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Santiago di Compostela: un pellegrinaggio tra religione, turismo e spiritualita.

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INDICE

Premessa pag 2

Capitolo primo - Antropologia del viaggio e del turismo pag 4

Capitolo secondo - Cenni storici sul Cammino di Santiago pag 21

Capitolo terzo - Ricerca sul campo e osservazione partecipante pag 32

Capitolo quarto - La ritualità del pellegrino pag 100

Capitolo quinto - Le tipologie del pellegrino pag 129

Capitolo sesto - Pellegrinaggio, liminarità e rito pag 153

Sitografia pag 177

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PREMESSA

Nel settembre del 2004 ebbi l’occasione di visitare i luoghi del Cammino, ero interessata all’aspetto storico-culturale della Spagna del nord, incluso quello paesaggistico. Avevo progettato il viaggio con cura, leggendo guide turistiche, ma a quel tempo il pellegrinaggio di Santiago di Compostela non rientrava nei miei interessi prioritari. Tutto ciò che sapevo riguardo quel fenomeno lo avevo appreso attraverso la lettura di “Il Cammino di Santiago” di Paulo Coelho e “Il Cammino”, di Shirley Mac Laine, libri che, se pur molto interessanti, restarono un po’ “messi da parte”, come in attesa di una maturazione da parte mia.

Circa due anni fa, giunta quasi al termine dei miei studi di Storia e Civiltà, iniziai a pensare all’argomento della tesi. Ero alla ricerca di qualcosa di stimolante, di diverso e originale, se possibile legato alla Spagna, paese dove mi sono recata varie volte e che esercita su di me un forte fascino.

Fu su tali premesse che nacque l’idea di uno studio approfondito sul Cammino di Santiago, non dal punto di vista prettamente storico, bensì antropologico, che in quel contesto significava entrare in contatto con i pellegrini, osservare i loro comportamenti e, cosa ancor più importante: dialogare con loro riguardo la realtà del Cammino e ciò che per loro rappresentava. Significava creare un rapporto il più possibile autentico e intenso con le persone che avrei conosciuto.

Un sentore di disagio e di inadeguatezza mi accompagnò fino al momento in cui sono partita, nell’estate del 2011. Non mi spaventava il viaggio in sé, nemmeno lo spostarmi continuamente di luogo in luogo, quanto riuscire a guadagnarmi la fiducia di queste persone ed indurle ad aprirsi ed confidarsi con una perfetta sconosciuta. Per me era in assoluto la prima esperienza di quel tipo. Sarei stata in grado? Decisi allora di smettere di pormi domande alle quali ancora non potevo ricevere risposta: lo avrei scoperto soltanto lì, lungo il Cammino. Tutto doveva ancora avere inizio. Nei primi giorni due mi limitai solo ad osservare ogni cosa che mi circondava, vedevo spesso passare dei pellegrini, a piedi o in bicicletta, eppure il contatto con loro era ancora lontano.

Fu a Logroño che ebbi modo, per la prima volta, di sperimentare la cortesia e la disponibilità di chi percorre il Cammino, o presta volontariato per agevolare il lungo e duro viaggio del pellegrino. Nell'Asociaciòn Riojana Amigos del Camino de Santiago riuscii ad ottenere le prime informazioni sulla realtà del Cammino, che in seguito mi sono servite per rivolgere le domande più appropriate. Soprattutto stavo iniziando a percepire che quel mondo era una realtà diversa dal quella abitudinaria, che era una dimensione tutta a sé e che io mi sentivo in armonia al suo interno.

E' stato relativamente semplice prendere dimestichezza con i luoghi che visitavo, come riuscire a trovare persone disponibili alle mie richieste, che mi dedicavano volentieri parte del loro tempo.

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Non mi sono mai sentita un'estranea in mezzo a loro anzi, l'intera atmosfera possedeva una forte carica di spontaneità e di naturalezza, dove tutto scorreva con fluidità.

Ogni giorno che passava imparavo qualcosa di più sul pellegrinaggio di Santiago, guardavo quella realtà dall'esterno, eppure con un coinvolgimento sempre crescente, tanto da poter percepire tutta la vitalità, le speranze e la determinazione di molti pellegrini. Le persone parlavano volentieri e spontaneamente con me e mi raccontavano parte della loro vita, alcune volte senza nemmeno il bisogno di rivolgere alcuna domanda.

Mi rendevo sempre più conto che il Cammino riesce a creare rapporti intensi anche nel giro di breve tempo e che il fattore della condivisione, argomento molto ricorrente tra i pellegrini, era una realtà viva. Molte persone mi raccontavano di quanto si sentissero diverse dal momento in cui erano partite, più libere, più autentiche, “con il cuore più grande”, ripetevano spesso. Il senso di felicità e di serenità che provavano, nonostante la stanchezza fisica ed i dolori corporei era evidente e loro erano lieti di condividere quelle nuove emozioni anche con me.

Chi si trova all'esterno riesce a entrare nell'ingranaggio di questa singolare, variegata e complessa realtà del pellegrinaggio. Il fascino che esercita tocca corde intime e personali, almeno questo è ciò che è accaduto a me, tanto che, alla fine di quel lungo ed emozionante percorso, mi ero spinta molto aldilà dei miei obiettivi. Ero riuscita a intervistare molti pellegrini ed a recuperare diverso materiale, inclusi filmati e fotografie ma, oltre a questo, avevo la sensazione che il mio cuore si fosse “espanso” e sensibilizzato, che le emozioni dei pellegrini fossero entrate dentro di me e che quel “Qualcosa” che avverte la maggior parte di loro, guidasse e proteggesse l'uomo, dando un senso più autentico e reale alla vita.

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CAP. 1. ANTROPOLOGIA DEL VIAGGIO E DEL TURISMO

Prima di affrontare l'argomento del pellegrinaggio, oggetto di questo studio ed anche del turismo, è opportuno soffermarsi sull'elemento cardine che costituisce l'essenza di entrambi: il viaggio.

Nel testo che usato come base di riferimento, La mente del viaggiatore, l'autore Eric Leed concepisce il viaggio come una forza attiva capace di mutare il corso della storia umana, influenzare le personalità degli individui, le mentalità, plasmare i gruppi sociali e modificarne profondamente la cultura.

Le alterazioni dello spirito, dell’identità personale e della socialità da molto tempo sono associate, nelle tradizioni occidentali, all’effetto del viaggio. Secondo quest’ottica si attribuisce dunque ad esso l’importanza fondamentale di attività creatrice di una condizione umana.

Il viaggio è un terreno ricco di metafore e di simboli, attraverso i quali si esprimono transizioni e trasformazioni di ogni genere. Ci si riferisce alla mobilità umana per esprimere il significato della morte, come “trapasso”, la struttura della vita, come “cammino” o un pellegrinaggio, per definire i mutamenti relativi ai riti d’iniziazione e persino per indicare il movimento attraverso una parte di testo (un “passo”).

Il viaggio, inteso come transizione spaziale, è una fonte di significazione tanto generale da essere praticamente universale, aspetto che non sfuggì a van Gennep quando, in riferimento ai riti di passaggio scriveva: “Mi sembra importante che il passaggio da una posizione sociale a un’altra sia identificato con lo spostamento territoriale…” (Cit. in Leed, 1992, pag. 14).

Secondo Leed il viaggio funge da agente e da modello di trasformazione, un’esperienza di mutamento continuo, terreno comune di metafore familiari a tutti gli esseri umani a partire dalla loro prima infanzia. Tali caratteri inerenti al viaggio umano inducono a concentrarsi sugli effetti che esso manifesta sugli individui, sulle società, sulle culture ed è possibile intravedere le primarie trasformazioni inerenti al viaggio, collegando quest’ultimo all’”esperienza” in generale, in particolare quando è “autentica” e “diretta”.

La radice indoeuropea della parola esperienza è Per, il cui significato si interpreta come “tentare”, “mettere alla prova”, “rischiare”, tutte connotazioni che si riferiscono a un “pericolo”. Compaiono anche dei termini latini che si collegano al termine esperienza, come esperior, experimentum. Questa concezione di “esperienza” come cimento, come passaggio attraverso una forma d’azione che misura le dimensioni e la vera natura della persona che l’intraprende, descrive la concezione generale e più antica degli effetti del viaggio sul viaggiatore.

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alla prova e che perfeziona il carattere, che include anche una concezione delle trasformazioni del viaggio come “mutamento” che spoglia, riduce, logora chi lo compie.

Per evidenziare questo aspetto, Leed fa riferimento a L’epopea di Gilmanesh 1, trascritta intorno al 2900 a.c., in cui l’eroe compie un lungo viaggio di fatica, privazioni e patimento. La specie di trasformazione implicita in questa antica idea del viaggio era legata alla sofferenza, tuttavia, il viaggiatore attuava un processo che generava saggezza e conoscenza.

Su tali presupposti è possibile ricavare un’idea della traiettoria della storia del viaggio dal contrasto tra la concezione antica e quella moderna. Per gli antichi il viaggio aveva valore in quanto spiegava il fato umano, confermava un certo ordine nel mondo, ma all’interno di un’ottica di sofferenza e di punizione. I moderni, al contrario, lo esaltano come manifestazione di libertà e come fuga dalla necessità o dallo scopo, ricercano il piacere ed i mezzi per ottenerlo, il viaggio porta alla “scoperta”, permette che accada qualcosa di “nuovo” e di originale.

Nonostante tutto, le differenze non sono così marcate come appaiono, in quanto certi elementi, pur modificandosi in alcuni loro tratti, mostrano una linea di continuità tra passato e presente.

Ne è conferma la concezione del viaggio come “prova”, come perdita che rappresenta un’acquisizione. Ma non si tratta tanto dell’introduzione di elementi nuovi nella personalità del viaggiatore, quanto della rivelazione di qualcosa che già le appartiene, come il coraggio, la resistenza, la capacità di sopportare il dolore.

Le trasformazioni del viaggio rappresentano una specie di “identificazione” attraverso un contesto di azione che aggiunge, alla condizione del movimento, la coscienza di una forma e di un’individualità irriducibili. Infatti, durante il viaggio lungo e difficile, l’identità del viaggiatore si impoverisce, riducendosi ai suoi elementi essenziali, di cui però diviene consapevole.

In breve, i pericoli, le fatiche e le sofferenze rimangono il banco di prova essenziale dell’uomo in movimento, sono la “causa” e la “misura” del modo in cui egli vive l’esperienza e, attraverso quest’evoluzione, egli diviene esperto e saggio.

Ciò che è importante da notare è che questo tema tradizionale perdura dietro il concetto moderno che pone l’accento sui piaceri del viaggio, senza che esso perda il suo carattere antico.

Anche se Camus arriva addirittura a negare ogni forma di piacere inerente al viaggio, non possiamo ignorare una certa verità in alcune sue osservazioni: “Ciò che dà valore al viaggio è la paura (…) siamo colti da una paura vaga e dal desiderio istintivo di tornare indietro, sotto la protezione delle vecchie abitudini. Questo è il più ovvio beneficio del viaggio. In quel momento siamo ansiosi, ma

1 Gilgamesh è un personaggio della mitologia mesopotamica. Mitico re dei Sumeri, fu il quinto re di Uruk, il più antico agglomerato urbano dell'odierno Iraq, nelle vicinanze del Golfo Persico. Nell’opera, al giovane re viene prescritto un viaggio in cui, a poco a poco, viene privato del suo seguito, delle sue energie, del compagno Enkidu e delle sue ambizioni. Si spinge fino al limite stremo del mondo, il Lontano Occidente, terra della morte e dell’immortalità. Si addormenta durante la notte in cui avrebbe dovuto vegliare e perciò non riesce a conquistare l’immortalità ed infine, sulla via del ritorno, perde il suo premio di consolazione, la pianta della giovinezza. Ma i suoi viaggi raggiungono l’effetto sperato: egli era divenuto saggio. (Cit. in: Leed, 1992, pag. 15-16).

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anche porosi (…) Ecco perché non dovremmo dire che viaggiamo per piacere (…) io lo vedo come un’occasione per affrontare una prova spirituale (…) Il viaggio è come la scienza più grande e grave, ci riporta a noi stessi.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 20).

Anche se il tema è antico, qui l’aspetto messo in evidenza è moderno: la paura, la perdita di sicurezza implicita nel viaggio privo delle abituali comodità, rappresentano un “guadagno” di disponibilità e di sensibilità verso il mondo. Il viaggio rimuove ogni elemento del mondo familiare, ma allo stesso tempo definisce l’”individualità” come “autonomia”, perché l’io viene ora separato da una struttura che gli impone confini.

In un contesto moderno, le privazioni e i logoramenti dell’antico viaggiatore costituiscono l’inizio di una libertà che permette di incontrare un mondo che le pareti ed i confini della casa precludevano. Questa libertà guadagnata rappresenta una semplificazione della vita in un mondo nel quale il viaggiatore diventa cosciente di una soggettività irriducibile e della sua identità.

“C’è un punto estremo nel quale la povertà si ricongiunge alla ricchezza del mondo (…) Per me questo è l’unico significato accettabile di un’espressione come “mettersi a nudo”. L’”essere nudi” è sempre associato alla libertà fisica, all’armonia (…) a un’intesa affettuosa tra la terra e gli uomini che si sono liberati delle cose umane.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 20).

Questo brano di Camus ci rivela un altro aspetto legato alla concezione antica del viaggio: quello di una penitenza e di una purificazione che migliora moralmente il viaggiatore. La concezione del viaggio come penitenza risale, com’è noto, alla cacciata della coppia originaria dal giardino dell’Eden. La partenza spezza i legami tra il peccatore e le occasioni del peccato ed è una maniera per lasciarsi tutto alle spalle.

Il viaggio, come l’esilio, è visto allo stesso tempo come punizione e come cura, come castigo e purificazione. Con gli attriti del passaggio, ogni cosa che non appartiene all’essenza del viaggiatore viene eliminata, i legami con il mondo del luogo fisso e delimitante vengono rimossi: tutto ciò provoca mutamenti nel carattere del viaggiatore, che sono simili alla purificazione e alla riduzione dell’entità purificata nelle sue dimensioni più minime, anche se più vere. Sotto questa luce, i pellegrinaggio è l’istituzionalizzazione di questa trasformazione operata dal viaggio.

Tuttavia, qualcosa di fondamentale differenzia il viaggio moderno da quello antico: il cambiamento avviene quando esso diventa un’occasione liberamente scelta per dimostrare un’identità caratterizzata dalla libertà, dalla manifestazione e dalla scoperta del proprio io.

“Questi fattori, la volontarietà della partenza, la libertà implicita nelle indeterminatezze della mobilità, il piacere del viaggio liberato dalla necessità, l’idea che esso significhi autonomia e sia un mezzo per dimostrare ciò che uno è veramente (…) rimangono i caratteri salienti della concezione moderna del viaggio.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 24).

Un elemento tipico della dimensione del viaggio e molto esplicativa ai fini dei nostri studi è lo “svuotamento” della mente, che avviene quando il soggetto riesce a rilassarsi nelle situazioni di

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transito. I ritmi hanno il sopravvento ed avviene una “distorsione di tempo”, fattori che hanno a che fare con lo “stato di flusso” descritto da Csikszententmihalyi e con la resa alla logica interna del movimento, attraverso cui lo stato psicofisico del viaggiatore viene “alterato”.

Tuttavia, prima di affrontare quest’argomento, è necessario sottolineare nuovamente che i tratti del carattere del viaggiatore sono il risultato di sue scelte compiute. Lo “spirito” del viaggiatore non deriva dall’impronta di una forza esterna, bensì dal modo in cui egli utilizza le idee, le impressioni e le percezioni raccolte durante il movimento.

Il ritratto ancora vivo di George Simmel dell’”estraneo”, l’immagine dell’”uomo marginale” di Ezra Park e la descrizione di Victor Turner dello “stato liminale”, presentano un tipo di viaggiatore visto da chi ha radici nella comunità. Queste figure sono “tra” luoghi e sono definiti più dalle ambiguità di questa “posizione” che dall’esperienza di movimento, che spesso viene tralasciata per dare maggior spazio al modo in cui queste figure vengono viste, ossia come il prodotto del rapporto con un “luogo fisso”.

Perciò l’esperienza del movimento viene ridotta ad una sorta di “ambiguità strutturale”, all’essere senza luogo. Turner, che identifica la “struttura” con il luogo, può considerare quegli “interluoghi” come esterni ad essa e gli individui che appartengono a quello spazio non sono “né una cosa né l’altra, o forse sono entrambe le cose (…) e perlomeno sono “tra” tutti i punti fissi riconosciuti nella struttura spazio-temporale” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 80).

Perciò l’estraneo, l’uomo marginale o la figura liminale sono interpretati di solito attraverso negazioni: si considera il fatto che siano senza luogo, anziché notare le caratteristiche positive. E’ opportuno dunque analizzare il carattere positivo del viaggiatore e la sua esperienza di movimento. Il transito non è solo un’esperienza in un zona interstiziale, bensì è una realtà che possiede una struttura e una logica bel delineate. Soltanto in questo modo possiamo cogliere l’unicità del fenomeno e le ragioni per cui il transito procura piacere, tranquillizza e genera scopi e bisogni. Da millenni le caratteristiche che si attribuiscono agli effetti benefici del viaggio sono costanti: conferisce un carattere “intellettuale” al viaggiatore, amplifica la conoscenza, dona saggezza e potenzia l’intelligenza, aiuta coloro che “cercano il senso della vita.” Si nota un persistere, epoca dopo epoca, dell’intuizione antica che il viaggio generi una forma di “ragione” ed una coscienza di sé basata sull’osservazione del mondo e dei suoi vari contesti.

Tuttavia si sono notati anche i limiti che il transito impone alle percezioni del soggetto: la mobilità riduce la visione del mondo solo a brevi istanti, limita le osservazioni alla superficie e pone una distanza tra l’osservatore e il mondo.

Dunque il movimento collega ed allo stesso tempo distanzia il viaggiatore dalla realtà che osserva. Tuttavia tali limiti posso essere superati quando il viaggiatore “serio si muove per conoscere ed appropriarsi del mondo, sviluppando tecniche di lettura che gli consentono di cogliere, attraverso la superficie, l’interiorità e i “significati” delle persone e delle cose.

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Nel ventesimo secolo l’immagine del viaggiatore ha acquistato una connotazione sociologica più precisa, che si riferisce alle figure accennate precedentemente, che si arricchiscono però di elementi diversi, come la saggezza, la dignità e la libertà.

Per Simmel, ad esempio, l’estraneo è “staccato” dalla comunità nella quale risiede a causa della sua mobilità e, grazie alla libertà ed al distacco di cui gode, può vedere oggettivamente la realtà senza pregiudizio. Inoltre, l’essere sospeso tra due mondi richiede agilità mentale e la necessità di adattamento continuo stimola le funzioni mentali. Alla luce di tutti questi elementi si può affermare che il transito introduca una “coscienza nuova”.

Tutto ciò può avvenire anche sulla base di quanto accennato sopra, ossia che il transito impone all’esperienza una forma ed una struttura particolari ed in essa possiamo trovare la fonte delle libertà e dei piaceri tipici del viaggio.

L’ordine imposto all’esperienza della mobilità è sequenziale, è composto di “una cosa dopo l’altra”, è progressivo. Il movimento risolve ogni elemento in un ordine esperienziale di apparenze che evolvono continuamente seguendo proprie leggi specifiche. Il transito, la forma del cammino, impone ciò che G. Bateson ha definito “ordinamento progressivo della realtà”, un metodo per organizzare l’afflusso di dati in una sequenza di fatti.

La forma del cammino si basa su questo tipo di ordine la cui essenza primaria è il movimento e il mutamento: la struttura del transito si fonda su tali elementi e ciò può confondere coloro che concepiscono la struttura come l’antitesi del mutamento, come una forma rigida e permanente, separata dal principio di crescita e di evoluzione.

Le leggi che governano il mutamento sono le sole che non mutano: una è centrifuga e l’altra è centripeta. “Quindi il flusso dell’espansione è la direzione in cui si sta andando, mentre il fulcro della contrazione è la direzione dalla quale si proviene” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 101). L’esperienza del transito è organizzata intorno a queste due forze in un campo di trasformazione continua: il punto dal quale hanno origine le cose si allarga man mano che il viaggiatore si avvicina al “punto di fuga”. Questi sono gli elementi, i punti di riferimento del viaggiatore, sono i nodi su cui si tesse il suo involucro percettivo durante il transito.

Tutto il sapere che si ottiene grazie viaggio deriva da questo tipo di esperienza, ma l’influenza che questa struttura ha sul soggetto dipende dalla capacità di quest’ultimo di arrendersi alle condizioni del movimento ed al suo ordine di esperienza. Solo grazie a questo rilassamento la mente “si svuota” ed ha luogo la “distorsione del tempo”.

Questo abbandonarsi alla logica della mobilità sta alla base della purificazione del transito, della “purezza della strada” ed è la condizione che dà un contenuto positivo e attivo al carattere passivo della liminalità. A tale proposito, Turner chiarisce ulteriormente il concetto: “Nella liminalità si trovano qualità positive e attive, specialmente quando quella “soglia” viene prolungata e diviene un “tunnel”, quando il “liminale” diventa “cunicolare”. (Cit. in: Leed, 1992, pag. 103).

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Dunque, se il viaggiatore è capace di porsi all’interno di questa condizione, il transito lo assorbe nella sua dimensione, purifica, diventa piacere e una motivazione in sé. Con questo rilassamento nella struttura, il viaggio diviene un’esperienza che è un fine in sé, che dà origine allo “stato di flusso” studiato da Csikszententmihalyi: “Lo scopo del flusso è quella di continuare a fluire, non di cercare una vetta o un’utopia, ma rimanere nel flusso. Non è un’ascensione, ma un fluire continuo; ti muovi solo per mantenere il flusso.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 103).

Questa particolare condizione contiene un solo imperativo: la propria continuazione. E’ creato da un’attività che ha una logica e una progressione proprie, in cui ad azione segue azione secondo una

logica interna che non esige un intervento cosciente del soggetto. Questa è la descrizione più adatta

per definire la struttura del transito, che impone una logica sequenziale inevitabile e irresistibile per chi intraprende un cammino. L’attività del transito collega l’io al mondo, unifica gli elementi (il soggetto, il mondo, l’azione, il passato, il presente e il futuro) in un movimento liscio, senza attriti o ostacoli, in uno stato di flusso che collega ogni momento a quello successivo.

Durante il transito, un corpo si trova in movimento attraverso un luogo, se al contrario si trova in un luogo, significa che ha già cessato di muoversi. La continuità del movimento crea l’idea di uno spazio infinito, ampio e “libero”, mentre la sua interruzione risolve lo “spazio” in “luogo”.

Le trasformazioni del viaggio implicite nel movimento possono spiegare gli effetti terapeutici che il transito ha sul viaggiatore. L’avvio del movimento trasforma i confini in sentieri, le “soglie” in “tunnel”, converte i limiti in viali. In breve, il transito rende virtuali le realtà connesse al “luogo”, tutti gli elementi che derivano dal suo ordine delimitante.

La “libertà” che si associa al viaggio inizia con il distacco dovuto alla partenza del viaggiatore, ma questa libertà “dal” luogo assume una forma diversa, più positiva e attiva nel transito, dove si associa al movimento. E’ in questa fase che si trova la fonte dello stato alterato, del “rapimento”, della tranquillità e del benessere di coloro che si arrendono al movimento. Il viaggio, nella fase di transito, colloca il viaggiatore all’interno di una successione ordinata di ciò che vede, che si manifesta indipendentemente dalla sua volontà. Perciò, “(…) finchè un uomo ha la facoltà di pensare o non pensare, muoversi o non muoversi, secondo l’inclinazione e l’orientamento della sua mente, fino a quel momento è libero.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 106).

Il transito è una situazione di libertà ambigua, una forma di movimento che speso viene scelta perché consente al viaggiatore di non pensare, o di pensare secondo l’ordine in cui ciò che gli appare si presenta. L’esperienza del transito trasforma i limiti e i confini in “contesti” attraverso i quali il viaggiatore passa ed è proprio tale caratteristica che la rende liberatoria.

Ciò che era “tra”, ora è divenuto un corridoio e un viale, in linea con il termine latino Limen, nel suo significato più specifico, sia di “soglia”, ma anche della strada più esterna dell’Impero romano. Questo limite più estremo non era un semplice luogo “tra” lo spazio interno e esterno, ma un sentiero e quindi un mondo in sé, con una logica ed un ordine propri.

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Sotto questa luce, si può dunque concepire una diversa realtà del globo, attraversato in ogni senso da sentieri, alcuni dei quali percorsi da migliaia di anni: questa è la “casa del viaggiatore”.

Che conclusioni dunque possiamo trarre alla luce della metamorfosi che ha subito il viaggio nel corso del tempo? Noi non posiamo sfuggire a quella civiltà globale che è stata creata da generazioni di viaggiatori, esploratori, mercanti e migratori, che ora è saldata da sistemi internazionali di trasporti, di produzione, di distribuzione e comunicazione. Il viaggio è diventato turistico.

Un triste senso di perdita è provocato dall’impressione generale che il viaggiare autentico, diretto verso l’esterno e che precisa i contorni dell’individuo, non sia più possibile. L’atteggiamento più tipico del viaggiatore-turista si nota oggi nel desiderio di evitare altri turisti ed i posti in cui si raccolgono. Ciò conferma ulteriormente il fatto che il viaggio non è più un mezzo che permette di distinguersi, perché il viaggiare che un tempo era un’esperienza eccezionale, ora è un fatto di

routine, qualcosa di ordinario: il viaggio è diventato comune, il turista è la norma.

Tuttavia, nonostante questa perdita, gli elementi comuni tra ieri e oggi si ritrovano nei bisogni dei viaggiatori, come la ricerca della differenza. Questo bisogno tradizionale è racchiuso nelle parole di Pual Bowles: “Ogni volta che vado in un posto che non ho ancora visto spero che sarà quanto più diverso possibile dai luoghi che già conosco (…) Penso che per un viaggiatore sia naturale cercare la diversità (…). Se la gente e il suo modo di vivere fossero uguali dappertutto, non avrebbe molto senso spostarsi da un posto all’altro.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 352).

Il gusto della differenza determina la ragione di viaggiare, motiva i contatti interculturali ed interetnici che permettono di collegare le differenze e superare le contrapposizioni. Ma per mantenere viva questa realtà è necessario conservare le dissociazioni e le distinzioni, per cui, quando queste vengono a mancare, è evidente la delusione del viaggiatore-turista che, aspettandosi di trovare la differenza, trova un mondo uguale a quello che ha lasciato.

E’ proprio il bisogno di confini e di linee di demarcazione che determina le modificazioni dell’io, quel mutamento d’identità che molte persone conoscono quando intraprendono un viaggio. Queste sono le motivazioni fondamentali del turista, che la sociologa Valene Smith definisce come “una persona che può disporre temporaneamente del suo tempo, che visita per scelta un luogo lontano da casa, allo scopo di fare un’esperienza di mutamento.” (Cit. in: Leed, 1992, pag. 353).

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Sulla base degli elementi accennati relativi al turismo, è necessario ora approfondire altri aspetti inerenti a questo fenomeno.

L’antropologo Alessandro Simonicca affronta lo studio del turismo partendo da due fondamentali modalità di lettura: il turismo come processo transazionale e come struttura di esperienza.

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pensati come persone in cerca di relax, dunque il turismo riguarda l’insieme delle attività inerenti a questa condizione. La sfera del tempo libero inizia quando l’individuo si libera dalle “obbligazioni primarie”, come il lavoro, lo studio, la famiglia e cerca esperienze diverse e gratificanti. In questo contesto, l’elemento che sta alla base è la decisione soggettiva di abbandonare la comunità domestica, che determina l’allontanamento dalla sfera degli impegni quotidiani.

Sotto questa luce, il turista si può definire come “un individuo che viaggia durante il suo tempo libero” ed il turismo la corrispettiva attività. Tutto ciò implica il fatto che il turista, durante tale periodo, entri in rapporto con coloro che offrono i servizi adeguati ai visitatori. Questo insieme di servizi costituisce l’industria turistica. Secondo l’autore, che si rifà agli studi di Nash, il nucleo del turismo si trova proprio in questo tipo di incontro, che si risolve in una serie di transazioni tra ospitanti e ospitati.

Accanto a questo livello di relazioni si può individuare un’altra dimensione, il vero e proprio

processo turistico, che si origina dalla società che genera turisti e continua quando questi vengono

ospitati in culture e luoghi diversi. L’insieme di tutti questi elementi costituisce il sistema turistico nel suo complesso, come contesto sociale di riferimento.

L’elemento più importante, in ogni caso, riguarda la generazione di turisti, dal momento che, senza viaggiatori che usufruiscono del tempo libero, non esisterebbe il turismo.

Secondo Nash, il punto di vista antropologico è utile per l’analisi di tale processo, che risulta incardinato sull’incastro storico-sociale di due o più culture e che include la generazione di turisti, i viaggi e il conseguente incontro con la società ospitante. E da tutto ciò derivano transazioni tra turisti, agenzie e ospitanti, che influiscono ogni volta sulla popolazione locale2.

L’approccio strutturale, al contrario, parte dal rapporto di alternanza (e non di separazione) tra due

serie correlate per opposizione: casa-lavoro e relax-viaggio. L’antropologo che si è più curato di tale aspetto è Nelson Graburn: egli parte dal presupposto che solo nella società moderna nasce l’idea che l’”obbligatorio” si leghi al quotidiano ed il viaggio ad una scelta volontaria, tale da escludere ogni tipo di routine.

Così inteso, il turismo rappresenta una forma di rottura ritualizzata della vita ordinaria, analizzabile da un punto di vista antropologico e da ricollegare al concetto di sacro e al contrasto tra sacro e profano. Quest’argomento, uno dei capisaldi della teoria antropologica novecentesca, è riletto sulla scia di M. Mauss, A. van Gennep ed E. Leach.

L’alternarsi del sacro e del profano era usato da Mauss per l’analisi del rito di sacrificio: il processo di sacralizzazione eleva ad uno stato di non-ordinario, mentre la fase opposta, quella della desacralizzazione, segna il ritorno alla vita normale.

Nella stessa direzione su muove A. van Gennep il quale, però, introduce tra questi due momenti una

2 Sulla stessa linea si trova V. Smith, di cui abbiamo già anticipato la definizione che dà del turista, e che conseguentemente spiega il concetto di turismo come “forma di attività di tempo libero che struttura il corso individuale della vita grazie a periodi alterni di lavoro e di relax”. (Cit. in: Simonicca, 1997, pag. 21).

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fase intermedia. Lo schema risultante è quello dei “riti di passaggio”, argomento già affrontato in riferimento agli studi di V. Turner, di cui ricordiamo un concetto fondamentale: “Un individuo che viva a casa sua, nel suo clan, vive nella dimensione profana; vive invece nel sacro quando se ne va e si trova come straniero, in prossimità di un luogo abitato da sconosciuti.” (Cit. in: Simonicca, 1997, pag.18).

Graburn accetta pienamente questa teoria e la riporta all’interno del rapporto tra sacro e viaggio e del sacro nella modernità, che si esprime attraverso il turismo. Inoltre, per completare l’equivalenza tra rito e turismo, egli accetta anche il modello strutturale di “tempo sacro” di E. Leach.

A tale proposito, lo studioso sostiene che l’alternarsi di sacro e profano segna i periodi importanti della vita sociale, secondo una sequenza temporale suddivisa in tre fasi: tempo ordinario, rottura e ritorno all’ordine iniziale. Secondo Leach, questa idea relativa al tempo ha origini arcaiche: il passaggio ad un nuovo anno, ad esempio, era marcato da una serie di feste e ognuna rappresenta uno spostamento temporale dall’ordine profano-normale e quello straordinario legato al sacro. Allo stesso modo, anche gli occidentali ricorrono alle feste o a ricorrenze per ricordare un evento particolare e donare senso alla vita. Ogni periodo sacro o secolare si esprime attraverso un inizio, un punto mediano e un termine, perciò, da questo punto di vista, le “vacanze” assumono un nuovo significato, in quanto donano senso sacro e rendono più gradevole l’esistenza.

Graburn, dunque, rielabora questi assunti, riferiti all’analisi delle società primitive, per comprendere il fenomeno del turismo come esperienza scandita da momenti in continua alternanza: la dimensione profana della “casa” e del lavoro, quella sacrale, ossia la rottura per dar forma al turismo come atto volontario del viaggio “lontano da casa” ed infine, il ritorno nella sfera domestica.

La figura moderna del sacro passa quindi attraverso tale ordine sequenziale di tempo, che comporta un’esperienza umana volta alla ricerca del senso e della pienezza vitale, come contrappunto alla vita ordinaria.

Naturalmente, a seconda delle diverse società, mutano i fini del viaggio: se in quelle tradizionali la ricompensa del pellegrino era di ottenere una grazia, per i turisti moderni gli obiettivi desiderati sono la salute mentale e fisica, le esperienze diverse e esotiche.

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Altri studiosi hanno avuto il merito di mettere in evidenza aspetti relativi al turismo piuttosto significativi. Alcune di queste teorie sono a volte in contrapposizione, ma sono comunque utili per approfondire maggiormente l’argomento.

D. Boorstin, per esempio, applica la sua critica alla società americana in quanto produttrice di pseudo-eventi, di cui uno, secondo l’autore, è appunto il turismo. Per pseudo-evento egli intende

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qualcosa di interamente costruito per surrogare la realtà concreta: la sua caratteristica preminente è dunque la falsità, che attira e sostituisce i fatti, creando verità ambigue. Tutti questi elementi, che egli critica nella società moderna americana, si ritrovano nel viaggio: per Boorstin l’attuale visitatore ha perso la “vecchia arte del viaggiare”, intesa come disposizione umana a conoscere il non familiare, altri mondi ed altre culture.

Il viaggio non è più un modo per ampliare la curiosità umana e la costante ricerca del nuovo: l’esperienza del viaggio si è trasformata e la ricerca dell’esotico e dello straordinario è diventata finta e prefabbricata. Il turista odierno raramente ama l’autentico, bensì colma la sua esperienza con continui pseudo-eventi, è un individuo passivamente alla ricerca del piacere.

In tal modo, i luoghi in cui soggiorna sono semplicemente la riproduzione delle strutture di accoglienza della madrepatria, le attrazioni sono il prodotto di esperienze false e indirette ed i siti per turisti sono finalizzati al consumo, con attrazioni ripetibili, artificiali e prodotte ad hoc dagli agenti turistici: il turista non vede dunque “l’altro”, ma solo la propria immagine riflessa allo specchio.

Nonostante l’acuta osservazione riguardo la società moderna, lo studioso non si chiede se tale esperienza illusoria possa avere qualche significato umano o culturale più profondo. Fornisce una caratterizzazione di ciò che egli ritiene sia il turista, senza tener conto delle differenze circa le motivazioni e le esperienze dei viaggiatori moderni.

Al contrario, l’immagine del turista, che emerge dagli studi di Mac Callen, contrasta fortemente con quella di Boorstin, fino a presentarne l’immagine rovesciata. Infatti, se per il primo autore esprime l’inautenticità del mondo moderno, Mac Cannel ricerca una forma di vita autentica che rappresenti la versione moderna dell’interesse umano per il sacro. Il turista è visto come il pellegrino del mondo laico che rende omaggio alle “attrazioni”, così come il pellegrino rendeva omaggio ai santuari visitati. In tal senso l’aggregato delle attrazioni è il moderno equivalente del tradizionale centro di pellegrinaggio.

Il confronto tra i due autori mostra dunque soluzioni quasi invertite. Se per Boorstin l’inautentiticità delle attrazioni ha lo scopo di produrre un esperienza artefatta, Mac Cannel trova simboli ad alto significato sociale all’interno del nucleo più profondo ed autentico dell’attività turistica.

Per il sociologo americano, è la ricerca dell’autenticità a divenire la motivazione fondamentale: l’uomo moderno, alienato dal contesto sociale che lo circonda, cerca l’autenticità altrove ed è attratto dalla vita reale degli altri, che crede possieda maggiore intensità della propria.

Tuttavia, se Mac Cannel scopre nell’autenticità un valore basilare del mondo moderno, come contrappeso alla natura alienata dell’attuale modo di vivere, eccede nell’applicare tale tesi ad ogni tipo di turista.

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Tornando ancora una volta a Turner, il concetto di “liminalità” e di communitas era inizialmente applicato ad una società etnologica africana, gli Ndembu e poi estesa dall’autore anche all’analisi dei pellegrinaggi, come fenomeno inerente a società contadine tradizionali di religione cristiana, islamica, induista e buddista.

Il pellegrino viene concepito come colui che lascia il suo ambiente quotidiano e parte per un viaggio diretto a un “Centro d’altrove”. In questo caso il viaggio non è solo un movimento nello spazio dal familiare al non familiare, ma rappresenta anche un’ascesa spirituale. Durante il suo percorso, il pellegrino partecipa ad un’esperienza sacra che coincide con il raggiungimento del Centro stesso. In tale contesto, Turner opera una distinzione tra situazione “liminale”, dunque obbligatoria e di natura religiosa e “liminoide”, caratteristica dei contesti secolari legati al concetto di tempo libero. Perciò il tema del viaggio, come processo del “Centro dell’altrove” e della “liminoidità” laica del tempo libero, diventa lo strumento concettuale per comprendere il fenomeno del turismo moderno.

Secondo questa linea di pensiero, anche il turista, come il pellegrino, si muove da un “Luogo familiare” a un “Luogo lontano” per ritornare nuovamente al punto di partenza. Le visite rispettose del turista alle attrazioni del mondo lontano assomigliano molto all’ascesa del pellegrino verso il “Centro dell’altrove”.

Questo aspetto mostra una forte analogia tra Mac Cannel e Turner, il quale però si spinge oltre. L’approccio del primo studioso, infatti, lasciava inesplicato un aspetto essenziale del fenomeno turistico: la sospensione dei vincoli quotidiani, la sensazione di libertà, la trasgressività e la non serietà di molti comportamenti nel “Luogo lontano”. Il carattere ludico e trasgressivo rientrano nella situazione di “liminalità” e “liminoidità” del “Centro d’altrove”, marcato da un “sacra perifericità” di Centro e Altro.

Proprio nella sua alterità, il Centro esprime valori umani che la sfera della quotidianità tende a reprimere, come la spontaneità e la socialità profonda (la communitas). E soprattutto nelle società moderne, dove il tempo libero prende il posto del rituale, si lascia maggior spazio alla “liminoidità”, che si esprime negli aspetti espressivi, giocosi e ludici del turismo nel “Luogo lontano”.

Questo “nuovo” turista non è più né il serio ricercatore teorizzato da Mac cannel, né il turista superficiale di Boorstin. Nella giocosità liminoide di Turner si dà accesso a esperienze compensatorie di natura esistenziale e sociale, che possono fornire un’occasione di recupero che ricrea e ristora i turisti per il ritorno alla quotidianità ordinaria.

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E. Cohen parte invece dal presupposto che la caratterizzazione del turista offerta da Mac Cannel e da Boorstin sia di natura troppo globalizzante per poter essere realistica. Egli infatti nega che si

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possano dare definizioni universali circa la natura del turista.

Il sociologo parte dunque dalla costruzione di idealtipi come strumento di comprensione. Il suo punto di partenza è la figura dello “straniero” delineata da Simmel, emblematica della modernità, in quanto prototipo di molte situazioni della vita collettiva, caratterizzate dall’incontro di individui provenienti da culture diverse.

La figura dello straniero assume perciò caratteristiche peculiari, è ambigua per la sua perenne mobilità rispetto al gruppo in cui viene a contatto e vive una continua alternanza di vicinanza e lontananza, di familiarità e straniamento, nonché di inclusione ed esclusione.

Park e la sociologia di Chicago mutano questa figura in termini di “uomo marginale” mentre, nella sociologia del turismo, lo straniero diventa una sorta di prototipo che si apre alle interrelazioni sociali del mondo moderno.

Alla luce di tutto questo, Cohen riscrive i comportamenti turistici delle teorie dei suoi predecessori, legati sempre da un rapporto tra “familiarità” e “estraneità”. Oltre a questo aspetto, la sua teoria si fonda sul concetto che l’uomo moderno, nella situazione alienata in cui vive, cerca l’autenticità secondo una consapevolezza di diverso grado e livello e pone in correlazione due variabili: l’alienazione e la ricerca di autenticità, la prima in rapporto con il “Centro”, la seconda con l’”Altro”.

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Un altro approccio interessante è quello di John Urry, che focalizza l’attenzione sullo “sguardo turistico”. “Quando “partiamo”, osserviamo l’ambiente con interesse e curiosità. E’ proprio l’ambiente che ci parla in modi e forme che apprezziamo, o almeno ci aspettiamo che così sia. Il nostro sguardo è socialmente organizzato e sistemizzato tanto quanto lo sguardo di un medico.”(Cit. in: Urry, 1995, pag. 15).

L’opera di Urry riguarda il modo in cui lo sguardo è cambiato e si è sviluppato nelle diverse società, attraverso i vari periodi storici. Il presupposto fondamentale consiste nel fatto che non esiste uno sguardo del turista in senso assoluto, bensì è variabile. In ogni caso tale elemento è sempre costruito in relazione al suo contrario, ossia a forme non turistiche. Ciò che costituisce lo sguardo del turista dipende da ciò che gli è opposto, dalle esperienze che l’individuo vive nella vita ordinaria.

La pratica del viaggio implica la nozione di “partenza”, di una temporanea rottura con le attività abituali, permettendo ai nostri sensi di essere impegnati in stimoli che contrastano il quotidiano. L’analisi degli oggetti tipici dello sguardo del turista serve per comprendere gli elementi della nostra società con i quali entrano in contrasto. Quindi, il modo in cui si costruisce lo sguardo turistico costituisce un buon metodo per capire più a fondo ciò che accade nella “società normale”. Il metodo da applicare consiste infatti nello studio delle “differenze”.

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Nello sguardo turistico si possono ritrovare alcune caratteristiche essenziali di pratiche sociali identificate con il turismo. La prima consiste nel fatto che il turismo è un’attività del tempo libero che presuppone il suo opposto, ovvero il lavoro, due sfere che nelle società moderne sono concepite in forma separata. Dunque agire come turista è uno dei caratteri che rientrano nell’essere “moderni”.

Le relazioni turistiche, inoltre, costituiscono un movimento di persone verso le più diverse destinazioni. Ciò implica uno spostamento attraverso lo spazio, che è il viaggio ed un periodo di permanenza in un luogo diverso e lontano dalla normale sede di residenza e di lavoro. I periodi di soggiorno sono di breve durata e di natura temporanea, in quando l’intenzione finale è quella di ritornare al mondo reale di appartenenza.

Un altro aspetto da considerare è che una quantità sempre maggiore di popolazione si dedica al turismo e ciò implica nuove forme di servizi per far fronte al carattere di massa dello sguardo turistico3.

Un punto su cui Urry si sofferma molto riguarda il fatto che i luoghi da guardare sono scelti perché suscitano un’aspettativa di piacere, che viene alimentata attraverso i “sogni ad occhi aperti” e l’immaginazione. Inoltre, una varietà di elementi non turistici, come film, televisione, letteratura e musica, costruiscono e rinforzano lo sguardo del turista e l’aspettativa di piacere che implica. L’osservazione turistica è inoltre rivolta ai paesaggi naturali e alle vedute cittadine che si distinguono dall’esperienza quotidiana, perché rappresentano qualcosa di fuori dall’ordinario. In tal modo, l’oggetto dello sguardo viene successivamente catturato attraverso fotografie, cartoline e così via ed eternamente riprodotto.

Secondo l’autore, lo sguardo è costruito attraverso segni ed il turismo implica la collezione di questi segni. Ad esempio, quando i turisti vedono due persone che si baciano a Parigi, catturano con il loro sguardo al “romantica Parigi senza tempo”. Questo perché “Il turista è interessato ad ogni cosa e la assume come segno di sé. (…) I turisti si allargano a ventaglio alla ricerca di segni di francesità, di tipico comportamento italiano, di scene esemplari orientali (…)”(Cit. in: Urry, 1995, pag. 18). Di conseguenza, i professionisti del turismo tentano di riprodurre sempre nuovi oggetti per catturare l’attenzione del turista.

Al fine del suo studio sullo sguardo del turista, Urry compie anche un esauriente excursus sulla patria del moderno turismo di massa, quello inglese di fine Ottocento, che nasce all’interno delle classi operaie, insieme allo sviluppo delle stazioni balnearie, processo che deriva dall’industrializzazione e dalla nascita del tempo libero.

Tuttavia, proprio nella regione dove ha avuto origine la prima forma di turismo di massa marino, si assiste anche, nel giro di qualche decennio, al suo declino. Dopo il 1950, infatti, le stazioni

3 Il carattere di massa dello sguardo turistico è un fenomeno recente e si contrappone al carattere individuale del viaggio tradizionale.

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balnearie del nord cedono il posto al Mediterraneo, nuova meta del flusso turistico estivo. Perciò, la fine della balneazione nordica coincide con il cambiamento dello “sguardo turistico”: non è più la sabbia, ma il sole e l’abbronzatura a soddisfare i bisogni dei turisti. E insieme a questo cambiamento nasce anche l’heritage tourism che, accanto al turismo artistico dei grandi centri storici, dà vita ad un interesse per la rivitalizzazione dei patrimoni culturali e alla salvaguardia delle coste e dei siti naturistici, che passa sotto il nome di ecotourism.

Secondo l’autore, l’esempio inglese è istruttivo sia sulla vitalità del turismo, sia sulla sua provvisorietà. Egli mostra le sue caratteristiche più “fragili”, come la subordinazione alla storia sociale del gusto e del bello e la stretta unione tra sguardo turistico e i destini socio-economici dei contesti di appartenenza.

Alla luce di tali concetti, si può concludere che il turismo deriva da uno sguardo di ampiezza universale, in quanto ogni luogo e ogni attività umana può assumere i tratti di un sistema segnico fondato sulla differenza che suscita novità e quindi destinato ad attrarre visitatori.

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Dopo aver analizzato alcune teorie relative al turismo, è necessario adesso approfondire l’argomento inerente alle motivazioni che danno vita a questo fenomeno.

Schematizzando, si possono individuare tre approcci motivazionali.

La teoria del profilo psicografico, studiata da Plog, divide i turisti in due gruppi, gli “psicocentrici” e gli “allocentrici”. Gli appartenenti al primo gruppo sono persone piuttosto inibite e prive di senso dell’avventura e sono solite trascorrere le vacanze in luoghi vicini e familiari, con scarso livello di attività. Gli allocentrici, al contrario, preferiscono zone con minore pressione turistica, cercano destinazioni nuove e viaggi indipendenti e avventurosi.

La teoria della carriera turistica ricostruisce una sorta di gerarchia che parte dai bisogni biologici, fino a quelli della realizzazione. Tale approccio è utile per mettere in luce i diversi stili di vita dei soggetti, ma tende ad una concezione universalistica dei bisogni, di matrice occidentale.

La teoria dell’arousal4 ottimale parte invece dal principio che, per evitare la noia, l’individuo vada

alla ricerca del senso dell’esistenza, perciò focalizza soprattutto i vari livelli di desiderabilità. Nell’ambito della sfera delle motivazioni, il concetto di leisure merita un ulteriore approfondimento. In tal senso Simonicca interpreta questo elemento come “esperienza o stato della mente” o come movente psicologico dell’azione. Si tratta di individuare i fattori che influenzano i soggetti a classificare i loro impegni e le loro esperienze in termini di leisure, che sono stati individuati nel grado di libertà o di scelta riguardo la selezione dell’attività ed il tipo di percezione individuale.

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A tale prospettiva si avvicina sia la teoria di Mac Cannel, circa il turismo mosso dalla “ricerca di autenticità5, sia quella di Cohen, relativa alla “ricerca del Centro”6. Nel primo caso, la teoria relativa ai sei ambienti turistici si fonda sulla gradazione degli stadi di coscienza, nel secondo caso, la gamma dei vari stadi copre l’intera esperienza turistica, dal comportamento ricreativo a quello esistenziale.

Il concetto di leisure viene anche collegato alla soddisfazione che deriva da un impegno ricreativo. In questo senso l’individuo persegue le sue attività in modo da soddisfare i suoi bisogni, pertanto Iso-Ahola ha proposto una nuova ipostesi, che si avvale di due elementi fondamentali: la fuga dalla quotidianità e la ricerca di realizzazione. Tali presupposti implicano occasioni di mutamento e di novità rispetto al mondo quotidiano, permettendo l’abbandono dell’ambiente ordinario e della routine. In tal modo l’individuo tende a cercare ricompense inerenti alla dimensione interna personale, la fuga dal sé e la ricerca del sé o sul piano sociale, inteso come ricerca di nuovi ambiti di vita. Dunque, dal punto di vista del turismo, entrano in gioco due forze: la fuga dalla routine e da un ambiente stressante e la ricerca di opportunità ricreative per ottenere ricompense psicologiche. Altri studiosi, notando lo sviluppo di nuovi modelli di consumo, vedono in questo aspetto il declino del turismo a motivazione edonistica, legato alla semplice liberazione dalla routine lavorativa, a favore di un altro tipo di viaggio più “umanizzato”, che dà enfasi al contesto socio-ambientale. L’emergere della soddisfazione, come motivo fondamentale della scelta della vacanza, ha portato alla nascita del “turismo a interessi speciali", che si orienta verso l’esperienza, l’azione, l’avventura, la fantasia e l’esotismo.

In questo nuovo profilo del viaggiatore prevale la categoria allocentrica di Plog, a cui si aggiunge anche la ricerca di benefici culturali ed il bisogno di un viaggio reale e autentico incentrato sugli interessi e non più solo sul richiamo delle attrazioni dei siti.

5 Le tipologie del turismo si basano su una serie di caratteristiche fondamentali, tra cui il tipo di turista, la durata del viaggio, il tipo di destinazione e diversi altri fattori. La proposta di Mac Cannell è una delle più compiute. In essa di individuano in particolare due momenti: il sightseeing, (visita turistica, visita alle bellezze di un luogo) come processo di sacralizzazione che si attua in vari stadi e l’evoluzione del setting (ambiente) turistico. Il primo momento si determina da una sequenza organica suddivisa in cinque stadi. Il primo ha luogo quando il sight si distingue da altri oggetti simili. Il secondo è la fase della “messa in cornice” dell’oggetto, che include anche operazioni di protezione. Il terzo è il momento in cui l’oggetto diviene luogo di pertinenza attrattiva. Il quarto è la “riproduzione meccanica”, ossia la messa in opera di attività di riproduzioni dell’oggetto sacro (stampe, fotografie, cartoline). Il quinto, infine è la fase in cui il contesto complessivo, sociale e locale, si definisce tramite l’oggetto sacro stesso. Nello spazio turistico costituito dall’attrazione, il setting comporta un continuum esperienziale da parte del turista, che parte da una situazione di “facciata” artificiale, per concludere con la scoperta della “regione interna”, che motiva la consapevolezza turistica. 6 La tipologia di Cohen descrive quattro tipi di turisti che si differenziano sulla base della motivazione del viaggio. Il primo tipo è il turista di massa organizzato, un soggetto poco amante dell’avventura, che parte con un pacchetto ben definito e si muove lungo itinerari prestabiliti. Il turista individuale di massa si differenzia dal primo per un uso più personale delle risorse del sito e dei piani di viaggio. Il turista esploratore ama invece programmare itinerari e mete in modo originale. La motivazione del viaggio risiede nel bisogno di conoscere altri popoli e impararne la lingua, senza però rompere del tutto con le abitudini domestiche. Il turista giramondo si caratterizza invece da un netto rifiuto dei servizi del mercato turistico, ama vivere con i locali, di cui impara lingua ed abitudini, tanto da acquisire come propri i tratti indigeni.

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Analizzando più nel dettaglio la questione della motivazione turistica ed il suo rapporto con la cultura moderna del leisure, il concetto di “carriera turistica” acquista una rilevanza centrale, perché introduce una variabile temporale nello sviluppo dei bisogni e delle motivazioni del soggetto. Questo aspetto, studiato da Goffman e da Maslow, delinea una struttura classificatoria di cinque livelli, che esprimono specifiche dimensioni psicologiche: bisogni fisiologici, di sicurezza, di amore e appartenenza, di autostima e di autoattualizzazione. Secondo Maslow questi livelli sono organizzati per scala ordinale, cosicché, per realizzare i bisogni più elevati, devono prima essere soddisfatti i livelli più bassi7.

Il turismo a interessi speciali basa la sua definizione su caratteristiche specifiche del viaggio, spesso definito “etico”, “appropriato” o “alternativo”. E’ un tipo di viaggio che include attività complesse e il coinvolgimento consapevole da parte del viaggiatore, che crea un incontro volto al rispetto e alla conservazione dell’ambiente naturale e socio-culturale del luogo. In questo senso può essere definito anche turismo culturale, per il desiderio di apprendere e vivere esperienze all’interno delle società ospitanti.

Questa tipologia di turismo si manifesta in cinque forme. La prima consiste nel turismo educativo, il quale, sulla scia del Grand Tour settecentesco, si pone vari scopi: soddisfa la curiosità riguardo popolazioni di altre lingue e culture, è stimolato dall’arte, la musica e il folklore, è attratto ad ambienti naturali, flora e fauna, subisce il fascino delle tradizioni culturali e dei siti storici. E’ un tipo di viaggio che segue un processo di consapevolezza e di crescita complessiva. Il desiderio di novità e di conoscenza ne rappresentano le motivazioni fondamentali e la guida turistica, in questo senso, svolge un duplice ruolo di fonte di informazioni e di insegnante-istruttuore.

Il turismo artistico e dei patrimoni culturali si può considerare un derivato del turismo culturale ed è motivato da interessi essenzialmente culturali, come i viaggi di studio, visite a siti e monumenti, escursioni naturistiche e pellegrinaggi. Questo tipo di turismo si alimenta sulla nostalgia del passato ed è dunque strettamente collegato con le tradizioni8.

Il turismo artistico si orienta invece sulle manifestazioni pittoriche, scultoree ed su ogni altra forma

7 Secondo questa gradazione, si parte da una ricerca di stimoli motivati da bisogni esterni, come la novità di siti, attività e luoghi. In questa fase la sfera dell’alimentazione e della preservazione corporea è molto importante. Si passa poi, sempre basandosi sui bisogni di sicurezza, all’interesse per la salute altrui. La tappa successiva si basa sulla motivazione all’amore e all’appartenenza. Il comportamento è mosso dal desiderio di stare con gli altri e di appartenere a un gruppo, per ricevere affetto e considerazione. La successiva dimensione è quella dell’autostima, perché l’individuo ha modo di sviluppare le proprie abilità, le proprie competenze ed interessi speciali. Il quinto livello è quello dell’autoattualizzazione, in cui il comportamento diventa del tutto auto diretto. Le motivazioni trascendentali diventano essenziali, come sentirsi parte dell’intero mondo, esprimere pace ed armonia, nonchè le proprie piene potenzialità. 8 Il turismo storico e il turismo delle tradizioni culturali locali sono due forme di questo tipo di viaggio. Il primo si attua di solito nel circuito museo-cattedrale, il secondo si riferisce alle tradizioni folkloriche, alle arti, all’artigianato all’etnostoria e ai costumi sociali.

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creativa del comportamento umano. I luoghi privilegiati sono le gallerie d’arte e i festival artistici, seguendo il forte richiamo della componente estetica e visuale.

Le motivazioni culturali di tali viaggi si collegano sicuramente a quelle del classico Grand Tour, ma con delle differenze. Quest’ultimo era un viaggio educativo e di formazione, con un percorso obbligato da seguire attraverso le grandi città artistiche dell’Europa: Italia e Francia, i resti dell’antichità classica e i centri del Rinascimento9. Durante l’Ottocento, il viaggio si nutre degli elementi del Romanticismo e prevale perciò la scelta di luoghi pittoreschi, suggestivi e dal forte impatto emotivo. Nel secolo successivo, il viaggio porta ad un’estensione della motivazione culturale: accanto all’aumento del reddito e del tempo libero, apre l’intero campo delle manifestazioni culturali alla grande massa. Il cambiamento rilevante consiste dunque nel fatto che si passa da una forma aristocratica ed elitaria del turismo ad una nuova modalità, che include una gamma di viaggiatori molto più ampia.

Il turismo etnico è quello su cui si indirizza maggiormente l’attenzione antropologica. Esso si determina dal desiderio di incontrare popoli “semplici”, perché si ritiene che i musei e i centri culturali non possano sostituire il diretto contatto umano. Questa tipologia include un tipo di viaggio “diverso”, in quanto spinto fortemente dalla ricerca di autenticità e dal desiderio di entrare nelle intime nervature della realtà di altri popoli.

Il turismo naturistico si basa invece su un viaggio orientato verso la natura e combina educazione, ricreazione ed avventura. Esso viene talvolta definito anche ecoturismo, perché implica un viaggiare in aree naturali quasi incontaminate con finalità di studio e fruizione di paesaggi, flora e fauna selvagge10.

Il turismo di avventura, sport e salute hanno, come motivazione comune, quella di migliorare la qualità individuale della vita, con una partecipazione attiva in siti extra-familiari.

Il turismo alternativo deriva da una nuova consapevolezza ecologica e da un orientamento del turista che si vuole impegnare in attività culturali, artigiane o di sport, col fine di realizzarsi e sviluppare la propria personalità. La ricerca di attività e di esperienze, il desiderio di autenticità e l’immersione in contesti culturali e naturali, marcano fortemente questo nuovo tipo di tempo libero come un serious leisure, la cui motivazione è finalizzata dall’autorealizzazione.

9 Per quanto ricche di storia e di patrimoni artistici, la Spagna e la Grecia erano escluse dal Grand Tour ed anche il soggiorno in Italia si fermava a Roma, senza spingersi mai oltre. L’immensa ricchezza culturale della Sicilia, ad esempio, venne scoperta molto più tardi e stimolata dalle spedizioni archeologiche dell’Ottocento.

10 Questo tipo di viaggio è definito come una sottoclasse del turismo alternativo, altri lo chiamano turismo etico,

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CAP. 2 CENNI STORICI SUL CAMMINO DI SANTIAGO.

Giacomo di Zebedeo, detto anche Giacomo il Maggiore, san Jacopo o Iacopo (... – Giudea 44), fu uno dei Dodici apostoli di Gesù. Figlio di Zebedeo e di Salomè, era il fratello di Giovanni apostolo. È detto "Maggiore" per distinguerlo dall'apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo, detto "Minore". Secondo i vangeli sinottici Giacomo e Giovanni erano assieme al padre sulla riva del lago quando Gesù li chiamò per seguirlo. Giovanni e Andrea furono, secondo il quarto vangelo, i primi discepoli di Gesù, che essi seguirono dopo che Giovanni Battista lo aveva indicato loro come il Messia. Il loro incontro avvenne subito dopo il battesimo di Gesù, probabilmente nell'anno 28. Ai due si unirono quasi subito i rispettivi fratelli, Giacomo e Simone (Pietro).

Nacque in seguito il collegio apostolico, Gesù ne costituì dodici che stessero con lui: Simone, al quale impose il nome di Pietro, fu scelto come primo, Giacomo di Zebedeo e suo fratello Giovanni come secondi.

In un'occasione i due fratelli chiesero a Gesù di essere i primi, al di sopra di Pietro (Matteo 20,23). Tutto ciò pare indicare il loro un temperamento volitivo ed un carattere forte e deciso. Per questo Gesù dette loro il nome di "Boanerghes", cioè “figli del tuono” nome che rispecchia l'indole ardente, schietta ed aperta dei due apostoli, nonchè l'inesauribile zelo di cui erano dotati. La veemenza dell’apostolo Giacomo e la sua perseveranza nella predicazione sono testimoniate nel Codice Calixtino (XII secolo), libro fondamentale della tradizione giacobea, che lo qualifica come "santo di mirabile forza, benedetto nel suo modo di vivere, stupefacente per le sue virtù, di grande ingegno, di brillante eloquenza”. (Cit. in: www.san giacomolevanto.org)

Negli avvenimenti chiave, che segnano la vita di Gesù, Giacomo viene scelto come testimone speciale. È uno degli eletti che assiste alla Trasfigurazione11 ed accompagnò Cristo nell'orto di Getsemani, dove si trovò di fronte alla sofferenza e all'umiliazione di Gesù, al suo aspetto più umano. Vide come il Figlio dell'Uomo si umiliò, facendosi obbediente fino alla morte e fu testimone della sua resurrezione. Queste circostanze indicano senza dubbio l'affetto che nutriva Cristo per questo Apostolo.

Dopo la crocefissione di Cristo, Giacomo il Maggiore, totalmente identificato con la dottrina del suo maestro, si convertì nel principale predicatore nella comunità di Gerusalemme, riscuotendo grande ammirazione per il fervore e la sincerità delle sue parole.

In quell'epoca si svolgeva un intenso commercio di minerali, tra cui l’oro e il rame, dalla Galizia alle coste della Palestina. Nei viaggi di ritorno venivano trasportati oggetti ornamentali, lastre di marmo, spezie ed altri prodotti comprati ad Alessandria ed in altri porti di grande importanza

11 L'episodio della trasfigurazione è narrato nei vangeli sinottici. Secondo questi testi Gesù, dopo essersi appartato con i Pietro, Giacomo e Giovanni, cambiò aspetto mostrandosi ai tre discepoli con uno straordinario splendore della persona e una stupefacente bianchezza delle vesti. (Cit. in: www.sangiacomolevanto.org).

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commerciale.

Si pensa dunque che l'Apostolo abbia realizzato il viaggio dalla Palestina alla Spagna in una di queste navi, sbarcando nelle coste dell'Andalusia, terra in cui cominciò la sua predicazione. Proseguì la sua missione evangelizzatrice a Coimbra e a Braga, passando, secondo la tradizione, attraverso Iria Flavia, nel Finis Terrae ispanico, dove proseguì la predicazione.

Il ritorno in Terra Santa si svolse lungo la via romana di Lugo, attraverso la Penisola, passando per Astorga e Zaragoza dove, sconfortato, Giacomo ricevette la consolazione della Vergine che, sulle rive del fiume Ebro, gli chiese di costruire una chiesa in quel luogo12. Questo avvenimento servì per spiegare la fondazione della Chiesa di Nuestra Señora del Pilar a Zaragoza, oggi basilica ed importante santuario mariano del cattolicesimo spagnolo. Da questa terra, attraverso l'Ebro, San Giacomo probabilmente si diresse a Valencia, per imbarcarsi poi in un porto della provincia di Murcia o in Andalusia e far ritorno in Palestina tra il 42 ed il 44 d.C..

Ormai in Palestina, Giacomo, assieme al gruppo dei "Dodici", entrò a far parte delle colonne portanti della Chiesa Primitiva di Gerusalemme, ricoprendo un ruolo di grande importanza all'interno della comunità cristiana della Città Santa. In un clima di grande inquietudine religiosa, dove di giorno in giorno aumentava il desiderio di sradicare l'incipiente cristianesimo, fu rigorosamente proibito agli apostoli di predicare. Giacomo tuttavia, disprezzando tale divieto, annunciava il suo messaggio evangelizzatore a tutto il popolo, entrando nelle sinagoghe e discutendo la parola dei profeti. La sua gran capacità comunicativa, la sua dialettica e la sua attraente personalità, fecero di lui uno degli apostoli più seguiti nella sua missione evangelizzatrice. Erode Agrippa I, re della Giudea, per placare le proteste delle autorità religiose ed assestare un duro colpo alla comunità cristiana, lo scelse in quanto figura assai rappresentativa e lo condannò a morte per decapitazione. In questo modo egli diventò il Primo Martire del Collegio Apostolico. Il suo martirio è l'ultima notizia tratta dal Nuovo Testamento13. (Cit. in: www.san giacomo levanto.org). Lo scriba Josias, incaricato di condurre Giacomo al supplizio, fu testimone del miracolo della guarigione di un paralitico che invocava il santo. Josias, turbato e pentito, si convertì al

12 La Virgen del Pilar, è il titolo con cui è venerata Maria, in Spagna. La Vergine, venerata presso il santuario omonimo di Saragozza, è considerata la patrona della Spagna. La parola pilar nella lingua spagnola significa letteralmente

pilastro. La leggenda narra che la Vergine nell'anno 39 si recò a Saragozza da Gerusalemme per confortare l'Apostolo

Giacomo, deluso dall'inefficienza della sua predicazione. Vicino alle sponde del fiume Ebro, gli donó il pilastro, chiedendogli di edificare un tempio in suo onore nelle vicinanze. Si dice che il pilastro fu posto da San Giacomo nello stesso punto nel quale si trova oggi e che nonostante il tempio abbia subito vari cambiamenti e vicissitudini, tra cui un incendio, il pilastro si sia conservato nei secoli. Si tratta di una colonna romana di diaspro, attualmente ricoperta di bronzo ed argento; solo nella parte posteriore della cappella è stato adibito un piccolo spazio dove è permesso di toccare, baciare e venerare la colonna originale. (Cit. in: .www.wikipedia.org/wiki/Nostra Signora del Pilar).

13 Riguardo le fonti storiche, non esistono riferimenti archeologici riferibili con assoluta certezza alla vita e all'operato di Giacomo e nemmeno riferimenti diretti in opere di autori antichi non cristiani. Le fonti a cui fare riferimento sono di due tipi: i testi del Nuovo Testamento, in particolare i quattro vangeli canonici e gli Atti degli apostoli, che contengono gli unici riferimenti diretti alla vita di Giacomo e alcuni accenni contenuti negli scritti di alcuni Padri della Chiesa. Al pari degli altri personaggi neotestamentari, la cronologia e la vita di Giacomo non ci sono note con precisione. (Cit. in: www.sangiacomolevanto.org).

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