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Il paziente settico in Pronto Soccorso: uno studio caso-controllo

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea

Il paziente settico in Pronto Soccorso:

uno studio caso-controllo

RELATORE

Chiar.mo Prof. Lorenzo Ghiadoni

CANDIDATO

Giorgio Sangriso

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Riassunto

Introduzione

La sepsi è una condizione largamente diffusa e di frequente riscontro nei reparti di medicina d’Urgenza. È una sindrome con sintomi e segni poco specifici e con una patogenesi non completamente conosciuta, per questo motivo, le definizioni di sepsi sono cambiate nel corso degli ultimi anni. La nuova definizione, pubblicata nel 2016, propone l’utilizzo di due score clinici per facilitare la diagnosi di sepsi: il SOFA (Sequential Organ Failure Assessment) e il qSOFA (quick-SOFA). La nuova definizione si allontana dalle precedenti e per questo non è stata accolta all’unanimità.

Obiettivi

Lo studio si propone di valutare sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e valore predittivo negativo dei nuovi criteri diagnostici rispetto alle precedenti definizioni, confronta la mortalità correlata ai diversi criteri clinici applicati e fornisce una descrizione della situazione epidemiologica del paziente settico e delle misure terapeutiche e gestionali intraprese nel Pronto Soccorso della Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

Materiali e metodi

In questo studio prospettico caso-controllo sono stati arruolati i pazienti settici che hanno avuto accesso al Pronto soccorso di Pisa dal 1/3/2017 al 31/5/2017. I controlli sono stati arruolati tra i pazienti che hanno avuto accesso al Pronto Soccorso di Pisa nello stesso giorno dei casi settici, con un match 1:1 per età, sesso e diagnosi di ingresso al triage. In totale i pazienti settici sono stati 139 mentre i controlli 138. Per ogni paziente sono stati indagati: dati demografici, manifestazioni cliniche (da cui è stato

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calcolato poi il qSOFA), disfunzione d’organo tramite il SOFA score, esami ematici, terapia, durata del ricovero ed esito.

Risultati

Al confronto dei casi settici con i controlli è risultato che l’età avanzata, il sesso maschile, le patologie cardiovascolari e le manovre iatrogene invasive sono significativamente (p<0,05) più frequenti nei pazienti settici. Clinicamente i casi si distinguono dai controlli per una maggior temperatura corporea, l’alterato stato mentale, il riscontro di valori elevati di globuli bianchi, bilirubina, procalcitonina e lattati. La mortalità complessiva dei pazienti con sepsi è stata del 17,26% ed è risultata maggiore nei pazienti con lattati elevati e qSOFA positivo. I criteri clinici che differenziavano in modo significativo i pazienti deceduti sono stati il SOFA, il qSOFA e la nuova diagnosi di shock settico. Il confronto delle performance di qSOFA, SIRS, definizioni Sepsis-3 e definizioni Sepsis-2 nel nostro studio ha mostrato che il qSOFA è meno sensibile del SIRS e meno accurato e che le nuove definizioni, invece, sono più sensibili ma meno specifiche e meno accurate delle precedenti.

Conclusioni

Le nuove definizioni di sepsi e shock settico risultano meno accurate delle precedenti nell’identificare la sepsi, ma hanno avuto una miglior capacità di identificare i pazienti con prognosi peggiore. Il qSOFA è risultato meno sensibile del SIRS in fase diagnostica, ma più utile nell’identificare i pazienti più critici. Né i criteri clinici della Sepsis-2 e la misura del SIRS, né quelli della Sepsis-3 con il relativo qSOFA possono essere considerati criteri diagnostici completi per la diagnosi di sepsi ma possono essere utilizzati in modo complementare. Il qSOFA, nonostante sia più affidabile nella stratificazione della gravità dei pazienti che per il riconoscimento diagnostico, è uno

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score rapido e facile da eseguire e per questo andrebbe applicato appunto al triage, nell’attesa degli esami ematici.

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INDICE

1. INTRODUZIONE: LA SEPSI 1 1.1. EPIDEMIOLOGIA 1 1.2. PATOGENESI 4 1.3. MANIFESTAZIONI CLINICHE 10 1.4. TRATTAMENTO 14 1.5. DEFINIZIONE E DIAGNOSI 19

2. PERCORSO SEPSI TOSCANA 33

3. SCOPO DELLA TESI 40

4. MATERIALI E METODI 41

4.1. SELEZIONE DEI PAZIENTI 41

4.2. ANALISI STATISTICA 43

4.3. CRITERI CLINICI UTILIZZATI 45

5. RISULTATI 47

5.1. IL PAZIENTE SETTICO IN PRONTO SOCCORSO 47

5.2. ANALISI DELLA MORTALITÁ 53

5.3. CONFRONTO TRA SEPSIS-3 E PRECEDENTI DEFINIZIONI 54

6. DISCUSSIONE 57

7. CONCLUSIONE 63

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1. INTRODUZIONE: LA SEPSI

La sepsi è una delle più antiche ed elusive sindromi in medicina. Il termine greco da cui deriva è “σήψιζ”, che significa decomposizione, putrefazione1. Nonostante sia

conosciuta da più di duemila anni è stata priva di definizione fino alla fine del XX secolo, principalmente perché la mancanza di farmaci antibiotici efficaci e di una terapia di supporto adeguata impediva ai pazienti di sopravvivere abbastanza per essere studiati o per sviluppare le conseguenze della disfunzione d’organo. Con il miglioramento della terapia e quindi della sopravvivenza si è resa necessaria una terminologia più precisa che permettesse l’attribuzione della diagnosi da parte del medico secondo criteri clinici definiti2,3.

1.1 EPIDEMIOLOGIA

La sepsi è una sindrome largamente diffusa, tanto da essere stata descritta come un fardello globale contando più di 10 milioni di morti all’anno4. Negli USA ha una incidenza di circa 300/100000 abitanti5, è responsabile del 10% dei ricoveri in Unità

di Terapia Intensiva (UTI) e ha una mortalità tra il 10% e il 20%6 circa. In Europa l’incidenza è lievemente inferiore (circa 213/100000 abitanti), mentre la mortalità intraospedaliera è del 21,6%7. Questi dati mostrano la situazione epidemiologica attuale ma non sono statici. Infatti l’incidenza di sepsi è aumentata costantemente negli ultimi anni, mentre la mortalità ha subito una riduzione significativa4,5,8.

Esistono diverse cause che spiegano questo fenomeno: l’aumentata aspettativa di vita con l’incremento conseguente delle patologie croniche, l’aumento del numero di pazienti che assumono terapia immunosoppressiva o che per patologie neoplastiche

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si sottopongono a chemioterapia, di soggetti che affrontano un trapianto di organo e di quelli non immunocompetenti per patologie di base, come i soggetti affetti da malattie reumatologiche o da HIV. Tutti questi individui rientrano in una categoria soggetta ad un maggior rischio di infezione9. Oltre a quest’aumento effettivo si deve considerare anche che negli ultimi 20 anni la sepsi ha suscitato grande interesse dal momento che è stato dimostrato come un trattamento nelle fasi precoci conduca ad una migliore prognosi, portando ad una maggior attenzione e ad un aumento delle diagnosi di questa sindrome10,11. La mortalità ha subito una riduzione dopo la

pubblicazione delle prime linee guida della Surviving Sepsis Campaign (SSC) nel 2004 e la diffusione dei bundles per il trattamento del paziente settico8,12-15. Il merito di una maggior sopravvivenza va attribuito anche ad una diagnosi precoce e all’evoluzione degli strumenti utilizzati in terapia intensiva5. L’incidenza della sepsi

ha un andamento stagionale, maggiore nei mesi invernali a causa dell’aumento delle infezioni respiratorie16. Inoltre, l’incidenza della sepsi e la prognosi dipendono anche dalle caratteristiche del paziente:

 Le donne hanno un’incidenza minore di sepsi sebbene la mortalità resti simile agli uomini17-23. Le cause alla base di questa differenza restano inspiegate ma si crede sia dovuta all’effetto che gli ormoni sessuali esercitano sull’immunità innata ed adattativa e sulla risposta alle citochine dell’apparato cardiocircolatorio24.

 La sepsi è influenzata anche dalla razza: diversi studi hanno mostrato come l’incidenza sia maggiore negli individui di origine africana, anche a causa delle disparità sociali che ne precludono il tempestivo accesso alle cure, della povertà e di comorbidità come HIV21,25,26. Sembra tuttavia che anche

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eliminando questi fattori resti una componente genetica che influenza la maggiore incidenza in pazienti con origini Africane27,28.

 I pazienti anziani hanno una maggior probabilità di sviluppare sepsi, infatti l’età media dei pazienti diagnosticati con sepsi è di 67 anni8, e la mortalità è

maggiore in pazienti con un alto Charlson Comorbity Index7, mentre la

mortalità per giovani adulti senza comorbidità è inferiore (4,6%)18.

 L’immunosoppressione è una condizione che, sopprimendo l’immunità innata e adattativa, aumenta il rischio di sviluppare sepsi. Diverse condizioni croniche sopprimono il sistema immunitario, come HIV/AIDS, cirrosi epatica, asplenia, patologie autoimmuni, condizioni che sono largamente diffuse in pazienti con sepsi9,29-31. A questi si aggiungono i pazienti che diventano immunocompromessi in seguito ad una terapia o in seguito a trapianto d’organo. Per quanto riguarda i pazienti con patologia neoplastica, il rischio è maggiore sia per l’immunocompromissione data dal tumore che quella dovuta alla eventuale chemioterapia31,32.

 Esistono patologie congenite che rendono il paziente immunodeficiente a causa di mutazioni nei recettori coinvolti nel riconoscimento dell’agente esterno, nel sistema del complemento, nelle citochine e nelle cellule del sistema immunitario33. Tuttavia, anche in assenza di patologie specifiche, sono presenti varianti genetiche ereditarie che rendono alcuni pazienti più a rischio di altri34-36.

 Alcune abitudini di vita aumentano l’incidenza di sepsi. L’alcol aumenta il rischio di sepsi e la relativa insufficienza d’organo e mortalità37, mentre il rischio associato al fumo di tabacco è ancora incerto. Il fumo di sigaretta è

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comunque associato ad un maggior rischio di infezione da pneumococco e di ARDS38,39.

1.2 PATOGENESI

La sepsi è causata da batteri o funghi che normalmente non causano una compromissione sistemica nel paziente immunocompetente. Per sopravvivere all’interno del corpo umano, questi microbi spesso sfruttano i difetti acquisiti delle difese dell’ospite, come cateteri o altri corpi estranei o tubi di drenaggio ostruiti. A loro volta i patogeni possono eludere le difese immunitarie perché sono privi di molecole riconosciute dai recettori dell’ospite o perché producono tossine e altri fattori che danneggiano l’ospite. In entrambi i casi, si può sviluppare una vigorosa reazione infiammatoria che sfocia nella sepsi e nello shock settico, anche se fallisce nell’eliminare il microrganismo patogeno. La risposta settica può essere indotta anche da esotossine microbiche che si comportano da superantigeni, come molti altri virus patogeni40.

La sepsi scaturisce da diversi tipi di infezione e le tre più comuni sedi da cui origina sono le vie respiratorie, l’apparato urinario e le infezioni addominali, mentre le infezioni a carico della cute, del sistema nervoso centrale, le endocarditi sono meno frequenti. Le emocolture non sempre aiutano ad isolare il microorganismo responsabile in quanto risultano positive solo nel 20-40% dei pazienti settici. I patogeni più frequentemente identificati sono Gram- (pseudomonas ed escherichia

coli soprattutto), mentre meno comuni sono i Gram+ (staphyilococcus aureus è il più

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EFFETTI A LIVELLO DI ORGANI E TESSUTI

La sepsi progredisce da un’infezione localizzata ad una condizione sistemica fino allo shock settico. L’apparato cardiocircolatorio va incontro ad alcune alterazioni: si ha una disfunzione acuta biventricolare ma nonostante questo l’output cardiaco si mantiene normale o è addirittura aumentato a causa del crollo delle resistenze periferiche41,42. A livello periferico si può riscontrare un aumento dei lattati,

abitualmente attribuito all’ipossia dovuta all’ipoperfusione43, ma che può essere

anche causato dall’eccessiva glicolisi anaerobia successiva all’ipertono adrenergico44. L’endotelio subisce profonde alterazioni influenzando la muscolatura liscia dei vasi, il movimento delle cellule infiammatorie, l’equilibrio tra fattori pro-infiammatori/anti-infiammatori e la coagulazione. Questi effetti sono mediati dalla produzione di ossido nitrico (NO) conseguente alla stimolazione di un enzima inducibile endoteliale (iNO-sintetasi, iNOS), che aumenta la capacità dei leucociti di aderire all’endotelio e di fuoriuscire dai vasi, e, insieme allo sviluppo di uno stato procoagulante, alla vasodilatazione e alla perdita della funzione barriera determina edema tissutale45. L’aumento dell’espressione di fattore tissutale e la conseguente deposizione di fibrina, insieme alla disfunzione degli elementi che contrastano la coagulazione, possono produrre coagulopatia intravascolare disseminata46. La

funzione di barriera è compromessa a causa della rottura sia dell’endotelio che dell’epitelio, rendendo permeabili i capillari di vari tessuti ed essendo alla base del danno d’organo47.

A livello polmonare si accumula fluido edematoso ricco di proteine prima nell’interstizio e, in seguito al danno dell’epitelio, all’interno degli alveoli provocando ARDS, ovvero un mismatch perfusione-ventilazione, ipossiemia

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arteriosa e ridotta compliance polmonare48. La maggiore permeabilità a livello intestinale si traduce in ipercitochinemia49, traslocazione batterica e danno provocato dai contenuti del lume come enzimi pancreatici attivati (autodigestione)50. La sepsi

altera anche la clearence epatica della bilirubina causando colestasi ed è responsabile anche del passaggio delle tossine intestinali nella circolazione sistemica per la ridotta filtrazione del sangue refluo dall’intestino51. L’insufficienza renale acuta (AKI) è

frequente nella sepsi e aumenta la mortalità52. Sebbene in passato fosse attribuita ad una ridotta perfusione renale e al propagarsi della necrosi tubulare, oggi si pensa che siano coinvolti meccanismi più sofisticati dovuti all’effetto delle citochine infiammatorie e la disfunzione dell’epitelio tubulare immunomediata53,54. Il sistema

nervoso non è un semplice bersaglio della sepsi, ma ha un ruolo attivo principalmente in senso anti-infiammatorio. I chemoreccetori a livello carotideo, le afferenze vagali, e le aree di encefalo con barriera permeabile rispondono alle citochine locali e sistemiche, provocando una risposta colinergica vagale che inibisce la produzione di citochine dalle cellule dell’immunità innata periferica, soprattutto nella milza e nell’intestino. L’encefalopatia è un reperto clinico comune nella sepsi e può variare da una lieve alterazione dello stato di coscienza fino al coma55, che può essere il risultato diretto di un’infezione che coinvolge il SNC ma è più spesso dovuta all’effetto delle citochine e delle cellule infiammatorie che, superando la barriera ematoencefalica, causano edema, stress ossidativo, leucoencefalopatia e alterazioni nella neurotrasmissione56,57. A questo si aggiungono le tossine che

superano i filtri epatico e renale, ed i danni dovuti alle aree di ischemia conseguenti all’alterata coagulazione. Mano a mano che la risposta all’infezione si intensifica, la miscela delle citochine circolanti e altre molecole diventa molto complessa. Sono

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presenti alte concentrazione di molecole pro- ed anti-infiammatorie. Inoltre lo stato infiammatorio generato è tanto imponente che ne consegue un consumo di cellule e di citochine, generando uno stato di immunocompromissione e rendendo il paziente suscettibile a superinfezioni58,59. I leucociti dei pazienti con sepsi sono iporesponsivi al lipopolisaccaride (LPS). Questa iporesponsività si può attribuire alla riduzione dell’HLA-DR(II) sui monociti dovuta al cortisolo e a IL-10. L’apoptosi dei linfociti B, delle cellule follicolari e dei linfociti T CD4 possono contribuire significativamente allo stato immunosoppressivo40.

EFFETTI A LIVELLO CELLULARE E MOLECOLARE

Le reazioni molecolari innescate dalle infezioni gravi sono complesse, cambiano nel tempo e almeno parzialmente sono dipendenti dalla virulenza del patogeno60. Diversi studi affermano che una delle più importanti citochine responsabili delle alterazioni cellulari e tissutali che portano alla sepsi sia il Tumor Necrosis Factor α (TNF-α)61-63.

1. SIGNALING INFIAMMATORIO

Il sistema immunitario innato, composto principalmente da macrofagi, monociti, granulociti, cellule natural killer e cellule dendritiche, si è specializzato nell’individuare alcuni elementi altamente conservati nei microorganismi patogeni: i PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns, che si trovano in componenti di batteri, funghi e virus, come l’endotossina e il β-glucano) e i DAMPs (Damage Associated Molecular Patterns, ovvero molecole endogene rilasciate dalle cellule ospiti danneggiate, come ATP o DNA mitocondriale). Questi elementi attivano l’immunità innata e alcune cellule epiteliali mediante il riconoscimento da parte di

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recettori specializzati sulla membrana, come i Toll Like Receptors (TLR), o nel citosol (recettori NOD-like e RIG-I-like), attivando la trascrizione di interferone-1 (IFN-1) e altre citochine proinfiammatorie come TNF-α, interleuchine (1 e IL-6)64,65. Alcuni di questi recettori si possono assemblare in complessi intracellulari chiamati inflammasomi (soprattutto i NOD-like receptors), che sono importanti per la produzione e la secrezione di citochine più potenti come IL-1β and IL-18, e che possono scatenare la piropoptosi, ovvero una morte cellulare programmata ma che avviene per rottura della membrana in seguito all’attivazione delle caspasi da parte delle citochine infiammatorie66. Gli effetti delle citochine pro-infiammatorie sono:

 Aumento del numero, vitalità e attivazione delle cellule dell’immunità innata

 Incremento della produzione di molecole d’adesione e delle chemochine da parte dell’endotelio

 Rilascio in circolo di proteine di fase acuta epatiche come i fattori del complemento e fibrinogeno

 Rilascio di NETs dai neutrofili (Neutrophil Extracellular Traps) ammassi simili ad una rete di DNA, proteine antimicrobiche ed enzimi, che formano una superficie utile per l’attivazione delle piastrine67

 Rilascio da parte delle piastrine, dei leucociti o dell’endotelio di vescicole che contengono lipidi infiammatori, ROS, fattori della coagulazione e proteine come il fattore tissutale, l’angiopoietina 2 e il fattore di von Willembrand68

 Tutto questo genere una “immunotrombosi69”,cioè trombi che, dopo aver

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2. DANNO PRECOCE

Questa risposta dovrebbe controllare l’infezione a livello locale, ma quando supera il limite provoca un danno.

 ROS come radicali idrossilici e ossido nitrico possono danneggiare le proteine, i lipidi di membrana, il DNA e i mitocondri

 I fattori del complemento, in particolare il C5 attivato, aumentano i ROS, il rilascio di enzimi da parte dei granulociti e l’espressione di fattore tissutale e possono provocare un danno letale alla midollare del surrene70

 L’immunotrombosi estesa provoca coagulopatia intravascolare disseminata (CID), con conseguente danno d’organo: la sepsi è caratterizzata da un processo autoalimentantesi

3. DISFUNZIONE METABOLICA

Paradossalmente non è la morte cellulare la principale causa del danno d’organo diffuso. Infatti, il danno provocato al DNA e ai mitocondri dai ROS riduce l’ATP, obbligando le cellule ad andare in uno stato simile all’ibernazione, con ridotto consumo di ossigeno e disfunzione d’organo per ridotta performance delle cellule specializzate71,72. Anche il catabolismo è un elemento caratterizzante la sepsi: per avere i substrati per la glicolisi anaerobia occorrono aminoacidi, quindi le citochine e i corticosteroidi in circolo favoriscono la riduzione della massa muscolare. Il metabolismo glucidico è alterato: da una parte viene favorita l’iperglicemia e l’insulino-resistenza per fornire maggior glucosio alle cellule immunitarie73,

dall’altra l’aumentato rilascio di insulina e la gluconeogenesi inefficace causa ipoglicemia40.

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4. RISOLUZIONE

La via di soppressione dell’infiammazione non è solo un processo passivo ma coinvolge vie specifiche che favoriscono l’allontanamento delle citochine e l’inattivazione delle cellule infiammatorie qualora il patogeno sia stato eliminato. In contemporanea allo scatenarsi della reazione infiammatoria, vengono rilasciate citochine antiinfiammatorie come IL-10 che antagonizza IL-6, e INF-γ che stimola la produzione del recettore solubile di TNF e l’antagonista al recettore di IL-1. Per ridurre l’attivazione dell’inflammosoma a livello intracellulare vengono eliminati i PAMPs e i DAMPs74. Vengono rilasciate inoltre un insieme di molecole che riducono i ROS e la permeabilità dei vasi: lipoxine, resolvine, protectine e maresine.

1.3 MANIFESTAZIONI CLINICHE

La sepsi è caratterizzata da un quadro clinico eterogeneo, con sintomi e segni aspecifici e spesso sovrapposti a quelli delle infezioni non complicate.

 SINTOMI E SEGNI COSTITUZIONALI

I segni precoci di infezione che possono far sospettare un quadro di sepsi sottostante sono l’ipotermia o l’ipertermia, la tachicardia, la tachipnea e le alterazioni dello stato di coscienza. L’iperventilazione con alcalosi respiratoria è di frequente riscontro nella sepsi e sembra sia dovuta all’effetto diretto delle endotossine o sia secondaria alla liberazione delle citochine infiammatorie come callicreina o bradichinina. Le alterazioni dello stato di coscienza non sono focali e possono variare dal semplice disorientamento fino al coma.

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11  ALTERAZIONI CARDIOVASCOLARI

La vasodilatazione prevale negli stadi precoci della sepsi e dello shock settico facendo diminuire le resistenze periferiche mentre la gittata cardiaca si mantiene normale, o addirittura aumenta a causa della tachicardia. Tuttavia è presente una depressione miocardica negli stadi precoci dello shock settico. In seguito alla guarigione la funzione ventricolare torna nella norma entro 7-10 giorni.

 ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE POLMONARE

La sepsi è la condizione che più comunemente si associa al danno respiratorio acuto e all’ARDS (acute respiratory distress syndrome). L’aumentata permeabilità dovuta al danno nel microcircolo provoca edema polmonare, provocando dispnea, ipossiemia, e opacità all’imaging radiografico. Il danno respiratorio acuto è la manifestazione iniziale dell’interessamento polmonare ed è caratterizzato dalla combinazione di ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2<300) e infiltrati bilaterali all’imaging radiografico in assenza di polmonite o scompenso cardiaco. Un rapporto PaO2/FiO2 inferiore a 200 indica una ipossiemia grave che sfocia in ARDS se è refrattaria alla terapia e si associa a infiltrati polmonari bilaterali e ridotta compliance dei polmoni.

 ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE RENALE

Il coinvolgimento renale nella sepsi è dovuto all’ipotensione, alla disidratazione e alla somministrazione di una terapia nefrotossica come antibiotici aminoglicosidici, e si manifesta con insufficienza renale acuta, azotemia e sedimenti urinari. Il danno è principalmente causato dall’ischemia dovuta alla ridotta perfusione, ma contribuiscono anche i prodotti tossici della reazione infiammatoria, le citochine e la

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trombosi microvascolare. È frequente il riscontro di un sedimento urinario ricco di eritrociti, cilindri e proteine.

 DANNO EPATICO

La più frequente alterazione epatica è l’ittero colestatico: aumenta la concentrazione delle transaminasi, della fosfatasi alcalina (da una a tre volte la norma) e della bilirubina (raramente sopra i 10mg/dL). L’ittero è causato sia dall’emolisi che dalla disfunzione degli epatociti dovuta alle endotossine, alle citochine, agli immunocomplessi e all’ischemia dovuta all’ipotensione.

 DANNO GASTROINTESTINALE

A livello del tubo digerente si ha ischemia da ipoperfusione. Questo comporta delle piccole interruzioni nella mucosa e nella barriera gastrica, con conseguente stillicidio ematico. Raramente è presente sanguinamento macroscopico. Le lesioni a carico della parete intestinale comportano anche alterazioni della peristalsi ed ileo paralitico.

 ALTERAZIONI EMATOLOGICHE

La sepsi è caratterizzata da neutropenia o neutrofilia, trombocitopenia e coagulopatia intravascolare disseminata (CID). L’endotossina e il fattore C3 attivato del complemento favoriscono il rilascio in circolo di neutrofili dal midollo osso causando leucocitosi. La neutropenia, invece, è correlata con una maggiore mortalità ed è causata dall’uso periferico dei neutrofili, dal danno provocato dai batteri e dall’inibizione del midollo osseo da parte delle citochine infiammatorie. L’anemia è un segno tardivo della sepsi nonostante la produzione e la sopravvivenza diminuiscano progressivamente. La sideremia si riduce per il passaggio del ferro

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ematico nelle cellule epatiche e reticoloendoteliali, sottraendo questo substrato ai patogeni. La trombocitopenia si riscontra in più del 30% dei pazienti con sepsi ed è causata principalmente dalla CID, dall’inibizione della trombopoiesi e dalla distruzione immunomediata. La CID è frequente nella sepsi a causa dell’attivazione della cascata coagulativa per il contatto con agenti patogeni e con il tessuto subendoteliale che è esposto a seguito del danno infiammatorio. Successivamente, il rilascio dell’attivatore del plasminogeno tissutale attiva il sistema fibrinolitico, rendendo il quadro coagulativo imprevedibile con la contemporanea presenza di trombosi e di sanguinamenti. Le analisi di laboratorio che indicano la presenza di CID includono trombocitopenia, PT e aPTT allungati, ridotti livelli di fibrinogeno e AT-III, sono invece aumentati i prodotti derivati dal catabolismo della fibrina e il D-dimero.

 ALTERAZIONI ENDOCRINOLOGICHE

Si può sviluppare iperglicemia in assenza di diabete a causa dell’aumento del cortisolo, del glucagone e dell’azione delle citochine. Inoltre l’alterato metabolismo delle cellule riduce il consumo di glucosio e provoca insulino-resistenza. Meno comuni sono i casi con ipoglicemia, che invece è causata dalla deplezione delle riserve di glicogeno, dall’inibizione della gluconeogenesi e dall’insufficienza surrenalica. L’insufficienza surrenalica, a sua volta, può essere provocata dall’ischemia, da un’emorragia ipofisaria o surrenalica, dalle citochine e dalle reazioni avverse della terapia.

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 ALTERAZIONI DELL’EQUILIBRIO ACIDO-BASE

La sepsi solitamente provoca alcalosi respiratoria causata dall’iperventilazione, ipossiemia per il mismatch ventilazione-perfusione e acidosi metabolica, causata dall’ipoperfusione e dalla glicolisi anaerobia conseguente al danno mitocondriale. L’acido lattico, inoltre, non è adeguatamente eliminato dagli epatociti.

 ALTERAZIONI CUTANEE

La sepsi può coinvolger la cute in diversi modi:

1. Il coinvolgimento batterico diretto della cute o dei tessuti molli sottostanti possono manifestarsi con cellulite, erisipela o fascite

2. I patogeni possono raggiungere la cute tramite il circolo ematico causando petecchie, pustole, ectima gangrenoso o cellulite

3. La CID o l’ischemia causano acrocianosi e necrosi dei tessuti periferici

4. L’infezione può localizzarsi inizialmente a livello intravasale e successivamente coinvolgere la cute

5. La cute può essere danneggiata dalle tossine (toxic shock syndrome)75

1.4 TRATTAMENTO

La sepsi, così come il politrauma, l’infarto miocardico acuto o l’ictus, è una condizione tempo-dipendente e la sua prognosi dipende dalla capacità di diagnosticarla precocemente e di trattarla tempestivamente2,40,75-77. Non esiste, ad oggi, un trattamento unico per la sepsi a causa della grande variabilità di presentazione clinica dei pazienti e anche se l’impostazione della terapia va adattata

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al caso specifico che il medico si trova davanti, un trattamento di successo si basa sugli stessi punti chiave2,40:

 Appropriata terapia antibiotica precoce

 Appropriata rianimazione emodinamica precoce

 Appropriato controllo precoce del focolaio d’infezione

Partendo da questo presupposto, nel 2004, la SSC ha pubblicato la prima versione delle linee guida internazionali per il trattamento della sepsi severa e dello shock settico78 con l’obiettivo di ridurre la mortalità della sepsi del 25% entro il 2020. Le linee guida sono state aggiornate nel 200879 e nel 201280, e nel 2016 è stata pubblicata l’ultima revisione (Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for Management of Sepsis and Septic Shock: 2016)76: questa edizione affronta la

terapia in 5 sezioni: emodinamica, infezione, terapie aggiuntive, metabolismo, ventilazione.

La sepsi e lo shock settico sono emergenze mediche e il trattamento deve iniziare il più presto possibile.

 EMODINAMICA

L’obiettivo è mantenere una pressione arteriosa media (PAM) maggiore o uguale a 65 mmHg: l’ipoperfusione indotta dalla sepsi va trattata con almeno 30 ml/Kg di cristalloidi endovena entro le prime 3 ore; le successive infusioni devono essere giustificate dal quadro clinico o misurazioni dinamiche. I liquidi da infondere raccomandati sono i cristalloidi. Nel caso di shock settico il farmaco vasocostrittore di prima scelta è la norepinefrina per il ridotto effetto sul cuore, a cui si può associare epinefrina o vasopressina nel caso in cui non si raggiunga il target. La dopamina è un

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farmaco utile solo in pazienti selezionati, a causa del rischio di aritmie. Se la terapia con vasopressori e cristalloidi non è sufficiente è consigliata la somministrazione di corticosteroidi. La terapia con bicarbonato di sodio per l’acidosi lattica è controindicata.

 INFEZIONE

Nei pazienti in cui si sospetta sepsi occorre fare dei prelievi (emocolture incluse) per gli esami colturali prima di attuare una terapia antimicrobica. La somministrazione di farmaci antimicrobici deve essere eseguita per via endovenosa non appena sia possibile, o entro un’ora dalla diagnosi. Inizialmente si deve eseguire una terapia empirica ad ampio spettro con uno o più farmaci che coprano il maggior numero di patogeno. Una volta riconosciuto il patogeno e identificate le molecole a cui è sensibile va effettuata una de-escalation o una sostituzione. La terapia di combinazione (due farmaci che coprono rispettivamente diverse classi di patogeni) è indicata solo in pazienti con shock settico. La durata dovrebbe essere indicativamente di 7-10 giorni, ma può variare in base al patogeno e alla risposta del paziente. Per valutare la risposta del paziente alla terapia si può monitorare la variazione dei livelli di procalcitonina. Indipendentemente dal trattamento sistemico si deve identificare la sede di origine della sepsi e trattarla (source control), e nel caso siano devices esterni, questi vanno rimossi e sostituiti.

 TERAPIE AGGIUNTIVE

Viene raccomandata la trasfusione di emazie concentrate qualora la concentrazione di emoglobina scenda sotto i 7g/dl, analogamente si suggerisce l’infusione di piastrine se inferiori a 10000/mm3, o se inferiori a 20000/mm3 in presenza di rischio

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di sanguinamento. L’uso di anticoagulanti come l’antitrombina è sconsigliato mentre per la profilassi antitrombotica venosa si deve utilizzare eparina non frazionata o eparina a basso peso molecolare. Nel caso la sepsi abbia provocato insufficienza renale acuta si può applicare il trattamento sostitutivo della funzione renale assieme alla terapia farmacologica. Infine, dal momento che a causa della sepsi si può sviluppare una lesione ulcerosa da stress, viene raccomandata la profilassi con inibitori di pompa o antagonisti del recettore dell’istamina in pazienti a rischio di sanguinamento intestinale.

 METABOLISMO

La sepsi è una condizione che comporta uno stato catabolico, quindi la nutrizione è fondamentale. Nel paziente critico è indicata sempre come scelta migliore una nutrizione enterale rispetto alla parenterale. Le alterazioni del metabolismo glicemico portano ad uno stato di iperglicemia: i valori di glicemia vanno monitorati ogni ora e se superano i 180 mg/dl occorre somministrare insulina per riportare la glicemia al di sotto di questo valore soglia.

 VENTILAZIONE

La ventilazione è indicata per ipossiemia progressiva, ipercapnia, alterazione dello stato di coscienza o insufficienza dei muscoli respiratori. È inoltre utile per prevenire l’aspirazione di materiale orofaringeo e per ridurre il postcarico cardiaco. La ventilazione va applicata con bassi volumi tidali (6 ml/kg) e con una PEEP elevata. I pazienti che sono sottoposti alla ventilazione meccanica necessitano di una sedazione muscolare e devono essere posizionati in posizione prona per prevenire eventuali polmoniti nosocomiali.

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Dalle precedenti 3 edizioni delle linee guida sono emersi alcuni elementi importanti per la terapia del paziente settico, sono stati quindi realizzati degli algoritmi che riassumono i principali interventi terapeutici da effettuare su un paziente con sospetta sepsi: i “resuscitation bundle”. Il primo bundle pubblicato è stato il sepsis six, ovvero le sei manovre da attuare entro la prima ora dalla diagnosi di sepsi:

1. Somministrare ossigeno e mantenere i livelli di PaO2 normali 2. Fare il prelievo per le emocolture

3. Iniziare l’infusione della terapia antibiotica 4. Iniziare l’infusione di fluidi

5. Misurare i lattati 6. Monitorare la diuresi

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Attualmente sono in corso di revisione per essere aggiornate secondo l’ultima edizione delle linee guida internazionali.

1.5 DEFINIZIONE E DIAGNOSI

La definizione di una patologia deve spiegarne il concetto, quindi la definizione di sepsi dovrebbe descrivere cosa la sepsi effettivamente sia81. Questa sindrome,

tuttavia, non è facilmente identificabile per diversi motivi: è in grado di manifestarsi con quadri clinici molto diversi tra loro82, è considerata l’evoluzione comune delle infezioni quindi non ha un unico fattore eziologico83, ma soprattutto ha una patogenesi nota solo parzialmente e la conoscenza dei meccanismi biologici che la determinano sono in continua evoluzione81. Questo spiega perché nel corso degli

anni la definizione di sepsi sia cambiata, aggiornandosi in base alle conoscenze del tempo: l’ultima è stata pubblicata nel 2016 ed è stata nominata Sepsis-3, mentre le precedenti del 1992 e del 2001 rispettivamente Sepsis-1 e Sepsis-2, per evidenziare che, come in passato, questa sia destinata a rinnovarsi anche in futuro81.

SEPSIS-1 E SEPSIS-2

La prima definizione formale è stata formulata nel 1992 quando l’American College of Chest Physicians/Society of Critical Care Medicine (ACCP/SCCM) Consensus Conference Commettee Report definì la sepsi come “la risposta sistemica ad una

infezione”3, basandosi sulle conoscenze di allora che attribuivano le manifestazioni sistemiche della sindrome ad una risposta infiammatoria eccessiva e poco controllabile e non necessariamente ad una infezione sistemica. Chiamarono questa

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risposta SIRS (Systemic Inflammatory Response Syndrome). La SIRS viene diagnosticata con la presenza di almeno 2 di questi 4 criteri3:

 Temperatura corporea maggiore di 38°C o inferiore a 36°c

 Frequenza cardiaca maggiore di 90 bpm

 Tachipnea (FR>20) o iperventilazione (Pa CO2<32mmHg)

 GB maggiore di 12000/mm3 o minore di 4000/mm3 o presenza di almeno il 10% di neutrofili immaturi

La sepsi veniva diagnosticata qualora ci fosse stata una variazione del livello basale di SIRS in concomitanza ad una infezione, questo per evidenziare come la SIRS non fosse unicamente appannaggio della sepsi ma potesse incorrere anche in altre condizioni, come pancreatite, ischemia, trauma, shock emorragico e danno d’organo immuno-mediato. Dal momento che la sepsi si manifesta con quadri clinici di diversa gravità, venne riconosciuto il carattere evolutivo della sindrome: la progressione della SIRS porta prima a un danno d’organo, poi allo shock ed infine alla morte. La prima di queste condizioni fu definita sepsi severa, ovvero un sottoinsieme di pazienti con sepsi e almeno uno tra:

 Disfunzione d’organo

 Ipoperfusione (dimostrata con acidosi lattica, oliguria, alterazioni acute dello stato mentale etc.)

 Ipotensione indotta da sepsi (pressione arteriosa sistolica inferiore a 90 mmHg o riduzione dal valore medio per età maggiore di 40 mmHg o di 2 deviazioni standard, o riduzione della pressione arteriosa media sotto i 70 mmHg, in assenza di altre cause di ipotensione)

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Infine, l’assemblea definì lo shock settico come la condizione successiva alla sepsi severa in cui l’ipotensione persiste nonostante un’adeguata somministrazione di fluidi. Le alterazioni della perfusione si manifestano con aumento dei lattati, oliguria o alterazione dello stato mentale3. Un’importante considerazione riguardo queste prime definizioni è la differenza evidenziata tra la sepsi priva di danno d’organo e sepsi severa e shock settico, dove l’ipotensione e l’ipoperfusione portano ad un incremento della mortalità84. Nel 2001, si riunì una seconda assemblea per aggiornare la definizione ma soprattutto i criteri clinici che occorrevano per diagnosticarla. La sepsi venne descritta come “una sindrome clinica definita dalla

presenza sia di infezione che dalla sindrome da risposta infiammatoria sistemica”85. Sebbene questa definizione confermi il precedente lavoro del 1992, l’assemblea convenne che i criteri SIRS mancavano della specificità sufficiente ad identificare i pazienti con sepsi82 e di conseguenza produsse una lista di segni clinici e di parametri

biologici per facilitare la diagnosi.

Questi criteri sono stati scelti basandosi sull’opinione degli esperti, e infatti gli autori affermarono che “nella realtà quotidiana, un medico non usa criteri rigidi ma

identifica una miriade di sintomi, e indipendentemente dalla presenza di infezione localizzata può affermare che un paziente è settico”85, evidenziando che questi

parametri non sono specifici di un’infezione ma possono orientare verso la giusta diagnosi.

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La definizione di sepsi è rimasta invariata: consisteva nella concomitante presenza di una storia di infezione, la presenza dei criteri SIRS (a cui si aggiungeva lo stato mentale alterato o l’iperglicemia) e la disfunzione d’organo (definita da una tra ipotensione, ipossia, elevata creatininemia od oliguria, trombocitopenia, coagulopatia, elevata bilirubinemia o lattati elevati). Lo shock settico è stato ridefinito come uno stato di acuta insufficienza circolatoria caratterizzato da

ipotensione arteriosa persistente e non attribuibile ad altre cause. L’ipotensione è

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 Pressione arteriosa sistolica inferiore a 90 mmHg

 Pressione arteriosa media inferiore a 70 mmHg o una riduzione della pressione sistolica maggiore di 40 mmHg dal valore basale

 L’ipotensione si mantiene nonostante l’infusione corretta di fluidi e non è spiegabile da altre cause3

CRITICHE ALLA SEPSIS-2

In seguito a quest’ampliamento nei criteri clinici si sono svolti studi che hanno registrato una riduzione della mortalità nei pazienti con sepsi15,86. Nonostante ciò la definizione di sepsi è stata ritenuta insufficiente, se non completamente inadeguata87. Il concetto di SIRS come criterio clinico alla base della sepsi presenta alcuni limiti. Innanzi tutto può presentarsi anche in seguito a molti processi non infettivi come trauma grave, ustioni, pancreatite e sindrome da riperfusione, ha una sensibilità tanto alta che più del 90% dei pazienti ammessi in un reparto di terapia intensiva risultano positivi88,89. Se la sepsi fosse definita unicamente da SIRS in presenza di infezione, dato che praticamente tutti i pazienti critici hanno almeno 2 criteri SIRS positivi, allora la sepsi equivarrebbe all’infezione, ma sebbene tutti i pazienti settici siano infetti, non è vero il contrario. In secondo luogo la risposta infiammatoria è correlata praticamente a qualsiasi infezione e segni come febbre, tachicardia, iperventilazione, o un aumento dei globuli bianchi sono nella norma. Questa risposta dell’ospite ha effetti benefici durante il processo infettivo e una ridotta o assente risposta potrebbe invece suggerire uno stato di immunocompromissione. Infine, nella patogenesi della SIRS, sono presi in considerazione diversi elementi che sono presenti anche in altri stati infiammatori privi di infezione87. Le definizioni precedenti sono incapaci di spiegare che la sepsi non è una semplice risposta ad un’infezione, ma è una reazione

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dell’ospite talmente dannosa da portare alla disfunzione d’organo e, nei casi più gravi, alla morte90.

SEPSIS-3

A febbraio del 2016 è stata pubblicata su JAMA la nuova definizione di sepsi, formulata da una task force di 19 membri dell’European Society of Intensive Care Medicine e della Society of Critical Care Medicine. L’assemblea partiva dal presupposto che la sepsi, fino a quel momento, non avesse ancora un test diagnostico standard e che ci fosse bisogno di criteri diagnostici che identificassero tutti gli elementi che la determinano (infezione, risposta dell’ospite, danno d’organo), che fossero semplici da ottenere e con un costo ragionevole, in modo da essere applicati anche nei reparti di medicina d’urgenza e fuori dalle terapie intensive81 ma,

soprattutto, che avessero la capacità di identificare precocemente i pazienti infetti con maggior rischio di progredire verso uno stato di pericolo di vita, in quanto un trattamento precoce migliora la prognosi80. La sepsi è definita come “una disfunzione

d’organo, pericolosa per la vita, causata da una sregolata risposta dell’ospite alle infezioni.”81. Questa nuova definizione pone maggior attenzione alla patogenesi della sepsi, evidenziando come alla base della risposta dell’ospite ci sia una disfunzione cellulare e non unicamente una risposta infiammatoria, e prende le distanze dalla Sepsis-2, rendendo quindi superfluo il termine “sepsi severa”: le uniche categorie che riconosce sono sepsi e shock settico. Questo significa che i pazienti che in precedenza erano diagnosticati con sepsi senza danno d’organo ora non rientrano in nessuna categoria e vanno considerati semplicemente come pazienti con infezione82. Lo strumento proposto per valutare la disfunzione d’organo è il SOFA (Sequential Organ Failure Assessment)91,92. La task force ha analizzato retrospettivamente la

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capacità di predire la mortalità del SOFA rispetto al SIRS: all’interno dei reparti di terapia intensiva il SOFA era significativamente migliore mentre all’esterno delle UTI i due score erano sovrapponibili81. Il SOFA è calcolato misurando sei parametri:

Una variazione del valore SOFA di almeno 2 punti indica una disfunzione d’organo81, ed è correlata con un rischio di morte di circa il 10% nei pazienti

ospedalizzati93. Il SOFA basale assegnato ai pazienti è 0, a meno che non siano presenti comorbidità che ne alterino i valori indipendentemente dall’infezione.

Il SOFA tuttavia ha alcuni limiti: è poco conosciuto fuori dalla terapia intensiva e richiede analisi di laboratorio che non sempre sono immediatamente disponibili in reparti come la medicina d’urgenza o nelle corsie di un ospedale. Per questo motivo è stato dedotto un nuovo score tramite un’analisi retrospettiva dei dati utilizzati per la nuova definizione: il qSOFA (quick-SOFA). La mortalità correlata a questo nuovo

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score è stata calcolata come paragonabile a quella del SOFA, anche se di poco inferiore. L’aggiunta della misurazione dei lattati non contribuisce a predire la mortalità, ma può essere utile per identificare i pazienti a rischio intermedio81.

Il q-SOFA è composto da 3 variabili:

 Stato mentale alterato

 Pressione arteriosa sistolica inferiore o uguale a 100 mmHg

 Frequenza respiratoria maggiore o uguale a 22 atti al minuto

Il qSOFA, utilizzato su pazienti con sospetta infezione, identifica quelli che hanno un maggior rischio di morte o di permanenza prolungata in UTI. Diversamente dal SOFA, il qSOFA non richiede analisi di laboratorio e può essere calcolato rapidamente e ripetutamente. Secondo la task force, un qSOFA positivo dovrebbe allarmare il medico e spronarlo a ricercare un danno d’organo o a iniziare la terapia precoce in un paziente con sospetta infezione, o addirittura far sospettare un’infezione in un paziente con anamnesi precedentemente negativa81. Anche la

definizione di shock settico proposta nel 2001 è stata ritenuta inadeguata: viene ora definito come “un sottoinsieme della sepsi in cui le sottostanti anomalie circolatorie

e metaboliche cellulari sono tali da aumentare la mortalità in modo significativo”81. Anche in questa definizione si nota l’importanza data alla patogenesi in quanto, diversamente dalla Sepsis-2 (stato di acuta insufficienza circolatoria), viene sottolineato il ruolo delle anomalie di funzionamento cellulare. I criteri clinici per diagnosticarlo sono la necessità di utilizzare una terapia con vasopressori per mantenere una PAM almeno di 65 mmHg e avere un livello di lattati sierici

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maggiore o uguale a 2 mmol/L94. Le principali differenze dalla definizione precedente sono:

1. La necessaria presenza di ipotensione in contemporanea con aumentati livelli di lattati

2. L’abbassamento della soglia di lattati da 4 a 2 mmol/L.

L’incremento dei livelli di acido lattico è un indice dell’alterazione del metabolismo cellulare ma non è specifico della disfunzione d’organo nella sepsi95,96. Tuttavia, in

assenza di un altro parametro di valore superiore resta la migliore alternativa al momento, avendo un valore predittivo della mortalità acuta dello shock settico94,97.

CRITICHE E DUBBI SULLA SEPSIS-3

La difficoltà nel definire e diagnosticare la sepsi e lo shock settico dipende dal fatto che il termine sepsi è attribuito a un processo non completamente conosciuto, privo di criteri clinici e patogenesi specifiche. La Sepsis-3 è stata formulata con queste premesse e laddove mancava un consenso unanime sui criteri clinici è stata presa una decisione attraverso compromessi, in modo da produrre score rapidi e facili da usare che potessero meglio rappresentare il meccanismo fisiopatologico. Né il SOFA né il qSOFA vanno intesi come definizioni autonome di sepsi, infatti è cruciale che l’indagine diagnostica e il trattamento non si interrompano se c’è un sospetto clinico ma SOFA o qSOFA sono inferiori ai 2 punti. Il SIRS, invece, rimane utile per identificare un’infezione81. Anche l’approccio verso l’iperlattacidemia è stato

controverso in quanto l’aggiunta di questa misurazione è una spesa ingiustificata alla luce del fatto che non viene apportato un cambiamento significativo nella validità predittiva del qSOFA, tuttavia il monitoraggio dei lattati è utile per indicare la

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severità della malattia e può essere utile per controllare l’efficacia della terapia. Alcuni autori sostengono, al contrario, che elevati livelli di lattati rappresentano un marker di shock “criptico” in assenza di ipotensione98, sebbene sia poco specifico e

non patognomonico della disfunzione cellulare99. Comunque sia è stato visto che pazienti con iperlattacidemia ed ipotensione rientrano in un sottogruppo con mortalità maggiore rispetto a pazienti con uno solo di questi due indici alterati81. Sebbene molte organizzazioni internazionali abbiano accolto immediatamente questa nuova definizione e i criteri clinici, alcune perplessità sono state sollevate, soprattutto riguardo l’utilità del qSOFA.

a) Il qSOFA è stato calcolato retrospettivamente su dati provenienti da ospedali

USA, quindi gli autori stessi hanno suggerito di validarlo prospetticamente in reparti diversi dalla UTI, in pazienti in condizioni meno critiche ma soprattutto in reparti di medicina d’urgenza, da cui provengono fino a due terzi dei pazienti diagnosticati con sepsi6 e quindi dove il valore di questo score può essere valutato al meglio81,100. A gennaio del 2017 è stato pubblicato uno studio eseguito su pazienti di medicina d’urgenza di ospedali europei dove è analizzata in modo prospettico l’accuratezza prognostica della nuova definizione di sepsi a confronto con la precedente6. L’obiettivo principale era di confermare l’ipotesi che, in pazienti con un qSOFA maggiore o uguale a 2, la mortalità fosse almeno del 10%, come era stato riportato dalla Consensus Conference e da altri studi retrospettivi81,101-103. I pazienti selezionati erano adulti che si sono presentati al pronto soccorso con sospetta infezione. La mortalità complessiva era dell’8%. In pazienti con qSOFA minore di 2 era del 3%, mentre con lo score maggiore o uguale a 2 saliva al 24%. Successivamente è stata paragonata la capacità di predire la mortalità attraverso l’applicazione di diversi

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score: SOFA, qSOFA, SIRS e sepsi severa (SIRS e lattati superiori a 2 mmol/L). Gli score con migliore capacità predittiva di mortalità sono risultati qSOFA e SOFA rispetto a SIRS e sepsi severa. Simili risultati sono stati ottenuti per la predittività di ricovero e permanenza in UTI maggiore di 72h6. Gli autori, tuttavia, affermano che il qSOFA è stato calcolato nel momento in cui i valori erano agli estremi peggiori e che questo può aver influito sui risultati. Gli elementi che costituiscono questo score, infatti, possono variare in un breve lasso di tempo6 e non è detto che un qSOFA calcolato all’ingresso del paziente in pronto soccorso sia affidabile.

b) Il qSOFA, diversamente dalla SIRS3, non rientra nella definizione di sepsi: è uno strumento utile per incrementare il livello d’allarme nei confronti di un paziente con sospetta infezione ma è poco specifico e poco sensibile. Può essere presente sepsi in assenza di un qSOFA maggiore di 2 perché ci possono essere danni d’organo che non alterano le variabili utilizzate nel qSOFA (ad esempio danno renale, ipossiemia, coagulopatia, iperbilirubinemia), oppure questo score può essere positivo in assenza di infezione come in ipovolemia, scompenso cardiaco grave, o embolia polmonare estesa. Inoltre i valori utilizzati per il qSOFA (pressione arteriosa sistolica inferiore o uguale a 100 mmHg, frequenza respiratoria maggiore o uguale a 22 atti al minuto, alterato livello di coscienza) non sono gli stessi utilizzati dal SOFA per diagnosticare una disfunzione d’organo. Quindi alcuni pazienti con qSOFA positivo possono avere un’infezione senza essere necessariamente settici100.

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c) L’American College of Chest Physicians (ACCP), che ha partecipato alla

formulazione delle precedenti definizioni di sepsi del 1992 e del 2001, ha pubblicato un articolo in opposizione alla sepsis-3, ritenendo che l’applicazione di questa nuova definizione possa costare delle vite104. La nuova definizione elimina il concetto di

progressione attraverso stadi della sepsi, un concetto che, sebbene imperfetto, è stato una base utile per la terapia3,105 e per quelle linee guida che hanno portato ad una riduzione della mortalità globale della sepsi18,106,107. Un cambiamento sembra quindi ingiustificato, anche perché non esiste ancora un elemento patognomonico che identifichi la sepsi. I nuovi criteri clinici, inoltre, hanno l’obiettivo di aumentare la specificità della previsione della mortalità e della permanenza in UTI maggiore di 3 giorni81 ma, dal momento che la prognosi migliore si ottiene con una diagnosi tempestiva e un trattamento precoce, questi possono non essere in grado di

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identificare i segni di un’infezione potenzialmente letale fino a quando non sia troppo tardi e ci sia una disfunzione d’organo più grave, con una conseguente mortalità maggiore104. La logica alla base della formulazione dei nuovi criteri clinici

sembra essere controproducente: per una condizione ad alta mortalità come la sepsi andrebbe usato uno strumento ad alta sensibilità in modo da includere tutti i potenziali pazienti, anche a scapito della specificità, che invece è l’elemento caratterizzante dei criteri clinici della Sepsis-3. La SIRS non è specifica per la sepsi ma è presente nel 90% dei pazienti con disfunzione d’organo108. Essendo quindi un

indice sensibile può essere d’aiuto nel riconoscere i pazienti settici prima che entrino in una categoria a più alta mortalità. Il principale limite della nuova definizione, secondo l’ACCP, è la minore attenzione data alle fasi precoci della sepsi quando la sindrome è ancora trattabile, portando ad un ritardo nel trattamento in una condizione che è tempo-dipendente, con un maggior rischio per il paziente104.

d) La nuova definizione di sepsi, così come le precedenti, fornisce criteri clinici

generali ma non aiuta a raggruppare i pazienti in base alla sottostante causa microbiologica, alla patogenesi o alle alterazioni cellulari109. I pazienti con infezione e disfunzione d’organo, infatti, hanno caratteristiche eterogenee sia per quanto riguarda l’età, le comorbidità e altri rilevanti fattori clinici110. Se da una parte la

nuova definizione aiuterà a identificare prima una disfunzione d’organo e a calcolare l’epidemiologia, tuttavia avrà un apporto limitato nel fornire una terapia su misura per ciascun paziente. La medicina di precisione in cui sono fornite terapie individualizzate basate su alterazioni genomiche e cellulari specifiche sta rivoluzionando il trattamento delle neoplasie e di altre condizioni111, e cosi dovrebbe

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condizione. La nuova definizione mantiene il concetto di sindrome, mentre le conoscenze sui meccanismi molecolari che la determinano stanno portando a superare questo concetto, evidenziando come la sepsi sia un gruppo di malattie, ognuna caratterizzata da alterazioni cellulari e biomarkers specifici109.

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2.PERCORSO SEPSI TOSCANA

In toscana negli ultimi anni i ricoveri per sepsi sono quintuplicati, passando fai 556 del 2005 ai 2.719 del 2012. Nel 2015 i ricoveri per sepsi sono stati circa 8000, con una mortalità del 36%112. Per affrontare questa patologia e aumentare il tasso di

sopravvivenza, il centro Gestione Rischio Clinico della regione Toscana, in collaborazione con la Regione Lombardia, ha sviluppato un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale per la diagnosi precoce e il trattamento della sepsi e dello shock settico: il percorso sepsi. Questo strumento è stato formulato seguendo le linee guida internazionali del SSC, i bundle del 2015, il “sepsis six” e le nuove definizioni di sepsi e shock settico. Gli interventi proposti per la realizzazione di questo percorso si basano su due assi di attività:

 Formazione: interventi finalizzati ad adeguare e aggiornare le conoscenze degli operatori sanitari

 Organizzazione: definizione degli interventi comportamentali, organizzativi e operativi da attuare per la gestione del paziente settico

Questi devono essere applicati nelle aziende ospedaliere e nei presidi adattate ai contesti locali ma seguono dei requisiti fondamentali.

1. IDENTIFICAZIONE

L'identificazione dei pazienti settici, il sospetto clinico di sepsi e la successiva stratificazione prognostica sono l'aspetto più complesso della gestione. La presenza dei segni e dei sintomi di infezione sistemica, se pur aspecifici, è spesso associata

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alla sepsi, e può essere un elemento di sospetto utile nell’indirizzare l’indagine diagnostica.

La sepsi e lo shock settico vengono identificate tramite l’applicazione di strumenti di valutazione che utilizzano i parametri della nuova definizione di sepsi.

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È necessario rivalutare nel tempo il paziente con scale a punteggio specifiche (es. MEWS) integrate dalla raccolta di dati anamnestici ponendo attenzione al danno d’organo e alle variabili del qSOFA (frequenza respiratoria ≥ 22bpm, pressione arteriosa sistolica ≤100, stato mentale alterato). Il SOFA (Sequential Organ Failure Assessement) è lo score validato per la valutazione del danno d’organo.

2. DIAGNOSI

I segni clinici devono essere integrati da esami di laboratorio utili anche a definire il quadro (sepsi, shock settico) e a indirizzare il trattamento:

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 La misurazione dei lattati è raccomandata nella prima ora, in quanto è fondamentale per identificare la gravità della sepsi e i quadri di shock criptico. Al Pronto Soccorso, nel caso di un codice giallo o rosso con sospetta sepsi, l'emogasanalisi con il dosaggio dei lattati ottenuta immediatamente dopo il triage permette di identificare precocemente i pazienti a rischio.

 Nel sospetto di sepsi si raccomanda la richiesta del “pannello sepsi” che comprende: emocromo con formula, coagulazione (pT, pTT ed eventualmente fibrinogeno), creatinina, urea, glicemia ed elettroliti sierici, bilirubina totale e diretta, AST, ALT, LDH, PCR, Procalcitonina, troponina.

 Gli esami microbiologici sono essenziali per la corretta diagnosi della sepsi. Le colture appropriate (sangue, urine, espettorato, feci, materiale da raccolte, drenaggi, dispositivi, antigeni urinari precoci, altro) devono essere raccolte prima dell'inizio della terapia antibiotica o al massimo entro 45 minuti dalla somministrazione. L'emocoltura è in ogni caso l'elemento diagnostico essenziale

 L'esecuzione di indagini diagnostiche (radiografia, TAC, ecografia) mirate è utile a identificare la sorgente di infezione e al “source control”

 Il monitoraggio emodinamico è fondamentale per la diagnosi di sepsi e shock settico. Comprende la misurazione di: pressione arteriosa non invasiva (Sistolica, Diastolica e Media), frequenza cardiaca, tracciato elettrocardiografico, saturazione arteriosa con pulsossimetria, misura dei lattati, segni clinici cutanei di alterazione della perfusione e del riempimento capillare. Nei casi più gravi è necessario il monitoraggio di: frequenza respiratoria con valutazione ecografica dello stato volemico (vena cava inferiore, ecotorace, ecocardiografia), la misura cruenta della Pressione Arteriosa (Sistolica, Diastolica e Media), l’uso del PCM

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(Metodo del Contorno di Polso) per la valutazione oltre che della Pressione Arteriosa anche della Gittata Cardiaca e l’uso di metodi invasivi di misura della Portata Cardiaca

 La diuresi è un sensibile indicatore della perfusione renale e dei parenchimi in generale: valori inferiori a 0,5 ml/kg/ora sono indicativi di importante difetto di perfusione e quindi deve essere monitorata anche tramite posizionamento di catetere vescicale se il paziente non urina spontaneamente.

3. TRATTAMENTO

 OSSIGENOTERAPIA

La somministrazione di ossigeno contribuisce a migliorare il trasporto di ossigeno correggendo la desaturazione arteriosa. L'obiettivo del trattamento è di avere una saturazione arteriosa in O2>94%. La somministrazione di O2 può causare depressione respiratoria in particolari condizioni.

 ANTIBIOTICO-TERAPIA

La terapia antibiotica iniziale empirica si basa su criteri clinici ed epidemiologici e usualmente include uno o più farmaci ad ampio spettro di azione, attivi contro i possibili patogeni (batteri e/o funghi) e ai dosaggi efficaci. La terapia antibiotica appropriata deve essere somministrata entro la prima ora a tutti i pazienti con sepsi o shock settico. Devono essere predisposti linee guida di terapia antibiotica adattate all’epidemiologia locale e va rispettata la sensibilità all'agente antimicrobico dei microrganismi presenti nella comunità e nell'ospedale. La terapia deve essere

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rivalutata giornalmente e l’eventuale de-escalation può essere monitorizzata misurando la Procalcitonina (PCT)

 TERAPIA INFUSIONALE

Il reintegro volemico è necessario nei pazienti con ipotensione e/o lattati maggiori di 4 mmol/L con infusione rapida di cristalloidi. Questo va eseguito con fluid challenge: 30 ml/kg in 30 minuti, in boli successivi di 500 ml; i boli possono essere ripetuti in base alla risposta e alla tolleranza del paziente. La correzione degli squilibri emodinamici può richiedere l’ulteriore somministrazione di boli fino a 60 ml/kg. La persistenza di ipotensione e/o segni di ipoperfusione periferica implica la necessità di un trattamento di rianimazione con fluidi più aggressivo e monitorato. Il trattamento è mirato al raggiungimento di specifici obiettivi emodinamici/metabolici entro le prime 6 ore: PVC 8-12 mmHg, PAM > 65 mmHg, diuresi > 0,5ml/Kg/h, Saturazione Venosa Centrale (SVC02)> 70%, clearance del lattato, Miglioramento del riempimento valutato attraverso il monitoraggio ecografico della vena cava, miglioramento dei segni clinici di ipoperfusione cutanea. Nei pazienti normotesi con sospetto clinico di sepsi è indicata la somministrazione in bolo di 500 mi di cristalloidi. Il trattamento deve iniziare con la maggior tempestività possibile, utilizzando un catetere periferico di congruo calibro, anche al di fuori dell'area intensiva e non richiede in questa fase il posizionamento di catetere venoso centrale (CVC).

 TERAPIA CON VASOATTIVI, INOTROPI

Nei pazienti con persistenza di segni clinici-strumentali di ipoperfusione dopo adeguato rimpiazzo volemico, deve essere attuato un trattamento con vasoattivi con

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l'obiettivo di ottenere una PAM di 65 mmHg. Nei casi di particolare gravità il trattamento può essere iniziato anche durante la terapia di rimpiazzo volemico, il farmaco di scelta è la noradrenalina, in casi selezionati la vasopressina e l'adrenalina. Inotropi come la dobutamina sono indicati in presenza di grave disfunzione miocardica. La terapia con vasoattivi e inotropi richiede un appropriato monitoraggio invasivo (non appena possibile)

 EMODERIVATI

Nei pazienti con sepsi –shock, eccetto casi particolari, la soglia trasfusionale è pari a 7 g/dl.

 ERADICAZIONE DEL FOCOLAIO

Tutti i pazienti con sepsi e shock settico nei quali è dimostrata la presenza di un focolaio potenzialmente eradicabile e responsabile del quadro clinico devono essere sottoposti a procedure volte all'eradicazione del focolaio (drenaggio, asportazione, rimozione dei presidi-dispositivi). Le manovre atte alla “source control” devono essere effettuate in seguito alla stabilizzazione del paziente e devono avere la minore invasività possibile

 CORTISONICI

L'uso di cortisonici per via venosa nel trattamento dei pazienti con shock settico non è indicato se la terapia infusionale e con vasoattivi garantisce la stabilità emodinamica. In caso contrario, può essere somministrato per via endovenosa idrocortisone alla dose di 200 mg al giorno in infusione continua. I corticosteroidi non devono essere usati per il trattamento della sepsi in fase di shock113.

(45)

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3. SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi è quello di fornire una descrizione dell’epidemiologia, delle misure terapeutiche intraprese e della gestione del paziente settico che accede al Pronto Soccorso di Pisa. Lo studio ha inoltre lo scopo di valutare le differenze riscontrate in Pronto Soccorso tra il paziente settico e il paziente non settico che accede con la stessa diagnosi di triage. Infine il match con controlli non settici ha lo scopo di confrontare il qSOFA e le nuove definizioni di sepsi e shock settico con le precedenti (Sepsis-2) tramite la valutazione prospettica di:

 Sensibilità

 Specificità

 Valore predittivo positivo

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4. MATERIALI E METODI

4.1 SELEZIONE DEI PAZIENTI

I pazienti arruolati in questo studio prospettico sono stati selezionati tra i pazienti che hanno effettuato l’accesso al Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) tra il 1/3/2017 e il 31/5/2017. In totale sono stati arruolati 277 pazienti: 139 settici (casi) e 138 non settici (controlli). La ricerca dei pazienti settici è avvenuta tramite il software di cartella clinica digitale del Pronto Soccorso (First Aid). I casi sono stati selezionati tra i pazienti a cui veniva attribuita dal medico d’Urgenza la diagnosi di:

 Sepsi

 Shock settico

 Infezione delle vie urinarie

 Pielonefrite

 Endocardite

 Ascesso

 Colangite e/o sepsi biliare

 Meningo-encefaliti

 Infezioni delle vie respiratorie

 Insufficienza respiratoria (in presenza di infezione)

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I controlli sono rappresentati dai pazienti che accedono lo stesso giorno in Pronto Soccorso (match per età e sesso e diagnosi di ingresso al triage), e a loro volta, sono stati selezionati tramite le diagnosi di:

 Scompenso cardiaco congestizio

 Versamento pleurico

 Edema polmonare acuto

 Embolia polmonare

 Insufficienza respiratoria (in assenza di infezione)

 Pneumotorace

 Alterazione dello stato di coscienza

 Coma

 Ictus ischemico o emorragico

 Disidratazione

 Insufficienza renale acuta

 Pancreatite acuta

 Ascite

Per ogni paziente sono stati indagati i seguenti dati:

 Dati demografici (sesso, età)

 Dati anamnestici e la presenza o meno di fattori di rischio e di comorbidità (spettro delle comorbidità, pregresse e concomitanti infezioni, recenti interventi chirurgici e dialisi) ed è stato attribuito un punteggio tramite il Charlson comorbidity index

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