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Power and the Governance of Fear in Spinoza’s philosophy

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POTERE E GOVERNO DELLA PAURA NELLA

FILOSOFIA DI SPINOZA

Francesco Cerrato

Università di Bologna, Dipartimento di Filosofia, francesco.cerrato@unibo.it

Abstract. Power and the Governance of Fear in Spinoza’s philosophy

The essay considers the role of fear as a passion in Spinoza's political writings (Trattato teologico politico and Trattato politico) and in the Ethics. In particular, the focus is on the role of fear in reference to the history of the Hebrew state in the Trattato teologico politico. In the second part of the paper the forms of elaboration and government of this affection, which are thematised in the Ethics, are confronted with the reflections on the different types of governments presented in the TP.

Keywords: Spinoza, Fear, Ethics, Political Theology.

Tra il 1550 e il 1660, il processo che porta alla creazione dell’identità politica e morale della nazione nederlandese è accompagnato da una serie di eventi di carattere naturale e storico alquanto drammatici. Nel corso del “Secolo d’oro”, la storia delle Province Unite può essere interpretata come una continua sfida alle avversità.

In un territorio costantemente esposto alle inondazioni del mare del Nord, la vita economica, fondata sull’agricoltura e sul commercio, si trova sempre a dover fare i conti con la minaccia delle acque.

Il secondo grande pericolo è la guerra: prima contro l’esercito spagnolo per l’indipendenza, poi contro l’Inghilterra e la Francia per il

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controllo dei mari e il mantenimento dell’autonomia politica e commerciale conquistata1.

L’assedio portato da nemici esterni, inoltre, contribuisce a determinare una serie continua di crisi nella politica interna, a quel tempo animata dallo scontro istituzionale tra Statolderato, guida militare dell’esercito, detenuto per via ereditaria dalla famiglia degli Orange e il Pensionariato, espressione del governo federale delle Province e controllato dall’aristocrazia mercantile e finanziaria.

Infine, la situazione anche teologico – politica non è meno carica di tensioni. Mi limito a citare la battaglia in seno alla Chiesa calvinista, che vide contrapposti da una parte gli Arminiani, sostenitori di una riforma del credo e della pratica religiosa in direzione tollerante e razionalista, e dall’ altra il clero ortodosso, capillarmente diffuso tra le popolazione rurari ed interessato a condizionare politicamente tutte le istituzioni, politiche e culturali, delle Province. Tale scontro culmina nel sinodo di Dordrecht ed ha una serie di risvolti politici, che portano fino all’uccisione dello Statolder Johan van Oldenbaren, per mano di Maurizio di Nassau il quale sceglie in maniera del tutto strumentale di appoggiare le tesi ortodosse.

La sventura incombente che fa da sfondo non solo alla predicazione del clero calvinista, ma anche l’elaborazione del filosofo Benedetto Spinoza. L’esperienza filosofica del filosofo dell’Etica non può essere compresa adeguatamente, se separata dagli aspetti drammatici, propri dell’ambiente naturale e sociale delle Province Unite.

1Per una ricostruzione della storia delle Province Unite nel Seicento si rimanda a J. I.

Israel, The Dutch Republic. Its Rise, Greatness, and fall 1477-1806, Oxford University Press, Oxford, 1995, in particolare sui secoli ai quail si fa riferimento nel saggio: pp. 506-537.

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La stessa vicenda biografica di Spinoza non può essere certo definita priva di lutti e sventure. La perdita della madre e di due fratelli in giovane età (1638), il naufragio di un carico di merci che mina definitivamente la fortuna finanziaria della famiglia, incentrata sull' attività commerciale del padre, la scomunica ed il conseguente allontanamento dalla comunità ebraica (1656), la malattia respiratoria che lo accompagna tutta la vita e che probabilmente ne causerà la morte in giovane età, fino alla sommossa popolare che travolge nel 1672 il governo dei fratelli De Witt, (governo che Spinoza difende fino all’ultimo), sono eventi che inducono a riflettere su una traiettoria biografica che deve essere stata tutt’altro che serena2.

Probabilmente, quando pensa la propria etica ed in particolare riflette su passioni come la paura e la speranza, Spinoza non può non essere condizionato da tutti questi avvenimenti, personali e collettivi.

Tuttavia, le difficoltà a vivere in un ambiente naturale alquanto esposto alle inondazioni e la necessità di battersi contro eserciti meglio armati e più numerosi per truppe, come quello spagnolo non fiaccarono, né incupirono il popolo olandese. Anzi lo spinsero ad ingegnarsi nella costruzione di dighe, macchine militari e tecniche di resistenza agli assedi, d’avanguardia nell’intero continente europeo 3.

2 Sulla biografia di Spinoza come vita filosofica rimangono fondamentali per la presente

interpretazione della filosofia degli affetti le pagine di G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Guerrini e Associati, Milano, 1991, pp. 11-27. Per le informazioni biografiche citate si fa riferimento a Johannes Koehler (Colerus), Jean Maximilien Lucas, Le vite di Spinoza: seguite da alcuni frammenti dalla Prefazione di Jarig Jelles alle Opere Postume, a cura di R. Bordoli, Quodlibet, Macerata, 1994 e S. Nadler, Baruch Spinoza e l'Olanda del Seicento, Einaudi, Torino, 2002, pp. 130-145.

3 Sul rapporto tra filosofia, ingegneria e tecnica militare nelle Province Unite del

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seventeenth-In modo analogo anche il pensiero spinoziano sulle passioni non si lascia mai irretire da alcun senso di impotenza di fronte alle difficoltà, ma si confronta con esse avvalendosi del richiamo continuo alla ragione, intesa come possibilità per affrontare qualsiasi difficoltà individuale e collettiva.

La ragione spinoziana, però, non agisce mai percorrendo strade scontate o banali. Essa è rivoluzionaria capacità di innovare, trasformando i punti di debolezza in occasioni di riscatto e di rafforzamento. Proprio sull’elaborazione delle passioni e sulla loro trasformazioni in affetti, Spinoza prende le distanze dal modello cartesiano a partire dal quale forma il proprio linguaggio filosofico.

1.

Intenzionalità e passioni

Descartes, al quale Spinoza si richiama direttamente come ad un maestro, aveva pensato le passioni come particolari condizioni di alterazione della corretta facoltà di agire e di pensare. Per filosofo francese la passione è qualificabile come un sintomo acuto di una condizione di malessere, da correggersi attraverso un corretto uso della volontà e mediante l’assunzione di “strutturate” abitudini e credenze4.

Nell’Etica di Spinoza, invece, le passioni sono condizioni soggettive, individuali e collettive, tutt’altro che innaturali e che potremmo definire come stati percettivi o affetti di base. Sono la prima modalità, immediata, di century Dutch republic, Brill, Leiden 2001. Sull’influenza dell’ambienta scientifico olandese sulla formazione di Spinoza in particolare: pp. 135-164.

4 Sulla funzione dell’abitudine nella filosofia cartesiana delle passioni cfr. F. Bonicalzi,

Passioni della Scienza. Descartes e la nascita della psicologia, Jaca Book, Milano,1990, pp. 44-49.

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percezione dell’ambiente e delle relazioni sociali in cui ci troviamo a vivere. Sono la prima apprensione e, al contempo, manifestazione di ciò che ci circonda.

Tale aspetto fenomenico prima facie della realtà consiste in una serie di pensieri, di sentimenti e di sintomi fisici che viene prodotto da ciascun individuo come sintesi e cioè mediazione, tra mondo esterno ed elaborazione del vissuto.

Le passioni sono massimamente rilevatrici di particolari ed immediate modalità, individuali e collettive, di intenzionare un ambiente5. Rivelano le

forme attraverso le quali il soggetto interpreta e concepisce se stesso, una volta che viene posto in una particolare ambiente e in un particolare sistema di relazioni.

Anche per Spinoza, così come già aveva scritto Descartes, non ci si può abbandonare ad una vita esclusivamente dominata dalle passioni, ma queste devono essere corrette.

Se però per il filosofo francese correggere le passioni significa emendarle dagli elementi di falsità, per Spinoza, invece, il primo passo per attuare tale correzione è considerare la vita affettiva ed immaginativa come rilevatrice di una, seppur alterata, forma di verità.

Si cercherà di concretizzare tale discorso facendo particolare riferimento alla paura ed alla speranza.

Tali passioni consistono in idee e sentimenti inerenti alla

prefigurazione del tempo a venire, ovvero al futuro. Tra le definizioni degli affetti, poste al termine della terza parte dell’Etica, la tredicesima presenta al lettore la definizione di paura:

5 E. Yakira, Spinoza et le problème de l’intentionnalité, «Philosophiques», vol. 29, n. 1, 2002,

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Metus est inconstans Tristitia, orta ex idea rei futurae, vel praeteritae, de cuius eventu aliquatenus dubitamus6.

Due sono gli elementi caratterizzanti la paura: essa è una particolare forma di tristezza e, in secondo luogo, tale tristezza viene definita come incostante, poiché si lega all’elaborazione di una configurazione del futuro, o del passato, caratterizzata da forte incertezza, con un termine attuale potremmo dire caratterizzata da precarietà.

In primo luogo la paura è tristezza. La tristezza è sempre definita da Spinoza in termini differenziali rispetto alla capacità individuale di provare desiderio.

Per Tristitiam (sott: intelligam), autem passionem, qua ispa ad minorem transit perfectionem7

Si è tristi quando si percepisce il proprio passaggio da una maggiore ad una minor perfezione, intendendo per perfezione quella condizione limite di perfetta coincidenza tra la sfera dei desideri e delle pulsioni e la consapevolezza della loro possibile realizzazione. L’uomo perfetto per Spinoza è colui che desidera solo ciò che è realtà.

L’essenza di ogni uomo è costituita dalla capacità, più o meno sviluppata e più o meno consapevole, di desiderare. Il desiderio è l’elemento pivot sia della metafisica e dell’etica spinoziana. Nel conatus, ovvero nel desiderio auto-affermativo di conservare il proprio essere,

6 E III, Affectum def. XI, G.II, p. 194 7E III, schol. Prop. XI, G. II, p.149.

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cioè di vivere consiste l’essenza di ogni uomo. Ciascuno di noi è capacità di provare desideri8.

Quando l’essere desiderante individuale si dispone e si esplica in un ambiente, naturale e sociale, capace di assecondarlo, proverà gioia9; mentre la tristezza è la frustrazione derivante della mancata realizzazione degli impulsi desideranti.

Essendo una particolare forma di tristezza, la paura consiste in un indebolimento del nostro desiderio vitale e della nostra capacità di gioire. Tale emozione manifesta un indebolimento della capacità di pensare, di agire e di gioire.

Il secondo elemento caratterizzante la paura, la sua differenza specifica, consiste nel fatto che tale condizione di tristezza, cioè di indebolimento, deriva dall’essere incerti, o dall’esserlo stati, sull’evoluzione che prenderanno gli eventi nel tempo a venire.

La paura è diminuzione del desiderio, che si lega ad una percezione del futuro tutt’altro che rassicurante. Abbiamo paura quando pensiamo che ci capiterà un qualche evento negativo. Tale anticipazione di un evento futuro negativo, il cui esito mantiene comunque e sempre un margine di incertezza, determina un indebolimento della nostra parte desiderante e produce in noi una sorta di tristezza.

Per Spinoza la realtà ha sempre una struttura necessaria. Nulla avviene per caso. Ogni evento scaturisce da un rigido concatenamento di cause e di effetti. Non sempre però l’uomo può conoscere la struttura necessaria della realtà. In particolare, essendo l’essenza umana finita, è alquanto difficile conoscere con certezza la determinazione che tale essenza si

8 E III, sch.prop. IX, G. II, p.147. 9E III, schol. prop. IX, G. II, p.149.

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troverà ad assumere una volta “presa” all’interno di rapporti e relazioni future, che mantengono margini di incertezza per la nostra conoscenza. La valutazione delle relazioni ancora da definirsi è sempre di natura immaginativa e come tale l’uomo è spesso portato al fraintendimento, ovvero ad esprimere una valutazione basata su un sostanziale disequilibrio del rapporto tra sé e il mondo10. La paura è l’immaginazione

che eventi negativi futuri. Su tali eventi non è possibile esprimere un giudizio certo. Se fossimo sicuri che nel futuro incorreremo in disgrazie non avremmo paura, ma saremmo disperati. La paura è invece una percezione insicura ed immaginativa del futuro.

In questo senso, la paura è una passione molto simile alla speranza. Entrambe consistono in un fraintendimento, in un errore di valutazione rispetto allo sviluppo delle nostre aspettative. Mentre però alla speranza consegue un aumento del desiderio individuale, e dunque essa è pur sempre causa di gioia, la paura, invece, consiste sempre in un infiacchimento del desiderio. L’incapacità di vedere il futuro in termini positivi, produce un indebolimento della relazione tra uomo e ambiente. Lo sguardo cupo e negativo sul futuro, che Spinoza definisce come immaginazione, consiste in un eccessivo schiacciamento dell’individualità sul piano dell’oggetto, che non viene recepito più nella distanza e nell’indifferenza reale che mantiene con il soggetto, ma viene appreso in termini persecutori.

Speranza e paura sono modi di intendere l’ordine naturale e il suo sviluppo in modo eccessivamente personalizzato. Quando conosce la realtà avvalendosi della funzione immaginativa, di cui le passioni sono

10 C. Santinelli, Mente e corpo : studi su Cartesio e Spinoza, QuattroVenti, Urbino, 2000,

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manifestazioni, l’individuo è portato a concepirsi come responsabile, in termini positivi, o negativi, poco importa, del corso degli eventi. La passione impedisce di acquisire la consapevolezza che il tempo produce il proprio corso in modo del tutto autonomo rispetto alla nostra volontà.

Se si percepisce la realtà come prodotto della volontà, non si potrà che vivere con tristezza ed angoscia l’idea del tempo futuro.

Solo una realistica presa di coscienza delle concrete possibilità a nostra disposizione potrà favorire, invece, un lento e progressivo controllo della paura.

La saggezza per Spinoza consiste nella capacità di comprendere l’ordine necessario della natura in modo tale da riuscire a desiderare esclusivamente ciò che è necessario.

Solo in questo modo è possibile conseguire una realistica

sincronizzazione tra le pulsioni interiori e l’ordine naturale. La paura si potrà superare solo adattando, quanto più possibile, la sfera del desiderio e delle aspettative interiori alla realtà delle possibilità esterne. Per

raggiungere una condizione definita nell’Etica di adeguatezza, occorrerà interpretare come margine di realizzazione del desiderio, l’inevitabile discrepanza tra aspettative e realtà11.

2.

Elaborazione come “ristrutturazione” delle passioni in affetti

Per comprendere come la paura si formi, ma anche quali siano i margini percepibili per conseguirne un opportuno ridimensionamento

11 P. De Cuzzani, Une anthropologie de l’homme décentré, «Philosophiques», vol. 29, n° 1,

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con essa, occorre abbandonare la dimensione individuale e considerare l’uomo nella sua accezione, collettiva e sociale.

Le passioni individuali sono sempre in stretta dipendenza con le passioni collettive. Quando ci troviamo posti di fronte ad individui che percepiamo come particolarmente avvinti da passioni (a prescindere dalla natura di queste, ovvero a prescindere dal fatto che tale passioni siano di gioia o di tristezza) siamo indotti a provare i medesimi affetti che vediamo vissuti dalle persone intorno a noi). Le passioni individuali sono portate a risuonare sullo sfondo di più ampie passioni collettive, ovvero affetti provati simultaneamente da più uomini e donne, regolati ed alimentati secondo le leggi dell’associazione immaginativa12. Il rapporto

con le passioni altrui tende ad un inasprire la condizione passionale, a prescindere dal fatto che questa sia gioia o sofferenza.

La stretta interdipendenza tra singolare e plurale caratterizza la dimensione sociale di una duplice e fondamentale ambivalenza. Se da un lato la società è costantemente attraversa da spinte pulsionali e da affetti collettivi, il riconoscimento della realtà dei rapporti con gli altri è al contempo, l’unico strumento capace di consentirci di conquistare una maggiore autonomia, da quella che - Spinoza definisce – schiavitù delle passioni.

La società è il luogo nel quale la passione si alimenta e, al contempo, è solo stando all’interno della relazione con gli altri che è possibile comprendere e relativizzare le nostre tristezze e le nostre paure fino a liberarci da esse13.

12

E III, prop. XVI e XVII, G. II, pp. 103-104.

13 F. Bonicalzi, L’impensato della politica. Spinoza e il vincolo civile, Giuda editori, Napoli,

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La trasformazione delle passioni in affetti è un percorso difficile, che richiede costante applicazione. Solo pochi uomini riescono a conseguire un controllo razionale dei propri affetti e una conoscenza adeguata del rapporto con la natura, tale da produrre anche nelle condizioni di maggior difficoltà un incremento del desiderio. Per far ciò, ovvero per incrementare il desiderio, occorre sviluppare conoscenza razionale dell’ambiente. Solo questo genere di conoscenza può indurre l’uomo a trasformare le proprie passioni in affetti, cioè a mutare il proprio assetto, intellettivo, emotivo e perfino fisico da passivo ad attivo. Tale riformulazione dell’ordine individuale passionale non viene effettuata come controllo o sublimazione, ma consisterà piuttosto in una vera e propria rimodulazione dell’identità individuale attraverso la capacità di produrre nozioni comuni. Ciò significa saper superare la conoscenza passiva ed immaginativa, attraverso la conoscenza degli elementi di comunanza e partecipazione che ci legano alla natura e alla specie umana; solo in questo modo nell’unità di mente e corpo, si potrà sviluppare una diversa condizione affettiva, che da puramente recettiva e passionale, diverrà affettiva e desiderante.

Conoscere adeguatamente la realtà significa, saper “ristrutturare” nella conoscenza gli elementi di opacità, le immagini, prodotte dall’ incapacità di cogliere i corretti rapporti tra io e realtà. Solo in questo modo si potrà evitare di considerarsi vittima della propria condizione e si riusciranno a comprendere i reali rapporti reali tra noi e il mondo14. Attraverso un accrescimento della conoscenza della realtà oggettiva nella quale ci muoviamo e dei rapporti condizionati che instauriamo con essa sarà

14 M. Lombardo, La mente affettiva di Spinoza: teoria delle idee adeguate, Il poligrafo, Padova

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possibile innescare una reazione positiva anche nelle situazioni di maggior difficoltà. E’ necessario che l’individuo perda la propria assoluta centralità e ridefinisca la propria identità come parte, modo, in termini spinoziani della natura e, come tale dell’essere di Dio. Si tratterà di abbandonare ogni narcisismo per favorire, invece, la comprensione di sé come determinazioni, ovvero riuscire ad elaborare nella conoscenza i rapporti dai quali siamo determinati in quanto sempre compresi in un insieme di relazioni naturali, sociali, affettive e politiche.

Per comprendersi come parte è necessario riconoscere gli elementi di uguaglianza con tutte le altre parti della natura. Questo genere di conoscenza sono definite da Spinoza nozioni comuni. La costruzione di percorsi di conoscenza comune è l’unica possibilità per riuscire a sopravvivere alla propria parzialità e, in questo modo, conseguire una conoscenza adeguata, e meno sofferente, della propria identità.

Sembrerebbe dunque che il passaggio dalla solitudine all’integrazione, alla dimensione sociale e relazionale della vita sia la strada obbligatoria per superare le passioni tristi e dunque anche le passioni come la paura.

Solo pochi però intraprendono realmente tale cammino di saggezza e per questo motivo la vita in relazione, la società, tende sempre a trasformarsi in un luogo in cui la dimensione passionale, gli affetti tristi, vengono spesso accresciuti e potenziati. La relazione sociale dunque è per Spinoza “originariamente” ambivalente. Essa è l’unico luogo nel quale l’uomo può realizzare il proprio potenziale di emancipazione, ma è altrettanto vero che spesso il rapporto con gli altri induce un acutizzarsi delle passioni, piuttosto che una loro fondamentale liberazione.

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3.

Immaginario e potere

A partire da questa intrinseca ambivalenza si definisce il rapporto tra passione e politica e, di conseguenza, anche il rapporto tra paura e politica. Come ha scritto Etienne Balibar, la moltitudine, intesa come luogo di esperienza collettiva delle passioni, è il punto di vista assunto da Spinoza per studiare la politica e il potere. Tale affermazione si giustifica in ragione del fatto che la qualità di qualsiasi istituzione si misura in base alla sua capacità di organizzare e stabilizzare le passioni maturate in seno alla moltitudine15.

Il discorso politico spinoziano, sia nel TTP che nel TP, è una riflessione sulla capacità della moltitudine di dotarsi di strutture amministrative e di apparati ideologici come la religione, in grado di elaborare ed amministrare le passioni collettive.

Come momento di organizzazione della vita collettiva la politica può governare la moltitudine in modo tale da limitare lo sviluppo in essa delle passioni e degli affetti più distruttivi per l’individuo, favorendo di contro lo sviluppo di passioni capaci di suscitare ed alimentare la sfera del desiderio, come la gioia e la speranza. Tuttavia, in ragione del fatto che la dimensione passionale non è mai del tutto estirpabile dalla moltitudine, la politica è chiamata a confrontarsi sempre e necessariamente anche con le passioni tristi.

Politica e religione, in quanto momenti fondativi della vita pubblica, possono qualificare l’aspetto passionale della vita sociale in due modi distinti. Si può ottenere e consolidare consenso attraverso

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l’accrescimento della sofferenza e della paura nelle masse; oppure essere istituzioni che si fondano su un consenso condiviso, perché capaci di garantire condizioni, spirituali e materiali, tali da garantire a ciascuno la possibilità di intraprendere un percorso di liberazione, che porti una condizione di maggiore felicità

Tale alternativa risulta particolarmente importante una volta che, come nel qui analizzato, si pone come oggetto di ricerca il rapporto tra politica e paura. La politica, infatti, come capacità di organizzare la vita collettiva, è massimamente preposta alla prefigurazione di scenari futuri ed alla costruzione delle condizioni atti a realizzarli.

Nel TTP la storia dello Stato ebraico viene interpretata alla luce delle passioni collettive prodotte dal potere teologico – politico in seno alla moltitudine. Ad un primo momento nel quale il popolo aveva provato per se stesso e per le autorità statali, sentimenti di coesione e reciproco amore, è subentrato un periodo nel quale a primeggiare sono state, invece, passioni tristi e disgreganti, come l’odio e l’invidia. In un primo periodo, lo Stato ebraico ha vissuto un periodo di florida ascesa, cui è, però, seguita una lunga decadenza, caratterizzata da guerre prima portate verso l’esterno e poi interne. Nella fase della propria decadenza l’ambizione, l’amore per gli onori, e, soprattutto, la paura del castigo (umano o divino) sono gli affetti utilizzati per produrre in modo artefatto la coesione sociale.

Lo Stato teologico fonda la propria arte di governo esclusivamente sulla capacità di muovere affetti e passioni e per tale motivo è instabile e destinata alla crisi. Crisi spesso alimentata dal formarsi di una contrapposizione tra coloro che detengono il potere religioso e chi,

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invece, amministra lo stato. La paura è una passione che viene utilizzata dallo stato per creare coesione sociale. Temere lo stesso nemico o lo stesso castigo, induce il popolo a compattarsi riconoscendosi reciprocamente un’identità collettiva.

La paura, in senso machiavellico è strumento di governo e, tuttavia, proprio questo strumento si rivela costantemente instabile, poiché il popolo, dominato dalla paura, solo per un breve periodo potrà rimanere in una condizione di sottomissione alla legge.

La paura è sempre sofferenza e da tale condizione l’uomo tende, prima o poi, a ribellarsi. Per questo motivo lo stato nel quale i cittadini sono sudditi, amministrati dal governo della paura è sempre una forma di governo instabile.

Esiste una differenza fondamentale tra le passioni tristi e le passioni capaci, invece, pur rimanendo passioni, di alimentare il desiderio. Le passioni tristi, mantengono sempre un’irriducibile ingovernabilità16. Gestire le masse attraverso la paura può funzionare, ma tale gestione sarà efficace solo sul breve periodo, mentre se misurata su un periodo di tempo più lungo non potrà che produrre instabilità. In ragione di tale necessità umana di ribellarsi alla sofferenza, la paura come strumento di governo mantiene sempre una duplice ed inevitabile caratteristica.

Nel momento in cui si alimenta la paura per governare le masse, il potere politico, responsabile di tale strategie, dovrà quasi inevitabilmente cadere esso stesso vittima della paura delle masse, portate a ribellarsi contro il potere dalla propria sofferenza.

16 F. Del Lucchese, Tumulti e indignatio. Conflitto, diritto e moltitudine in Machiavelli e

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Rispetto alle considerazioni avanzate nel TTP, il TP cambia la scenario. Allo stato che governa il popolo mediante la somministrazione di passioni tristi, Spinoza tenta di contrapporre la delineazione di un modello di Stato che, a prescindere dalla forma di governo (monarchica o aristocratica) fonda invece la propria regola di governo sull’utilità reciproca. In esso passioni come l’amore (per la patria o per il prossimo riconosciuto come simile) o la speranza sono gli affetti che cementano la vita collettiva.

Prima nell’ Etica e poi nel TP, Spinoza elabora un’idea di società nella quale i comportamenti individuali vengono regolati esclusivamente mediante la ricerca dell’utile (sforzo del conatus di conservare se stesso).

Su tale ricerca si sviluppa non solo la percezione del sé singolare, ma anche l’identità dei collettivi.

Nel TTP non vi era distinzione tra popolo e stato. Quest’ultimo era presentato come l’unione di singoli in un’associazione più estesa. A partire dall’Etica e soprattutto nel TP, invece, viene tratteggiato un modello nel quale le singolarità si uniscono, non in virtù di una mera vicinanza temporale o geografica, ma perché guidate dall’utilità. Le forme di vita collettiva scaturiscono dall’unione dei singoli in un individuo superiore per potenza, riconosciuto dalla cittadinanza maggiormente capace di proseguire fini comuni.

Nell’ Etica la società viene definita come il luogo prioritario nel quale si alimentano gli affetti, siano essi di gioia o tristezza, a partire da uno studio che si concentra sulla definizione e la qualificazione della singolare. Poiché l’uomo cerca l’utile per sé nulla è più utile per l’uomo che il proprio simile.

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Nel TP lo sguardo del filosofo torna, invece a concentrarsi sui comportamenti dei soggetti collettivi. Si riflette sulle forme della vita in società e sulle funzione delle istituzioni politiche nella determinazione delle dinamiche sociali.

La democrazia, solo prefigurata a causa dell’incompiutezza dell’opera nel TP, è la forma di governo che maggiormente riesce ad integrare in modo funzionale le passioni nell’ azione di governo. Tale forma di governo, fondata sulla partecipazione, favorisce l’aumento della gioia e della speranza e di tutti gli affetti capaci di incrementare il desiderio, ed, al contempo, si sforza anche di espellere dalla dimensione della vita pubblica le passioni tristi come l’odio, la paura, l’invidia e la smisurata ambizione.

Nel TP Spinoza cerca di delineare un’organizzazione razionale del potere capace di garantire la maggior libertà individuale e di produrre uno spazio pubblico caratterizzato da affetti come l’amore per la patria e la speranza, piuttosto che da odi ed invidie17. Solo un ambiente di tale

genere viene considerato capace di assicurare agli individui le condizioni di esistenza necessarie per intraprendere il percorso di ricerca verso la beatitudine.

17 F. Del Lucchese, Tumulti e indignatio. Conflitto, diritto e moltitudine in Machiavelli e

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