Dipartimento di Fisica
Corso di Laurea Magistrale in Fisica
TESI DI LAUREA MAGISTRALE
Anno Accademico 2017/2018
MISURA DEL COEFFICIENTE PIEZOELETTRICO DI
FIBRE POLIMERICHE NANOCOMPOSITE MEDIANTE
MICROSCOPIA A SONDA
RELATORE
Dott. Massimiliano Labardi
CANDIDATO
iii
Indice
Introduzione ... 1
1 Materiali polimerici nanostrutturati con proprietà piezoelettriche ... 5
1.1 Le nanotecnologie ... 7
1.2 Polarizzazione elettrica nei materiali dielettrici ... 10
1.3 Teoria della piezoelettricità ... 13
1.4 Materiali piezoelettrici ... 16
1.4.1 Inorganici ... 18
1.4.2 Organici ... 21
1.5 Nanofibre di PVDF con nanoparticelle di BaTiO3 ... 24
1.5.1 Produzione ... 26
1.5.2 Caratterizzazione ... 28
2 Metodi sperimentali ... 31
2.1 Electrospinning ... 31
2.1.1 Principio di funzionamento ... 32
2.2 Microscopia a forza atomica ... 36
2.2.1 Principio fisico: forze d’interazione ... 40
2.2.2 Modi di operazione ... 42
2.2.2.1 Modalità di contatto ... 45
2.2.2.2 Modalità di non-contatto ... 48
2.2.2.3 Modalità a contatto intermittente ... 49
2.2.3 Modi elettrici dell’AFM ... 53
3 Microscopia a forza di piezorisposta ... 57
3.1 Principio di funzionamento ... 58 3.2 PFM di non-contatto ... 64 3.2.1 Apparato sperimentale ... 66 3.2.2 Campione test ... 71 4 Risultati e discussione ... 77 4.1 Nanofibre PVDF/BTNP ... 77 4.1.1 Caratterizzazione morfologica ... 79 4.2 NC-PFM su campione di nanofibre PVDF/BTNP ... 82
4.3 NC-PFM di nanofibre non piezoelettriche ... 90
Conclusioni ... 93
1
Introduzione
Negli ultimi anni, si è sviluppato sempre più interesse riguardo i materiali piezoe-lettrici che, in virtù della loro peculiare proprietà di tradurre gli stimoli epiezoe-lettrici in effetti meccanici e viceversa, hanno evidenziato grandi potenzialità di applicazione come sensori e attuatori, ad esempio per l’accumulo o generazione di energia o in campo biomedico. Tuttavia, è ancora necessaria una comprensione più approfon-dita delle proprietà fisiche di tali materiali.
La microscopia a forza di piezorisposta o PFM, derivante dalla microscopia a forza atomica (AFM), si è affermata come tecnica indagine per la valutazione delle pro-prietà piezoelettriche locali in scala nanometrica. Tale tecnica sfrutta l’applica-zione di un potenziale elettrico tra la punta conduttrice AFM e la superficie di un campione oggetto d’esame. Dal rilevamento della perturbazione del sensore di forza del microscopio, provocata dallo spostamento della superficie, è possibile ottenere la mappatura delle proprietà piezoelettriche della superficie del campione. Tuttavia, il PFM nelle modalità oggi più diffuse presenta una limitazione generale legata alla presenza di forze elettrostatiche, causate dal potenziale elettrico appli-cato. Tali forze provocano un effetto simile a quello dovuto ad uno spostamento rigido della superficie, influendo sull’accuratezza della misura. Tale effetto risulta più consistente su superfici cedevoli, come ad esempio quelle di polimeri amorfi al di sopra della temperatura di transizione vetrosa. Per tale motivo il PFM standard viene applicato maggiormente a superfici rigide, come quelle di materiali ceramici. Sono state pensate varie strade per limitare l’effetto delle forze elettrostatiche, ri-correndo a metodologie laboriose e che richiedono massicce elaborazioni di dati.
Per tali motivi, durante questo lavoro di tesi è stato pensato ed utilizzato un metodo denominato microscopia a forza di piezorisposta di non contatto o NC-PFM, in grado di fornire risultati quantitativamente affidabili della deformazione piezoe-lettrica locale di campioni soffici, non influenzati da effetti elettrostatici.
Questo lavoro di tesi ha riguardato per la maggior parte la comprensione quantita-tiva della misura del coefficiente piezoelettrico locale ottenuta con il metodo NC-PFM, servendosi anche di un campione test realizzato per tale scopo.
Successivamente si è determinata la risposta piezoelettrica di un campione, realiz-zato nel corso della tesi e di interesse biomedico, di nanofibre in polivinilidene-fluoruro (PVDF), il più rappresentativo tra i materiali organici piezoelettrici, cari-cate con nanoparticelle di titanato di bario (BaTiO3), un materiale ceramico dotato
di notevole coefficiente piezoelettrico, con lo scopo di incrementare l’efficienza piezoelettrica del materiale composito. Tale campione è stato realizzato per mezzo della tecnica dell’elettrofilatura o electrospinning, la quale si è rivelata essere ef-ficiente ed economica, in confronto alle tecniche convenzionali, per la produzione di nanofibre polimeriche anche nanocomposite.
Il lavoro di tesi è suddiviso principalmente in tre parti. Una prima sezione è stata dedicata ad una trattazione generale dei materiali piezoelettrici nanostrutturati, dell’electrospinning e della microscopia a forza atomica. Un intero capitolo cen-trale tratta la descrizione del metodo di microscopia proposto in questo lavoro, ed un’ultima parte presenta i risultati sperimentali e l’interpretazione fisica proposta per essi.
La prima sezione si compone di due capitoli. Nel Capitolo 1 vengono riportate le prospettive di sviluppo di materiali piezoelettrici nanostrutturati a base polimerica e l’esigenza di caratterizzare tali materiali con tecniche non invasive e spazial-mente risolte, in grado di sondare le proprietà piezoelettriche su scala locale nano-metrica.
Nel Capitolo 2 vengono presentati e descritti in dettaglio i metodi sperimentali utilizzati per la produzione di polimeri piezoelettrici nanostrutturati oggetto della
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tesi, ovvero l’electrospinning, e per la caratterizzazione morfologica e funzionale con risoluzione spaziale nanometrica, mediante l’AFM, con l’analisi delle moda-lità principali e i principi fisici che regolano il meccanismo dello strumento. Il Capitolo 3 è interamente dedicato alla descrizione e alla dimostrazione del me-todo originale NC-PFM per la misura dell’effetto piezoelettrico inverso su scala nanometrica, facilmente applicabile anche a materiali soffici come i polimeri. Infine, nel Capitolo 4 vengono presentati i risultati degli esperimenti condotti, in particolare la prima parte è dedicata alla produzione delle nanofibre polimeriche con caratterizzazione morfologica tramite microscopia elettronica a scansione (SEM), mentre nella seconda parte vengono presentati i risultati quantitativi dell’applicazione del metodo NC-PFM sui campioni piezoelettrici prodotti e su campioni che non presentano proprietà piezoelettriche, per un confronto negativo. Per ultimo, nelle Conclusioni vengono riassunti il lavoro svolto ed i risultati otte-nuti.
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Capitolo 1
Materiali polimerici nanostrutturati con
proprietà piezoelettriche
La piezoelettricità è un particolare fenomeno secondo il quale alcuni corpi solidi si polarizzano elettricamente in seguito ad una deformazione meccanica di natura elastica, ciò detto effetto piezoelettrico diretto, e viceversa si deformano elastica-mente se soggetti all’azione di un campo elettrico applicato, effetto denominato invece piezoelettrico inverso [1,2].
In figura 1.1 è mostrato un esempio di come, in particolari materiali cristallini, possa avvenire la generazione di una carica elettrica come risultato di una forza esercitata sul materiale.
Figura 1.1: Rappresentazione schematica dell’effetto piezoelettrico diretto. a) Cella elementare di un cristallo polare non-centrosimmetrico. b) Formazione di un dipolo elettrico 𝑃⃗⃗⃗⃗ a seguito della deformazione della stessa a causa di una 𝑘 forza applicata 𝐹⃗⃗⃗⃗ . c) Formazione di una polarizzazione macroscopica 𝑃⃗ in un 𝑘 volume finito di materiale a causa di una forza 𝐹 .
L’effetto piezoelettrico diretto venne osservato per la prima volta intorno al 1880 dai fisici francesi Pierre e Paul-Jacques Curie, i quali valutarono quantitativamente la carica superficiale che emergeva da materiali naturali quali i cristalli di quarzo, tormalina e Sali di Rochelle sottoposti a sforzo meccanico [3]; quello inverso, l’anno successivo, dagli stessi Curie in seguito ad una ipotesi sulla reversibilità di tale processo formulata dal fisico francese Gabriel Lippmann.
In virtù di questa proprietà, un materiale piezoelettrico è in grado di convertire uno stimolo meccanico in una risposta elettrica, e viceversa. Quindi, le principali ap-plicazioni dei piezoelettrici sono nel primo caso sensori di pressione o generatori di energia elettrica, e nel secondo attuatori meccanici o motori. Più genericamente, un materiale piezoelettrico ha la funzione di un trasduttore elettromeccanico. La possibilità di disporre di queste funzionalità in dispositivi sempre più miniatu-rizzati, o di integrarle in sistemi ibridi che permettano l’interfacciamento fra ambiti di diversa natura (si pensi ad esempio all’interfacciamento fra microelettronica e sistemi biologici), si sta attuando sempre più concretamente grazie allo sviluppo delle nanotecnologie e dei materiali intelligenti (smart materials).
In questo capitolo sarà data una descrizione di base dei fenomeni e dei processi rilevanti per la comprensione e lo sviluppo di materiali innovativi a base polime-rica con proprietà piezoelettriche, ottenuti con l’ausilio di opportune nanotecnolo-gie. Nei capitoli successivi verranno descritti in dettaglio i metodi sperimentali utilizzati per la produzione dei polimeri piezoelettrici nanostrutturati oggetto della tesi, nonché per la loro caratterizzazione sia morfologica che funzionale con riso-luzione spaziale nanometrica. In particolare, un intero capitolo sarà dedicato alla descrizione e alla dimostrazione di un metodo originale per la misura dell’effetto piezoelettrico inverso su scala nanometrica facilmente applicabile anche a mate-riali cedevoli come i polimeri usati, denominato microscopia a forza di piezorispo-sta di non contatto. Infine, i risultati delle caratterizzazioni effettuate saranno og-getto dell’ultimo capitolo.
1.1 Le nanotecnologie 7
1.1 Le nanotecnologie
La nanotecnologia è una branca della scienza moderna che raggruppa le principali tecniche e metodi per lo studio, il controllo e la produzione della materia su scala nanometrica. Ad oggi, lo sviluppo delle nanotecnologie ha portato alla concezione di materiali innovativi in grado di soddisfare le più moderne richieste tecnologiche, con prestazioni che i materiali tradizionali spesso non sono in grado di raggiun-gere.
Le nanostrutture sono sistemi aventi dimensioni intermedie tra quelle atomiche e microscopiche, in cui cioè almeno una delle dimensioni che caratterizzano il si-stema ricade nel range 1-100 nm.
In una nanostruttura, le dimensioni influiscono in modo cruciale sulle proprietà manifestate. Come possibile esempio, considerando l’intensità delle forze domi-nanti agenti sui corpi, la forza di gravità diventa sempre meno importante laddove le forze di Van der Waals, le forze elettromagnetiche e la tensione superficiale acquisiscono sempre più influenza, a distanze tra i corpi via via più piccole. Inoltre, la superficie gioca un ruolo fondamentale, ovvero una nanostruttura pre-senta un elevato rapporto superficie-volume, in quanto ad esempio per una strut-tura tridimensionale, il volume scala con il cubo della dimensione caratteristica mentre la superficie con il quadrato.
In tale situazione si ha che gli effetti di superficie diventano predominanti su quelli di volume, dato che aumenta la frazione di atomi che sta sulla superficie della na-nostruttura rispetto al totale, e le proprietà della materia possono discostarsi sem-pre più da quelle di bulk.
Inoltre, si può avere la comparsa di effetti quantistici, poiché il confinamento di-mensionale determina la quantizzazione degli stati del sistema, ovvero modifi-cando i livelli energetici si può ottenere una corrispondente variazione delle pro-prietà che sono legate ad essi, come ad esempio la densità degli stati elettronici superficiali e la reattività chimica.
In seguito alla comprensione delle leggi fisiche alla base e del comportamento della materia a livello nanoscopico, quindi del collegamento tra proprietà e dimen-sioni delle strutture, si è in grado di progettare e manipolare nuovi materiali e di-spositivi con funzionalità controllate aventi caratteristiche strutturali fisiche e chi-miche che raggiungono o quantomeno si avvicinano maggiormente a quelle desi-derate.
Esistono due tipologie di processi per la sintesi dei materiali in ambito nanotecno-logico [4]: gli approcci top-down e bottom-up.
Il metodo di sintesi top-down comporta la riduzione della dimensione delle strut-ture verso scale nanometriche con metodi fisici, come la tecnica litografica, in modo tale che la nanostruttura formata possieda le stesse proprietà del materiale di bulk primario, ad eccezione di quelle dovute alle nuove superfici formate. Esso è generalmente un’estensione delle microtecnologie già esistenti associate all’indu-stria elettronica e alla fabbricazione di circuiti integrati.
Con il diminuire delle dimensioni delle strutture, tale metodo risente in maniera crescente dei limiti dovuti ai margini d’accuratezza dei processi litografici stessi. Nel secondo metodo, detto bottom-up, si costruisce il nanosistema tramite l’assem-blaggio di singoli atomi, molecole o anche nanostrutture (building blocks), per ac-crescimento graduale tramite meccanismi di auto-assemblaggio o di riorganizza-zione. Questo metodo si basa su reazioni chimiche e manipolazioni a livello ato-mico/molecolare con il quale si ottengono strutture stabili ed ordinate, ed è gene-ralmente vantaggioso per il fatto che non necessita di strumentazioni costose. Il metodo bottom-up è stato quello utilizzato per concepire i campioni studiati du-rante il lavoro di tesi e più in generale su cui sono concentrate le maggiori aspet-tative, che si inseriscono tra le richieste e le potenzialità delle nanotecnologie, poi-ché sono potenzialmente in grado di realizzare miniaturizzazione di strutture fino al livello nanometrico di sistemi fisici ed elettronici.
Gli avanzamenti in ambito tecnologico e nella scienza dei materiali hanno consen-tito il progresso e l’ottimizzazione dei cosiddetti “materiali intelligenti” (in inglese,
1.1 Le nanotecnologie 9
smart materials) [5]. Questi sono materiali che reagiscono con variazioni riprodu-cibili e significative in maniera stabile di almeno una proprietà (meccanica, elet-trica, chimica, ottica o termica) nel momento in cui vengono sottoposti a stimoli esterni. Sono classificati tipicamente in base alla loro risposta e comprendono ma-teriali piezoelettrici, a memoria di forma, a cui può venire applicata una grande deformazione con il ritorno alle condizioni originali in seguito ad una variazione della temperatura o di stress, e materiali sensibili al pH.
Particolarmente interessanti per trovare applicazione come attuatori e sensori sono i materiali che subiscono una deformazione se sottoposti a specifici stimoli o che forniscono una risposta se sottoposti ad una forza o deformazione meccanica. In base al tipo di meccanismo di trasduzione possono essere classificati come ma-teriali deformabili non elettricamente, ovvero attivati da stimoli non elettrici come il pH, la luce visibile o la temperatura, e materiali elettroattivi, quando il meccani-smo di trasduzione coinvolge l’accoppiamento elettromeccanico.
Questi ultimi sono ulteriormente suddivisi in dielettrici, quando la risposta elettro-meccanica è dominata da forze elettrostatiche, e ionici, quando si ha il coinvolgi-mento della diffusione di ioni.
I polimeri sono subentrati nell’impiego di molti materiali come i metalli, leghe e materiali ceramici nelle più differenti aree di applicazione, come quella elettronica [6], sensoristica [7], incluso il campo industriale aerospaziale [8] e automobilistico [9], e dell’ingegneria tissutale e biomedica [10,11].
I polimeri, infatti, esibiscono proprietà interessanti quando posti a confronto con materiali inorganici. Sono leggeri ed economici, resistenti a livello meccanico ed elettrico, presentano compatibilità con altri materiali organici e inorganici per lo sviluppo di materiali ibridi ed alcuni di essi sono biodegradabili e biocompatibili.
Una possibile strategia per ottenere la variazione delle proprietà di un materiale è la realizzazione dei cosiddetti nanocompositi, con l’inserimento di nanoparticelle in un materiale ospite detto matrice. Ciò consente di creare una nuova classe di
materiali avente come vantaggio la possibilità di combinare le caratteristiche pe-culiari delle componenti con lo scopo ultimo di ottenere le proprietà ricercate. I nanocompositi costruiti da matrice polimerica combinano le proprietà meccani-che tipimeccani-che dei materiali polimerici organici, quali flessibilità, alle caratteristimeccani-che fisiche delle nanostrutture inorganiche incluse, come, ad esempio, la loro piezoe-lettricità.
Le possibili applicazioni di tali nanocompositi piezoelettrici vanno dall’energy harvesting [12], a dispositivi come sensori e attuatori [13,14], ad applicazioni nel campo biomedico e dell’ingegneria tissutale [15-17].
Il crescente interesse verso questo tipo di materiali sprona ad approfondirne l’in-dagine ed a studiarne le proprietà fisiche, cercando anche di predire le proprietà finali dei nanocompositi con appositi strumenti e metodologie, come si è cercato di fare nel lavoro presentato in questa tesi.
1.2 Polarizzazione elettrica nei materiali dielettrici
Per capire meglio il funzionamento dell’effetto piezoelettrico è necessario basarsi sul concetto di separazione di carica e movimento dipolare.
I materiali piezoelettrici sono materiali dielettrici o isolanti, in quanto devono pre-sentare una densità di polarizzazione elettrica di volume 𝑃⃗ legata alla posizione degli atomi che compongono il solido, in modo che sia possibile legare una varia-zione di tale polarizzavaria-zione ad una variavaria-zione della forma del materiale e vice-versa.
La caratteristica peculiare dei materiali dielettrici è che, quando sottoposti ad un campo elettrico esterno, manifestano uno spostamento di cariche risultando in una polarizzazione del materiale. Tale polarizzazione può essere dovuta a diversi mec-canismi a seconda del sistema considerato, fra cui quello orientazionale, ionico ed elettronico. L’effetto piezoelettrico si verifica tipicamente attraverso la polarizza-zione ionica di particolari cristalli.
1.2 Polarizzazione elettrica nei materiali dielettrici 11 Tale polarizzazione può generarsi solo nel caso in cui il cristallo abbia una struttura priva di centro di simmetria.
I cristalli possono essere raggruppati in 32 classi cristalline, 11 delle quali possie-dono un centro di simmetria, sono dette cioè centrosimmetriche, mentre le re-stanti 21 classi non possiedono un centro di simmetria e vengono chiamate per questo motivo non-centrosimmetriche [18].
Nel caso in cui un materiale dielettrico possieda un centro di simmetria, quando questo viene sottoposto ad un campo elettrico esterno i movimenti delle cariche positive e negative sono tali che la deformazione totale del solido risulti nulla. Nel caso opposto, in cui il materiale dielettrico è non-centrosimmetrico, si può realizzare un movimento asimmetrico delle cariche che si manifesta in una defor-mazione del solido, proporzionale al campo elettrico applicato.
I materiali dielettrici, come già introdotto, sono solidi isolanti che possono essere polarizzati mediante l’applicazione di un campo elettrico esterno.
In seguito al movimento dei baricentri delle cariche positive e negative all’interno di un atomo o una molecola si ha la formazione di un momento di dipolo elettrico 𝑝 , il quale consiste di due cariche di uguale modulo ma di segno opposto separate da una certa distanza 𝑑 ed è definito da:
𝑝 = 𝑞𝑑 (1.1) in cui 𝑞 rappresenta la carica, 𝑑 la separazione tra i baricentri delle cariche positive e negative, con direzione da cariche negative a positive.
I dielettrici possono essere suddivisi in polari e non polari. Nei primi, i baricentri delle cariche negli atomi che costituiscono il materiale sono separati e formano un dipolo elettrico permanente, anche in assenza di un campo elettrico esterno; nel momento in cui questo viene applicato, i dipoli si orientano nella direzione del campo, dando luogo al fenomeno detto di polarizzazione per orientamento. Un esempio di dielettrico polare è H2O. In un dielettrico non polare, i dipoli si formano
per deformazione degli atomi solamente nel momento in cui il materiale viene sot-toposto ad un campo elettrico esterno. In questa situazione si parla di dipoli indotti e di polarizzazione per deformazione. Un esempio di dielettrico non polare è O2.
La polarizzazione macroscopica totale 𝑃⃗ , che caratterizza l’effetto complessivo dei momenti di dipolo, è definita come il momento di dipolo totale per unità di volume ed è data da:
𝑃⃗ =∑ 𝑝⃗⃗⃗ 𝑖
𝑁 𝑖=1
𝑉 (1.2) in cui V è il volume del materiale contenente gli 𝑁 momenti di dipolo elementari. Generalmente, nella maggior parte dei materiali dielettrici, risulta che 𝑃⃗ è propor-zionale al campo elettrico esterno 𝐸⃗ e tale relazione lineare si scrive:
𝑃⃗ = 𝜀0χ𝐸⃗ (1.3) in cui la costante di proporzionalità χ viene chiamata suscettività elettrica e rap-presenta la misura della facilità con cui si polarizza un dielettrico in risposta ad un campo elettrico applicato.
I dielettrici che obbediscono alla (1.3) sono detti lineari; essi sono generalmente materiali amorfi caratterizzati da isotropia spaziale, come ad esempio i solidi amorfi.
Esistono anche materiali anisotropi come i cristalli, nei quali χ assume valori di-versi a seconda della direzione; in questo caso la polarizzazione ed il campo elet-trico sono paralleli solamente lungo direzioni particolari, che coincidono con gli assi cristallografici del materiale.
L’intensità di polarizzazione 𝑃⃗ porta alla definizione del vettore spostamento elet-trico o anche detto di induzione elettrica 𝐷⃗⃗ , tramite la relazione:
𝐷⃗⃗ = 𝜀0𝐸⃗ + 𝑃⃗ (1.4) che può essere riscritta:
𝐷⃗⃗ = 𝜀𝐸⃗ = 𝜀𝑟𝜀0𝐸⃗ (1.5) con:
𝜀 = 𝜀𝑟𝜀0 = (1 + χ) 𝜀0 (1.6)
1.3 Teoria della piezoelettricità 13
𝜀0 = 8.85 ∗ 10−12 𝐶/𝑁𝑚2 la costante dielettrica del vuoto. La costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 = 𝜀
𝜀0 descrive la riduzione del campo elettrico
applicato all’interno di un materiale dielettrico. Introducendo la relazione (1.5) in (1.3) si ottiene:
𝑃⃗ =(𝜀𝑟 − 1)𝐷⃗⃗
𝜀𝑟 =
χ
1 + χ𝐷⃗⃗ (1.7) In un dielettrico lineare l’induzione elettrica, il campo elettrico e la polarizzazione sono vettori tra loro paralleli, legati da relazioni in cui le proprietà del dielettrico sono rappresentate dalla 𝜀𝑟 o in maniera equivalente dalla χ.
Esiste infine una classe di materiali solidi chiamati elettreti, i quali sono caratte-rizzati dalla presenza di una polarizzazione elettrica spontanea anche in assenza di campo elettrico applicato. Possiedono questa proprietà anche dei particolari solidi piezoelettrici, chiamati ferroelettrici, tra i quali ne esistono anche di polimerici come ad esempio il PVDF, studiato in questa tesi.
1.3 Teoria della piezoelettricità
Consideriamo un volume infinitesimo di materiale (figura 1.2), dove gli indici 1, 2, 3 si riferiscono rispettivamente agli assi cartesiani x, y, e z mentre gli indici 4, 5, 6 indicano i piani di taglio relativi ai rispettivi assi.
1 2 3 4 5 6 Modo 𝒅𝟑𝟑 Modo 𝒅𝟑𝟏 𝑷 ⃗⃗
Figura 1.2: Convenzione degli assi per definire le equazioni costitutive della piezoelettricità ed illustrazione dei modi 𝑑33 e 𝑑31.
Le equazioni costitutive che descrivono la proprietà piezoelettrica si basano sul presupposto che la deformazione totale sia la somma della deformazione mecca-nica indotta dallo sforzo applicato e della deformazione causata dal campo elettrico applicato.
In un solido piezoelettrico il vettore induzione elettrica 𝐷𝑖 è legato al tensore dello sforzo 𝑇𝑗𝑘 e al vettore campo elettrico 𝐸𝑖 tramite la relazione costitutiva che de-scrive l’effetto piezoelettrico diretto [19]:
𝐷𝑖 = 𝜀𝑖𝑗𝑇𝐸𝑗 + 𝑑𝑖𝑗𝑘𝑇𝑗𝑘 (1.8) in cui 𝜀𝑖𝑗𝑇 è il tensore delle costanti dielettriche a sforzo nullo, definito come:
𝜀𝑖𝑗𝑇 = (𝜕𝐷𝑖 𝜕𝐸𝑗)
𝑇
(1.9) mentre il tensore delle costanti piezoelettriche 𝑑𝑖𝑗𝑘 è definito da:
𝑑𝑖𝑗𝑘 = (𝜕𝐷𝑖 𝜕𝑇𝑗𝑘)
𝐸
(1.10) Questa relazione deriva dalla conservazione dell’energia espressa dal primo prin-cipio della termodinamica.
Da considerazioni termodinamiche si ricava che il tensore delle costanti piezoelet-triche soddisfa la relazione:
(𝜕𝐷𝑖 𝜕𝑇𝑗𝑘) 𝐸 = (𝜕𝑆𝑗𝑘 𝜕𝐸𝑖) 𝑇 = 𝑑𝑖𝑗𝑘 (1.11) dalla quale si evince che se uno sforzo applicato ad un solido provoca uno sposta-mento elettrico, a campo elettrico costante, allora applicando un campo elettrico si avrà una deformazione, a sforzo costante.
La deformazione 𝑆𝑗𝑘 prodotta da un campo elettrico applicato ad un solido piezoe-lettrico è:
1.3 Teoria della piezoelettricità 15
la quale descrive l’effetto piezoelettrico inverso considerando come variabili indi-pendenti il campo elettrico e lo sforzo, mentre 𝑠𝑗𝑘𝑙𝑚𝐸 è il tensore di cedevolezza per campo elettrico nullo.
In seguito a condizioni di simmetria del tensore dello sforzo 𝑇𝑗𝑘, è possibile far ricorso alla notazione contratta di Voigt per il tensore 𝑑𝑖𝑗𝑘, definendo la matrice: {𝑑𝑖𝛼 = 𝑑𝑖𝑗𝑘 𝑠𝑒 𝛼 ≤ 3
𝑑𝑖𝛼 = 2𝑑𝑖𝑗𝑘 𝑠𝑒 𝛼 > 3 (1.13) con i,j,k = 1…3 e α = 1…6, dove alla coppia di indici (j,k) viene sostituito l’indice α in base alle seguenti regole di corrispondenza:
11 ↔ 1 22 ↔ 2 33 ↔ 3
23,32 ↔ 4 31,13 ↔ 5 12,21 ↔ 6 (1.14) Allora nella notazione di Voigt le equazioni costitutive che rappresentano l’effetto piezoelettrico diretto ed inverso, esprimendo induzione elettrica e la deformazione utilizzando come variabili indipendenti il campo elettrico e lo sforzo, diventano: 𝐷𝑖 = 𝜀𝑖𝑗𝑇𝐸𝑗 + 𝑑𝑖𝛼𝑇𝛼 (1.15) e
𝑆𝛼 = 𝑑𝑖𝛼′ 𝐸𝑖 + 𝑠𝛼𝛽𝐸 𝑇𝛽 (1.16) dove 𝑑𝑖𝛼′ esprime il tensore delle costanti piezoelettriche trasposto di 𝑑𝑖𝛼.
Tutta questa trattazione poteva essere svolta scegliendo anche altre coppie di gran-dezze come variabili indipendenti, come il campo elettrico e la deformazione. Tali equazioni costitutive possono essere riscritte in forma matriciale facendo al-cune assunzioni, ovvero assumendo che il solido piezoelettrico sia isotropo tra-sversalmente e che sia polarizzato lungo un asse, ad esempio l’asse 3. In questo caso, molti degli elementi di matrice saranno nulli o espressi in termini di altri. Allora, si riscrivono le equazioni (1.15) e (1.16) in forma matriciale, più maneg-gevole, nel modo seguente [20]:
[ 𝑆1 𝑆2 𝑆3 𝑆4 𝑆5 𝑆6] = [ 𝑠11 𝑠12 𝑠13 0 0 0 𝑠12 𝑠11 𝑠13 0 0 0 𝑠13 𝑠13 𝑠33 0 0 0 0 0 0 𝑠44 0 0 0 0 0 0 𝑠44 0 0 0 0 0 0 2(𝑠11− 𝑠12) ][ 𝑇1 𝑇2 𝑇3 𝑇4 𝑇5 𝑇6] + [ 0 0 𝑑31 0 0 𝑑31 0 0 𝑑33 0 𝑑15 0 𝑑15 0 0 0 0 0] [ 𝐸1 𝐸2 𝐸3 ] (1.17) [ 𝐷1 𝐷2 𝐷3 ] = [ 0 0 0 0 𝑑15 0 0 0 0 𝑑15 0 0 𝑑31 𝑑31 𝑑33 0 0 0 ] [ 𝑇1 𝑇2 𝑇3 𝑇4 𝑇5 𝑇6] + [ 𝜀11𝑇 0 0 0 𝜀22𝑇 0 0 0 𝜀33𝑇 ] [ 𝐸1 𝐸2 𝐸3 ] (1.18)
Da tali equazioni si evince che le sei diverse sollecitazioni possibili inducono tre spostamenti elettrici assiali nella cella unitaria, con cinque costanti piezoelettriche, anche dette costanti di accoppiamento elettromeccanico, definite come il rapporto tra la deformazione ed il campo elettrico applicato.
Tra le cinque costanti di accoppiamento quelle più considerate sono le 𝑑33 e la 𝑑31 per ragioni di convenienza sperimentale (figura 1.2). Il primo degli indici contrad-distingue la direzione del campo elettrico mentre il secondo la direzione della de-formazione. Queste sono rispettivamente la costante longitudinale, misurata lungo la direzione del campo elettrico applicato, e la costante trasversale, misurata per-pendicolarmente al campo elettrico applicato.
Il coefficiente piezoelettrico d ha dimensioni m/V o equivalentemente C/N.
1.4 Materiali piezoelettrici
I materiali piezoelettrici attualmente in uso sono principalmente di tipo ceramico, prodotti con metodi di fabbricazione ben consolidati e che presentano coefficienti piezoelettrici elevati. Tuttavia, l’impiego di tali materiali inorganici presenta qual-che limitazione come la necessità di operare ad elevate temperature per il riorien-tamento dipolare, la tossicità di alcuni elementi costituenti (ad esempio il piombo), gli elevati costi di produzione, e la fragilità meccanica.
1.4 Materiali piezoelettrici 17
Tali motivazioni hanno spinto i gruppi di ricerca ad esplorare materiali piezoelet-trici organici, quali alcuni polimeri, che superassero alcune delle limitazioni sopra menzionate. I polimeri infatti presentano elevata flessibilità meccanica, necessaria in alcune applicazioni, possiedono un modulo elastico relativamente basso, i di-spositivi basati su polimeri sono meno costosi sia in termini di costo del materiale che di tecnologia di microfabbricazione, e infine possono essere plasmati e prodotti a temperature più basse ed in forme personalizzate a seconda delle richieste dell’impiego. Tuttavia, nonostante questi vantaggi, essi presentano risposta pie-zoelettrica meno pronunciata rispetto ai materiali inorganici. Tale limitazione può essere attenuata tramite la realizzazione di materiali nanocompositi.
Un nanocomposito di polimero piezoelettrico viene costituito incorporando mate-riali piezoelettrici inorganici in una matrice polimerica. Il beneficio che si ottiene dal fare ciò è quello di avere la combinazione delle proprietà caratteristiche dei materiali ceramici e polimerici, ovvero una struttura ad elevato coefficiente pie-zoelettrico ed intrinsecamente flessibile.
I materiali nanocompositi possono essere realizzati sfruttando nanostrutture di va-rie dimensionalità. Un composito realizzato disperdendo all’interno della matrice polimerica delle nanoparticelle è detto di tipo 0-3 mentre quello di tipo 1-3 include micro o nanofibre.
I materiali piezoelettrici nanocompositi possono raggiungere livelli di flessibilità e coefficienti piezoelettrici elevati, ma comunque inferiori a quelli dei materiali ceramici.
Di seguito vengono descritti in maggior dettaglio i materiali piezoelettrici più co-muni distinguendo tra inorganici ed organici.
1.4.1 Inorganici
La piezoelettricità nei materiali inorganici è da imputare allo spostamento degli ioni che compongono la loro struttura. Quando un materiale piezoelettrico viene posto sotto sforzo, la struttura atomica del solido cambia in modo tale da provocare uno spostamento delle posizioni di equilibrio degli ioni, con la creazione di un momento di dipolo elettrico.
Per far sì che si venga a creare una polarizzazione netta, i dipoli formati non si dovranno cancellare fra loro, ma questo è possibile se la struttura atomica del ma-teriale è non-centrosimmetrica, condizione necessaria affinché vi possa essere ef-fetto piezoelettrico.
I materiali piezoelettrici inorganici sono principalmente materiali ceramici. Fanno parte di questa categoria il quarzo, il titanato di bario (BaTiO3), e il
titanato-zirco-nato di piombo (PZT). Nella seguente tabella 1.1, vengono riportati i materiali più usati e le loro costanti piezoelettriche.
Materiale inorganico Risposta piezoelettrica massima [pC/N] Quarzo 2.3 (d11) LiNbO3 42 (d33) AlN 54 (d33) ZnO 12.3 (d33) PZT 493 (d33) BaTiO3 270 (d15)
Tabella 1.1: Materiali inorganici piezoelettrici con i loro rispettivi coefficienti piezoelettrici [21].
1.4 Materiali piezoelettrici 19
I piezomateriali ceramici sono caratterizzati dall’essere facilmente frangibili, an-che se possiedono elevate proprietà elettromeccanian-che, e sono ampiamente impie-gati in attuatori [22], sensori [23] e dispositivi di accumulo di energia.
La classe di materiali piezoelettrici ceramici più diffusa è quella dei ceramici aventi una struttura a perovskite, che include tra i più popolari il BaTiO3 ed il PZT.
Il primo ad essere stato scoperto è il BaTiO3, il quale è un materiale ferroelettrico
che possiede costanti dielettriche molto elevate rispetto ai cristalli comuni, perciò risulta utile come materiale dielettrico nei condensatori ceramici [24].
Esso viene usato anche per le sue ottime caratteristiche piezoelettriche adatte ad applicazioni come attuatori [25] e trasduttori [26]. Il BaTiO3 presenta inoltre un
alto coefficiente di resistenza ad alta temperatura, ciò lo rende utile anche per es-sere adoperato come dispositivo di misurazione e controllo della temperatura negli impianti di riscaldamento [27].
La proprietà piezoelettrica di tale materiale ceramico è dovuta alla sua struttura cristallina che, nella sua fase paraelettrica (centrosimmetrica), è costituita da una cella elementare cubica con un atomo centrale di titanio centrosimmetrica che quindi non presenta momento di dipolo. Al di sotto di una temperatura critica, detta temperatura di Curie, si forma una fase cristallografica non-centrosimmetrica (fi-gura 1.3), con lo spostamento dello ione titanio rispetto al centro e l’apparizione di una polarizzazione spontanea caratteristica della fase ferroelettrica.
Figura 1.3: Tipica struttura cristallina a perovskite di BaTiO3, in cui l’atomo di
Ti è spostato rispetto al centro della cella elementare.
Campo elettrico
Ti O
Nel caso del titanato di bario, come in generale per i ferroelettrici, i dipoli interni possono essere riorientati in seguito all’applicazione di un campo elettrico esterno oltre una certa soglia (detto campo coercitivo) lasciando una polarizzazione resi-dua, che rimane anche in caso di campo esterno nullo.
Come il BaTiO3, anchelo zirconato-titanato di piombo o PZT possiede una
strut-tura cristallina perovskitica non-centrosimmetrica ed è un ferroelettrico. Rispetto agli ossidi metallici precedentemente scoperti, il PZT possiede un coefficiente pie-zoelettrico più grande e una temperatura di Curie più elevata.
Il PZT è un materiale inorganico la cui produzione richiede un costo contenuto, rispetto agli altri inorganici, perciò è particolarmente interessante per varie appli-cazioni, quali trasduttori ultrasonici, capacitori ceramici, energy harvesting [28] ed altri sensori e attuatori.
Nonostante il PZT ed altri materiali inorganici siano in possesso di una flessibilità inferiore rispetto ai materiali organici, in forma di film ultrasottili o nanofili pos-sono presentare buona flessibilità meccanica.
Una limitazione del PZT risiede nel fatto che contiene piombo, ciò non lo rende particolarmente adatto per applicazioni quali i biosensori, poiché influisce negati-vamente sugli organismi per la sua tossicità.
Altri materiali con struttura perovskite, come il BaTiO3, il niobato di litio ed altri
sempre a base di titanato, sono invece biocompatibili.
L’ossido di zinco (ZnO) è un altro materiale inorganico piezoelettrico che spicca per l’eccellente trasparenza, elevata mobilità degli elettroni e biocompatibilità. Può trovare applicazione come dispositivo per l’energy harvesting [29] e come mate-riale attivo per dispositivi elettronici e sensori. Nonostante i vantaggi presentati, si richiedono temperature molto elevate per la fabbricazione di dispositivi basati su di esso (400-500°C), limitando la sua diffusione ad alcune aree specifiche.
Stanno crescendo e perfezionandosi rapidamente anche le applicazioni biomediche di materiali 2D come il grafene [30], grazie alla recente scoperta delle sue proprietà piezoelettriche, per la realizzazione di attuatori e sensori grazie alla loro flessibilità e resistenza.
1.4 Materiali piezoelettrici 21
1.4.2 Organici
La piezoelettricità dei materiali organici in forma cristallina si manifesta secondo meccanismi analoghi a quelli inorganici mentre quelli in forma polimerica presen-tano ulteriori aspetti. Infatti, la piezoelettricità nei materiali può anche essere fa-vorita dal processo di riorientamento dei dipoli elettrici ottenuto mediante l’appli-cazione di un elevato campo elettrico o tramite uno stiramento meccanico.
I polimeri piezoelettrici possiedono numerose caratteristiche che li rendono prefe-ribili rispetto alle controparti inorganiche come elevata resistenza, limitata rigidità elastica, bassa densità, costanti dielettriche piccole, bassa impedenza meccanica ed acustica, ed utili in applicazioni sensoristiche in settori applicativi come quello biomedico ed ingegneristico.
Polimeri come il polistirene, il poli(metilmetacrilato), il polipropilene ed il polivi-nilacetato possiedono tutti proprietà piezoelettriche ma una risposta piezoelettrica consistente è stata ottenuta solamente nel polivinilidenefluoruro (PVDF) e nei suoi copolimeri, come il polivinilidenefluoruro-trfluoroetilene o P(VDF-TrFE). Nella seguente tabella 1.2, vengono riportati i principali materiali organici di interesse e le loro costanti piezoelettriche.
Il comportamento piezoelettrico dei polimeri è stato evidenziato per la prima volta nel 1969 da Kawai [31] proprio nel PVDF, attribuendolo alla struttura cristallina nel polimero in fase solida.
Il PVDF è un polimero termoplastico e ferroelettrico, e quindi piezoelettrico, se-micristallino costituito da una catena di carbonio con un’alternanza di unità di idro-geno e fluoro collegate al carbonio per costituire unità ripetitive CH2-CF2.
La piezoelettricità del PVDF è da imputare al momento di dipolo elettrico dell'u-nità monomerica, dovuto alla forte elettronegatività degli atomi di fluoro rispetto a quelli dell'idrogeno e del carbonio.
Possiede quattro fasi cristalline, correlate al tipo di collegamento trans (T) e gauche (G) nelle varie conformazioni della catena polimerica, la α e la δ (TGTG’), la β (TTTT) ed infine la γ (TTTGTTTG’) (figura 1.4).
Nella fase α, le catene sono impacchettate nella cella unitaria in maniera tale che i dipoli molecolari risultino antiparalleli, dando luogo ad una struttura cristallina non polare. Invece, la fase β è quella che mostra la migliore proprietà piezoelettrica poiché i dipoli si presentano tutti paralleli fra loro, contribuendo a generare il mo-mento di dipolo più elevato per cella unitaria.
Materiale organico Risposta piezoelettrica massima [pC/N] Collagene 12 (d14) Sale di Rochelle 345 (d14) Seta 56 (d33) Beta Glicina 178 (d14) TGS 10 (d33) PLLA 10 (d33) PVDF 20 (d33)
Tabella 1.2: Materiali piezoelettrici organici con i loro rispettivi coefficienti piezoelettrici [21].
1.4 Materiali piezoelettrici 23
La proprietà piezoelettrica del PVDF risulta utile soprattutto per nuove applica-zioni in biosensori [33], essendo anche biocompatibile e biodegradabile, ed energy harvesting, inoltre l’inerzia chimica di tale polimero lo rende un buon candidato per l’impiego in maglie chirurgiche e nelle suture [34].
L’acido poli-L-lattico o PLLA è un materiale polimerico caratterizzato dall’essere trasparente e molto flessibile, risultando adatto per applicazioni in dispositivi mo-bili in forma di film sottili flessimo-bili e biodegradamo-bili e, essendo biocompatibile, anche in biosensori ed attuatori [35]. Tuttavia, la sua applicazione pratica è limitata dal suo basso coefficiente piezoelettrico, molto inferiore a quello dei materiali pie-zoelettrici ceramici.
Altri materiali organici di interesse sono il collagene e la seta. L’effetto piezoelet-trico nel collagene deriva dalla presenza di gruppi polari all’interno della molecola, che, sottoposti a stress meccanici, si riassestano modificando il loro momento di dipolo.
Infine, la seta è costituita da una combinazione di fasi amorfe e cristalline ed ha trovato largo impiego nell’ingegneria tissutale [36], in medicina rigenerativa, an-che come materiale piezoelettrico in dispositivi quali i sensori indossabili.
1.5 Nanofibre di PVDF con nanoparticelle di BaTiO
3Nuove classi di materiali piezoelettrici nanocompositi tendono a combinare diffe-renti vantaggi dei piezoelettrici inorganici, come le marcate proprietà piezoelettri-che, e dei materiali organici, tra cui la consistente flessibilità.
Recentemente è nato un sostanziale interessamento verso i compositi nanostruttu-rati piezoelettrici, in quanto sono in grado di esibire la combinazione di proprietà fisico-chimiche desiderabili che non possono essere trovate in materiali monofase. Nei materiali ceramici come il ZnO, il PZT ed il BaTiO3, dotati di buone proprietà
piezoelettriche e ferroelettriche, la fragilità ha limitato molto il loro impiego in tante applicazioni.
Al contrario, i materiali polimerici come il PVDF e i suoi copolimeri sono di facile ed economica lavorazione ed anche dotati di grande flessibilità, ma possiedono minori prestazioni piezoelettriche.
Per tali motivazioni, l’incorporazione di una fase ceramica in una fase polimerica elettroattiva, potrebbe portare alla realizzazione di un materiale nuovo e dotato di una migliore combinazione di integrità meccanica e caratteristiche piezoelettriche. Inizialmente tali compositi sono stati fabbricati disperdendo particelle di materiali ceramici piezoelettrici di dimensioni micrometriche in una matrice di polimero elettroattivo. In questo modo è stato possibile produrre compositi in forma di film con spessori necessariamente superiori rispetto alle dimensioni delle particelle.
In questo lavoro di tesi sono state prodotte nanofibre di polimero PVDF con nano-particelle di BaTiO3, sviluppate per applicazioni biomediche [37], tramite la
tec-nica dell’elettrofilatura o electrospinning, e caratterizzando le loro prestazioni pie-zoelettriche a livello locale tramite una tecnica specifica di microscopia a scan-sione di sonda.
1.5 Nanofibre di PVDF con nanoparticelle di BaTiO3 25
Le nanofibre sono sistemi lunghi e sottili con notevole resistenza allo stiramento che possiedono un diametro di qualche centinaio di nanometri, e che per tale mo-tivo rientrano nella categoria delle nanostrutture.
Esse, a livello molecolare, risultano costituite da catene polimeriche lineari perlo-più allineate nella direzione di stiramento della fibra, e la resistenza alla trazione è assicurata dalla forza dei legami covalenti delle catene. In più, la stabilità della struttura è legata alle forze intermolecolari, come i legami idrogeno e forze di Van der Waals, che fan sì che le catene non tendano a ripiegarsi su sé stesse.
Quando i diametri di materiali in forma di fibra polimerica vengono ridotti, emer-gono numerose caratteristiche quali un rapporto superficie-volume più elevato, maggiore flessibilità nelle funzionalità di superficie e migliori prestazioni mecca-niche rispetto alle altre forme in cui è possibile improntare i polimeri.
Le nanofibre elettrofilate sono state applicate in vari campi che possono sfruttare le loro proprietà caratteristiche (elevata area superficiale, volume degli eventuali pori regolabile e ampia gamma di tipi di materiali [38]), come ingegneria tissutale [39], sensori [40], somministrazione di farmaci [41], medicazione delle ferite [42] e applicazioni energetiche [43].
Tra i polimeri piezoelettrici, il PVDF è quello più studiato ed utilizzato, come già introdotto, per le sue caratteristiche quali flessibilità e biocompatibilità.
Allo stato normale, esso si presenta con l’essere principalmente in fase α cristallina non polare, questo significa che per aumentarne la risposta piezoelettrica deve es-sere sottoposto ad un trattamento di poling tramite un elevato campo elettrico (dell’ordine di 100V/µm) o tramite uno stiramento meccanico. Nonostante ciò, la sua risposta piezoelettrica rimane comunque ridotta, rispetto ai piezoelettrici inor-ganici, soprattutto per potenziali applicazioni nel campo elettronico.
Il materiale ibrido in forma di nanofibre realizzato tramite il processo di electro-spinning fa sì che la produzione ed il poling siano simultanei. Combinando poi il PVDF con un materiale ceramico e ferroelettrico come il BaTiO3, sotto forma di
nanoparticelle aventi diametro di circa un centinaio di nanometri, si mira ad otte-nere un composito avente migliori prestazioni piezoelettriche.
Inoltre, il titanato di bario può rivestire il ruolo di agente di nucleazione durante il processo di electrospinning, promuovendo la cristallizzazione del polimero e quindi favorendo l’incremento della risposta piezoelettrica.
È stato scelto il BaTiO3 per le sue ben riconosciute caratteristiche ed anche per una
più ampia possibilità di applicazioni dato che non contiene piombo, elemento tos-sico sia per l’organismo che per l’ambiente.
Di seguito vengono descritte le principali tecniche attualmente impiegate per la produzione e la caratterizzazione di nanocompositi in forma di nanofibre.
1.5.1 Produzione
Le tecniche più conosciute ed utilizzate di produzione di nanocompositi, quali le nanofibre, sono numerose e diverse fra loro [44].
Negli ultimi anni, le principali tecniche per preparare nanofibre polimeriche risul-tano essere il drawing, il template synthesis, la separazione di fase, l’autoassem-blaggio e l’electrospinning.
La tecnica di drawing adotta una procedura simile alla filatura a secco utilizzata nell’industria delle fibre ma su scala molecolare, e può formare fibre singole molto lunghe.
Tuttavia, può essere lavorato e trasformato in nanofibra solamente un materiale particolarmente viscoelastico, il quale può così essere sottoposto a forti deforma-zioni rimanendo sufficientemente coeso per sopportare gli stress derivanti dalla trazione in fase di lavorazione del materiale.
Il metodo template synthesis, invece, utilizza come matrice (template) una mem-brana nanoporosa per la realizzazione di nanofibre di forma piena (fibrillare) o cava (tubulare).
La caratteristica più importante sta nel fatto che possono essere utilizzate come materie prime vari tipi di materiali, oltre ai polimeri, come metalli e semicondut-tori, anche se non è possibile produrre fibre singole.
1.5 Nanofibre di PVDF con nanoparticelle di BaTiO3 27
La separazione di fase è un processo che consiste di vari passaggi quali la dissolu-zione del polimero, gelificadissolu-zione, estradissolu-zione con un diverso solvente, congela-mento o essiccacongela-mento della soluzione ottenendo un materiale poroso in forma di rete di nanofibre dopo un lungo periodo di tempo.
L’autoassemblaggio è una tecnica basata sulla riorganizzazione tramite forze in-termolecolari di singoli componenti, ovvero piccole molecole, per formare nano-fibre macromolecolari. Come la separazione di fase, richiede comunque molto tempo per la formazione di nanofibre polimeriche continue. L’electrospinning è una tecnica ben consolidata per la preparazione di nanofibre e molti studi hanno affrontato la preparazione e l'applicazione di reti di nanofibre [45]. Di semplice implementazione, è caratterizzata dall’applicazione di un intenso campo elettrico ad una soluzione polimerica che fuoriesce da un ago metallico.
In seguito al campo applicato si ha la fuoriuscita di un getto di fluido che, nel tragitto dall’ago ad un collettore metallico apposito, si assottiglia a causa della re-pulsione elettrostatica e all’evaporazione del solvente.
Sebbene il primo brevetto relativo all'electrospinning fosse stato depositato agli inizi del ‘900, la discussione dettagliata del processo non iniziò ad apparire fino all'inizio degli anni '90, come risultato dei progressi della nanoscienza.
Possono essere utilizzati moltissimi tipi di polimeri (naturali, sintetici) ed è anche possibile combinare più materiali tra loro per ottenere nanocompositi diversi in composizione, ed attraverso la variazione dei parametri che influenzano il processo è possibile intervenire sulla forma, l’uniformità e la dimensione delle fibre.
Inoltre, l’electrospinning risulta vantaggioso per incrementare la risposta piezoe-lettrica del PVDF in quanto, in un unico passaggio, consente di produrre, di ese-guire in qualche misura un poling del materiale sfruttando il campo elettrico pre-sente ed anche lo stiramento meccanico, favorendo così la formazione della fase β cristallina, poiché è in grado di “stirare” la conformazione (TGTG) della fase α cristallina trasformandola nella conformazione (TTTT) della fase β.
Per questi motivi, oltre che per la semplicità dell’apparato e il basso costo, l’elec-trospinning si rivela essere la tecnica di produzione di massa di nanofibre più fles-sibile fra le varie disponibili.
1.5.2 Caratterizzazione
Per effettuare la caratterizzazione della struttura cristallina/molecolare e la pro-prietà piezoelettrica intrinseca delle nanofibre prodotte tramite electrospinning, sono necessarie varie tecniche e strumenti di analisi come la diffrattometria ai raggi X (XRD), la spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR) ed infine la microscopia a forza atomica (AFM) e la microscopia elettronica a scansione (SEM) [46]. Per l’analisi della struttura cristallina dei materiali viene comune-mente impiegata la XRD. Tramite questa tecnica Baji e collaboratori [47] hanno riscontrato la presenza di un’abbondanza di fase β cristallina in nanofibre di PVDF, rispetto alle altre fasi.
La FTIR, invece, può essere utilizzata per caratterizzare sia l’orientazione dei di-poli che la struttura cristallografica delle nanofibre. Mandal e collaboratori [48] hanno utilizzato la tecnica FTIR per esaminare l’orientazione del dipolo in nano-fibre di PVDF-TrFE, dimostrando che i dipoli erano orientati secondo la direzione del campo elettrico applicato durante l’electrospinning.
Anche la microscopia elettronica a scansione (SEM) è in grado di risolvere super-fici di strutture fino alla scala nanometrica. Essa consente di investire ed “illumi-nare” un campione con un fascio di elettroni, ottenendo così un’immagine risultato dell’intensità dell’emissione di elettroni secondari dalla superficie del campione stesso. È anch’essa in grado di restituire una mappa topografica di una vasta area (diversi millimetri), anche se, su campioni molto lisci, ha difficoltà a risolvere mo-deste variazioni di altezza.
Tuttavia, tale tecnica richiede di lavorare in condizione di alto-vuoto (HV) e può analizzare solamente campioni conduttori o semiconduttori, per tale motivo
1.5 Nanofibre di PVDF con nanoparticelle di BaTiO3 29
campioni polimerici o biologici devono essere sottoposti ad un trattamento di me-tallizzazione andando incontro a modificazione, e non sono in grado di fornire in-formazioni sulle proprietà elettromeccaniche dei materiali piezoelettrici a livello locale.
Per riuscire a sondare le proprietà elettromeccaniche di una nanostruttura piezoe-lettrica, come quelle descritte in precedenza, e registrare nello stesso momento le sue caratteristiche morfologiche e dimensioni, una possibile risposta viene dalla microscopia a forza atomica (AFM).
Più nello specifico, la microscopia a forza di piezorisposta o PFM, rappresenta una tecnica di indagine non invasiva e con risoluzione nanometrica, in grado di resti-tuire una mappatura sia della topografia che delle proprietà elettromeccaniche lo-cali dei materiali piezoelettrici, anche in forma di nanofibre.
La PFM discende dall’AFM e come essa si basa sull’interazione tra una sonda solida di dimensioni nanometriche e la superficie di un campione, rilevando le forze d’interazione locali e deformazioni del materiale a causa della risposta pie-zoelettrica, in seguito all’applicazione di una tensione di polarizzazione alla sonda stessa. Il microscopio a forza atomica e il PFM sono in grado di lavorare anche in condizioni ambiente, ed in virtù del loro principio di funzionamento legato alle interazioni di prossimità tra la sonda ed una superficie in esame, possono analiz-zare anche campioni biologici e dielettrici. Per questi motivi, l’AFM ed il PFM sono tecniche interessanti ed utili sia per condurre studi di fisica di base nel campo della scienza dei materiali, sia, ad esempio, per applicazioni in campo biomedico [49]. Tuttavia, nonostante il PFM venga largamente impiegato per lo studio delle proprietà piezoelettriche di campioni nanostrutturati, risulta necessario ricorrere a metodi di indagine che restituiscano risultati quantitativi accurati di tale risposta piezoelettrica, come si propone di essere il metodo PFM di non contatto o NC-PFM presentato e sviluppato in questo lavoro di tesi.
31
Capitolo 2
Metodi sperimentali
Questo capitolo è volto alla descrizione del funzionamento dei metodi sperimentali impiegati nel corso del lavoro di tesi per la produzione e la caratterizzazione su scala nanometrica delle nanofibre polimeriche piezoelettriche oggetto di studio.
2.1 Electrospinning
Durante questo lavoro di tesi sono state prodotte nanofibre in materiale polimerico con l’inserimento di nanoparticelle ceramiche, entrambi aventi proprietà piezoe-lettriche.
Il metodo utilizzato è stato l’electrospinning, una tecnica tramite la quale, a partire da una soluzione polimerica o un fuso, è possibile realizzare fibre ultrafini aventi diametro sulla scala nanometrica. Il metodo è conosciuto con il termine di filatura elettrostatica sin dal 1934, anno a partire dal quale venne depositata la prima serie di brevetti da parte di Anton Formhals per la produzione di fibre polimeriche con forze elettrostatiche a fini commerciali [50].
Da qui in avanti diversi gruppi di ricerca implementarono tale tecnica, tra cui Bau-mgarten, che nel 1971 riuscì ad ottenere fibre di diametro inferiore al micrometro [51].
Tuttavia, è soprattutto dagli anni ’90, con Reneker a cui si deve il nome di electro-spinning [52], che è stato possibile produrre nanofibre da una gran varietà di poli-meri.
Inizialmente il metodo ebbe limitato successo e diffusione nell’ambito dello svi-luppo commerciale, a causa della scarsa resa finale del processo e alle proprietà meccaniche delle strutture ottenute nonché della eccessiva distribuzione dei dia-metri delle fibre prodotte.
Comunque, negli ultimi anni, il sempre più crescente interesse nel campo delle nanotecnologie ha determinato una consistente ripresa dell’attività di ricerca nello studio e sviluppo di questa tecnica. Essa è in grado di fornire nanofilati polimerici con estrema semplicità e a basso costo, ciò la rende estremamente competitiva ri-spetto alle tecniche convenzionali, trattate nel capitolo 1.
2.1.1 Principio di funzionamento
Il processo dell’electrospinning si basa sulla produzione di fibre da un getto di soluzione polimerica caricata elettricamente.
Come mostrato in figura 2.1, l’apparato consiste principalmente di: un generatore di alta tensione DC, una siringa contenente la soluzione polimerica e dotata di ago metallico, una pompa volumetrica, che attua la fuoriuscita della soluzione, ed un collettore metallico.
Una differenza di potenziale viene applicata tra la siringa ed il collettore metallico. Nella maggior parte dei casi riportati in letteratura [53], in corrispondenza dell’ago
metallico viene applicata una tensione positiva (delle decine di kV), mentre il col-lettore viene connesso a terra.
La tensione applicata provoca la migrazione di cariche elettriche sulla superficie della soluzione e la repulsione elettrostatica delle stesse causa una forza opposta alla forza legata alla tensione superficiale e alla viscosità della soluzione [54], che provoca il distacco di gocce.
2.1 Electrospinning 33
Quando questa tensione supera un certo valore critico, a seconda della soluzione polimerica, il fluido che fuoriesce dall’ago della siringa in forma di gocce subisce
una distorsione cambiando forma in un cono, detto cono di Taylor [55]. L’alto campo elettrico instaurato tra ago e collettore provoca così la fuoriuscita di
un getto carico elettricamente dalla punta del cono di Taylor, dando inizio al pro-cesso di electrospinning.
Il getto carico percorre inizialmente un tratto rettilineo durante il quale il suo dia-metro comincia a diminuire per effetto dello stiramento indotto dal campo.
Durante il suo percorso il getto va incontro ad una successiva regione di instabilità, in cui assume un andamento oscillatorio detto “a colpo di frusta”.
È questa la fase determinante per la formazione di nanofibre: lo stiramento au-menta notevolmente, provocando l’assottigliamento del getto, l’evaporazione del solvente e favorendo quindi la solidificazione delle fibre.
Infine, l’ultimo passaggio è quello della deposizione delle fibre sul collettore, che può avvenire in maniera casuale impiegando un collettore a piatto piano oppure in maniera più allineata utilizzando un cilindro rotante [56].
La descrizione del funzionamento della tecnica suggerisce che i parametri che pos-sono influenzarla significativamente e che pospos-sono incidere sulla qualità delle na-nofibre prodotte siano i seguenti:
• Viscosità e peso molecolare: la viscosità caratteristica di una soluzione po-limerica è legata al peso molecolare del polimero disciolto in essa. Si ha formazione di fibre se la soluzione è sufficientemente viscosa ovvero se sono presenti sufficienti entanglements tra le catene polimeriche. Il livello di entanglements è legato alla lunghezza delle catene polimeriche e quindi al peso molecolare. Tuttavia, è possibile intervenire sulla viscosità della so-luzione modificando la concentrazione di polimero. Una viscosità bassa può portare alla formazione di gocce di polimero anziché di fibre, viceversa una viscosità troppo elevata potrebbe aumentare la forza necessaria alle cariche elettriche per stirare la soluzione, ottenendo così fibre molto spesse [52,57]. • Conducibilità della soluzione: influisce sulla formazione del cono di Taylor
e anche sul diametro delle fibre polimeriche, essendo quest’ultimo legato alla repulsione elettrostatica delle cariche in soluzione. Soluzioni con bassa conducibilità non hanno sufficiente accumulo di cariche tale da vincere la tensione superficiale.
• Ruolo del solvente: durante il suo viaggio verso il collettore, il getto subisce uno stiramento e la nanofibra si forma quando il getto solidifica all’evapo-razione del solvente. Quest’ultimo deve favorire la completa dissoluzione del polimero e avere un certo punto di ebollizione, il quale è un indicatore della volatilità del solvente. Sono da evitare solventi altamente volatili, ov-vero con un punto di ebollizione basso, poiché provocano la solidificazione del getto in corrispondenza dell’ago metallico bloccando dal principio il processo di electrospinning. Viceversa, solventi con punto di ebollizione troppo alto ostacolano la solidificazione delle nanofibre durante il volo verso il collettore.
• Tensione superficiale: per iniziare la produzione di nanofibre la soluzione polimerica carica deve vincere la tensione superficiale. Quindi bisogna
2.1 Electrospinning 35
utilizzare solventi con tensione superficiale non troppo alta, ad ogni modo una tensione superficiale troppo bassa può portare alla formazione di gocce di polimero [58].
• Tensione applicata: ha un ruolo cruciale, poiché solo una tensione applicata superiore a quella di soglia può indurre la formazione del cono di Taylor e del getto. La tensione quindi influenza il diametro della fibra e il suo valore dipende dalla concentrazione del polimero nella soluzione e dalla distanza tra ago e collettore.
• Portata: è relativa alla quantità di soluzione polimerica che viene fatta fuo-riuscire dall’ago per mezzo dell’estrusore a pompa. In generale, la portata non deve essere troppo elevata per favorire la polarizzazione della solu-zione, in più indurrebbe la formazione di fibre troppo spesse [59].
• Distanza ago-collettore: è parametro importante poiché ne influenza altri, come l’intensità del campo elettrico applicato, la quantità di solvente eva-porato e la durata di permanenza nella regione di instabilità. Se tale distanza è troppo piccola, il solvente non ha tempo sufficiente per evaporare e la fibra non solidifica prima che questa raggiunga il collettore, mentre a di-stanze maggiori il diametro della fibra diminuisce perché aumenta il tempo di percorrenza [60].
• Parametri ambientali: oltre alla soluzione e ai parametri di lavoro, sono da considerare anche parametri ambientali, che includono l’umidità e la tem-peratura. È stato studiato l'effetto della temperatura sulle fibre di poliam-mide-6 da 25 °C a 60 °C ed è stato stabilito che con un aumento della tem-peratura vi è una diminuzione del diametro delle fibre. Questo calo è stato attribuito alla diminuzione della viscosità della soluzione polimerica a tem-peratura più elevata [61]. È stato studiato l'effetto dell'umidità sulla forma-zione delle fibre di polistirene [62] ed è stato stabilito che la variaforma-zione di umidità durante la filatura della soluzione polimerica porta alla formazione di piccoli pori circolari sulla superficie della fibra; un ulteriore aumento di umidità porta alla coalescenza dei pori. A umidità molto bassa, invece, il
solvente evapora rapidamente anticipando la solidificazione prima della formazione della fibra.
2.2 Microscopia a forza atomica
L’interesse crescente verso i nanomateriali piezoelettrici sta sempre più incenti-vando la ricerca verso la realizzazione di metodi per la determinazione quantitativa della resa piezoelettrica su scala locale.
In questo ambito ha riscosso particolare interesse la microscopia a forza atomica o AFM, tramite la quale si ha la possibilità di investigare la superficie di un materiale caratterizzandone le proprietà a livello locale, nonché di avere accesso a svariate proprietà funzionali.
Inventata nel 1986 da Gerd Binnig, Calvin F. Quate e Christopher Gerber [63], la microscopia a forza atomica è una tecnica che consente l’indagine della morfologia di una superficie e delle forze locali con un’alta risoluzione spaziale, che può rag-giungere quella atomica.
Essa consiste nel monitoraggio dell’interazione tra una sonda solida di dimensioni nanometriche e la superficie di un campione oggetto di studio, la quale provoca la perturbazione della sonda stessa, e che, tramite la scansione della sonda sul cam-pione, una dedicata elettronica di controllo usa per fornire informazioni sulla to-pografia della superficie.
La microscopia a forza atomica rientra in un gruppo più ampio di tecniche d’inda-gine riunite sotto il nome di microscopia a scansione di sonda (SPM), di cui fa parte il suo precursore, il microscopio a effetto tunnel (STM), messo a punto da G. Binnig e H. Rohrer [64] nel 1981 e che valse loro il premio Nobel per la fisica nel 1986.
L’AFM venne introdotta soprattutto per estendere l’applicabilità della microscopia a sonda anche a campioni non necessariamente conduttori, a cui sono vincolati gli esperimenti STM.
2.2 Microscopia a forza atomica 37
In esso vengono impiegate speciali sonde costituite da una punta estremamente acuminata, avente un’altezza dell’ordine del µm e un raggio di curvatura di 10-30 nm, fissata sull’estremità libera di una leva flessibile di dimensione micrometrica (in inglese, cantilever).
La punta è solitamente rappresentata come un apice di forma sferica anche se a livello atomico presenta uno o pochi atomi leggermente più sporgenti degli altri e che determinano il contatto con la superficie del campione. La natura di tale apice determina il tipo di interazione con la superficie da investigare.
Avvicinandosi alla superficie, la sonda risente delle forze che si instaurano tra la punta ed il campione stesso, facendo deformare elasticamente il cantilever di un tratto δ. Secondo la legge di Hooke, nota la costante elastica k del cantilever è possibile ricavare la forza d’interazione punta-campione tramite la relazione li-neare tra forza e deflessione 𝐹 = −𝑘𝛿. La modalità storicamente introdotta per prima e qui usata per una descrizione generale è detta AFM di contatto, essendo quella più semplice e intuitiva.
Le piccole deflessioni dal cantilever possono venire rivelate e registrate tramite il metodo a leva ottica. Il funzionamento di tale metodo consiste nel focalizzare sul dorso del cantilever, solitamente rivestito di uno strato metallico riflettente, un fa-scio laser la cui riflessione colpisce un array di fotodiodi a quattro (oppure due) quadranti, (fotorilevatore) [65], come mostrato in figura 2.2.
La posizione D del fascio laser sul fotorilevatore si modifica in seguito alla fles-sione del cantilever generando una corrente direttamente proporzionale allo spo-stamento, con grande sensibilità (dell’ordine o inferiore all’Å).
Sottraendo i segnali della coppia di fotodiodi in direzione verticale, è possibile ricavare la deflessione, mentre sottraendo quelli in orizzontale si può ottenere la torsione del cantilever che si verifica quando sulla punta agisce una forza parallela alla superficie, ad esempio come nel caso della misura di forze di attrito dinamico [67]. Il controllo del movimento della superficie del campione rispetto alla sonda, nelle tre direzioni spaziali, avviene per mezzo di scanner piezoelettrici capaci di estrema precisione (dell’ordine dell’Å).
In alcuni strumenti è il campione ad essere fissato mentre la sonda scansiona la superficie, in altri è invece viene fissata la punta mentre il campione si sposta re-lativamente a questa. La scansione avviene su un piano (xy) in modalità detta a rastrello (figura 2.3): viene compiuto un movimento continuo e a velocità costante lungo l’asse x (detto asse veloce) in doppio passaggio, percorrendo una distanza fissata dall’operatore, e una volta completato il ciclo viene effettuato uno step nella direzione ortogonale y (denominato asse lento) percorrendo riga per riga la super-ficie.
Lo spostamento verticale, lungo l’asse z, consente di modificare la distanza tra la sonda ed il campione con una risoluzione inferiore all’Ångstrom, tramite un si-stema di controllo della distanza che consente di evitare contatti troppo pronunciati tra la sonda ed il campione compromettendo l’analisi di quest’ultimo. Lo scanner è tipicamente costituito da un tubo piezoelettrico rivestito da elettrodi metallici sulla superficie interna ed esterna (figura 2.3); l’elettrodo esterno è suddiviso in quattro quadranti. Applicando un voltaggio ad una coppia di elettrodi opposti si provoca un piegamento. Tale piegamento si traduce in un moto laterale xy
Δδ
Figura 2.2: Rappresentazione schematica della testa di un AFM e rilevamento delle forze d’interazione con un fotorivelatore a quattro quadranti [66].