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Brothers of Arms: l'alleanza militare italo-britannica nel Primo Conflitto Mondiale.

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Brothers of arms: l’alleanza militare italo-britannica nel Primo Conflitto Mondiale

“Forgotten front”, il fronte dimenticato, è la definizione più diffusa nella storiografia straniera per definire le vicende della Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano.1 Sebbene questo possa urticare l’amor proprio nazionale, la guerra italiana fu considerata, allora e dopo, una forma diversiva e una soluzione di alleggerimento rispetto al ben più rilevante fronte occidentale e, almeno fino al 1917, anche a quello orientale.

Solo lentamente prese corpo l’orizzonte strategico di un unico fronte che andasse “ da Nieuport a Venezia”, e ancor più faticoso fu maturare e accettare il principio dell’unità di comando.2 Le gelosie e gli interessi nazionali erano forti in un grado prevalente. Come scrisse Lloyd George: “In entrambi i paesi (Francia e Gran Bretagna) i capi militari sembrarono non aver mai avuto quello che avrebbe dovuto essere il loro pensiero dominante, e cioè che erano impegnati, insieme con la Russia, in un’impresa nella quale era di vitale importanza, per il raggiungimento del comune scopo, che mettessero insieme le loro risorse e ognuno di essi fosse posto nella migliore condizione possibile per contribuire da parte sua al conseguimento di tale scopo.” 3

Va detto che un’alleanza di guerra nella quale condividere i rischi connessi al conseguimento degli scopi di guerra non solo propri ma anche degli alleati era un panorama ideale e politico inedito, al quale la leadership italiana non era comprensibilmente abituata né incline. Per rintracciare dei precedenti di analoghe sperimentazioni bisogna risalire alle coalizioni antinapoleoniche di un secolo prima. Com’è noto ce ne vollero sette di esse per sconfiggere Bonaparte, e la loro vita politica e militare, fino a Waterloo, fu sempre molto complicata. La più recente memoria di un’alleanza di guerra per la classe dirigente italiana, con gli stessi interlocutori, era stata quella anglo-franco-sarda del 1855, che avrebbe condotto alla guerra di Crimea.4 Tutte esperienze che non avevano poi funzionato così bene.

Anche l’Italia tardò a comprendere la mondializzazione del conflitto e continuò a lungo a credere di poter combattere la “sua” guerra contro i “suoi” nemici. La formula della “nostra guerra” si rivelò inadeguata rispetto alla sfida titanica che era stata ingaggiata. La classe politica non ritenne di poter affrontare l’impopolarità e i pericoli delle conseguenze di una dichiarazione di guerra alla Germania, verso la quale effettivamente non vi erano mai state sostanziali ragioni di dissenso, trascurando la penosa impressione che così suscitava negli Alleati, che conservarono sempre verso di essa una diffidenza di fondo. In definitiva il costo di questa prudenza, in fin dei conti del tutto sterile, fu alto. La diffidenza nei confronti dell’alleato italiano fu sempre sottilmente pervasiva delle

1 Cfr. G. H. C

ASSAR,The forgotten front: Britain and the Italian campaign, 1917-1918, Hambledon Press, London,

1998; M.M. EVANS, Forgotten battlefronts of the First World War, Sutton Publishing, Stroud, Gloucestershire 2003: J.

R. SHINDLER, Isonzo: the forgotten sacrifice of the Great War, Praeger, Westport 2001.

2 Sulla dinamica della collaborazione militare: A. G

IONFRIDA, L’Italia e il coordinamento militare “Interalleato” nella

Prima Guerra Mondiale, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 2008.

3L

LOYD GEORGE, Memorie di guerra, Mondadori, Milano 1933, vol. I, p. 208.

4

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 15 maggio 1918, I Documenti Diplomatici Italiani, (di seguito DDI), V serie, vol. X, n. 697, p. 561.

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relazioni comuni e a tratti, soprattutto da parte francese, oltrepassò la soglia delle regole del rispetto reciproco.5

Le caratteristiche della nuova grammatica strategica disvelata da questa guerra provocarono un’acuta sorpresa in tutti i responsabili politici e militari. Non più guerra di movimento, non azioni in campo aperto, non azioni avvolgenti delle fanterie e cariche di cavalleria. Le mitragliatrici e l’artiglieria pesante avevano inchiodato gli uomini nelle trincee. Non più campagne lunghe una stagione, costellate di alcune battaglie, ma una lunga guerra di quattro anni.

Fino alla Prima Guerra Mondiale, “The Great War” era stata per i britannici la stagione napoleonica, “der grosse Krieg” era per i tedeschi la Guerra dei Trent’anni.6 Per i contemporanei divenne subito la Grande Guerra, ma già al tempo dell’armistizio un corrispondente di guerra britannico, Charles à Court Repington, diede al suo libro di memorie di guerra il titolo: “La Prima Guerra Mondiale”.7

Essa fu in primo luogo una guerra industriale, una grande e selvaggia “battaglia di materiali”. Solo la robustezza del tessuto industriale di ogni paese poteva garantire la capacità di resistere un poco più a lungo dell’avversario e strappare la vittoria. Il gesto industriale principale era significativamente rappresentato dallo sforzo di produzione dell’artiglieria pesante. Fu soprattutto questo sistema d’arma a fornire la suprema declinazione tattica del primo conflitto mondiale.8

Queste considerazioni di carattere strategico e industriale indussero già nel mese di giugno 1915, il primo di guerra italiana, l’ambasciatore a Londra, Imperiali,9 a richiedere alla Gran Bretagna il maggior numero di mitragliatrici possibile, ma la risposta fu negativa perché, in quel momento, anche quell’esercito difettava della necessaria quantità di questo sistema d’arma che si era rivelato così centrale.10 La difficoltà nell’accettare il rifiuto originava soprattutto dall’evidenza che il materiale era stato già pagato e ordinato prima dello scoppio del conflitto.11

La reazione del ministro degli esteri Sidney Sonnino non si faceva attendere: “…bisogna essere da ora in là inesorabili nel non permettere alle nostre fabbriche la fabbricazione e l'esportazione di materiali di guerra nemmeno per gli alleati, anche se si tratta di cose di cui noi non facciamo uso; altrimenti le fabbriche confezionano quelle invece di lavorare per il nostro armamento. Daneo12 mi

5 Su quest’argomento: L. R

ICCARDI, Alleati non amici. Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesa durante la prima guerra mondiale. Morcelliana, Brescia 1992, e: L. ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica, Mondadori, Milano 1937.

6 Cfr. V. G. L

IULEVICIUS, War Land on the Eastern Front: Culture, National Identity, and German Occupation in

World War I, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 39.

7 C. à C. R

EPINGTON,The first world war, 1914-1918: personal experience, Constable, London 1920.

8

Cfr. R. SMITH, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, il Mulino, Bologna 2009, p. 175.

9 Guglielmo Imperiali di Francavilla (1858-1944), ambasciatore italiano a Londra per tutta la durata del conflitto, firmò

per l’Italia il trattato di pace di Versailles.

10 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 23 giugno 1915, DDI, V serie, vol. IV, n. 246, p. 146, e Imperiali a Salandra,

Londra, 7 luglio 1915, DDI, V serie, vol. IV, n. 364, p. 217. Sulla collaborazione militare tra Italia e Gran Bretagna nella Prima Guerra Mondiale si veda: M. GABRIELE, Gli Alleati in Italia durante la Prima Guerra Mondiale (1917-1918), Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 2008, e: J. and E. WILKS,The British Army in Italy. 1917-1918, Leo Cooper, Barnsley, 1998.

11

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 8 luglio 1915, DDI, V serie, vol. IV, n. 371, p. 220.

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raccontava stamane di permessi dati per l’invio in Francia di campioni di mitragliatrici diverse dalle nostre.”13

Sebbene non ancora coronati da nessun significativo successo territoriale, gli sforzi militari italiani avevano bene impressionato gli alleati occidentali, e, a un anno dall’inizio del conflitto, Lloyd George, a quest’epoca ministro della guerra, formulava un lusinghiero complimento ad Imperiali esprimendo:

“… in termini calorosi la sua profonda ammirazione per la splendida resistenza delle nostre truppe nel Trentino osservando l'Italia poter oggi, dopo un anno di guerra, vantarsi di disporre di un esercito eccellente, comandato alla perfezione da un uomo superiore. La resistenza francese a Verdun e quella italiana nel Trentina, il contegno ammirevole delle rispettive truppe e nazioni, in momento per fortuna ora già passato ma indubbiamente critico, sono venuti in buon punto a dimostrare che, contrariamente alla credenza generale, l'antica razza latina possiede anch'essa, in grado uguale a quello nordico, la calma, il sangue freddo e l'indomita determinazione necessarie per trasformare in vittoria un temporaneo insuccesso.” 14

Nel frattempo, e precisamente nell’agosto del ’16, maturava la conquista di Gorizia nel corso della sesta battaglia dell’Isonzo. A questo punto, il ministro della guerra britannico cominciava a intravedere un orizzonte di collaborazione militare e per il futuro anche politica, italo-britannica, in funzione della quale formulava un invito a Sonnino per raggiungerlo a Londra qualche giorno per delle conversazioni senza i francesi.15

Nell’inverno del ’16, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte dell’Italia, Lloyd George invitava Cadorna, per il tramite dell’ambasciatore Imperiali, qualora avesse avuto in programma un’azione offensiva per la presa di Trieste e magari di Pola, a rivolgere una richiesta formale alla Gran Bretagna per l’invio di artiglieria pesante, al momento inoperosa in Francia, con i relativi artiglieri.16 Sonnino si dimostrava sensibile e interessato a quest’offerta che, pur non significando certamente questo l’esaltazione del fronte italiano nella grande strategia alleata, comunque rappresentava un gesto concreto e indubbiamente positivo.17

Una personale convinzione di Lloyd George, che cercò di attuare da quando divenne primo ministro, nel dicembre del ’16, era di poter vantaggiosamente sferrare un colpo agli Imperi Centrali intervenendo a sostegno di una grande offensiva sul fronte italiano. Egli era convinto che l’esercito italiano si fosse battuto con grande valore fino a quel momento, conseguendo risultati anche migliori dei franco-britannici, e su un terreno più sfavorevole. Ma la scarsità del parco di artiglieria, soprattutto nel suo segmento pesante, se paragonato con quello austriaco, impediva lo sfondamento decisivo.18 Quest’opinione fu sostenuta nella conferenza interalleata di Roma, nel gennaio del ’17, e fu supportata dall’ipotesi d’invio di artiglierie pesanti fornite dagli alleati, ma incontrò la freddezza dello stato maggiore francese e britannico, nonché, in modo apparentemente paradossale, dello

13 Cfr. Sonnino a Salandra, Roma, 25 luglio 1915, DDI, V serie, vol. IV, n. 473, p. 285. 14 Imperiali a Sonnino, Londra, 18 giugno 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 3, p. 3. 15

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 23 dicembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 894, p. 650-651.

16 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 23 dicembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 893, pp. 659-660. Sull’evoluzione dei

sistemi d’arma britannici in questo periodo: S. BIDWELL, D. GRAHAM, Fire-Power: British Army Weapons and Theories of War, 1904-1945, Allen & Unwin, Londra 1982.

17

Cfr. Sonnino a Boselli, Roma, 25 dicembre 1916, DDI, V serie, vol. VI, n. 908, p. 649.

18 Cfr. L

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stesso governo italiano.19 All’esito del progetto non fu peraltro estraneo il cattivo stato delle elazioni franco-britanniche in quel preciso momento storico.20

In una nota sull’impiego eventuale di contingenti alleati sul fronte italiano, così il generale Luigi Cadorna scriveva a Sonnino nel gennaio del ‘17:

“L'esercito italiano non ha i mezzi necessari e sufficienti per condurre una violenta e potente offensiva sulla fronte dell'Isonzo… Il concorso degli alleati è adunque indispensabile per attaccare a fondo sulla fronte dell'Isonzo e poter raggiungere l'obiettivo di Trieste e le Alpi Giulie…

Il concorso degli alleati potrebbe consistere od in sole artiglierie, od in artiglierie insieme con un certo numero di grandi unità.

Il concorso di sole artiglierie avrebbe un valore grandissimo, perché l'esercito italiano avrebbe modo: a) di dare alle operazioni avanti a Gorizia l'impulso indispensabile per operare decisamente e d'accordo colle operazioni che si svolgono sul Carso;

b) permettere contemporaneamente un'energica offensiva nel Trentino, mettendo così in valore le numerose fanterie che si trovano colà a scopo difensivo.

La misura del concorso in artiglierie non dovrebbe… essere inferiore ai trecento pezzi di grosso e medio calibro; quello delle grandi unità, nel secondo caso, dovrebbe consistere in almeno otto divisioni di fanteria.” 21

A fine febbraio Sonnino, in conformità a ricorrenti segnali di un’imminente offensiva austro-tedesca, spingeva ulteriormente con la Gran Bretagna per la fornitura in parola di cannoni e del relativo personale.22 In effetti, nella visita che il generale britannico William Robertson, capo dello Stato Maggiore Imperiale, rese sul fronte italiano a marzo, questi, pur nel generale apprezzamento per lo strumento militare italiano, concordò con Cadorna che vi fosse un deficit nelle artiglierie di medio calibro e pesanti, cosa alla quale gli anglo-francesi avrebbero potuto contribuire per porre rimedio.23 In aprile una comunicazione ufficiale rendeva nota la disponibilità del governo britannico a prestare: “dieci batterie artiglieria pesante campale, su quattro pezzi ciascuna di obici da sei pollici, cioè corrispondenti a centocinquantadue millimetri, complete di personale e munizionamento.” 24

Con l’uscita sostanziale della Russia dal conflitto Cadorna si preoccupava dell’eventualità che si potesse produrre un irrobustito sforzo bellico nemico sul fronte italiano. Nel secondo anno di guerra, e in previsione di un’offensiva austro-tedesca, il comandante italiano premeva presso il governo perché si procurasse presso il rispettivo ministero britannico e francese il maggior quantitativo possibile di munizionamento per artiglieria di medio e grosso calibro.25 Il generale Robertson si dichiarava pronto a soddisfare le richieste italiane di munizionamento ma non di artiglierie, per le quali invitava a rivolgersi alla Francia, che avrebbe potuto fornire certamente degli ottimi cannoni da 75.26

19

Cfr. GIONFRIDA, 2008, pp. 60-62.

20 Sull’argomento: W. P

HILPOTT, Anglo-French Relations and Strategy on the Western Front, 1914-1918, Palgrave

Macmillan, Londra 1996.

21 Cadorna a Sonnino, Udine, 17 gennaio 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 113, p. 78. 22

Cfr. Sonnino a Imperiali, Roma, 23 febbraio 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 360, p. 266.

23 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 31 marzo 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 623, p. 462.

24 Sonnino a Imperiali, Roma, 7 aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 668, p. 493, e cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 9

aprile 1917, DDI, V serie, vol. VII, n. 683, p. 506.

25

Cfr. Sonnino a Imperiali e Salvago Raggi, Roma, 21 maggio 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 44, p. 30.

(5)

A fronte delle richieste italiane di zone d’influenza in Asia Minore dopo il conflitto, la Gran Bretagna condizionava tali aspirazioni a un maggior contributo militare italiano sia in Palestina sia a Salonicco.27 Cadorna replicava di essere nell’impossibilità di distrarre forze dal fronte interno. Per inviare delle unità in Palestina, si sarebbe potuto far ricorso alle forze di stanza in Libia o in Eritrea, ma escludeva di poterli prelevare dalle forze presenti in Macedonia.28

Allo scopo di realizzare un’offensiva prevista nella prima decade di agosto, Cadorna riteneva di abbisognare di circa 300 pezzi d’artiglieria e del relativo munizionamento da parte alleata.29 Ma Lloyd George, che pure sarebbe stato personalmente favorevole ad un vigoroso sforzo alleato contro l’Austria, dubitava che, in previsione di un’offensiva sul fronte occidentale, ci si potesse e volesse privare di 300 pezzi di artiglieria.30

Nello stesso mese, dopo le operazioni militari note come l’undicesima battaglia dell’Isonzo,31Lloyd George, spinto anche dall’ambasciatore britannico in Italia, sir James Rennell Rodd, si diceva pronto a inviare una quantità d’artiglieria necessaria a un’azione offensiva risolutiva di Cadorna.32 E’ comprensibile quindi la penosa impressione suscitata dal telegramma di Cadorna che comunicava la sospensione delle operazioni offensive sul fronte italiano fino alla primavera successiva, in considerazione della fornitura appena eseguita di cento cannoni, concepita nel quadro di un’azione interalleata di ampio respiro strategico, nel quale il supporto italiano e il sostegno allo sforzo italiano s’iscrivevano coerentemente.33

Il supremo comandante italiano giustificava la sua decisione rilevando l’afflusso crescente di rinforzi austriaci in uomini e mezzi, particolarmente di artiglierie, e sosteneva la comunque incontestabile efficacia di “…un atteggiamento energicamente potenziale…” delle forze italiane che costringevano i nemici a immobilizzare in ogni caso una considerevole quantità di forze, contribuendo in tal modo allo sforzo comune degli alleati. Né il contributo di cento cannoni pesanti avrebbe potuto indurre ad adottare decisioni differenti.34

La reazione del Capo di Stato Maggiore Imperiale era energica e brusca e pregava, ma sarebbe più corretto dire che ingiungeva, al generale Cadorna di ritirare e restituire alla Gran Bretagna le sedici batterie di obici britannici inviate per scopi offensivi, e rese a suo avviso inutili dal contegno difensivo annunciato dal comandante italiano.35 Il tono della missiva era definito da Cadorna addirittura “insolente”.36

La replica del generale italiano non si faceva superare in assertività e, disponendo il rinvio delle artiglierie in Gran Bretagna, stigmatizzava il tono della missiva rivendicando per sé solo la piena

27 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 15 giugno 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 348, p. 226. 28

Cfr. Cadorna a Sonnino, Comando Supremo, 17 giugno 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 474, p. 238.

29 Cfr. Cadorna a Sonnino, Zona di Guerra, 5 luglio 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 545, p. 350. 30 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 6 luglio 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 557, p. 359. 31 Cfr. P. P

IERI, L’Italia nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918), Einaudi, Torino 1968, pp. 134-137.

32

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 31 agosto 1917, DDI, V serie, vol. VIII, n. 1017, pp. 689-690.

33 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 22 settembre 1917, in: S. S

ONNINO, Carteggio, 1916/1922, Laterza, Bari 1975, pp.

296-297.

34 Sonnino a Salvago Raggi, Carlotti e Borghese, Roma, 24 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 111, pp. 76-77. 35

Cfr. Sonnino a Borghese, Roma, 26 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 121, p. 84.

36 Ibidem. Sulla vicenda vedi anche: L. C

(6)

titolarità a giudicare la situazione militare, nell’interesse non solo italiano, ma anche dello sforzo integrato degli alleati.37

Sonnino si univa ai sentimenti di Cadorna, dolendosi che una mossa avventata di Robertson rischiasse di mettere a repentaglio la cooperazione militare italo-britannica, recentemente riaffermata nella conferenza di Londra.38 Il ministro italiano, peraltro, difendeva la scelta strategica del supremo comandante italiano, adducendo notizie fondate di continuo concentramento di artiglierie nemiche sul nostro fronte e dall’aggravarsi della situazione russa, fattori che oggettivamente obbligavano ad un contegno difensivo, anche in ragioni di economia interna del così prezioso munizionamento.39

Il generale britannico, tuttavia, non aveva ritenuto probabile un’offensiva austriaca sul fronte italiano, e aveva deciso di ritirare gli obici anche in virtù del loro valore precipuamente offensivo, sebbene conservasse la speranza che il Comando Supremo ritornasse sulla sua decisione di sospendere le attività offensive.40 Lord Derby, ministro della guerra succeduto a Lloyd George, tuttavia, in un colloquio con l’incaricato d’affari Borghese, assicurava che questi movimenti s’iscrivevano nel concetto di fronte unico e prometteva di rinviare le batterie in primavera, eventualmente anche in maggior numero.41 A questo scopo lo stesso Robertson si dichiarava disposto a lasciare per il momento cinque delle sedici batterie britanniche.42

I successivi sviluppi militari erano destinati a dar ragione a Cadorna. Si era alla vigilia di Caporetto. Già il 25 ottobre, giorno successivo alle prime informative sulla rottura del fronte, il generale italiano scriveva al collega britannico comunicandogli le prime azioni di quest’offensiva austriaca, significativamente irrobustita da forze prelevate dal fronte romeno, nonché da numerose unità tedesche, eventi rispetto ai quali egli non poteva che “deplorare” di non potere contare anche sulle artiglierie alleate appena prelevate, sottolineando con forza come non fossero in gioco solo i destini dell’Italia, ma di tutta l’Intesa.43

Il giorno ventisei il supremo comandante italiano era costretto a scrivere al generale Robertson comunicandogli la rottura del fronte, le previsioni di ripiego per successive e preordinate linee di resistenza e soprattutto rilevando: “ …l’utilità somma dell’intervento diretto alleato nella misura concordata o anche in maggiore misura…” 44 Viva e subitanea fu la preoccupazione di Lloyd George per la piega presa dagli avvenimenti.45

Il 27 ottobre, di fronte all’inequivocabile gravità della situazione militare, Sonnino invocava l’aiuto degli alleati, esortandoli a procedere con l’invio di contingenti, secondo gli accordi intercorsi in seno agli organismi di cooperazione militare.46

37 Ibidem. 38

Sonnino a Cadorna, Roma, 26 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 126, pp. 86-87. Cfr. anche GIONFRIDA, 2008, pp. 71-72.

39 Cfr. Sonnino a Salvago Raggi e Borghese, Roma, 28 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 129, p. 88. 40 Cfr. Borghese a Sonnino, Londra, 29 settembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 132, p. 91.

41

Ibidem.

42 Cfr. Borghese a Sonnino, Londra, 2 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 145, p. 98. 43 Cfr. Sonnino a Imperiali, Roma, 25 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 278, pp. 198-199.

44 Sonnino a Imperiali e Salvago Raggi, Roma, 26 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 310, pp. 220-221. 45

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 26 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 285, p. 203.

(7)

Come un colpo di tuono, il 28 ottobre giungeva, o meglio si abbatteva sul Paese e sugli alleati, il bollettino di Cadorna che, tacciando di viltà alcuni reparti della II armata, comunicava l’invasione da parte del nemico del “sacro suolo della patria”.47

L’ambasciatore a Londra, Imperiali, cercò inutilmente di impedire la pubblicazione del testo del bollettino del Comando Supremo e di far passare invece il testo di un comunicato del ministro Scialoja, di forma più indulgente verso il comportamento delle truppe, come unico ed autentico atto ufficiale del Governo, operazione, questa, che riuscì solo parzialmente.48

I commenti della stampa britannica s’improntarono all’imperativo che l’Italia avrebbe dovuto essere aiutata a qualunque costo.49 Lord Derby, d’altra parte, rassicurava Imperiali sull’invio dei rinforzi britannici, ma chiedeva anche di essere rassicurato sulla tenuta morale delle truppe italiane.50 Il bollettino di Cadorna aveva sortito il temuto effetto!51

In effetti, il 28 ottobre il generale Robertson disponeva l’invio di due divisioni britanniche.52 La sera dello stesso giorno partiva per l’Italia per discutere con il Comando Supremo il coordinamento dell’aiuto britannico.53 Dopo una visita al fronte il comandante britannico incontrava a Roma Sonnino, al quale comunicava la sua impressione di reversibilità della situazione militare a condizione di un granitico e collettivo atto di volontà degli ufficiali e delle truppe, nonché della punizione e riorganizzazione dei reparti giudicati responsabili della rotta.54

L’opinione pubblica britannica fu scossa dal bollettino e vivamente preoccupata per le sorti dell’alleata. L’ambasciatore italiano fu esortato a concedere interviste e rilasciare dichiarazioni sulla “saldezza di propositi dell’Italia”.55 Cominciarono tuttavia ad apparire anche accenni polemici della stampa inglese che alludevano alla scarsa entità delle forze austro-tedesche e alle presunte responsabilità delle autorità militari britanniche.56

Sonnino ebbe a stigmatizzare il tenore del bollettino di Cadorna, poiché conferendo così tanta enfasi ai limiti delle forze italiane rischiava di demotivare gli alleati sull’utilità e l’opportunità di inviare aiuti in Italia e, poiché difficilmente si fanno sacrifici per chi non si aiuta da sé, si correva il pericolo di venire trattati come la Russia, disperdendo il capitale di simpatia, stima e solidarietà, che erano così importanti per il momento corrente e ancor di più al tavolo della pace.57 A questo scopo il ministro degli esteri italiano invitava i rappresentanti diplomatici all’estero a diffondere la comunicazione che, nonostante il non felice momento delle armi, il Paese confidava “…nel valore

47 Cadorna a Brusati, Boselli, Sonnino, Giardino, Del Bosco, Scialoja e Thaon di Revel, Zona di guerra, 28 ottobre

1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 299, pp. 213-214.

48 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 28 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 301, pp. 215-216. 49

Ibidem.

50 Ibidem.

51 Per l’evoluzione militare si veda: G. B

ERTI, P. DEL NEGRA, (a cura di), Al di qua e al di là del Piave: l’ultimo anno della Grande Guerra, F. Angeli, Milano 2001.

52

Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 28 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 306, p. 218.

53 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 30 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 319, pp. 228. 54 Cfr. Sonnino a Orlando, Roma, 1 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 341, p. 237. 55 Imperiali a Sonnino, Londra, 29 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 315, pp. 223-224. 56

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 31 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 337, pp. 235-236.

57 Cfr. Sonnino a Cadorna, Roma, 30 ottobre 1917, in: S

(8)

delle nostre truppe provato in oltre due anni di guerra, (dando) mirabile esempio di calma, di compattezza, di severa concordia.”58

Il I novembre intercorreva una grave telefonata tra re Giorgio e l’ambasciatore Imperiali. Il sovrano intendeva esprimere i suoi sentimenti di solidarietà e vicinanza nel momento del grave rovescio militare italiano, augurando fiducioso una pronta reazione.59 Ma, dopo le espressioni di stile e di rito, il sovrano britannico, secondo il suo noto costume di franchezza, passava a informarsi sullo stato d’animo del Paese e sulla sua tenuta morale. Rassicurato su questi aspetti e pagato anche questo tributo alla forma, il re esprimeva in tutta schiettezza la pena che l’evento militare della rottura del fronte italiano gli aveva provocato, più di qualunque altro evento del conflitto fino a quel momento, per poi farsi portatore delle comuni voci circolate presso l’opinione pubblica sulle ragioni del disastro: le forze italiane e il suo comandante erano perfettamente all’altezza della situazione, il numero dei nemici doveva essere assai inferiore a quanto si sosteneva, dunque tutto era riconducibile a una forma di defezione morale specifica del IV corpo d’armata, intossicato dalla propaganda socialista neutralista e da quella clericale e composto soprattutto da meridionali.60 Naturalmente Imperiali, meridionale egli stesso, respingeva con forza queste opinioni rivendicando l’onore e l’eroismo dei soldati del sud fino a quel momento ampiamente dimostrati. Re Giorgio replicava che intendeva riferirsi non al loro valore ma alla loro maggiore fragilità di fronte alla propaganda contro la guerra e comunque esprimendo il suo apprezzamento per il generale Cadorna che aveva saputo mantenere il sangue freddo in un momento simile.61

L’opinione del sovrano, d’altra parte, era stata indotta dalle reazioni generate dal “fatale bollettino” e dalle conseguenti voci di tradimento del IV corpo d’armata.62

Il 3 novembre, in un telegramma indirizzato eloquentemente dall’“Italia”, Cadorna comunicava a Orlando di non poter tenere la linea del Tagliamento, a causa delle sue acque basse, e di voler giocare “l’ultima carta” sul Piave se lo spirito delle truppe lo avesse consentito, poiché ulteriori ritirate sarebbero equivalse allo sfacelo e al disonore dell’esercito.63 Il generalissimo non rinunciava quindi all’interpretazione della rotta come sciopero militare e non come errore militare.64

Imperiali, tuttavia, non nascondeva che, presso la stampa, si poteva osservare come il capitale di stima e credito accumulato in due anni, fosse stato disperso dalla rotta di Caporetto,65 e che cominciasse anche ad apparire qualche critica all’eccessiva misura, in special modo in Adriatico, degli scopi di guerra dell’Italia.66 A suo avviso era assolutamente necessario un comunicato ufficiale italiano che smentisse le voci insistenti che le forze austro-tedesche penetrate in Italia

58

Sonnino ai Rappresentanti Diplomatici all’Estero, Roma, 30 ottobre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 322, pp. 229.

59 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 1 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 345, pp. 239-241.

60 Ivi. Quest’ultimo luogo comune era particolarmente odioso e smentito dalla realtà. Il IV corpo d’armata era composto

in egual misura da meridionali e settentrionali. Del resto questo resta ancor oggi un pregiudizio diffuso, vedi: D.

STEVENSON, La grande guerra, Mondadori, Milano 2004, p. 276.

61Ibidem.

62 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 1 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 346, p. 242. 63 Cfr. Cadorna a Orlando, Italia, 3 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 359, p. 250. 64

Su Caporetto: M. ISNENGHI, G.ROCHAT, La Grande Guerra, 1914-1918, il Mulino, Bologna 2008, pp. 359-408, P.

MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra, 1915-1918, Laterza, Bari 1969, pp. 389-458, e P. PIERI,La Prima

Guerra Mondiale 1914-1918, problemi di storia militare, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 1986, pp. 213-317.

65

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 4 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 369, p. 256.

(9)

fossero di modesta entità: “Occorre, urge, che non abbia ad accreditarsi presso questo grosso pubblico l'impressione certamente falsa ed assurdama pur a lungo andare difficile a cancellarsi che l'unica causa dei nostri rovesci è stata non il soverchiante nemico ma la codardia e il tradimento”. 67 L’ambasciatore italiano, peraltro, intravvedeva concreti pericoli, nel caso in cui non fossero intervenuti atti ufficiali, che l’opinione pubblica britannica maturasse una certa ostilità all’eventuale ulteriore invio di altre forze, e che, una volta ottenuta la vittoria, essa potesse rinfacciare il salvataggio non solo materiale ma anche morale del nostro Paese.68

Imperiali individuava due correnti nella stampa britannica, le cui posizioni erano sostanzialmente riconducibili al dissenso tra Lloyd George e Robertson, e quindi ai sostenitori dell’uno o dell’altro:

“Gli articoli sviluppano due opposti punti di vista. L'uno riconosce: l) la preponderanza delle forze nemiche operanti contro di noi; 2) la subitanea rapidità dell'attacco; 3) la stretta relazione di dipendenza fra il nostro scacco e l'estremo decadimento bellico della fronte russa; 4) la necessità di trasformare immediatamente il nostro fronte in fronte principale alleato; 5) l'occasione per formulare recriminazioni contro l'opposizione fatta dallo Stato Maggiore all'iniziativa del Signor Lloyd George, ritenuto avveduto fautore della predetta teoria, ancora molto prima degli sciagurati eventi.

L'altro concetto è l'opposto. La sciagura sarebbe dovuta l) non a forze soverchianti nemiche, ma allo scarso e codardo animo di reparti dell'esercito italiano, il quale sarebbe stato ritenuto in ogni epoca dallo stesso nostro Comando Supremo in piena efficienza ed in forze adeguate a resistere all'eventuale concentrato attacco nemico; 2) che pertanto ogni progetto d'invio sul nostro fronte di forti contingenti alleati non avrebbe risposto a necessità; 3) che anzi detta tendenza avrebbe prodotto disperdimento di forze a scapito del vittorioso fronte occidentale; 4) che sarebbe fatale seguire questo concetto, se non, beninteso, nella sola eccezione d'inviare in Italia, nel momento attuale, le truppe indispensabili per arrestare il nemico; 5) che da tutti questi argomenti risulta in modo evidente l'assenza di qualsiasi responsabilità dei paesi alleati nello scacco italiano…Ora, sfortunatamente, le due teorie si trovavano ad essere sostenute, in contrapposizione, dal Signor Lloyd George e dal Generale Robertson, le cui divergenze di vedute e di ·carattere si erano andate delineando sempre più in questi ultimi tempi, tanto da far correre la voce di una non lontana sostituzione del capo di Stato Maggiore. Donde, e com'era del resto naturale, il rovescio italiano è servito malauguratamente di potente argomento agli attacchi ed alle difese dei giornali partigiani dell'uno e dell'altro personaggio.” 69

Finalmente, il 14 novembre, l’ambasciatore Imperiali riceveva dei dati ufficiali per i quali le divisioni tedesche sulla fronte Giulia erano sei, quattro provenienti dal fronte orientale e due dal fronte francese, ed in più erano previste altre 4 in arrivo dal fronte orientale, per complessive 12 divisioni sottratte al fronte orientale.70 Nel complesso questi dati concordavano, anche se non perfettamente, con quelli pervenuti il 16 novembre a Sonnino e forniti da Diaz: 57 divisioni, di cui 48 austriache e 9 germaniche tra prima e seconda linea del fronte, e altre 3 austriache e 2 germaniche in arrivo per un totale di 62 divisioni.71 Si doveva arrivare alla fine del mese, con il progresso delle azioni militari, per acclarare in modo congiunto tra i comandi italiano e inglese l’entità delle forze nemiche.72

67 Imperiali a Sonnino, Londra, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 419, p. 286. 68 Ibidem.

69

Imperiali a Sonnino, Londra, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 425, pp. 290-291. Cfr. anche Imperiali a Sonnino, Londra, 15 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 439, pp. 304-305. Sul rapporto tra Lloyd George e i vertici militari: D. R. WOODWARD, Lloyd George and the Generals, Routledge, London 2004.

70 Cfr. Sonnino a Imperiali e Bonin, Roma, 14 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 434, p. 297. 71

Cfr. Diaz a Sonnino, Italia, 16 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 450, p. 307.

(10)

D’altra parte anche l’ambasciatore britannico a Roma doveva dolersi con Sonnino dell’atteggiamento di parte della stampa italiana che non solo non sembrava riconoscere lo sforzo di solidarietà degli Alleati ma li incolpava di tante difficoltà nelle quali si trovava l’Italia, come la concessione di prestiti a interessi usurari o le presunte ipoteche di porti italiani.73

Nel convegno di Peschiera il re Vittorio Emanuele innanzitutto si dolse che a suo tempo non si fosse seguito il consiglio di Lloyd George di applicare il massimo sforzo congiunto degli alleati dell’Intesa sul fronte italiano, che sembrava quello sul quale si era più vicini a cogliere un risultato potenzialmente decisivo e in grado di mettere in crisi gli Imperi centrali. Il sovrano passò poi ad esaminare le cause della rotta italiana individuandole in una causa congiunturale ed episodica, una fitta nebbia che aveva reso impossibile l’uso dell’artiglieria, e una strutturale, la perdita di numerosi ufficiali permanenti e addestrati nel corso dei primi due anni di guerra, circa 30.000, e la conseguente difficoltà nel sostituirli con personale addestrato, in grado di ritirarsi con ordine e scavare delle trincee, problema peraltro riscontrato anche tra i nemici.74

Vittorio Emanuele respingeva poi l’ipotesi di collasso morale delle truppe indotto dalla propaganda pacifista, clericale o socialista, quanto piuttosto sottolineava la loro stanchezza dovuta alla durata della guerra. Per il futuro, inoltre, il re si dichiarava fiducioso sulla tenuta della linea del Piave, dove circa mille cannoni pesanti erano stati schierati e dove trincee venivano scavate. Nessun’altra linea successiva poteva essere immaginata, perché altrimenti in questo caso si sarebbe persa Venezia, con le conseguenze immaginabili dal punto di vista della guerra marittima. Il vero pericolo di questa linea derivava dal suo eventuale aggiramento da parte delle forze tedesche a nord, in corrispondenza del Monte Grappa.75

A questo punto della conferenza Lloyd George pose con forza il problema del cambio al vertice del Comando Supremo Italiano, non solo nell’interesse dell’Esercito ma anche delle forze alleate che stavano sopraggiungendo e che sarebbero state poste sotto l’alto comando italiano. Il sovrano replicava che, sebbene egli non concordasse con tutte le critiche mosse al generale Cadorna, la sua sostituzione con il generale Armando Diaz, coadiuvato dal generale Gaetano Giardino, era stata già predisposta.76

Ferma intenzione di Lloyd George, poi, era che le divisioni franco-britanniche fossero schierate nel punto di maggior pericolo del fronte e che avessero a questo scopo una certa autonomia di comando, sebbene coordinata con il generale Diaz.77 Questo era anche l’avviso del Comando Supremo Italiano, ma non quello dei vertici militari alleati che, secondo l’opinione di Foch e Robertson, non erano intenzionati a nutrire soverchia fiducia nel comando italiano, ed erano più orientati a costituire con le loro unità una riserva strategica di sostegno agli italiani, per il caso che si fosse prodotto un ulteriore arretramento del fronte, piuttosto che a sostituire gli italiani in prima linea.78

73 Rodd a Sonnino, Roma, Londra, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 426, p. 292. 74

Cfr. “Processo verbale segreto”, Aix-les-Bains, 9 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 391, p. 270, e GIONFRIDA, 2008, pp. 89-92. 75 Ivi, p. 271. 76 Ivi, p. 272. 77 Ibidem. 78 Su queste discussioni cfr.: L. A LDROVANDI MARESCOTTI,1937,pp.133-183.

(11)

Già il giorno dopo, Vittorio Emanuele Orlando, divenuto presidente del Consiglio il 30 ottobre, premeva su Leonida Bissolati, ministro dell’Assistenza Militare, perché le forze alleate fossero impiegate nel contenimento della sempre maggiore pressione nemica a nord della linea del Piave, azione rispetto alla quale sembravano incomprensibilmente inoperose.79

Le necessità, tuttavia, non si limitavano alle forze di terra, poiché si dava luogo, da parte del governo italiano, alla richiesta di venti cacciatorpediniere alla marina inglese, francese, giapponese e americana.80 Lloyd George s’impegnava in questo senso con l’ambasciatore Imperiali annunziando la partenza dell’ammiraglio Rosslyn Wemyss.81

Verso la fine di novembre la tenuta della linea del Piave cominciava a consolidarsi e a riscuotere elogi presso la stampa britannica. Il Times riconosceva agli italiani di aver retto l’urto con le loro sole forze e di aver vendicato l’onore del loro esercito con una battaglia che sarebbe rimasta memorabile in tutta la guerra.82 Anche il comandante della forza di spedizione britannica in Italia, sir Herbert Plumer, scriveva al War Office confermando la ormai sostanziale tenuta del fronte da parte degli italiani.83

Nello stesso periodo il generale Cavan, destinato ad assumere il comando della forza britannica nel marzo del ’18, confermava la ritrovata fiducia che riprendeva a crearsi presso gli italiani, sebbene stigmatizzasse il fatto di aver incontrato in Lombardia un gran numero di giovani in abiti civili e del tutto atti alle armi.84 Dal punto di vista strettamente tattico, poi, il generale britannico osservava che gli italiani non avevano ancora pienamente afferrato il concetto di difesa in profondità, la cui corretta comprensione e applicazione avrebbe probabilmente evitato la rotta di Caporetto.85

Alla fine del ’17, comunque, la situazione era che le forze alleate, sei divisioni francesi e cinque britanniche, cioè circa 103.000 uomini dalla Francia e 113.000 dalla Gran Bretagna, si trovavano in Italia, ma non avevano partecipato alla battaglia di contenimento seguita alla rotta di Caporetto, eccetto la riconquista del Monte Tomba da parte dei francesi il 30 dicembre.86

In ragione della stasi prodottasi e dell’aumentato pericolo sul fronte occidentale, nel febbraio del ’18 la Gran Bretagna decideva di ritirare due divisioni dal fronte italiano per portarle in Francia dove analogo movimento era segnalato da parte di divisioni tedesche.87 Il presidente Orlando si doleva di questa decisione, poiché in realtà anche sul fronte italiano ci si attendeva un’offensiva austriaca in grande stile da parte di tutto l’esercito, ormai con le mani libere sul fronte orientale, sottolineando che, anziché prelevare forze franco-britanniche dal fronte italiano, sarebbe stato più opportuno trasferire delle truppe italiane, per giovare alla compattezza interalleata nonché al morale

79 Cfr. Orlando a Cittadini, Roma, 10 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 403, p. 278, e Orlando a Cittadini,

Roma, 10 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 404, p. 279.

80 Cfr. Sonnino a Imperiali e Bonin, Roma, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 415, p. 284, Sonnino a

Imperiali e Bonin, Roma, 12 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 420, p. 287-288, e Sonnino a Imperiali, Roma, 15 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 439, p. 301.

81 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 17 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 460, p. 314. 82 Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 23 novembre 1917, DDI, V serie, vol. IX, n. 524, p. 353. 83

Cfr. Plumer al War Office, 5 dicembre 1917, CAB/24/34/78, British National Archives, Kew (di seguito BNA).

84 Cfr. Cavan al War Office, 10 novembre 1917, CAB/24/32/18, BNA. 85 Ibidem.

86 Cfr. Plumer al War Office, 17 novembre 1917, CAB/24/32/78, NA; Plumer al War Office, 25 novembre 1917,

CAB/24/33/59, BNA e Plumer al War Office, 26 dicembre 1917, CAB/24/37/20, BNA.

(12)

italiano.88 Questo genere di operazione, peraltro, era stato precedentemente ipotizzato da Clemenceau e Lloyd George in seno alla conferenza interalleata di Versailles.89 In effetti, una maggiore concentrazione di truppe nemiche sul fronte trentino e la chiusura della frontiera con la Svizzera inducevano ad una valutazione di un non diminuito pericolo sul fronte italiano.90

La sostituzione nel Consiglio di guerra interalleato di Cadorna, che era stato destinato a questo incarico dopo le vicende di Caporetto, ingenerava una certa preoccupazione nel governo britannico che, pur avendo preteso la sua sostituzione dopo la rotta, egualmente desiderava una personalità militare italiana altrettanto forte e ben documentata dei problemi in oggetto.91 In febbraio veniva designato il generale Gaetano Giardino. Questi esordiva nel suo incarico insistendo inutilmente presso il comitato di Versailles affinché i britannici desistessero dal proposito del ritiro delle due divisioni dal fronte italiano. Tornava sul punto l’ambasciatore italiano a Parigi, Lelio Bonin Longare, con il presidente francese, che replicava di non poter ottemperare alla richiesta sia perché non aveva potere sulle unità britanniche, sia perché era vero che esse erano più necessarie sul fronte occidentale dove era imminente un attacco rilevante, rassicurando, però, sul fatto che non avrebbe ritirato, almeno per il momento, le divisioni francesi.92 Né valevano le preoccupazioni italiane per i pericolosi segnali di un prossimo attacco austriaco e della relativa chiusura della frontiera svizzera. Il fronte in pericolo era quello occidentale, ed era anzi più probabile che venissero ritirate le divisioni francesi in Italia. A questo punto Bonin rilanciò, proponendo invece l’invio di divisioni italiane sul fronte occidentale, cosa sulla quale Clemenceau si riservò di parlare con Petain, dolendosi però che quando a suo tempo aveva formulato la stessa richiesta, i ministri italiani avevano opposto un rifiuto.93

Il 21 febbraio il generale Plumer comunicava a Diaz di aver ricevuto disposizioni dal suo governo per il ritiro delle due divisioni. Orlando si doleva energicamente di questa decisione perché, nella sua opinione, essa si poneva in contrasto con le deliberazioni di Versailles, con il modo di procedere in esso previsto, e perché questo indeboliva in tre profili il fronte italiano: privandolo delle forze britanniche, impedendo il concorso delle unità italiane alla massa di manovra strategica alleata, e per la mancata destinazione di truppe italiane al fronte occidentale.94 Ma il più vivo rincrescimento di Orlando era dovuto proprio al fatto che questa situazione rendeva impossibile l’invio di truppe italiane in Francia,95 e annotava: “non si può a questo proposito non rilevare che anche l'Italia ha in questo momento più di 70.000 suoi soldati destinati al fronte francese per lavori di difesa militare e non è di peso dall'Italia di far che questo contributo di carattere militare fosse integrato da un contributo di combattenti.” 96

Le opinioni contrariate di Orlando trovavano udienza presso il governo britannico, e il segretario agli Affari Esteri, lord Balfour, chiariva all’ambasciatore Imperiali che la richiesta delle due divisioni era pervenuta dal generale Foch, e che il governo l’aveva intesa come proveniente dal

88 Ivi, p. 214.

89 Ibidem. Cfr. anche Orlando a Imperiali, Roma, 20 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 264, p. 222. 90 Cfr. Orlando a Giardino, Roma, 20 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 266, p. 223.

91

Cfr. Imperiali a Sonnino, Londra, 23 gennaio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 128, p. 95.

92 Cfr. Bonin a Orlando, Parigi, 21 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 274, p. 230. 93 Ibidem.

94 Cfr. Orlando a Imperiali, Roma, 22 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 275, p. 231. 95

Ibidem.

(13)

presidente del comitato esecutivo del Consiglio Supremo e non dal capo di stato maggiore francese, e dunque di essersi ingannato. Rimaneva inteso, tuttavia, che queste divisioni facevano parte della quota di conferimento britannico alla massa strategica alleata.97

Orlando a ciò replicava con i noti argomenti di addensamento della minaccia nemica sul fronte italiano e dei numerosi indizi che la prefiguravano: “Risultano inviate sul fronte Trentino ben nove divisioni austriache già individuate come terza, settima, nona, quattordicesima, ventesima, trentunesima, trentanovesima, cinquantunesima, cinquantatreesima. Si è accertato intenso affluire di materiali specialmente artiglierie, aeroplani e munizioni. Si nota insolita attività radiotelegrafica, movimenti di truppe, tiro aggiustamento artiglieria…” 98

Il 3 marzo l’ambasciatore Rennell Rodd comunicava a Sonnino la decisione del governo britannico di lasciare per il momento sul fronte italiano una delle due divisioni destinate al ritiro.99

In realtà, il 21 marzo si abbatteva sul fronte occidentale una micidiale offensiva tedesca destinata quasi a regalare la vittoria agli Imperi centrali. Il comitato di Versailles aveva stabilito il contributo per la massa di manovra da prelevare dal fronte italiano in due divisioni italiane, due francesi ed una inglese. Il governo italiano ottemperava, riservandosi tuttavia di valutare l’invio di ulteriori forze ove una minaccia grave si fosse profilata sul fronte meridionale.100

Al presidente Orlando, per comprensibili ragioni politiche e di prestigio nazionale, stava a cuore la partecipazione delle truppe italiane. Essa avrebbe costituito un pegno inestimabile al tavolo della pace. In tal senso scriveva ad Imperiali:

“Il Governo italiano deve però vivamente pregare il signor Clemenceau di voler considerare l'opportunità che queste due nuove divisioni siano italiane. Attraverso le proposte del Comitato di Versailles un accordo era intervenuto fra i tre Governi alleati secondo cui il fronte francese doveva essere immediatamente rinforzato di 5 divisioni di cui 2 francesi, una inglese e 2 italiane e si aggiungeva che le prime ad essere spedite fossero le italiane. Questo Governo offrì infatti di far partire subito le divisioni italiane ma non insistette di fronte alle premure di codesto Governo di fare partire le truppe alleate per apprezzabili 'ragioni di omogeneità con le truppe combattenti. Ora però non si tratta più di priorità ma di inesecuzione degli accordi presi. Ad ogni modo questo Governo non farebbe una questione di forma in confronto della gravità della situazione. Esso fa una questione di sostanza nell'interesse della causa comune. In primo luogo, dal punto di vista militare la riduzione da 4 a 2 delle divisioni francesi influisce non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente sull'attuale distribuzione delle nostre forze. Inoltre una delle due divisioni richiamate si trova già schierata in prima linea. Ma anche più gravi sono le ragioni di carattere politico. È infatti assai spiacevole che nella gigantesca battaglia in cui sono rappresentate tutte le nazioni dell'Intesa, manchino truppe italiane.”101

Il premier britannico dimostrò di concordare pienamente con l’opinione del governo italiano sull’indiscutibile importanza della partecipazione delle truppe italiane alle azioni in corso, le cui conseguenze avrebbero potuto rivelarsi definitive, ma di doversi riservare di parlarne con i responsabili militari per la natura stessa della questione.102

97 Cfr. Imperiali a Orlando, Londra, 23 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 285, p. 238. 98 Orlando a Imperiali, Roma, 25 febbraio 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 293, pp. 246-247. 99

Rodd a Sonnino, Roma, 3 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 335, p. 276.

100 Cfr. Orlando a Imperiali, Roma, 23 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 449, p. 374, e Orlando a Imperiali, Roma,

24 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 456, p. 378, e Orlando a Imperiali, Roma, 30 marzo 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 483, p. 394.

101

Orlando a Imperiali, Roma, 4 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 499, p. 404.

(14)

Il presidente francese, tuttavia, insisteva per il rientro delle divisioni del suo paese. Orlando intravedeva nel rifiuto un “vulnus” al prestigio nazionale italiano difficile da spiegare all’opinione pubblica, alla quale, pure, si sarebbe dovuto rivelare che le divisioni erano state offerte, peraltro in un momento di pericolo ancora incombente sul nostro fronte, e non poteva non concludere come: “… l'offensiva di Francia abbia peggiorato la nostra situazione e i rapporti con gli alleati determinando una specie di isolamento che riesce assai penoso…ma la condotta degli alleati e specialmente dei francesi poteva essere più riguardosa.” 103

Dall’alleato britannico, però, giungeva il gradimento all’invio delle due divisioni italiane e la comunicazione che la Francia avrebbe ricevuto le divisioni italiane oltre alle nazionali. 104

Orlando, soddisfatto dell’esito della vicenda, si disponeva prontamente all’invio delle divisioni, sottolineando lo sforzo che il Paese faceva privandosene in un momento di pericolo in omaggio allo spirito solidale e fraterno dell’alleanza.105

L’ambasciatore Imperiali rivelava tuttavia una difficoltà, sintomatica e coerente con la generale attitudine alla resistenza all’idea del comando unico: “1) sulla fronte italiana, a differenza del fronte occidentale schiacciante maggioranza truppe combattenti è italiana; 2) sarebbe assai difficile giustificare eventuale estensione anche alla fronte italiana del supremo comando di Foch, visto che, nel nostro caso, verrebbe a mancare il motivo essenziale con cui il provvedimento venne giustificato a questo pubblico e cioè che riconosciutasi necessità di un unico supremo comando era ovvio e doveroso affidarlo al generale del paese nel quale si combatte.” 106

Il generale Giardino sottolineava proprio come tra tutte le questioni di coordinamento militare interalleato: “La più oscura rimane sempre quella del comando unico. Non credo che il pensiero inglese al riguardo sia mutato: ma ogni colpo disgraziato per gli inglesi li obbliga ad un passo avanti loro malgrado. La Somme li ha obbligati al coordinamento; la Lys li ha ora obbligati al comandante in capo franco-inglese.” 107 Com’era prevedibile, a queste difficoltà di coordinamento tattico se ne aggiungevano altre di dottrina come, ad esempio, l’impiego tattico delle artiglierie, così centrale in questo conflitto.108

Dopo la “battaglia del Solstizio”109, ovvero la vittoriosa battaglia di arresto sul Piave nel giugno del ’18, Orlando poteva così telegrafare a Londra: “Sono felice confermare da qui l'impressione veramente grandiosa del nostro autentico e grande successo.”110 Il sovrano britannico si congratulava calorosamente con Imperiali per il valore dimostrato dalle truppe italiane e auspicava di vederne accresciuto il numero in Francia, promettendo d’altro lato l’invio di truppe britanniche in caso di rinnovato attacco tedesco sul fronte italiano.111 Peraltro il coordinamento tra le truppe alleate, anche sotto il profilo umano, poteva definirsi felicemente collaudato.112

103 Orlando a Imperiali, Italia, 7 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 521, p. 424-425. 104 Orlando a Imperiali, Roma, 9 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 531, p. 434. 105 Orlando a Imperiali, Roma, 13 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 544, p. 441. 106

Imperiali a Orlando, Londra, 6 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 518, p.422.

107 Giardino a Orlando, Versailles, 15 aprile 1918, DDI, V serie, vol. X, n. 551, p. 446.

108 Cfr. Cavan al Comando Supremo, 10 aprile 1918, Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito

(di seguito AUSSME), E 2, busta 80.

109

Cfr. LLOYD GEORGE, 1938, vol. III, p. 371, e PIERI, 1968, pp. 188-192.

110 Orlando a Imperiali, Quartier Generale, 19 giugno 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 87, p.77. 111 Imperiali a Orlando, Londra, 3 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 176, p.165.

112 Cfr. Cavan al Ministero della Guerra britannico, Relazione del generale Lord Cavan Comandante il Corpo di

Spedizione britannico in Italia sulle operazioni militari dal 10 marzo al 14 settembre 1918, 14 settembre 1918, AUSSME, E 11, busta 76, fs. 2.

(15)

A questa aperture britanniche Orlando così replicava: “L'idea di scambiare ancora nostre divisioni con divisioni inglesi, mi riuscirebbe certamente assai gradita…trovai grandemente valutata la nostra vittoria…Ciò fa piacere, ma non è senza inconvenienti perché è venuta meno ogni possibilità che ci diano altri aiuti. Mentre qui affluiscono a centinaia di migliaia gli americani, si potrebbe trovare ingiusto che noi fossimo lasciati quasi soli contro Austria.”113 Tuttavia, Imperiali a questo entusiasmo riteneva di apporre un freno consigliando che l’eventuale iniziativa di scambio di divisioni fosse presa dai britannici.114 Ma il presidente italiano, forte della vittoria nella battaglia estiva d’arresto, così replicava e rilanciava: “Ormai equilibrio forze interalleate è rotto in nostro danno. Con l'entrata in linea già avvenuta di 24 divisioni americane la cui forza equivale a 48 divisioni ordinarie, devesi ritenere finita superiorità numerica dei tedeschi che era calcolata in 40 divisioni e ciò mentre l’Italia si trova con 57 divisioni contro 72 divisioni austriache con la minaccia che vi si aggiungano delle tedesche. Provvedere al fronte italiano è ormai questione di interesse comune e di giustizia.” 115

Secondo informazioni raccolte da Imperiali, e provenienti da un colonnello americano, ufficiale di collegamento a Londra, le notizie erano esagerate. In quel momento gli americani avevano in linea solo 5 divisioni e non 24.116 Orlando, però, difendeva la bontà delle sue informazioni sostenendo che o il colonnello non era bene informato, o si riferiva forse solo a quelle impegnate in combattimento.117

A questo punto i vertici militari britannici erano convinti ormai, aldilà del mero fattore numerico, dell’ormai pieno risarcimento morale e militare dell’esercito italiano e della sua riacquistata capacità di fronteggiare l’avversario austro-tedesco, né vedevano, come l’ambasciatore italiano domandava, la necessità di inviare un’aliquota di truppe americana per la costituzione di una riserva, o un certo numero di carri armati, attesa la configurazione del terreno sul fronte italiano, nonché la dichiarata volontà italiana di non voler passare all’offensiva superando il Piave.118

La prolungata inerzia nelle operazioni militari, che aveva seguito la battaglia d’arresto del giugno, aveva scoraggiato l’alleato britannico e la sua opinione pubblica, soprattutto per il mancato contributo alle azioni offensive sul fronte occidentale. L’atmosfera non era ostile come in Francia, ma, pure, vi era un sincero rammarico.119

Esplicitamente lord Robert Cecil, sottosegretario agli Affari Esteri, dichiarava a Imperiali che un’azione offensiva sul fronte italiano sarebbe stata di grande giovamento sia per la causa comune che per quella italiana, soprattutto considerando ormai il grado di demoralizzazione delle truppe austro-ungariche.120 Era vero, però, che la demoralizzazione che queste truppe dimostravano sugli altri fronti si dissipava d’incanto quando si trattava di combattere gli italiani! Come scriveva ancora il 25 ottobre, a offensiva finalmente iniziata, Orlando a Imperiali: “…i dissensi interni dell'Austria non hanno alcuna ripercussione sulla solidità dell'esercito che anche jeri si difese con grande accanimento.”121

113 Orlando a Imperiali, Versailles, 5 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 182, p.186. 114 Cfr. Imperiali a Orlando, Londra, 9 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 198, p.184. 115 Orlando a Imperiali, Roma, 12 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 210, p.193. 116

Cfr. Imperiali a Orlando, Londra, 18 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 234, p. 206.

117 Orlando a Imperiali, Roma, 22 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 252, p.217. 118 Imperiali a Orlando, Londra, 26 luglio 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 266, p. 226. 119 Cfr. Imperiali a Orlando, Londra, 20 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 710, p. 538. 120

Cfr. Imperiali a Orlando, Londra, 23 ottobre 1918, DDI, V serie, vol. XI, n. 734, p. 554.

(16)

I britannici del XIV corpo svolsero un ruolo assolutamente cruciale nel passaggio del Piave all’inizio della battaglia di Vittorio Veneto. Grazie all’intuizione del comandante, il generale James Melville Babington, furono preventivamente occupate le Grave di Papadopoli, evento che si sarebbe rivelato determinante per il passaggio del fiume da parte della X armata.122 Ma, più in generale, vi fu un significativo contributo di carattere morale, nel senso di sostegno allo strumento militare e italiano e di dissuasione nei confronti del nemico che, certo, dovette tener conto della presenza franco-britannica nell’elaborazione dei piani offensivi. Un conseguente doveroso riconoscimento all’opera dell’alleato britannico fu tributato dal generale Diaz. 123

122 Cfr.: Relazione del Generale Conte Cavan, Comandante in capo le Forze Britanniche in Italia al Segretario di Stato

per la guerra, 15 novembre 1918, AUSSME, F3, busta 156, fs. 18, e: Campaign in Italy 1918 by General Earl of Cavan to CIGS, 10 ottobre 1919, WO 106/852, BNA. Sull’argomento: GABRIELE, 2008, pp. 329-394 e PIERI, 1968, p. 199.

123

Cfr. AUSSME, H 5, busta 10, fs. 1. Il generale Alberto Cavaciocchi, comandante del IV Corpo d’Armata, minimizza nelle sue memorie, invece, il contributo alleato: A. CAVACIOCCHI, Gli Italiani in guerra, Mursia, Milano 2014, p. 272.

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