫻ PMK. Quindi, nell’ipotesi di rendimenti di scala costanti, il profitto economico è pari a 0.

4. Questa è la funzione di produzione Cobb-Douglas con ␣ ⫽ 1/4: Y ⫽ AK1/4L3/ 4. È facile verificare che la remunerazione del capitale è pari a 1/4 del reddito: il prodotto marginale del capitale è ⌬Y/⌬K ⫽ 1/4 AK–3/ 4L3/4; la remunerazione totale del capitale è K ⫻ PMK ⫽ 1/4 AK1/4L3/ 4 ⫽ 1/4 Y.

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5. Il consumo è positivamente correlato al reddito disponibile, cioè all’ammontare del reddito che rimane una volta pagate le imposte: quanto più elevato è il reddito disponibile, tanto più elevato è il consumo.

La quantità domandata di beni di investimento è negativamente correlata al tasso di interesse reale. Affinché un investimento sia redditizio, il rendimento deve essere superiore al costo. Dato che il tasso di interesse reale misura il costo dei fondi, all’aumentare del tasso di interesse reale il costo dell’investimento aumenta e, di conseguenza, la domanda di beni di investimento diminuisce.

6. La spesa pubblica è costituita dai beni e dai servizi acquistati direttamente dalla pubblica amministrazione. Per esempio, lo Stato acquista armamenti, costruisce strade e offre servizi quali il controllo del traffico aereo: tutte queste attività entrano nel computo del PIL. I tra- sferimenti sono i pagamenti che lo Stato effettua a singoli individui e che non rappresen- tano il corrispettivo di un bene o di un servizio. I trasferimenti, in pratica, sono l’opposto delle imposte: queste ultime riducono il reddito disponibile dei nuclei familiari, mentre i trasferimenti lo fanno aumentare. Esempi di trasferimenti sono le pensioni di vecchiaia, il sussidio di disoccupazione e l’assistenza sociale.

7. Consumo, investimento e spesa pubblica determinano la domanda di prodotto aggregato in un sistema economico, mentre l’offerta viene determinata dai fattori di produzione e dalla funzione di produzione. Il tasso di interesse reale si aggiusta in modo da garantire l’uguaglianza tra la domanda e l’offerta di prodotto aggregato. Al tasso di interesse di equi- librio, la domanda di beni e servizi è uguale all’offerta.

8. Se il governo aumenta le imposte, il reddito disponibile diminuisce e, di conseguenza, di- minuisce anche il consumo. La diminuzione del consumo è pari all’ammontare dell’aumento delle imposte moltiplicato per la propensione marginale al consumo (PMC ):

quanto più elevato è il valore di PMC, tanto maggiore è l’effetto negativo dell’aumento del- le imposte sul consumo. Dato che il prodotto aggregato è fisso, in quanto determinato dai fattori di produzione e dalla funzione di produzione, e dato che la spesa pubblica non va- ria, la diminuzione del consumo deve essere compensata da un aumento dell’investimento.

Affinché l’investimento aumenti, il tasso di interesse reale deve diminuire. Quindi, un au- mento delle imposte provoca una diminuzione del consumo, un aumento dell’investimento e una diminuzione del tasso di interesse.

Problemi e applicazioni pratiche

1. (a) Secondo la teoria neoclassica della distribuzione, il salario reale è uguale al prodotto marginale del lavoro. A causa dei rendimenti decrescenti del lavoro, un aumento della forza lavoro provoca una diminuzione della produttività marginale del lavoro. Di conse- guenza, il salario reale diminuisce.

(b) La rendita reale del capitale è uguale al prodotto marginale del capitale. Se un terre- moto distrugge parte dello stock di capitale (ma miracolosamente non fa vittime e dunque non provoca una diminuzione della forza lavoro), il prodotto marginale del ca- pitale aumenta e, di conseguenza, aumenta anche la rendita reale del capitale.

(c) Se un avanzamento della tecnologia migliora la funzione di produzione, è probabile che il prodotto marginale del capitale e del lavoro aumentino entrambi. Di conseguenza, aumentano sia la rendita reale del capitale sia il salario reale.

2. Una funzione di produzione ha rendimenti di scala decrescenti se un aumento di pari percentuale di tutti i fattori di produzione provoca un aumento percentuale della produ- zione di misura inferiore. Per esempio, se le quantità di capitale e di lavoro raddoppiano, ma la produzione aumenta meno del doppio, allora la funzione di produzione ha rendi- menti di scala decrescenti rispetto a capitale e lavoro. Ciò potrebbe essere dovuto alla pre- senza nella funzione di produzione di un fattore fisso, per esempio la terra, che diventa sempre più scarso man mano che l’economia cresce.

Una funzione di produzione ha rendimenti di scala crescenti se un aumento di pari per- centuale di tutti i fattori di produzione provoca un aumento percentuale della produzione di misura superiore. Per esempio, se le quantità di capitale e di lavoro raddoppiano, ma la produzione aumenta più del doppio, allora la funzione di produzione ha rendimenti di sca- la crescenti rispetto a capitale e lavoro. Ciò può accadere se la specializzazione del lavoro

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chiede molto tempo se viene eseguita da un solo lavoratore, perché questi deve acquisire diverse abilità tecniche e deve costantemente cambiare strumenti e mansioni; se invece la stessa automobile viene fabbricata da diversi lavoratori, ciascuno si può specializzare in una particolare mansione e diventare quindi molto veloce nella sua esecuzione.

3. (a) La quota del capitale varia sensibilmente da paese a paese: è pari a circa 0,25 nel Re- gno Unito e a 0,3 negli Stati Uniti. L’evoluzione della quota di reddito spettante al la- voro nei diversi paesi è riportata nell’appendice al saggio «Has Globalization Eroded Labour’s Share? Some Cross-Country Evidence», di Ann Harrison (2002). È importan- te notare l’eterogeneità che caratterizza ciò che diversi autori includono nella quota del lavoro. Tale difficoltà insorge a causa del fatto che a volte non è chiaro a chi imputare i benefici di voci quali «reddito del proprietario».

(b) Se ␣ ⫽ 0,3 (come negli Stati Uniti), abbiamo Y ⫽ AK0,3LO0,7, ⌬Y/⌬K ⫽ 0,3 A(LO/K )0, 7 e ⌬Y/⌬L ⫽ 0,7 A(K/LO)0,3, dove LO indica la dimensione originaria della forza lavoro.

L’ultimo termine corrisponde al salario reale, dato che questo deve essere uguale alla produttività marginale del lavoro. Dopo l’aumento della forza lavoro avremo: Y⬘ ⫽ AK0,3(1,1LO)0,7 ⫽ (1,1)0,7 Y ⫽ 1,069Y. Dunque, il prodotto aumenta del 6,9% in conseguenza del maggiore apporto di lavoro. Anche la rendita reale del capitale aumenta del 6,9%, mentre il salario reale diminuisce a (1/1,1)0,3 del suo valore iniziale (una diminuzione del 2,9%).

(c) Il prodotto e il salario reale aumentano di [(1,1)0,3 – 1] ⫽ 2,9%, mentre la rendita reale del capitale diminuisce di [(1/1,1)0,7 – 1] ⫽ 6,45% a seguito dell’apporto di nuovo capitale.

(d) Prodotto aggregato, rendita reale del capitale e salario reale aumentano del 10%.

4. Se la quota del lavoro è costante, abbiamo PML ⫻ (L/Y ) ⫽ C, con C costante. Ma le im- prese concorrenziali corrispondono salari pari al valore marginale della produzione, cioè W

⫽ P ⫻ PML. Di conseguenza, (W/P) ⫻ L/Y ⫽ C, ovvero (W/P)/(Y/L) ⫽ C. In altre parole, se la quota del lavoro è costante, una variazione del salario reale (W/P) deve essere accom- pagnata da una corrispondente variazione della produttività del lavoro (Y/L).

5. (a) Secondo la teoria neoclassica, se il progresso tecnologico fa aumentare la produttività marginale degli agricoltori, il loro salario reale aumenta.

(b) Il salario reale in (a) è misurato in termini di prodotti agricoli. In altre parole, se il salario nominale è espresso in euro, il salario reale è W/PF, dove PF è il prezzo in euro dei pro- dotti agricoli.

(c) Se la produttività marginale dei barbieri rimane invariata, anche il loro salario reale ri- mane costante.

(d) Il salario reale in (c) è misurato in termini di tagli di capelli. In altre parole, se il salario nominale è espresso in euro, il salario reale è W/PH, dove PH è il prezzo in euro dei tagli di capelli.

(e) Se possono scegliere liberamente tra la professione dell’agricoltore e del barbiere, i lavo- ratori devono ricevere lo stesso salario W in ciascun settore.

(f) Se il salario nominale W è lo stesso per entrambi i gruppi, ma il salario reale in termini di tagli di capelli è inferiore al salario reale in termini di prodotti agricoli, allora vuol dire che il prezzo dei tagli di capelli deve essere aumentato rispetto al prezzo dei prodotti a- gricoli.

(g) Entrambi i gruppi traggono beneficio dai progressi tecnologici in agricoltura.

6. (a) Il prodotto marginale del lavoro (PML) si calcola differenziando la funzione di produ- zione rispetto al lavoro:

PML

⫽ K1/3H1/3L–2/3 dY

dL 1 3

Questa equazione è crescente rispetto al capitale umano, perché all’aumentare di quest’ultimo il lavoro diventa più produttivo.

(b) Il prodotto marginale del capitale umano (PMH ) si calcola differenziando la funzione di produzione rispetto al capitale umano:

(4)

PMH

⫽ K1/3L1/3H–2/3 dY

dH 1 3

Questa equazione è decrescente rispetto al capitale umano, perché vi sono rendimenti decrescenti.

(c) La quota di reddito spettante al lavoro è la proporzione di prodotto destinata al lavoro.

La quantità complessiva di prodotto destinata al lavoro è pari al salario reale (che, in concorrenza perfetta, è pari al prodotto marginale del lavoro) moltiplicato per la quan- tità di lavoro. Per calcolare la quota di prodotto che va a remunerare il lavoro, tale quantità viene divisa per il prodotto totale:

Quota del lavoro ⫽

1 3

( )13

1/3 1/3 13

K H L L K H L

1/3 1/3 –2/3

Usando la medesima logica, possiamo calcolare la quota del capitale umano:

Quota del capitale umano ⫽

( K1/3L1/3H–2/3)H K1/3H1/3L1/3 1

3

1 3

per cui alla remunerazione del lavoro è destinato un terzo del prodotto e alla remunera- zione del capitale umano un ulteriore terzo. Dato che (si spera!) i lavoratori possiedono il proprio capitale umano, può sembrare che al lavoro siano destinati i due terzi del pro- dotto.

(d) Il rapporto tra il salario del lavoratore qualificato e il salario del lavoratore non qualifica- to è:

⫽ 1 ⫹

K1/3L–2/3H1/3 K1/3L1/3H–2/3

K1/3L–2/3H1/3 L

H

1

3 1

3 1

3

MPL⫹ MPH MPL WQ

WNQ

Notiamo che tale rapporto è sempre maggiore di 1, perché i lavoratori qualificati ven- gono pagati di più di quelli non qualificati. Inoltre, se H aumenta, il rapporto diminui- sce: poiché il capitale umano ha rendimenti decrescenti, all’aumentare di H il rendi- mento del capitale umano diminuisce, mentre il prodotto marginale del lavoratore non qualificato aumenta.

(e) Se un aumento del numero di borse di studio universitarie fa aumentare H, il risultato è una società più egualitaria. Un provvedimento del genere fa diminuire il rendimento dell’istruzione, facendo diminuire anche il differenziale salariale tra i lavoratori più qua- lificati e meno qualificati. Ma, fatto ancor più rilevante, un simile provvedimento fa aumentare in termini assoluti il salario del lavoratori meno qualificati, perché il prodot- to marginale del lavoro non qualificato aumenta all’aumentare del numero di lavoratori qualificati (restando fissa la forza lavoro).

7. L’effetto di un aumento delle imposte di 100 miliardi di euro su (a) risparmio pubblico, (b) risparmio privato e (c) risparmio nazionale può essere analizzato utilizzando le seguenti relazioni:

Risparmio nazionale  [Risparmio privato]  [Risparmio pubblico]

 [Y – T – C(Y – T)]  [T – G]

 Y – C(Y – T) – G

(5)

pubblico. T aumenta di 100 miliardi di euro e quindi anche il risparmio pubblico au- menta di 100 miliardi di euro.

(b) Risparmio privato. L’aumento delle imposte fa diminuire il reddito disponibile, Y – T, di 100 miliardi di euro. Poiché la propensione marginale al consumo, PMC, è pari a 0,6, il consumo diminuisce di 60 miliardi di euro (0,6  100 miliardi di euro). Ne con- segue che:

Risparmio privato  – €100 miliardi – 0,6 (– €100 miliardi)  – €40 miliardi Dunque, il risparmio privato diminuisce di 40 miliardi di euro.

(c) Risparmio nazionale. Poiché il risparmio nazionale è la somma del risparmio pubblico e del risparmio privato, possiamo concludere che l’aumento delle imposte di 100 miliardi di euro fa aumentare il risparmio nazionale di 60 miliardi di euro.

A questa conclusione si può giungere anche utilizzando la terza equazione del ri- sparmio nazionale riportata sopra, secondo la quale il risparmio nazionale è uguale a Y – C(Y – T ) – G. L’aumento delle imposte di 100 miliardi di euro provoca una diminu- zione del reddito disponibile e un calo del consumo pari a 60 miliardi di euro. Poiché né G né Y variano, il risparmio nazionale aumenta dunque di 60 miliardi di euro.

(d) Investimento. Per determinare l’effetto dell’aumento delle imposte sull’investimento, richiamiamo l’identità contabile del reddito nazionale:

Y  C(Y – T )  I(r)  G Da cui:

Y – C(Y – T ) – G  I(r)

Il membro sinistro di questa equazione è il risparmio nazionale, quindi l’equazione ci di- ce semplicemente che il risparmio nazionale è utuale all’investimento. Poiché il rispar- mio nazionale è cresciuto di 60 miliardi di euro, anche l’investimento deve crescere di 60 miliardi di euro.

Come avviene questo aumento dell’investimento? Sappiamo che l’investimento di- pende dal tasso di interesse reale: affinché l’investimento aumenti, è necessario che il tasso di interesse reale diminuisca. La figura 3.1 mostra la relazione tra investimento e tasso di interesse reale.

S1 S2

I (r)

I, S Investimento, Risparmio

r1

r2 r

Tasso di interesse reale

Figura 3.1

L’aumento delle imposte comporta un aumento del risparmio nazionale, che a sua vol- ta provoca uno spostamento verso destra della curva di offerta di fondi mutuabili: il tasso di interesse reale di equilibrio diminuisce e l’investimento aumenta.

8. Se i consumatori aumentano le quantità consumate oggi, il risparmio privato, e quindi an- che il risparmio nazionale, diminuisce. Possiamo giungere a questa conclusione sulla scorta della definizione di risparmio nazionale:

(6)

Risparmio nazionale  [Risparmio privato]  [Risparmio pubblico]

 [Y – T – C(Y – T )]  [T – G]

Un aumento del consumo fa diminuire il risparmio privato, per cui il risparmio nazionale diminuisce a sua volta.

La figura 3.2 mostra il risparmio e l’investimento come funzione del tasso di interesse re- ale: se il risparmio nazionale diminuisce, la curva di offerta di fondi mutuabili si sposta ver- so sinistra, facendo aumentare il tasso di interesse reale e contrarre l’investimento.

S2 S1

I (r)

I, S Investimento, Risparmio

r1

r2 r

Tasso di interesse reale

Figura 3.2

9. (a) Il risparmio privato è la parte di reddito disponibile, Y – T, che non viene consumato:

Sprivato  Y – T – C

 5000 – 1000 – (250  0,75(5000 – 1000))

 750

Il risparmio pubblico è la parte di imposte che eccede la spesa pubblica:

Spub blico T – G

 1000 – 1000

 0

Il risparmio totale è la somma del risparmio privato e di quello pubblico:

S  Sprivato  Spubblico

 750  0

 750

(b) Il tasso di interesse di equilibrio è il valore di r che porta in equilibrio il mercato dei fon- di mutuabili. Sappiamo già che il risparmio nazionale è 750, per cui dobbiamo sempli- cemente uguagliarlo all’investimento:

S  I

750  1000 – 50r

Risolvendo questa equazione rispetto a r otteniamo:

r  5%

(c) Se il governo aumenta la spesa pubblica, il risparmio privato rimane invariato (in Sprivato infatti G non appare), mentre il risparmio pubblico diminuisce. Inserendo il nuovo va- lore di G nell’equazione di cui sopra, otteniamo:

Sprivato  750 Spub blico T – G

 1000 – 1200

(7)

Quindi:

S  Sprivato  Spubblico

 750  (–250)

 500

(d) Ancora una volta, il tasso di interesse di equilibrio è il valore di r che porta in equilibrio il mercato dei fondi mutuabili:

S  I

500  1000 – 50r

Risolvendo questa equazione rispetto a r, troviamo:

r  10%

10. Per determinare l’effetto sull’investimento di un aumento della spesa pubblica e delle imposte di identico ammontare, consideriamo l’identità contabile del reddito nazionale re- lativa al risparmio aggregato:

Risparmio nazionale  [Risparmio privato]  [Risparmio pubblico]

 [Y – T – C(Y – T)]  [T – G]

Sappiamo che Y è determinato dai fattori di produzione. Sappiamo inoltre che la variazione del consumo è uguale alla propensione marginale al consumo, PMC, moltiplicata per la va- riazione del reddito disponibile. Perciò:

 Risparmio nazionale  [–T – (PMC  (–T))]  [T – G]

 [–T  (PMC  T)]  0

 (PMC – 1)T

Questa espressione ci dice che l’effetto sul risparmio di un uguale aumento di T e G di- pende dal valore della propensione marginale al consumo. Quanto più PMC si avvicina a 1, tanto minore è la diminuzione del risparmio. Per esempio, se PMC  1, la diminuzione del consumo è esattamente uguale all’aumento della spesa pubblica, per cui il risparmio nazionale [Y – C(Y – T ) – G ] rimane invariato. Quanto più PMC si avvicina a 0 (e quindi quanto maggiore è la quota risparmiata di ogni variazione unitaria del reddito disponibile), tanto maggiore è l’effetto sul reddito. Poiché ipotizziamo che PMC < 1, ci aspettiamo che il risparmio nazionale diminuisca a seguito di un uguale aumento delle imposte e della spesa pubblica.

La diminuzione di risparmio provoca uno spostamento verso sinistra dell’offerta di fondi mutuabili (figura 3.3). Di conseguenza, il tasso di interesse reale aumenta e l’investimento diminuisce.

S2 S1

I (r)

I, S Investimento, Risparmio

r1 r2 r

Tasso di interesse reale

Figura 3.3

11. (a) La curva di domanda di investimenti aziendali si sposta verso destra, perché il sussidio aumenta le opportunità di investimento redditizio per ogni dato livello del tasso di inte-

(8)

resse. La curva di domanda di investimenti immobiliari rimane invece invariata.

(b) La domanda totale di investimento nell’economia si sposta verso destra, poiché è pari alla somma degli investimenti aziendali, la cui domanda si sposta verso destra, e degli investimenti immobiliari, la cui domanda rimane invariata. Il risultato, come mostra la figura 3.4, è un aumento del tasso di interesse reale.

S

I2

I1 I, S A

B

1. Un aumento della domanda di investimento…

2. …provoca un aumento del tasso di interesse

Investimento, Risparmio

Tasso di interesse reale

r Figura 3.4

(c) Il livello complessivo dell’investimento non varia, perché è vincolato dall’offerta di ri- sparmio che è anelastica. Il credito di imposta per gli investimenti provoca un aumento degli investimenti produttivi, che viene esattamente controbilanciato da un aumento degli investimenti immobiliari. In altre parole, l’aumento del tasso di interesse causa una diminuzione degli investimenti immobiliari (un movimento lungo la curva), men- tre lo spostamento verso destra della curva degli investimenti produttivi si traduce in un aumento di questi ultimi di pari ammontare. La figura 3.5 illustra questi cambia- menti. Notiamo che I1

B  I1 R  I2

B  I2 R  S

.

Investimenti aziendali

I2B I1B

Investimenti immobiliari

I2R I1R r

r1

r2

r

r1 r2

Figura 3.5

12. In questo capitolo abbiamo concluso che un aumento della spesa pubblica riduce il ri- sparmio nazionale e fa aumentare il tasso di interesse; di conseguenza, l’investimento dimi- nuisce di un ammontare pari all’intero aumento della spesa pubblica. Allo stesso modo, un taglio delle imposte fa aumentare il reddito disponibile e quindi il consumo; l’aumento del consumo, a sua volta, sfocia in una diminuzione del risparmio nazionale, con un effetto di spiazzamento sull’investimento.

Se il consumo dipende dal tasso di interesse, le conclusioni relative agli effetti della poli- tica fiscale si modificano leggermente. Se il consumo dipende dal tasso di interesse, dipen- derà da esso anche il risparmio. Quanto maggiore è il tasso di interesse, tanto maggiore è la

(9)

interesse faccia aumentare il risparmio e quindi diminuire il consumo. La figura 3.6 mostra il risparmio come funzione crescente del tasso di interesse.

S(r)

S Risparmio

Tasso di interesse reale

Figura 3.6 r

Consideriamo il caso in cui il governo aumenta la spesa pubblica. Per ogni dato livello del tasso di interesse, il risparmio nazionale diminuisce in misura pari all’aumento della spesa pubblica, come mostra la figura 3.7. Se la funzione del risparmio è crescente, l’investimento diminuisce in misura minore dell’aumento della spesa pubblica: infatti, a seguito dell’aumento del tasso di interesse, il consumo diminuisce e il risparmio aumenta.

Per questo motivo, quanto più la funzione di consumo è sensibile al tasso di interesse, tanto meno la spesa pubblica spiazza l’investimento.

Figura 3.7 S2(r)

S1(r)

I(r)

I, S I1 I

Investimento, Risparmio

⌬G r1

r r

Tasso di interesse reale

13. (a) Questo è un problema di identificazione. Tracciate un diagramma della domanda e dell’offerta di investimento nel quale in ascissa siano riportati I (e S) e in ordinata r. La curva di offerta di investimento ha pendenza positiva e la curva di domanda ha pen- denza negativa. Tenendo inalterata la curva di domanda di investimento, ipotizzate che nel tempo la curva di offerta si sposti verso sinistra e verso destra rispetto alla sua posizione originaria. Tali variazioni dell’offerta di risparmio (che è uguale all’investimento) sono provocate da qualsiasi evento possa far variare il consumo rispet- to al reddito: per esempio, potrebbero essere dovute a un aumento degli accantona- menti in fondi pensione, a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione.

Un aumento dell’offerta di risparmio riduce il tasso di interesse. Tali variazioni dell’offerta di risparmio generano una relazione inversa tra l’investimento aggregato e il tasso di interesse.

(b) Ipotizziamo ora che sia la curva di offerta a restare fissa, e che si sposti la curva di do- manda, verso sinistra e verso destra rispetto alla sua posizione originaria. Un improvviso aumento della domanda di investimento potrebbe essere provocato da un aumento della spesa pubblica destinata alla costruzione di infrastrutture, o dall’ottimismo degli

(10)

investitori dovuto alle aspettative di un boom economico. Un aumento della domanda di investimento spinge il tasso di interesse verso l’alto lungo la curva di offerta, gene- rando una relazione diretta tra investimento e tasso di interesse.

(c) Se oscillano sia la domanda sia l’offerta di investimento, un diagramma a dispersione potrebbe non esibire una chiara tendenza. Se le variazioni dell’offerta di risparmio fos- sero correlate direttamente con la domanda di investimento, potremmo individuare una curva orizzontale, che lascerebbe ipotizzare l’assenza di una relazione tra investi- mento e tasso di interesse.

(d) Lo scenario più realistico è quello nel quale sia la domanda sia l’offerta di investimento variano nel tempo; ecco perché l’assenza di una evidente correlazione nei dati relativi a investimento e tasso di interesse non deve essere presa a dimostrazione dell’indipendenza tra le due variabili.

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