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Artisti e filosofi: fratelli nella sperimentazione

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Academic year: 2021

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A mio nonno Piero e a me stessa, a ciò che siamo stati e che, nel ricordo, saremo sempre.

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Ringraziamenti

Al termine del mio percorso di studi vorrei ringraziare tutti i professori, i colleghi e il personale universitario con cui ho condiviso questi anni e, in particolare, il Prof. Federico Nobili per la sua costante disponibilità.

Per quanto riguarda la stesura della tesi un ringraziamento particolare lo devo alla mia relatrice, Prof.ssa Manuela Paschi, che mi ha sostenuta con competenza e pazienza per tutto il mio periodo accademico.

Ringrazio inoltre il correlatore, Prof. Sergio Cortesini, per i consigli e la disponibilità accordatami.

Un ringraziamento a parte, che non riguarda solamente questi anni universitari ma il mio intero percorso formativo come persona, va alla mia famiglia che è stata ed è il punto di riferimento della mia vita. Innanzitutto i miei genitori che hanno vissuto con me ogni singolo momento, rendendo unico anche quello più banale, e che hanno partecipato alle mie gioie e alle mie difficoltà in prima persona rendendo più intense le prime e meno pesanti le seconde. Accanto a loro, un ringraziamento è dedicato a mio fratello Luca che, in un modo tutto suo, mi ha sempre dimostrato affetto interessandosi dei miei problemi e aiutandomi nel momento del bisogno (soprattutto informatico). Ringrazio di tutto cuore i miei due pilastri, i nonni Ida e Piero, la cui casa è sempre stata il mio rifugio sicuro nel momento del bisogno e che mi hanno accompagnata con amore in questi lunghi 24 anni prendendo attivamente parte alla mia vita. Un ringraziamento speciale va anche ai miei zii che mi sono sempre stati vicini e ai quali so di potermi rivolgere per qualsiasi necessità. Vorrei, inoltre, dedicare poche righe a parte per ringraziare Marco con cui ho letteralmente condiviso sette anni della mia vita e che mi ha accompagnata in questo lungo percorso universitario partecipando alle mie gioie e ai miei problemi come fossero stati i suoi.

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Sommario

Premessa ... 4

1 Modernità e postmodernità a confronto ... 7

1.1 Economia e società: dalla modernità alla postmodernità ... 8

1.2 Filosofia moderna e filosofia postmoderna ... 22

2 Una modernità in crisi e la sua risposta artistica: le correnti d’avanguardia ... 31

2.1 Espressionismo ... 37 2.2 Cubismo ... 40 2.3 Futurismo ... 44 2.4 Astrattismo ... 47 2.5 Dadaismo ... 51 2.6 Surrealismo ... 57

3 Artisti e filosofi: fratelli nella sperimentazione ... 68

3.1 Le avanguardie artistiche e la filosofia postmoderna ... 68

3.2 Il surrealismo e lo spirito postmoderno in Lyotard ... 83

3.3 Il surrealismo e Foucault: psicanalisi e teoria del potere ... 94

3.4 Il surrealismo e la psicanalisi di Lacan ... 113

4 Conclusioni ... 125

Immagini ... 128

Bibliografia ... 145

(4)

4

Premessa

Oggetto di interesse dei miei studi è sempre stata la ricerca di una connessione tra discipline diverse e, talvolta, cronologicamente distanti. Ogni periodo storico, infatti, è caratterizzato da problemi ed esigenze proprie che portano a risposte e soluzioni dissimili in campo culturale, ma non si possono creare confini netti: nonostante importanti differenze, si ha una continuità, un collegamento tra epoche e discipline distinte. Nella mia tesi triennale ho cercato di dimostrare questa affinità tra gli sviluppi dell’ermeneutica contemporanea e i nuovi studi sulla comunicazione, mentre in questo lavoro lo scopo è quello di approfondire il rapporto tra la modernità e la postmodernità sulla base di un confronto tra l’arte moderna e la filosofia postmoderna. Ciò che mi ha spinta a questa precisa ricerca, che rispetto ai miei studi può sembrare quantomeno particolare, è la convinzione che il mondo dell’arte riesca ad esprimere, attraverso la ricchezza dei suoi linguaggi, gli stessi contenuti svelati dall’universo filosofico. Tra questi, la mia attenzione è rivolta verso quegli elementi ambigui, quei paradossi e quelle zone d’ombra che la tradizione filosofica ha tenuto a lungo nascosti e che sono emersi solo grazie alle contraddizioni della contemporaneità. Con un esame che, quindi, è partito dalla filosofia, in particolare da un articolo del filosofo contemporaneo Wolfgang Welsch1, attraverso i maggiori esponenti del postmodernismo mi sono ritrovata nel campo dell’arte, in quel grande e variegato cinquantennio del Novecento che comprende le correnti d’avanguardia. Le forme, i colori, la struttura e la composizione delle opere dei diversi movimenti, infatti, sembrano ritrarre quello stesso mondo sommerso che la lettura di filosofi come Jean-François Lyotard, Jacques Lacan, Michel Foucault, Jacques Derrida e Gilles Deleuze mi ha rivelato, rovesciando, in questo modo, il punto di vista tradizionale dell’estetica: non si tratta più di “usare” l’arte come oggetto di ricerca di una prospettiva filosofica, ma come punto di partenza attraverso cui rileggere il pensiero postmoderno. In questo modo i movimenti artistici del primo novecento diventano un discrimine importante per comprendere le differenze e le analogie tra la modernità e la postmodernità e mi permettono di problematizzare questo rapporto e di superare la netta divisione-opposizione che si pone tra il moderno e il postmoderno rintracciando all’interno dell’arte moderna,

1 Welsch Wolfgang, La nascita della filosofia postmoderna dallo spirito dell’arte moderna, in “Juliet”, n. 93,

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5 nella rottura delle avanguardie storiche, riflessioni, spunti e tematiche vicine alle future filosofie postmoderne.

L’ambito aperto da queste due discipline è ampio e variegato: il loro dominio comprende correnti, ricerche e personalità diverse, il loro discorso si serve di strumenti e linguaggi distinti e, spesso, difficilmente limitabili ad un modello unico perciò, per evitare generalizzazioni, è opportuno delineare un campo di analisi preciso e approfondire il pensiero di alcuni tra i più importanti filosofi postmoderni in rapporto a una delle principali correnti d’avanguardia.

Ho scelto, in particolare, di confrontare le opere e le tematiche del Surrealismo con le riflessioni di Lyotard, Foucault e Lacan. Nel Surrealismo troviamo, infatti, elementi di una nuova concezione della realtà e dell’io che saranno alla base dello spirito postmoderno, descritto e definito da Lyotard, della lotta di Foucault contro la razionalità e le ramificazioni del potere e della nuova psicanalisi lacaniana.

Confrontare l’arte e la filosofia, tuttavia, rimane un compito complesso che rischia di confondere le realtà e i settori delle due discipline generando confusione, soprattutto se l’analisi - come in questo caso - abbraccia anche due periodi così ampi e diversi tra loro. Per questo motivo ho deciso di strutturare la mia tesi in tre capitoli principali:

Nella prima parte si approfondiscono le differenze culturali, storiche e sociali tra l’età moderna e quella postmoderna, al fine di comprendere le cause che hanno portato dall’una all’altra e, quindi, i caratteri che le distinguono. Particolare attenzione è dedicata, ovviamente, alle novità e alle rotture della filosofia postmoderna rispetto al pensiero precedente, alle sue ricerche e ai percorsi alternativi che mette in luce, in quanto sono proprio questi i sentieri su cui si incontra con l’arte d’avanguardia.

Analizzata la svolta filosofica è, quindi, necessario approfondire anche quella artistica che, in questo caso, si situa all’interno della modernità; nei primi decenni del Novecento. In questo periodo, infatti, si assiste in campo artistico alla grande rivoluzione delle correnti d’avanguardia che rompono definitivamente con i modelli del passato e si fanno portatrici di nuovi valori. I movimenti che nascono in questi anni, quindi, sono accomunati dallo stesso spirito polemico nei confronti dell’arte tradizionale, ma ognuno di loro si fa espressione di idee e concetti diversi ed è attraversato, al suo interno, da molteplici direttrici di ricerca e sperimentazione, spesso divergenti tra loro. Alla luce di questo ho ritenuto importante approfondire brevemente, in questa seconda sezione, le diverse fasi, i vari periodi e autori da cui è formata ogni corrente, non solo per porre delle basi storiche al mio discorso, ma anche per giustificare il “taglio filosofico” che guida la terza parte.

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6 Il capitolo finale, infatti, confronta la filosofia moderna e le correnti d’avanguardia considerando queste ultime come un insieme omogeneo e compatto e prescindendo, quindi, dalla storia e dallo sviluppo interno di ognuna. Il suo taglio, quindi, è “filosofico” in quanto non si sofferma sui motivi storici, sulle cause o il contesto in cui si consolida un determinato pensiero, ma riflette sul significato, la portata e i possibili collegamenti del pensiero stesso, sia esso di un artista o di un altro o, ancora, di correnti diverse. Il suo scopo, infatti, è analizzare il rapporto tra il Surrealismo e la filosofia di Lyotard, Foucault e Lacan per cercare le affinità che intercorrono tra l’arte moderna e la filosofia postmoderna sottolineando, comunque, le eccezioni e le differenze sostanziali che esistono tra queste due realtà.

Attraverso questo confronto, perciò, la mia tesi non vuole dimostrare una vera e propria derivazione della filosofia postmoderna dallo spirito dell’arte moderna, ma una congiuntura, sebbene non totale, tra queste due discipline con l’intento di mostrare un nuovo, possibile, modo di collegare l’arte e la filosofia grazie a cui rileggere la postmodernità.

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7

1 Modernità e postmodernità a confronto

“..e da ciò che discorda deriva una bellissima armonia2.”

Nel momento in cui decidiamo di guardare ad un’età passata, non possiamo ignorare che il nostro atto interpretativo è influenzato dal contesto storico, sociale e culturale della nostra epoca. Questo fatto risulta ancora più evidente qualora, come in questo caso, si decida di confrontare le caratteristiche dell’età moderna con i contenuti e gli elementi della postmodernità che, nonostante sviluppi e cambiamenti importanti, sono tutt’oggi presenti3. A tale scopo, quindi, ritengo che sia opportuno rendere esplicito tale “vizio” interpretativo e guardare alla modernità dalla prospettiva postmoderna. In questo modo le conquiste e le novità che si susseguono dalla fine del Settecento alla prima metà del Novecento verranno interpretate alla luce del loro esame critico compiuto nell’età postmoderna. Questo è possibile, ovviamente, grazie ad una linea di continuità che collega, seppur nella loro diversità, i problemi, le domande e le ricerche dei due periodi.

Postmodernità, infatti, non significa l’abbandono della modernità, ma un suo esame radicale4. Una definizione interessante, a tal proposito, è quella fornita da Zygmunt Bauman:

L’epoca della postmodernità è l’epoca in cui la posizione postmoderna è arrivata a conoscere se stessa [..] ad essere consapevole che il compito fondamentale non ha limiti e non potrà mai raggiungere il punto finale; che il progetto della modernità è costitutivamente incompiuto5.

Il progetto della modernità a cui si riferisce Bauman indica già una prima differenza sostanziale tra queste due realtà: nell’età moderna la salvezza viene identificata nell’unità,

2

Fronterotta, Francesco (a cura di), Frammenti, Milano, BUR, 2013, p. 57.

3 Dagli anni ’90 per definire la contemporaneità si cercano nuove denominazioni, come “surmodernità” o

“era del post-umano” in riferimento all’intelligenza artificiale, ai cyborg e agli organismi cibernetici. In realtà il postmodernismo dagli anni ’60 ad oggi si è trasformato per via di accumulazione di una serie di elementi: dapprima nato come fenomeno letterario, poi trasformatosi in protesta sociale, si è sviluppato fino al post-strutturalismo di Barthes e Derrida, alla psicanalisi di Lacan e all’analisi socio-culturale di Foucault, Deleuze e Guattari.

4 Welsch, Wolfgang, op. cit., [p. 1].

5 Bauman, Zygmunt e Keith Tester, Società, etica, politica. Conversazioni con Zygmunt Bauman, Milano,

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8 nell’intero, nella riconciliazione delle parti, mentre il pensiero postmoderno si è affrancato da questa preoccupazione per la totalità e giudica positivamente la transizione verso la pluralità6. L’età moderna possiede un progetto, la volontà di costruire sistemi, teorie, interpretazioni totalizzanti, crede nel progresso, nella razionalità, nel valore positivo della scienza e della tecnologia: può essere rappresentata come una freccia avente una direzione precisa. Sradica gli individui dai loro ambienti prodotti dall’ancien règime per riradicarli in nuove strutture7. Lyotard definisce queste strutture “grandi narrazioni”, ovvero racconti, ideologie, modelli (illuminismo, idealismo, marxismo) che ispirano il fine ultimo verso cui tende la società moderna8.

Ciò che si perde con la postmodernità sono proprio queste narrazioni, la postmodernità risulta, così, essere “la modernità meno le sue illusioni” 9

. Il postmodernismo10, infatti, “enfatizza la parte ambigua e contraddittoria della razionalità, si pone criticamente nei confronti della scienza e della tecnica e propone una concezione del sapere priva di quei fondamenti che erano stati alla base del modernismo”11. Cadono i modelli, le illusioni, le credenze e non c’è più un fine da raggiungere. Questa “perdita” postmoderna si ritrova in vari ambiti; dall’economia, alla società, fino alla filosofia e alle arti. Al fine di questo lavoro ciò che interessa è la dimensione filosofica del postmodernismo, tuttavia ritengo utile soffermarmi brevemente anche sui cambiamenti socio-economici che avvengono in questo periodo.

1.1 Economia e società: dalla modernità alla postmodernità

In questa prima parte vorrei presentare la condizione socio-economica dall’età moderna a quella postmoderna. All’interno di un campo di ricerca così vasto e complesso, ricco di eventi e cambiamenti e talvolta anche contraddittorio, ho deciso di soffermarmi solo su alcuni elementi che meglio riescono a spiegare il profondo mutamento socio-economico

6 Welsch, Wolfgang, op. cit., [p. 9]. 7

Formaggio, Damiano, L’analisi della postmodernità nell’opera di Zygmunt Bauman, Università di Verona, Facoltà di Filosofia, rel. Prof. Italo Sciuto, a.a. 2004-2005, p. 11.

8 Lyotard, Jean-François, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 2014. 9 Bauman, Zygmunt e Keith Tester, op. cit., p. 81.

10 Ai fini di questo lavoro penso sia utile distinguere la postmodernità, con cui si intende il periodo della

seconda metà del Novecento costituito da nuove configurazioni della realtà economica, sociale e politica, dal postmodernismo come visione del mondo, interpretazione culturale di questa realtà. Cfr. Magatti Mauro (a cura di), Una nuova condizione umana, Milano, Vita e Pensiero, 2003, p. 9.

11 Maggio, Elena, Moderno- Postmoderno, in “Il giardino dei pensieri. Studi di storia della filosofia”, S.d.,

(9)

9 che si pone tra questi due periodi. Conscia, quindi, di aver tralasciato fenomeni che, storicamente, sono altrettanto importanti e interessanti, ho scelto di trattare insieme l’ambito sociale e quello economico in quanto ritengo che siano particolarmente collegati: l’economia plasma la società e viceversa, mentre è innegabile che, nonostante una forte relazione con il contesto, spesso la filosofia e le arti abbiano lo scopo di opporsi alla società e alle strutture in essa dominanti anticipando sviluppi futuri12. Un esempio di tale “contrasto” si vedrà, più avanti, proprio nelle correnti delle avanguardie storiche che, se da una parte riprendono l’ideale moderno di cui fanno parte, dall’altra hanno in seno uno spirito postmoderno.

Tuttavia, sin da questo primo paragrafo, è necessario trattare anche il pensiero di alcuni filosofi che hanno descritto le caratteristiche socio-economiche del loro tempo e che hanno dato avvio a una fase di forte crisi della modernità che ha portato all’era postmoderna.

Quando parlo di modernità, intendo il periodo che va dalla seconda metà del Settecento alla prima del Novecento13. In questo arco di tempo, infatti, abbiamo una fase di straordinario dinamismo economico caratterizzato dall’espansione del mercato in grandi circuiti commerciali transoceanici e collegato all’affermazione del colonialismo europeo. Queste trasformazioni portano, innanzitutto, al miglioramento della produzione agricola che cresce in conseguenza delle intense attività portuali e commerciali. La rivoluzione delle campagne non deriva dall’impiego di nuovi macchinari, ma nasce da una più razionale organizzazione dello sfruttamento delle terre e della gestione delle aziende14. A tutto questo si accompagna una crescita demografica rapida e non interrotta da gravi crisi di mortalità15, nonché un significativo aumento di reddito.

Lo stesso dinamismo si ritrova anche nell’ambiente culturale settecentesco dove si registra una forte crescita dell’alfabetizzazione, uno sviluppo del mercato librario e l’emersione di

12

Con il termine “strutture” mi richiamo, non a caso, al materialismo storico di Karl Marx per cui è la struttura socio-economica di una certa società storica a determinarne la sovrastruttura, ovvero le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche.

13Bisogna distinguere, innanzitutto, l’età moderna che, storicamente,viene fatta risalire al XVI secolo con la

scoperta del Nuovo mondo, il Rinascimento e la Riforma, dall’inizio della modernità, intesa come profondo mutamento volto alla costruzione di un nuovo ordine socio-economico caratterizzato dalla fede nella tecnologia, nella scienza, nella ragione e nell’idea di progresso. Questi fattori risalgono alla seconda metà del ‘700 (Prima Rivoluzione Industriale), che viene quindi assunta come vera nascita della modernità. Cfr. Habermas, Jürgen, Il discorso filosofico della modernità, Roma- Bari, Laterza, 1987, pp. 4-7; Harvey, David, La crisi della modernità, Milano, Il Saggiatore, 1993, p. 25.

14

Basti pensare al processo di isolamento delle singole proprietà terriere (in Gran Bretagna definito “enclosure”) avviato sin dal XVI secolo, ma caratterizzato da una fortissima accelerazione nel corso del XVIII secolo. Cfr Banti, Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, Roma- Bari, Laterza, 2009, p. 9.

15

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10 nuove forme di comunicazione culturale (gazzette, periodici popolari e quotidiani) legate all’esigenza di una cultura informativa e d’attualità16

.

Questi fattori portano con sé una promessa: promessa nella capacità della scienza, della tecnica17 e dell’economia di migliorare le condizioni di vita dell’uomo.

Questo è il “progetto” della modernità a cui abbiamo accennato sopra, e coincide con il progetto illuministico che emerge proprio in questo periodo. Il fine a cui si tende, infatti, è la trasformazione della realtà attraverso la costruzione di una scienza obiettiva, di una morale unica e di un diritto universale; strumento ne è la ragione, “lume” che rischiara le tenebre dell’ignoranza e delle superstizioni. Suo compito è esaminare la legittimità e l’utilità di tradizioni, dogmi e filosofie e definire i criteri in base a cui indirizzare la vita dell’uomo che si trova, così, ad essere organizzata secondo principi razionali e scientifici. L’uomo diventa l’autore dell’universo storico: non si crede più in un Dio o in una Provvidenza quali responsabili dell’ordine degli eventi, “la storia non è più un processo necessario, ma un ordine problematico da affrontare con gli strumenti della scienza e della ragione ed è vista come un processo di graduale incivilimento e progresso”. Il tempo dell’illuminismo è infatti lineare, omogeneo e proiettato inesorabilmente in avanti. La stessa conquista dello spazio non riflette la gloria di Dio, ma celebra la liberazione dell’Uomo in quanto individuo attivo e dotato di coscienza e volontà. Tipico esempio della conquista dello spazio sono le nuove mappe geografiche che, private degli elementi fantastici e legati alla fede religiosa, diventano matematicamente rigorose grazie alla scienza della proiezione cartografica e alle tecniche di rilevamento catastale18.

La convinzione di fondo, quindi, è che la realtà possa essere compresa e controllata razionalmente grazie alla scienza e alla matematica, che costituiscono l’unica modalità corretta di rappresentazione del mondo.

Dopo le rivoluzioni borghesi del 1848, tuttavia, alcune certezze sembrano vacillare: le condizioni finanziarie, la speculazione e la sovrapproduzione portano a una crisi economica con la conseguente sfiducia nelle capacità della ragione umana, a cui era stata affidata la realizzazione del suo progetto19.

16 Maggio Elena, op. cit., p.n.n.

17Si pensi alle nuove macchine tessili, come la “jenny” (un filatoio meccanico in grado di unire sei o sette

fusi azionati da un solo filatore) messa a punto nel 1764 dal tessitore James Hargreaves, perfezionata dieci anni dopo nella nuova “mule jenny” grazie all’uso dell’energia idrica per azionare più fusi contemporaneamente. Cfr. Banti, Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo..., p. 18.

18 Harvey, David, op. cit., p. 305. 19

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11 Questa insoddisfazione deriva in parte anche dalle lotte di classe, ma un contributo importante giunge dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels20 che sottolinea la sempre più evidente disparità di classe all’interno del sistema capitalistico. I due filosofi, infatti, smascherano lo sfruttamento e la reificazione del lavoro che stanno alla base della fiducia nel progresso e nell’unità della ragione illuministica: “La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche”21.

La critica si sviluppa e parte proprio dalle caratteristiche del modo di produzione capitalistico individuate da Marx:

 Orientato alla crescita, il sistema capitalistico mira ad espandere la produzione senza tener conto delle conseguenze sociali, politiche e ideologiche.

 La crescita economica dipende dallo sfruttamento dei lavoratori e perciò si basa sul divario tra il loro guadagno e la loro produzione.

 L’innovazione continua, necessaria per rispondere alle leggi della concorrenza, svaluta e distrugge i vecchi sistemi e le capacità di lavoro, creando incertezza e instabilità22.

Con Marx, quindi, si comincia a pensare che il progetto illuministico sia destinato a ritorcersi contro se stesso: la ricerca dell’emancipazione e della liberazione umana si è risolta in un sistema di oppressione universale.

Successivamente, nel periodo di massima espansione coloniale (che si riscontra dal 1870 al 1914), anche il sociologo tedesco Max Weber sottolinea i paradossi della razionalità illuministica. Il sapere moderno è finalizzato al raggiungimento di uno scopo, ma ciò che gradualmente diventa importante è il mezzo attraverso cui raggiungere il fine. In questo modo lo scopo coincide con il potenziamento della strumentazione, ovvero con il tentativo di rendere sempre più efficaci i mezzi. Il ruolo decisivo nel capitalismo e nella modernità viene quindi svolto dagli strumenti: gli obiettivi del progetto moderno (emancipazione, libertà) si sono dimenticati e, ormai, l’unica preoccupazione è accumulare

20 Pubblicato per la prima volta a Londra il 21 febbraio del 1848.

21 Marx, Karl e Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, Torino, Paravia, 1989, p. 62. 22

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12 sempre di più23. L’eredità dell’Illuminismo si è rivelata il trionfo della razionalità finalizzata – strumentale che ha portato alla creazione di una “gabbia d’acciaio” che costringe gli uomini in una nuova schiavitù24.

È Friedrich Nietzsche, tuttavia, a comprendere profondamente la vera crisi che attanaglia il progetto moderno, per questo può essere considerato un’importante “eccezione postmoderna”25

all’interno dell’età moderna. Nietzsche sostiene che sotto la superficie della vita moderna vi è la volontà di fuggire l’incertezza e l’instabilità dell’esistenza. La fede nelle verità oggettive, nelle morali, nel senso di progresso e l’idea di un mondo razionale e armonico, quindi, sono solo costruzioni che consolano gli individui, che permettono loro di sopportare l’imprevedibilità del mondo e le sue contraddizioni26

.

“[..] Con la stessa necessità con cui un albero porta i suoi frutti noi produciamo i nostri pensieri, i nostri valori, i nostri sì e no, i se e i forse, affini tra loro e tutti insieme coincidenti, testimonianze di "una" volontà, di "una" salute, di "un" regno terreno, di "un" sole”27.

In questo passo della Genealogia della morale (1887) Nietzsche mette in luce il cammino moderno verso l’unità nella creazione di “un’unica volontà, di una salute, di un regno terreno, di un sole”. Gli uomini moderni, infatti, sono dotati di valori, pensieri e risposte comuni, testimonianze di un’unica volontà (quindi di un fine comune), di un’unica idea di salute (per cui possono tracciare un confine netto tra salute e malattia), di un solo regno terreno (distinto da quello celeste) e di un unico “sole” grazie a cui orientarsi.

Forse proprio grazie al confronto con questo spirito Nietzsche comprende che la realtà, al contrario, è caotica, disarmonica e contraddittoria e che, perciò, è necessario eliminare l’assolutezza di ogni senso e valore. L’unica via per l’affermazione di sé consiste, per lui, nell’azione, nella manifestazione di volontà28

; una forza espansiva in perenne movimento, una pulsione infinita verso il perpetuo rinnovamento dei valori che non ha, quindi, una sola

23 Harvey, David, op. cit., p. 29. 24

Ibidem.

25 Si parla di eccezione postmoderna in quanto il pensiero di Nietzsche ha introdotto un pungolo, un fattore di

disturbo e di critica all’interno della filosofia e della società moderna senza, però, indicare un nuovo valore o modello sopra cui fondare un sistema. Le sue riflessioni, infatti, escono dall’ambito moderno: è lui stesso, all’inizio dell’opera“Genealogia della morale” a definire il suo studio sulla morale “in contrasto con ambiente, età, esempi, origine..”. Cfr. Nietzsche, Friedrich, Genealogia della morale, Roma, Newton, 1997, p. 41.

26 Maggio, Elena, op. cit., p.n.n.

27 Nietzsche, Friedrich, Genealogia della morale..., p. 54. 28

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13 direzione, ma presenta una molteplicità di prospettive non riconducibili ad un unico centro. Non esiste più una forma precisa né un pensiero che siano in grado di guardare e fissare la realtà in modo stabile; l’uomo vive privo di certezze assolute, di norme e progetti definitivi, conscio che è lui stesso la fonte di significati e valori transitori.

Si entra così nel periodo di crisi della modernità: si sottolinea il senso del fuggevole, del frammentario, del caotico e sembra impossibile, ora, poter affermare qualcosa di valevole e duraturo.

Queste trasformazioni sono influenzate anche da una serie di innovazioni, provenienti per lo più dall’America tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: l’espansione della rete ferroviaria, l’avvento del telegrafo di Morse, del cinema, dell’aereoplano, dell’automobile. Da un lato si accentua la concezione di uno spazio assoluto e dominabile e il crescente senso di unità tra persone un tempo isolate dalla distanza (universalismo), ma dall’altro invece l’effetto è il riconoscimento dell’esistenza di una pluralità infinita di realtà e punti di vista diversi (particolarismo)29. È interessante, a tal proposito, la riflessione di H. David Thoreau a proposito del telegrafo: “Ci affrettiamo a costruire un telegrafo dal Maine al Texas, ma può darsi che Maine e Texas non abbiano niente di importante da comunicarsi”30

.

Questa “prima” forma di particolarismo, però, scorre fianco a fianco con la visione universalista: da una parte si comincia a sottolineare l’elemento di transitorietà e differenza della realtà, ma dall’altra si cerca ancora di mettere in evidenza l’aspetto eterno e universale di questa prospettiva. Questo punto è particolarmente importante perché costituisce ciò che distingue la crisi moderna rispetto alla futura postmodernità: tra fine Ottocento e inizio Novecento, per arginare quel senso di disordine descritto da Nietzsche, si cerca ancora di rinvenire qualcosa di eterno e immutabile che potrebbe essere nascosto dietro questo incessante divenire di tutte le cose. Del resto, come ha scritto Charles Baudelaire nel saggio Il pittore della vita moderna, la modernità “è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile”31.

La modernità, quindi, da una lato riconosce l’impossibilità di capire il mondo con un unico linguaggio, dall’altro pensa ancora a una realtà unitaria a cui riferirsi. Questo è il suo

29Harvey, David, op. cit., p. 337.

30Postman, Neil, Divertirsi da morire, Venezia, Marsilio, 2002, p. 85.

31 Baudelaire, Charles, Il pittore della vita moderna, Padova, Marsilio, 2002 citato da Harvey, David, op. cit.,

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14 paradosso: si emancipa da quelle forme di fissità categoriale proprie dell’illuminismo, ma cede nuovamente all’egemonia della razionalità fredda delle macchine e della tecnologia32. Un esempio di questo spirito si ritrova proprio nelle correnti delle avanguardie storiche che sono guidate da un animo pioneristico e considerano l’arte stessa come un avamposto del progresso sociale. Esse traggono dalla scienza e dalla tecnica: il cubismo dalla teoria anticartesiana della relatività, il surrealismo dalla psicanalisi, il futurismo dalle catene di montaggio delle fabbriche. Lo stesso termine “avanguardia” si riferisce ad un reparto avanzato che precede il resto dell’esercito allo scopo di aprirgli la strada e trae, quindi, il suo significato dal presupposto di uno spazio e di un tempo ordinati33. Nella pretesa di essere innovative queste correnti si inscrivono inevitabilmente nello spirito modernista, nelle sue promesse e valori, tra i quali il progresso34.

Basti citare, a titolo di esempio, l’esaltazione della velocità, delle fabbriche e delle macchine presente nel Primo Manifesto del Futurismo35:

[..] Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile36 da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo.. un automobile ruggente.. è più bello della Vittoria di Samotracia. [..] Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere, dalla sommossa; canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne.. le stazioni ingorde, divoratrici [..] le officine [..] i ponti [..] i piroscafi [..] le locomotive [..]37.

Accanto a questi miti ne troviamo uno nuovo, nato dal clima di agitazione e ostilità che si è creato nel continente europeo di questi anni: il mito della guerra che ora si trova al posto d’onore del progetto modernista. Ancora una volta, l’esempio può essere tratto dal

32 Maggio, Elena, op. cit., p.n.n.

33 Formaggio, Damiano, op. cit., pp. 97, 98.

34

Non bisogna comunque dimenticare che la grande “novità” delle avanguardie storiche supera i limiti moderni: come vedremo più avanti, l’avanguardia ha carattere moderno nelle intenzioni, ma risulta postmoderna nei risultati. Cfr. Ibidem.

35 Pubblicato sul “Figaro” di Parigi il 20 febbraio 1909.

36 La mancanza dell’apostrofo non è un errore: in quegli anni si dibatteva a lungo riguardo al genere

femminile o maschile del termine automobile. Inizialmente si affermò il genere maschile, attestato nel Dizionario moderno di Alfredo Panzini (1905) e questo viene confermato anche dal citato Manifesto Futurista.

37 Marinetti, Filippo Tommaso, Fondazione e Manifesto del Futurismo, Milano, in “Poesia”, nn. 1-2, 1909

citato da De Micheli, Mario, Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli, 2015, pp. 372-378.

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15 Primo Manifesto dei Futuristi: “Noi vogliamo glorificare la guerra [..] il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore [..]”38.

I Futuristi, però, non solo i soli ad inneggiare alla guerra: nell’estate del 1914, allo scoppio del conflitto, si accende un forte entusiasmo: nelle capitali europee le folle si riversano nelle strade e accompagnano le truppe in partenza. Intellettuali come R. Maria Rilke, Filippo Tommaso Marinetti, Sigmund Freud si fanno prendere dalla passione patriottica e persino movimenti pacifisti, come quello delle suffragiste inglesi, si spezzano a causa di posizioni divergenti.

Anche questo mito moderno, tuttavia, è destinato ad infrangersi: alla fine della guerra si contano dieci milioni di morti e trenta milioni di feriti, numeri mai raggiunti, e le conseguenze economiche (debiti, inflazione) e sociali (povertà, fame, dolore, depressione) sono altrettanto forti39. Il senso di disperazione e pessimismo che invade gli anni post bellici è espresso dalle parole dello scrittore austriaco Stefan Zweig:

Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale [..] credo di essere il più conscio possibile dicendo: fu l’età dell’oro della sicurezza. [..] Oggi [..] è facile deridere l’illusione ottimistica di quella generazione accecata dal suo idealismo: illusione che il processo tecnico dovesse immancabilmente avere per effetto un non meno rapido miglioramento morale. [..] Noi che abbiamo imparato a non lasciarci più sorprendere da alcuno scoppio di bestialità collettiva, noi che dal domani aspettiamo ancor più atroci eventi che dall’ieri, siamo [..] costretti a dar ragione a Freud, allorché egli riconobbe nella nostra cultura e nella nostra civiltà solamente un sottile diaframma, che ad ogni momento può essere sfondato dagli impulsi distruttivi del mondo sotterraneo, noi abbiamo dovuto [..] abituarci a vivere senza un saldo terreno sotto i piedi, [..] senza libertà, senza sicurezza40.

Questo senso di smarrimento e perdita di ogni certezza sembra anticipare la caduta delle grandi narrazioni della postmodernità, ma in realtà l’ideale moderno non ha ancora esaurito le sue possibilità e, non a caso, si manifesta soprattutto nei due paesi che hanno risentito di più della guerra: l’Italia e la Germania.

38

De Micheli, Mario, op. cit., p. 375.

39 Banti, Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp.

1-5.

40 Zweig, Stefan, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Milano, Mondadori, 1979, pp. 9-11 citato da Banti,

(16)

16 Qui la rabbia e la delusione della popolazione per l’incapacità dei nuovi governi di affrontare la crisi economica, politica e sociale hanno bisogno di trovare un conforto, un sostegno forte41. In Italia prende, così, sempre più consenso l’ideologia fascista sotto la guida di Benito Mussolini: “Il nostro mito è la nazione, la grandezza della nazione! E a questo mito [..] noi subordiniamo tutto il resto”42

.

In Germania, invece, con la figura di Adolf Hitler, si forma il mito della superiorità ariana che si alimenta di un odio comune contro gli ebrei:

L’ebreo è e rimane un tipico parassita, uno scroccone, che, come un bacillo nocivo continua a diffondersi là dove trova un ambiente adatto. [..] Dovunque si installi, il popolo che lo ospita prima o poi muore. [..] Ma un popolo razzialmente puro, conscio del suo sangue, non potrà mai essere schiavizzato dall’ebreo43

.

Queste ideologie trovano consenso, in parte, anche all’interno del clima culturale: basti citare il legame del Movimento Futurista con il regime fascista e l’adesione al Partito Nazionalsocialista di Martin Heidegger nel maggio del 1933.

È proprio la Germania nazista, spinta dall’idea di rivalsa e dal progetto di ricomposizione del popolo tedesco sotto un unico Reich, che spinge verso la Guerra. Le conseguenze sono catastrofiche: 50 milioni di morti, per lo più uomini, donne e bambini a causa di carestie, massacri indiscriminati e bombardamenti. Il dato più sconcertante, però, è lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei nei campi di concentramento. Questo non è un episodio tra gli altri, ma un evento che segna uno spartiacque tra un prima e un dopo in quanto apre una nuova fase di riflessione sul male44. Questa fase è inaugurata, sul piano politico, con la creazione di un ente sovranazionale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che ha lo scopo di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra [..] e riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana [..]”45

.

Nonostante il dolore immenso che grava sull’Europa e su altre parti del mondo sembra, però, possibile che la vita possa ricominciare e questo è accentuato dalla rapidità con la

41

Banti, Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi…, pp. 92-173.

42 Mussolini, Benito, Opera Omnia, vol. XVIII, Firenze, La Fenice, 1972, p. 457 citato da Alberto Mario

Banti, L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi…, p. 100.

43 Hitler, Adolf, Mein Kampf, Bd. I, Eine Abrechnung, Munchen, Verlag Franz Eher Nachfolger, 1934, pp.

334, 335; 356, 357 citato da Banti, Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi…, pp. 170, 171.

44Jonas, Hans, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, il Nuovo Melangolo, 1993. Questo tema

verrà approfondito nel prossimo paragrafo.

45 Polsi, Alessandro, Storia dell’Onu, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 199-200 citato da Banti, Alberto Mario,

(17)

17 quale le economie dell’Europa occidentale si riprendono dalla devastazione bellica: grazie alla spinta statunitense del Piano Marshall i sistemi economici europei prostrati dalle conseguenze della guerra vengono rivitalizzati.

Parte dei prestiti vengono utilizzati per ricostruire edifici, strade e strutture distrutte durante i bombardamenti. Ciò produce un effetto domino: cresce la domanda per macchinari e materiali di diversi settori produttivi e inizia un nuovo processo di industrializzazione grazie, anche, alla rete di accordi economici tra gli stati europei46. Aumenta anche il numero di lavoratori da impiegare nei settori in crescita e, se da una parte questo porta all’utilizzo di lavoratori immigrati, dall’altra sollecita il miglioramento delle strutture educative, concepite come luoghi dove formare operai, tecnici, professionisti e manager capaci. La conseguente diminuzione della disoccupazione e l’aumento delle retribuzioni consente alle famiglie di acquistare un maggior numero di beni di consumo: i risparmi ci sono e gli oggetti, grazie anche alla pubblicità, attirano. Si crea un mercato di massa che diffonde mode, prodotti, stili di vita e valori che si susseguono in un ritmo di incessante creazione e distruzione; niente è durevole, tutto diventa effimero e sostituibile. Prodotto in vendita e, al tempo stesso, mezzo di diffusione di valori e stili di vita è la televisione, motore della nuova comunicazione virtuale, che porta alla sensazione di abitare in un “global village”47 dove le distanze fisiche e culturali sembrano annullate. Questo è accentuato dal processo di americanizzazione che interessa soprattutto il mezzo cinematografico: i nuovi generi americani (noir, western, commedie) attirano il pubblico europeo creando un immaginario comune.

Se da una parte questa nuova realtà mediatica rende possibile il contatto con ciò che è distante, stimolando la diversità e spostando il punto di interesse da una visione soggettiva nella dimensione del villaggio a una visione spersonalizzata e globale, dall’altro è diventata la rappresentazione più adeguata dei valori della nuova società capitalistica48.

È in questo contesto, infatti, che nascono i movimenti contro culturali e antimodernisti degli anni ’60 e ’70 che si oppongono ai dispositivi di oppressione del Sistema (partiti, aziende, scuola, società) e alla razionalità burocratica per cercare nuove forme di espressione più attente all’individualità tramite stili che esprimono una rottura con il passato. Questo forma di reazione nasce nelle università statunitensi dove si creano gruppi

46

Si pensi alla Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, 1951) e alla Cee (Comunità economica europea, 1957). Cfr. Banti, Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi…, p. 295.

47 McLuhan, Marshall, The Gutenberg Galaxy. The Making of Typographic man, University of Toronto

Press, 1962, p. 31.

48

(18)

18 di discussione in protesta contro la guerra del Vietnam, favorevoli al movimento per i diritti civili e impegnati a discutere le nuove relazioni sessuali e l’uso di droghe psichedeliche e si diffonde anche in Europa fino alle importanti rivolte del’68 e del ‘69. Questi eventi interessano, presto, anche l’opinione pubblica che comincia a simpatizzare per i giovani rivoluzionari: è interessante sottolineare, per esempio, il sostegno di Foucault al movimento studentesco.

A tutto questo si accompagna il lungo processo di decolonizzazione, iniziato già durante la Seconda Guerra Mondiale; le colonie europee, infatti, riescono a conquistare l’indipendenza e questo grazie, anche, ad un forte senso di identità religiosa e culturale. Questo tentativo di dare voce alle minoranze che erano state fatte tacere per troppo tempo (donne, neri, omosessuali, popoli colonizzati) è un aspetto fondamentale per comprendere la posizione pluralistica del postmodernismo. Per occuparsi veramente delle diversità è necessario, ora, uscire dall’imperialismo della ragione. Il postmodernismo, così, accetta la caducità, la frammentazione e la discontinuità49: non vuole più risolvere questa visione caotica della vita e cercare qualcosa di eterno e immutabile dietro il divenire delle cose (come aveva cercato di fare il modernismo), ma rinuncia all’unità e alle grandi narrazioni e “galleggia” sopra questa “modernità liquida”50

.

Le ambiguità, i controsensi e le rotture della società postmoderna vengono sperimentate nella conoscenza (filosofia e scienza), nel soggetto (psicanalisi) e nel linguaggio (linguistica, letteratura e arte). Queste discipline affrontano la nuova realtà caotica e priva di modelli rinunciando, loro stesse, alla creazione di sistemi e strutture universalizzanti.

Uscite dalla progettualità moderna, la scienza e la filosofia “devono liberarsi dalle loro grandiose ambizioni metafisiche e considerarsi, più modestamente, semplicemente un’altra serie di narrazioni”51

. Si ricerca, inoltre, vie di uscita dal determinismo della scienza moderna che si fonda su un sistema ad elevata stabilità di cui, note le variabili, è possibile prevedere le prestazioni. Questa condizione, come sottolinea Lyotard

[..] è espressa dalla “finzione del “demone” di Laplace: essendo a conoscenza di tutte le variabili che determinano lo stato dell’universo in un istante t, può prevederne lo stato nell’istante t’>t. Questa immagine è sostenuta dal principio secondo cui i sistemi fisici [..]

49

Harvey, David, op. cit., p. 63.

50 Bauman definisce l’età postmoderna come “modernità liquida” mettendo in evidenza, in questo modo, la

caduta delle grandi narrazioni, delle solide costruzioni moderne che porta ad una realtà liquida, infinitamente modellabile e priva di netti confini. Cfr. Formaggio, Damiano, op. cit., p. 12.

51

(19)

19 ottemperano a delle regolarità, e conseguentemente la loro evoluzione descrive una curva prevedibile52.

Questo modello viene superato con la quantistica e la microfisica che mostrano che l’incertezza non diminuisce con l’aumentare della precisione:

[..] assistiamo al delinearsi di una corrente nella matematica contemporanea che rimette in discussione la possibilità umana di misurazione precisa e di previsione dei comportamenti oggettuali. [..]La scienza postmoderna costruisce la teoria della propria evoluzione come discontinua, catastrofica, non rettificabile, paradossale53.

In questa nuova realtà priva di sistemi fissi e universali, cade anche l’idea di un’unità dell’io: il soggetto si vede continuamente trasformato e diverso a seconda delle prospettive e delle situazioni e la ricerca autobiografica, per citare un personaggio dell’Aleph (1949) di Jorge Luis Borges, si risolve in un viaggio labirintico: “Chi sono io? Quello d’oggi, vertiginoso, quello di ieri, dimenticato, quello di domani, imprevedibile?” 54.

All’alienazione del soggetto moderno di cui parlava Marx, si sostituisce quindi la frammentazione dello stesso: essere alienati, infatti, presupponeva un senso dell’io coerente sulla base del quale ideare progetti e realizzare un futuro migliore, mentre il postmodernismo non può più proporre niente di simile.

Lo stesso destino di frammentazione investe anche il linguaggio che non è più considerato univoco, ma si compone di un’infinità di combinazioni e rimandi creando una vera e propria rete di giochi e codici linguistici in cui lo stesso soggetto umano si dissolve. L’analoga natura labirintica del linguaggio viene illustrata da una metafora presente nelle Osservazioni filosofiche di Ludwig Wittgenstein: “Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e regolari, e casi uniformi”55.

Il soggetto si trova così immerso in una pluralità di giochi linguistici, stili e codici diversi a seconda della situazione e del luogo in cui si viene a trovare: nello spazio del

52

Lyotard, Jean-François, La condizione postmoderna..., p. 101.

53 Ivi, pp. 105-109.

54 Borges, Jorge Luis, L’Aleph (1949), Milano, Adelphi, 1998 citato da Harvey, David, op. cit., p. 59. 55 Wittgenstein, Ludwig, Osservazioni filosofiche, Torino, Einaudi, 1976 citato da Harvey, David, op. cit., p.

(20)

20 postmodernismo, infatti, coesistono e si sovrappongono un gran numero di mondi differenti.

In letteratura l’interesse dell’autore si sposta verso la vicenda interiore del personaggio che è abbandonato in mezzo al fluire continuo e contraddittorio di tutte le cose. Queste caratteristiche vengono anticipate già nelle opere di Marcel Proust, James Joyce, Robert Musil, Borges, Luigi Pirandello e Italo Svevo 56, ma gli autori postmoderni rifiutano anche di trattare personaggi a tutto tondo, privilegiando soggetti monodimensionali, piatti e allegorici spesso ripresi da altre opere letterarie.

La stessa forma di citazione di opere già esistenti si ritrova nella pittura: rifuggendo dall’idea di progresso, il postmodernismo abbandona ogni senso di continuità e memoria storica e saccheggia la storia, assorbendo qualunque cosa vi trovi57.

L’opera d’arte postmoderna diventa, così, collage, montaggio di pezzi e di stili, riproduzione. Robert Rauschenberg, per esempio, in Persimmon (Fig. 1) riprende alcune immagini della Venere Rokeby di Diego Velàzquez e della Toeletta di Venere di Peter Paul Rubens mescolandole a piatti e insegne della Coca Cola, simboli della società postmoderna. L’aura dell’artista non c’è più e “l’immaginazione del soggetto che crea lascia dichiaratamente il posto alla confisca, alla citazione, all’estrapolazione, all’accumulazione e alla ripetizione di immagini già esistenti”58

Filosofia, scienza, psicanalisi, linguistica, letteratura e arte quindi reagiscono, analizzano e al tempo stesso contribuiscono al profondo mutamento socio-economico che interessa la seconda metà del Novecento.

Fin qui ho cercato di mostrare, brevemente, i cambiamenti principali che interessano questo periodo storico in rapporto al precedente. Queste trasformazioni, come abbiamo visto, riguardano vari ambiti: per fare chiarezza, quindi, ho deciso di mettere a confronto i caratteri primari delle due età nello schema che segue.

56 Maggio, Elena, op. cit., p.n.n. 57 Harvey, David, op. cit., pp. 75, 76. 58

(21)

21 Tabella sui caratteri principali della modernità e della postmodernità59

MODERNITÀ POSTMODERNITÀ

Scopo / Finalità Gioco / Caos

Progettazione Gerarchia Produzione Totalità Creazione Sintesi Casualità Anarchia Riproduzione Pluralità Decostruzione Antitesi Determinatezza Presenza Centralità Alienazione Trascendenza Metafisica Significato Determinismo / Previsione Indeterminatezza Assenza Dispersione Frammentazione Immanenza Ironia Significante Probabilità/ Incertezza Solido Finito Universale Origine Liquido Infinito Particolare Differenza

59 Hassan, Ihab, The postmodern Turn, Columbus (Ohio), Ohio State University Press, 1987, p. 91. Il corsivo

(22)

22

1.2 Filosofia moderna e filosofia postmoderna

Nella parte precedente ho solo accennato ad alcune differenze tra il progetto filosofico moderno e il suo superamento postmoderno. Per mostrare, in seguito, un collegamento tra l’arte d’avanguardia e la filosofia postmoderna, tuttavia, penso sia importante soffermarmi maggiormente su questo rapporto.

In questo paragrafo, quindi, il mio scopo è sottolineare le differenze tra la filosofia moderna e quella postmoderna. Confrontandole come due “correnti” ben distinte nelle loro visioni, tematiche e ricerche, tuttavia, il rischio è di incorrere in errori dati da generalizzazioni che non tengono conto di specifiche personalità, di singoli risultati spesso non conformi tra loro nonostante la vicinanza cronologica e di eccezioni importanti che sembrano smentire questa netta divisione.

Per questo motivo ho bisogno di “forzare” il loro rapporto, di farle “scontrare” per far emergere la diversità dei loro caratteri. Lo “scontro” si svolge nella postmodernità, dove il progetto moderno viene messo in discussione. La modernità presa qui in esame, quindi, non è quella studiata dagli storici della filosofia, ma quella che emerge dalla consapevolezza storico-culturale del secondo dopoguerra europeo: una modernità in crisi, con più ombre che luci, caratterizzata dalla tragedia dei totalitarismi e dalla frenesia del processo di industrializzazione60.

Il termine “modernus” (moderno) deriva dal sostantivo latino “modus” che significa misura, regola, norma. L’aggettivo moderno, quindi, assume il significato di “ciò che è relativo alla misura”, ovvero, “ciò che è giusto nel tempo” per cui contiene in sé la prospettiva del progresso. Il sostantivo modernitas (modernità) compare verso i secoli XI e XII, periodo a cui risale la prima metafora della nuova temporalità: “Nos sumus sicut nanus positus super humeros gigantis”61. Questa espressione figurata fissa l’idea di una cultura intesa come una continua costruzione degli uomini, un progresso raggiungibile grazie al fondamento del sapere antico che permette di vedere “più lontano”. Il nuovo, perciò, risulta essere una prospettiva superiore in quanto si proietta verso il futuro62.

Il termine moderno, quindi, ha una lunga storia alle spalle, ma il progetto della modernità, come sottolinea Jürgen Habermas, emerge solo nel XVIII secolo con la sfida

60 Rimedio, Antonio, La filosofia postmoderna, Bologna, Diogene, 2015, p. 22.

61 “Siamo come un nano sopra le spalle di un gigante”: la frase viene attribuita al filosofo francese Bernardo

de Chartres (XII sec.).

62

(23)

23 illuminista di servirsi della ragione quale motore del progresso63. In questo periodo, infatti, si consolida l’idea che il mondo possa essere trasformato dall’azione dell’uomo e sfruttato a proprio vantaggio. Illuministi come Nicolas de Condorcet e Anne Robert Jacques Turgot considerano il genere umano come un tutto che si sviluppa fino alla piena maturità e il progresso, per loro, diventa una fede laica, la marcia verso una sempre più grande perfezione nella certezza che “ogni secolo aggiungerà nuovi lumi a quello del secolo che lo avrà preceduto; e questi progressi, che niente ormai può fermare o sospendere, avranno come unici limiti quelli della durata dell’universo”64

.

Durante il XIX secolo, però, è Nietzsche a teorizzare il primo limite: con la morte di Dio rappresenta, infatti, la rottura di ogni legge, la disgregazione di ogni valore e la fine di quegli ideali che hanno garantito, sino ad allora, l’esistenza dell’uomo. Viene meno la fede nella verità e, con essa, la concezione lineare del tempo progressivo che viene convertito nel tempo circolare della dottrina dell’eterno ritorno: “L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo rigirata – e tu con essa, granello di polvere!”65.

La modernità, quindi, viene destrutturata a partire dalle prospettive di pensiero emerse al suo interno tra Ottocento e Novecento, ma solo con le barbarie della dittatura hitleriana, dei campi di concentramento e del pericolo di una minaccia atomica l’illuminismo rende evidente il processo della sua stessa autodistruzione. In esilio negli Stati Uniti per l’ascesa del nazismo al potere (1933), di fronte a questi avvenimenti, Max Horkheimer e Theodor Adorno nel saggio Dialettica dell’illuminismo (1944) cercano di comprendere perché l’umanità sia sprofondata in un nuovo genere di barbarie. La modernità ha tradito le sue promesse di emancipazione e ha finito per produrre un modello di società tecnologica e autoritaria, razionale nella predisposizione dei mezzi e irrazionale nel perseguimento dei fini decisi arbitrariamente dal potere. L’idea di progresso ha perso il suo valore; nessuno è più disposto a scommettere che il futuro sarà necessariamente migliore rispetto al presente o al passato e all’avanzamento della tecnologia non corrisponde più l’idea di progresso dell’umanità66

.

Di fronte a questi cambiamenti emerge la necessità di indicare i caratteri di questa nuova cultura e di proclamare definitivamente la fine dei grandi sistemi di pensiero della modernità e l’inizio di una post-modernità. Il termine “postmoderno” proviene

63

Harvey, David, op. cit., p. 25.

64 De Condorcet, Nicolas, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain (1793) citato da

Rimedio, Antonio, op. cit., p. 43.

65 Nietzsche, Friedrich, La gaia scienza, Pordenone, Studio Tesi, 1991, p. 257. 66

(24)

24 originariamente dalla sfera dell’arte, nei confronti della quale l’espressione è stata usata per la prima volta nel 1870 in Inghilterra, mentre in filosofia viene introdotto piuttosto tardi, nel saggio La condizione postmoderna (1979) di Lyotard67. Qui il filosofo si pone l’obiettivo di descrivere le caratteristiche di questa nuova età dopo la scomparsa delle grandi teorie-utopie della modernità: illuminismo, idealismo e marxismo. Queste grandi narrazioni miravano a legittimare istituzioni, pratiche sociali e politiche, leggi e valori etici, ma gli stessi fatti storici le hanno falsificate68. Tra questi, l’evento di rottura per eccellenza, secondo Lyotard, è l’esperienza di Auschwitz:

La mia tesi è che il progetto moderno non è stato abbandonato e dimenticato, ma distrutto, “liquidato”. Ci sono molti tipi di distruzione, diversi nomi che ne sono il simbolo. “Auschwitz” può essere preso come un nome paradigmatico per l’incompiutezza tragica della modernità”.69

Nella storia del Novecento, Auschwitz si presenta come soglia tra la modernità e la postmodernità, un nodo irrisolto che Lyotard cerca di riproporre come interrogativo nel suo saggio Il dissidio (1983). Auschwitz, infatti, si annuncia come presenza estranea dell’Altro, qualcosa che non può essere compreso o legittimato razionalmente, un dissidio appunto: un contrasto che rimane irrisolto [..] una differenza non conciliata e non conciliabile, destinata a rimanere sempre sospesa nella sua impossibilità di essere pensata e trasformata in un discorso”70

. Con Auschwitz viene meno la possibilità di una sintesi nel pensiero dialettico moderno in quanto è un negativo non-negabile: testimonia che il linguaggio della ragione non esaurisce la sfera dell’essere, che non tutto ciò che è reale, è razionale71

.

Contro l’idea moderna di una ragione totalizzante come essenza del reale, quindi “il pensiero postmoderno, sorto dall’esperienza del Male, valorizza la differenza, la dimensione dell’essere-altro, il pluralismo e il sospetto verso ogni fondamento o centro unidirezionale di pensiero e di attività”72.

67 Welsch, Wolfgang, op. cit., [p. 14]. 68 Rimedio, Antonio, op. cit., pp. 55-60.

69 Lyotard, Jean-François, Il postmoderno spiegato ai bambini, Milano, Feltrinelli, 1987, p. 28. 70 Rimedio, Antonio, op. cit., pp. 188, 189.

71

Mi riferisco alla frase di Hegel “Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale” che esprime l’idea legittimante dell’idealismo (meta-narazione moderna), ovvero la certezza che la Ragione universale compenetra di sé la struttura stessa del mondo e degli eventi storici. Cfr. Hegel, George Wilhelm Friedrich, Lineamenti di filosofia del diritto, Roma- Bari, Laterza, 2012, p. 14.

72

(25)

25 La modernità pesante, solida, compatta, sistemica [..] aveva un’endemica tendenza al totalitarismo. La società totalitaria fatta di un’omogeneità onnicomprensiva [..] spuntava costantemente e minacciosamente all’orizzonte, come una destinazione finale[..]. Quella modernità era un nemico giurato della contingenza, della varietà, dell’ambivalenza, dell’indocilità e dell’idiosincrasia, tutte anomalie a cui aveva giurato guerra73

.

Il postmoderno, quindi, è “post” in quanto viene dopo la modernità e ne comprende i limiti, le incoerenze e l’incapacità di rispondere agli orrori storici che l’hanno caratterizzata. Da questa prospettiva, perciò, il pensiero postmoderno può essere considerato come opposizione alle diverse teorie moderne.

In questo senso, il suo primo obiettivo polemico è l’idea del progresso a partire dalla quale le ideologie moderne hanno costruito la prospettiva della storia come continuo miglioramento dell’umanità. La postmodernità, infatti, si configura come “dopo-storia” 74

; con il tramonto del colonialismo e dell’imperialismo si affacciano sulla scena mondiale molteplici culture che sono state a lungo represse, così si rinuncia alla continuità di una ricostruzione storica ideale ed emerge una molteplicità di storie. Come sottolinea Gianni Vattimo:

[..]Non c’è una storia unica, ci sono immagini del passato proposte da punti di vista diversi, ed è illusorio pensare che ci sia un punto di vista supremo, comprensivo, capace di unificare tutti gli altri [..]. La crisi dell’idea di storia porta con sé quella dell’idea di progresso: se non c’è un corso unitario delle vicende umane, non si potrà neanche sostenere che esse procedono verso un fine75.

Se non c’è una storia unitaria, ma diverse storie e modi di ricostruzione del passato nell’immaginario collettivo, allora “la dissoluzione della storia come disseminazione delle storie è una vera e propria fine della storia come tale; della storiografia come immagine di un corso di eventi unitario”76

.

La fine della storia è il carattere che più chiaramente distingue la postmodernità dalla modernità:

73 Bauman, Zygmunt, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2012, p. 15. 74 Rimedio, Antonio, op. cit., p. 23.

75 Vattimo, Gianni, La società trasparente, Milano, Garzanti, 1989, pp. 8-10. 76

(26)

26 [..] in un’epoca in cui, tramite il perfezionamento degli strumenti di raccolta e trasmissione dell’informazione sarebbe [..] possibile realizzare una “storia universale”, proprio questa è divenuta impossibile. [..] sono venute meno le stesse condizioni per una storia universale come effettivo corso unitario degli eventi, come res77.

Il secondo obiettivo polemico è l’imperialismo della Ragione moderna che pretende di ricondurre il reale e l’insieme dei rapporti (sociali, culturali) ad un ordine universale. “L’attacco” postmoderno alla razionalizzazione della realtà, quindi, si sviluppa su due fronti: da una parte quello della scienza che ha la presunzione di poter conoscere le leggi che strutturano il mondo, dall’altra quello dell’eticità che viene ricondotta ad una legge proposta come razionalmente fondata. Di fronte a questa logica il pensiero postmoderno valorizza il caos, l’instabilità, l’imprevedibilità, la differenza, l’asimmetria e la pluralità. Nella seconda metà del Novecento, sulla base della quantistica e della teoria della relatività di Albert Einstein, gli scienziati mettono in discussione le certezze in precedenza ritenute indubitabili e viene meno l’universo statico e deterministico di Newton. Il mondo regolare si rivela un’idealizzazione:

La scienza classica privilegiava l’ordine, la stabilità, mentre noi oggi riconosciamo il ruolo primordiale delle fluttuazioni e dell’instabilità ad ogni livello d’osservazione. [..] Nozioni come il caos sono diventate popolari e hanno invaso tutti i campi della scienza, dalla cosmologia all’economia78

.

Lo stesso ordine viene attribuito al campo dell’etica moderna che si riconduce principalmente a due modelli: da una parte Immanuel Kant, che universalizza la legge del soggetto con l’imperativo categorico e dall’altra G. W. Friedrich Hegel che identifica la legge della moralità con l’universalità dello Stato79

. I pensatori postmoderni decostruiscono questa pretesa di universalità opponendovi un limite non mediabile: l’Altro. L’esperienza dell’estraneo scardina la sicurezza della Ragione e la pone a confronto con l’evento imprevisto e imprevedibile, con qualcosa che non può essere compreso razionalmente. Interessante, a tal proposito, è la riflessione di Emmanuel Levinas: la tendenza della tradizione occidentale è sempre stata quella di assorbire l’Altro nell’Identità. Tale gesto imperialistico di conquista dell’Altro si accentua in Hegel dove il

77 Vattimo, Gianni, La fine della modernità…, pp. 17-18. Il corsivo è mio.

78 Prigogine, Ilya, La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leggi della natura, Torino, Bollati Boringhieri,

1997, pp. 13-16 citato da Rimedio, Antonio, op. cit., p. 134.

79

(27)

27 diverso è ricondotto all’Identico attraverso il movimento dialettico dell’Aufhebung (soppressione e superamento dell’opposizione). In questo modo la pluralità viene dominata, controllata e ricondotta all’unità secondo la logica moderna, in forza della quale tutte le opposizioni vengono superate e riconciliate80. Il pensiero postmoderno di Levinas, invece, cerca di riconoscere la radicale singolarità dell’Altro enfatizzando proprio l’assenza di simmetria e di somiglianza per recuperare la pluralità. In questo modo l’imperativo etico diventa l’ospitalità - accogliere e farsi abitare81

dall’Altro custodendolo - e si sviluppa nella relazione primaria: quella faccia a faccia con l’Altro che si presenta come volto a sé, che mi interpella e mi richiama alla responsabilità nei suoi confronti.

Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte ad un volto che mi guarda come assolutamente estraneo – e l’epifania del volto coincide con questi due momenti. In questa accoglienza del volto (accoglienza che è già la mia responsabilità nei suoi confronti [..]) si instaura l’uguaglianza82.

Il terzo obiettivo polemico è la moderna fondazione trascendentale del soggetto. Nella cultura moderna l’immagine del soggetto-uomo viene costruita a partire dal dualismo di Cartesio che contrappone il pensiero, la realtà psichica (res cogitans) alla materia del corpo e del mondo (res extensa). Un ulteriore sviluppo si ha con Kant che fonda il soggetto trascendentale come insieme delle strutture a priori della conoscenza.

Per il pensiero postmoderno non è più accettabile l’idea di una filosofia incentrata sul soggetto perché quest’ultimo è il risultato delle istanze linguistico-culturali ed economico-sociali che caratterizzano l’età moderna83. L’obiettivo della ricerca, quindi, non è più

l’uomo, ma l’individuazione del piano storico-strutturale che precede ogni soggetto e ne determina lo sviluppo. Un esempio di questo atteggiamento si trova nel pensiero “archeologico-genealogico”84

di Foucault: lo scopo della sua indagine, infatti, non è l’uomo, ma l’identificazione del tessuto sullo sfondo del quale si creano le leggi del pensiero e i diversi saperi in ogni epoca. Il soggetto moderno risulta quindi essere

80

Rimedio, Antonio, op. cit., pp. 161-164.

81 Il termine greco “ethos” rimanda, infatti, all’abito, all’abitudine e quindi anche all’abitare, come ha

suggerito M. Heidegger. Cfr. Ivi, p. 170.

82 Levinas, Emmanuel, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano, Jaca Book, 2006, p. 219. 83 Rimedio, Antonio, op. cit., p. 116.

84

Si parla, per Foucault, di un’archeologia genealogica e di una genealogia archeologica in quanto i primi studi archeologici di Foucault, in cui il filosofo scava per ricostruire il reticolo di idee e di pratiche sociali sulle quali si sono costruiti i saperi disciplinari nel corso della modernità, costituiscono la premessa per gli approfondimenti genealogici successivi, a cui si apre dagli anni Settanta, dove correla i saperi alle forme di potere vigenti in un determinato periodo storico. Cfr. Ivi, pp. 108, 109.

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