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La corda civile al di là delle metafore

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Academic year: 2021

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Rivista di Storia delle Idee 9:2 (2020) pp. 255-256 ISSN. 2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/09/02/ANN442/02

Patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo

Gabriello Montemagno

La corda civile al di là delle metafore

Bisogna cercare nella sua produzione giornalistica per avere contezza esplicita dell’impegno sociale e ampiamente “politico” di Michele Perriera, del suo ruolo di coscienza critica, insomma della sua “corda civile”.

In verità non c’è pagina di Perriera, anche quelle che appaiono le più visionarie, che non sottenda implicito il suo impegno civile, sotto le varie forme delle metafore letterarie. Io credo che a spingerlo al suo tavolo di lavoro non fosse, per dirla con Brecht, “l’entusiasmo per il melo in fiore” che tuttavia sentiva fortissimo, ma fosse sempre la sua indignazione, la sua rivolta contro l’arroganza del potere, contro tutte le forme di ingiustizia e di sopraffazione, contro ogni espressione mafiosa.

Tuttavia non è nel teatro o nei racconti che esercita esplicitamente il suo impegno socio-politico, la sua critica sulle condizioni del presente. «Il teatro, il vero teatro, non è un servizio sociale. E’ un valore. Del resto così per tutte le arti» scriveva nel 2002 (Primafila – maggio). E aggiungeva: «Il vero teatro non promette di vivere civilmente, ma anche e soprattutto di vivere intelligentemente. E’ intelligenza – se ispirata dall’immaginario – che svela tutta la complessità dell’essere civili. E scopre gli splendori e le miserie che la stessa supposta civiltà spesso nasconde». Il suo teatro, infatti, vuole indagare sui “fantasmi dell’inconscio” rendendoli visibili in forme immaginifiche e misteriose, con l’intento di spingere le coscienze verso un’autocritica profonda. Senza avere la pretesa di imporre al fruitore (spettatore o lettore) le strade della sua “verità”.

Più volte, invece, nei suoi interventi giornalistici Perriera ha espresso con rigore e chiarezza, in presa diretta, le sue critiche e le sue opinioni sull’attualità della politica, della cultura, degli orientamenti sociali. Un esempio è su “L’Ora” del settembre 1985 dove in un articolo, in forma di lettera aperta al nuovo sindaco Orlando e alla Giunta comunale, denuncia lo sfascio culturale della città fino a quel momento. Descrivendo il processo che aveva portato Palermo «ad un apparato mafioso che ha via via imposto il peggio del provincialismo, il peggio della corruzione e il peggio dell’affarismo. La città cadeva, dunque, in mano ad una sorta di barbarie – becera e tuttavia perentoria – che era ed è costituzionalmente ostile ad ogni elaborazione culturale».

Ma circa il suo impegno civile ed antimafioso espresso in forma esplicita e diretta vorrei richiamare due episodi particolarmente significativi.

Il primo riguarda la sua iniziativa di mettere in scena la storia di Rita Atria, quella ragazza di Partanna, nata in una famiglia mafiosa e che a questa si ribella andando a testimoniare dinanzi a Paolo Borsellino e consentendo quindi l’incriminazione di numerosi mafiosi del suo paese. Com’è noto, Rita Atria, dopo l’uccisione di Borsellino, ritenendo perduta la lotta contro la mafia, si tolse la vita. Perriera, profondamente colpito dal tragico episodio, dal disperato sacrificio di questa ragazza («il serpente della modernità nel sacro albero della mafia») volle subito con la sua regia mettere in scena questa vicenda e la «solitudine nefasta» di Rita, il suo desiderio di vita e la sua angoscia. Lo spettacolo fu premiato a Roma con targa nazionale come miglior spettacolo contro la violenza per la stagione 1992/93. Nel suo moderno zibaldone intitolato “Con quelle idee da canguro” (Sellerio, 1997) Perriera ha dedicato profonde e commosse pagine a Rita Atria, «simbolo della dimensione tragica della postmodernità». Eppure quel testo teatrale era un’anomalia bella e buona rispetto ai suoi tipici moduli drammaturgici! Qui tutto era esplicito e privo di misteri, quasi una cronaca. Ci sono dei momenti in cui la tragicità degli eventi ti costringe ad esporti direttamente. A rafforzare col tuo contributo la resistenza agli insulti contro l’umanità. E così la sua necessità di mettere in scena Rita – questa santa laica del nostro riscatto dalla mafia – assume più incisivo significato, ben conoscendo la scarsa tolleranza di Perriera per il teatro di diretta derivazione cronachistica.

Il secondo episodio riguarda quel messaggio di alto valore, anche istituzionale, che il Governo regionale (presidente Giuseppe Campione, vicepresidente Gianni Parisi) gli chiese di scrivere nel luglio 1992 dopo le stragi Falcone e Borsellino, e che è eternato in una lapide posta a Palazzo d’Orleans. Qui Perriera, sotto la spinta di una grande indignazione, non adopera perifrasi, non richiama concetti filosofici, non si avvale di metafore, ma esprime il suo sdegno con parole dirette e taglienti. Bastano il

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Rivista di Storia delle Idee 9:2 (2020) pp. 255-256 ISSN. 2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/09/02/ANN442/02

Patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo

primo e l’ultimo periodo del suo lungo “Appello ai siciliani”: «Una nuova strage colpisce la Sicilia, già tante volte dilaniata da un potere segreto che non conosce altro linguaggio se non quello della rapina e della morte. Ancora una volta avvertiamo, assieme ad un dolore inconsolabile, l’evidenza di una verità che non conosce sfumature: noi siamo prigionieri della mafia ed essa controlla la nostra schiavitù con la ferocia di un aguzzino sanguinario». «La resistenza alla mafia più che un dovere, è un diritto alla vita. Non più eroi – poveri, carissimi, indimenticabili eroi morti - ma un popolo che prepari la sua grande fuga da una schiavitù ingiusta e umiliante. Un intero popolo che sa risorgere alla vita civile». A questo punto è anche spontaneo e quasi doveroso dare atto al presidente Giuseppe Campione di avere avuto “l’insolita” iniziativa istituzionale di commissionare il testo dell’appello ad uno scrittore eretico e di avere sottoscritto un linguaggio insolito alla politica tradizionale!

Con quale lungimiranza Michele Perriera interpretava fenomeni sociali e culturali anche riconducibili alla sfera politica. Negli ultimi anni della sua vita il suo tono si faceva sempre più profondo e profetico. E ce ne ricordiamo sempre. Rappresenta, per coloro che lo hanno conosciuto e sentito, “l’avvenire della memoria”, dicendolo col titolo di uno dei suoi libri. E ai giovani ricordava che «con i tempi che corrono, una politica culturale che punti sul valore non può solo registrare, deve soprattutto immaginare e stimolare le attese più sottili. Bisogna assumersi importanti responsabilità, finalmente, se si vuole fermare l’attuale decadenza del valore».

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