1
Università di Pisa
Dipartimento di Farmacia
Corso di Laurea Magistrale in Farmacia
TESI DI LAUREA
CARATTERIZZAZIONE FARMACOLOGICA DEGLI
EFFETTI VASCOLARI DI ERUCINA, UN ISOTIOCIANATO
NATURALE DERIVANTE DA ERUCA SATIVA MILL.,
CAPACE DI RILASCIARE H
2S
Relatori: Candidato:
Dott.ssa Alma Martelli
Jessica Silicani
Prof. Vincenzo Calderone
2
Indice
Capitolo 1
Introduzione... 4
1.1Il solfuro di idrogeno ... 4
1.1.1 Chimica e produzione del solfuro di idrogeno... 6
1.1.2 Catabolismo di H2S ... 11
1.1.3 Meccanismi dell’azione biologica di H2S ... 12
1.2 Ruolo di H2S nel sistema cardiovascolare ... 14
1.3 I Canali Kv7 ... 19
1.3.1 Inibitori dei Kv7 ... 21
1.3.2 Attivatori dei Kv7 ... 22
1.3.3 Kv7 e muscolatura liscia vascolare ... 24
1.4 H2S-donors... 28
1.4.1 Sali di solfuro ... 28
1.4.2.H2S donor di origine sintetica ... 29
1.4.2.1 Derivati del reattivo di Lawesson ... 29
1.4.2.2 Isotiocianati di origine sintetica ... 33
1.4.2.3 Imminotioeteri ... 34
1.4.3 H2S-donors di origine naturale ... 37
1.4.3.1 Derivati dell’aglio ... 37
1.4.3.2 Isotiocianati di origine naturale... 39
1.5 Erucina... 40
Capitolo 2 Scopo della ricerca ... 45
Capitolo 3 Materiali e metodi ... 46
3
3.1 Materiali e metodi per la sperimentazione in vitro su cellule HASMC ... 46
3.1.1 Colture cellulari ... 46
3.1.2 Mezzo di coltura... 47
3.1.3Soluzioni tampone utilizzate durante i protocolli sperimentali ... 47
3.1.4 Gelatina... 48
3.1.5 Sostanze utilizzate durante i protocolli sperimentali ... 49
3.1.6 Soluzioni delle sostanze utilizzate durante i protocolli sperimentali ... 50
3.1.7 Protocollo sperimentale ... 51
3.1.7.1 Scongelamento ... 51
3.1.7.2 Piastratura ... 52
3.1.7.3 Esperimenti ... 54
3.1.7.3.1 Esperimento con sonda DiBac(4)3 in assenza di bloccanti ... 55
3.1.7.3.2 Esperimento con la sonda fluorimetrica WSP-1 ... 56
3.1.8 Analisi dei dati delle colture cellulari ... 59
3.2 Materiali e metodi per la sperimentazione su organo isolato ... 60
3.2.1 Animali ... 60
3.2.2 Sostanze utilizzate durante i protocolli sperimentali ... 60
3.2.2.1 Soluzione salina Tyrode ... 61
3.2.3 Soluzioni delle sostanze utilizzate durante i protocolli sperimentali ... 61
3.2.4 Allestimento del modello sperimentale ... 63
3.2.4.1 Prelievo e allestimento dell’organo ... 63
3.2.4.2 Prova endotelio ... 64
3.2.4.3 Valutazione della risposta vasorilasciante ... 65
3.2.4.4 Inibizione della contrazione da Noradrenalina ... 65
3.2.5 Analisi dei dati ... 66
Capitolo 4 Risultati e discussione ... 68
Bibliografia: ... 79
4
Capitolo 1
Introduzione
1.1 Il solfuro di idrogeno
Il solfuro di idrogeno (H2S) è un gas incolore dal tipico odore di uova marce le cui
proprietà benefiche furono empiricamente sfruttate dai Romani nelle terme, luoghi di socializzazione e veri e propri templi del benessere.
Nonostante i riconosciuti benefici dell’esposizione a sorgenti sulfuree, per molto tempo H2S è stato relegato all’immagine di gas tossico, infatti a concentrazioni
elevate causa arresto della respirazione mitocondriale dovuto al legame del solfuro con l’enzima citocromo c ossidasi (Hughes et al., 2009). Molti case reports inerenti avvelenamenti acuti da solfuro di idrogeno descrivono un quadro drammatico: la morte viene paragonata ad un “colpo di fulmine” (Oesterhelweg e Püschel, 2008), i soggetti esposti ad alte concentrazioni (sopra le 1000 ppm) presentano un quadro clinico critico che si esaurisce in pochi minuti passando dall’iperventilazione alla perdita di coscienza e morte per arresto respiratorio
(Beauchamp et al., 1984). Il gas risulta essere particolarmente insidioso in quanto l’odore tipico di uova marce è rilevabile solo a basse concentrazioni, mentre ad alte concentrazioni esso causa paralisi del nervo olfattivo, rendendo il soggetto incapace di rilevarne la presenza (Beauchamp et al., 1984; Fuller et al., 2000;
Hendrickson et al., 2004); numerosi casi di intossicazione riguardano agricoltori esposti al gas prodotto dalla decomposizione del materiale biologico stoccato nei pozzi neri.
Nel 1996 Abe e Kimura descrissero per la prima volta l’idrogeno solforato come mediatore endogeno, studi successivi portarono progressivamente al riconoscimento dell’importanza fisiologica di questo composto fornendogli una nuova identità: quella di gas trasmettitore.
I gas trasmettitori sono piccole molecole inorganiche prodotte endogenamente in vari distretti dell’organismo, il cui ruolo nel mantenimento dell’omeostasi è stato
5 indagato solo a partire seconda metà del novecento, in particolare nei primi studi sul più noto di questi gas ovvero il monossido di azoto.
Lo studio dei gas trasmettitori ha avuto inizio con l’identificazione della natura dell’EDRF, molecola prodotta dall’endotelio a seguito dello stimolo di acetilcolina (Furchgott e Zawadzki, 1980); questo fattore di rilascio venne identificato nel monossido di azoto (Ignarro et al., 1987).
Gli studi effettuati sul monossido di azoto e sul monossido di carbonio hanno permesso di identificare con il termine “gas trasmettitori” piccole molecole inorganiche aventi caratteristiche comuni quali: la capacità di diffondere facilmente attraverso le membrane cellulari, di essere prodotti a livello endogeno da sistemi enzimatici finemente regolati e avere funzioni biologiche su target specifici a concentrazioni fisiologicamente rilevanti (Wang, 2002).
I tre i principali gas trasmettitori NO, CO e H2S (Fig 1.1) hanno un
comportamento che ben ricalca la citazione di Paracelso “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit”, a concentrazioni appropriate infatti esplicano un ruolo primario nella regolazione delle funzioni fisiologiche, mentre ad alte concentrazioni riportano effetti nocivi sull’organismo, ed in particolare il profilo di tossicità del monossido di carbonio lo rende poco appetibile come candidato per lo sviluppo di nuovi farmaci (Prockop e Chichkova, 2007).
Fig 1.1: Struttura tridimensionale di NO, CO e H2S.
H2S possiede le caratteristiche sopra elencate ed è stato proposto come candidato
ideale per la creazione di nuovi farmaci soprattutto nei riguardi del sistema cardiovascolare, come già avvenuto per il monossido di azoto, fornendo l’opportunità di superare le problematiche riscontrate nell’impiego degli NO-donors (molecole in grado di rilasciare NO) inerenti all’incrementata produzione di specie reattive dell’ossigeno come H2O2, che andando ad interagire con
6 l’attività mitocondriale, innescano meccanismi proapoptotici che causano alterazioni a livello cardiovascolare e del sistema nervoso centrale (Ponderoso et al., 1996; Wei et al., 2000; Sarkela et al., 2001; Calabrese et al., 2007). Il solfuro di idrogeno al contrario agisce come radical scavenger riducendo la produzione delle ROS, dimostrando di essere in grado di neutralizzare l’azione di molecole come il perossinitrito e di ridurre il danno ossidativo causato dalla produzione di acido ipocloroso (Whiteman et al., 2004, Whiteman et al., 2005).
D’altro canto l’iperproduzione di H2S potrebbe essere coinvolta nella genesi di
condizioni patologiche quali infarto, ictus, infiammazione, setticemia e nel ritardo mentale tipicamente presente nei soggetti affetti da sindrome di Down (Lowicka e Beltowski, 2007).
Recentemente è stata evidenziata la possibilità dell’esistenza di un cross talk fra NO e H2S, è stato dimostrato infatti che il solfuro di idrogeno è in grado di
intervenire sui meccanismi di segnale del monossido di azoto ad esempio esso inibisce la fosfodiesterasi che altrimenti andrebbe a scindere il cGMP (Bucci et al., 2010; Coletta et al., 2012), aumenta l’espressione della NO sintetasi endoteliale e stimola la riduzione da nitrito a NO nel tessuto ischemico (Bir et al., 2012). Inoltre uno studio effettuato sul flusso coronarico di ratti normotesi e ipertesi ha permesso di evidenziare, nei ratti normotesi, che l’attività di molecole rilascianti H2S come NaHS è ridotta da bloccanti del rilascio di NO come
L-NAME e ODQ, mentre l’azione di NO è diminuita da PAG (propargilglicina) inibitore della biosintesi di H2S (Testai et al., 2015).
1.1.1 Chimica e produzione del solfuro di idrogeno
Il solfuro di idrogeno è un acido debole che in soluzione acquosa si dissocia in H+
e HS-, il quale può dissociarsi ulteriormente a H+ e S2- secondo la seguente
reazione:
H
2S
⇌ H
++
HS
-⇌ 2H
-+ S
2-Grazie all’equazione di Henderson-Hasselbach si può teoricamente prevedere che a pH fisiologico e alla temperatura di 37° il solfuro totale sia presente nella forma
7 indissociata per il 20%, mentre che l’80% sia presente come HS-, la presenza di
S2- è invece trascurabile poiché la dissociazione di HS- richiede che il pH sia più
elevato del fisiologico (Dorman et al., 2002; Dombkowski et al., 2004; Hughes et al., 2009). La coesistenza a pH fisiologico di H2S e HS- fa supporre che entrambe
le specie chimiche siano responsabili dell’effetto finale, HS- è la specie chimica
prevalente ed è un nucleofilo che si lega ai centri metallici presenti nelle molecole biologiche, come il sito di legame dell’ossigeno dell’emoglobina.
H2S è una molecola piccola e molto lipofila in grado di diffondere velocemente
attraverso le membrane cellulari, viene prodotto nelle cellule eucariote di mammifero sia attraverso una via biosintetica enzimatica che una non enzimatica. La via non enzimatica è minoritaria e procede attraverso una reazione di ossido-riduzione in cui lo zolfo si riduce a solfuro, mentre il glucosio si ossida a lattato.
2 C
6H
12O
6+
6S
0+ 13H
2O 3C
3H
6O
3+
6H
2S
+3CO
2Oltre al glucosio esistono altri substrati di partenza per la produzione di solfuro di idrogeno, ad esempio è stato ipotizzato che la produzione di H2S in lisati di cellule
eritrocitarie sia stimolata dal glutatione che si ossida nel processo e il cui pool ridotto viene ripristinato da NADPH e NADH (Searcy e Lee, 1998; Wang, 2002). La via enzimatica è quella da cui proviene la maggioranza dell’H2S endogeno e
che ha come attori principali due enzimi che hanno una differente distribuzione nei vari distretti dell’organismo: la cistationina -liasi (CSE) e la cistationina β-sintasi (CBS); questi due enzimi possiedono come substrato di partenza la L-cisteina e sono piridossale-5’-fosfato dipendenti (Stipanuk e Beck, 1982; Griffith, 1987; Erickson et al., 1990; Swaroop et al., 1992).
L’enzima CBS è espresso prevalentemente in aree cerebrali quali l’ippocampo e il cervelletto (Abe e Kimura, 1996), mentre il CSE è maggiormente espresso a livello periferico e ha il suo ruolo principale nel sistema cardiovascolare, ad eccezione di fegato e reni dove i due enzimi sono presenti in eguali proporzioni (Beltowski, 2015).
L’enzima CBS può catalizzare molte reazioni tra le quali una reazione di transulfurazione che ha come substrati di partenza L-cisteina e L-serina che
8 subiscono una reazione di condensazione a formare L-cistationina e H2O; quando
in questa reazione alla L-serina si sostituisce un’ulteriore molecola di L-cisteina si ha produzione di H2S assieme alla L-cistationina. L’enzima CBS può catalizzare
anche reazioni di transulfurazione fra due molecole di cisteina o due di omocisteina a produrre rispettivamente lantionina e omolantionina (Singh et al., 2009).
La reazione maggioritaria di produzione di H2S da parte di CBS è l’idrolisi di
L-cisteina a L-serina (Porter et al., 1974).
Schema 1: Biosintesi di H2S da parte di CBS.
L’enzima CSE è in grado di catalizzare le medesime reazioni di CBS, ma il meccanismo con cui maggiormente favorisce la produzione di H2S è una reazione
di β eliminazione della L-cisteina o -eliminazione dell’omocisteina a formare NH4 +, H2S e rispettivamente piruvato e α-chetobutirrato (Chiku et al., 2009).
Entrambi gli enzimi CSE e CBS sono in grado di convertire la L-cistina a tiocisteina (CysSSH), piruvato e ammoniaca. La tiocisteina attraverso reazioni successive con glutatione o proteine contenenti gruppi tiolici può dare vita alle corrispondenti specie sulfidrilate (Yamanishi e Tuboi, 1981; Stipanuk e Beck, 1982). La tiocisteina può anche subire una reazione non enzimatica che la scinde in cisteina e H2S (Cavallini et al., 1962) (schema 2).
9 Schema 2: Principale via biosintetica di H2S da parte di CSE.
Un’ulteriore via enzimatica di produzione del solfuro di idrogeno richiede la presenza di due enzimi: la cisteina aminotransferasi (CAT) e la 3-mercaptopiruvato sulfotransferasi (3-MST); questa via enzimatica è presente soprattutto a livello mitocondriale e prevede due fasi distinte catalizzate rispettivamente da ciascun enzima: nella prima fase si ha una reazione di transaminazione fra cisteina e α-chetoglutarato i cui prodotti sono L-glutammato e 3-mercaptopiruvato, quest’ultimo nella seconda fase viene convertito in piruvato e H2S, questo avviene solo in presenza di specie riducenti
contenenti ditioli come l’acido diidrofolico o la tioredossina, in assenza di queste 3-MST non produce H2S (Shibuya et al., 2009A; Shibuya et al., 2009B; Mikami
et al., 2011; Yadav et al., 2013; Shibuya et al., 2013).
In presenza di un elevato numero di ioni SO32-, CAT può convertire il
3-mercaptopiruvato in piruvato e tiosolfato (S2O32-), quest’ultimo reagisce con il
glutatione ridotto (GSH) per produrre H2S, SO32- e glutatione ossidato (GSSG)
10
Schema 3: Biosintesi H2S da parte di CAT e 3-MST.
Infine una via enzimatica passa attraverso l’azione della cisteina liasi che converte L-cisteina e lo ione solfito a L-cisteato e H2S (schema 4).
Schema 4: Sintesi H2S da parte della cisteina liasi.
Esiste una via biosintetica di H2S minoritaria presente a livello di cervelletto e
rene che ha come substrato la D-cisteina e prevede l’ossidazione di essa a mercaptopiruvato da parte della D-amminoacido ossidasi e successivo metabolismo da parte della 3-MST (Shibuya et al., 2013).
11
1.1.2 Catabolismo di H
2S
Il solfuro di idrogeno è una specie chimica riducente che viene metabolizzata da una grande varietà di agenti ossidanti (Whiteman et al., 2004; Whiteman et al., 2005; Chang et al., 2008; Geng et al., 2004).
Un’importante via di catabolismo del solfuro di idrogeno si trova a livello mitocondriale; il mitocondrio è in grado di ossidare H2S solo a basse
concentrazioni (generalmente al di sotto della 10µM), mentre ad alte concentrazioni questo riesce ad inibire la citocromo c ossidasi con un meccanismo analogo a quello del cianuro. Il processo di ossidazione a livello mitocondriale è catalizzato da vari enzimi: la chinone ossidoreduttasi, la diossigenasi, la S-transferasi e ha come prodotto finale il tiosolfato.
Il tiosolfato è poi convertito dall’enzima rodanasi in solfito, il quale a sua volta viene ossidato a solfato come è possibile osservare nello schema 5 (Goubern et al., 2007; Hildebrandt e Grieshaber, 2008; Martelli et al., 2012A).
Schema 5: Catabolismo H2S mitocondriale.
Nel sangue il catabolismo di H2S è legato al suo legame con la metaemoglobina a
formare la sulfoemoglobina, la quale può essere utilizzata come marker della concentrazione plasmatica di H2S.
12 Nel citosol la maggiore via di degradazione dell’H2S è la metilazione da parte
della S-metiltransferasi prima a metantiolo e successivamente a dimetilsolfuro. (Kurzban et al., 1999; Furne et al., 2001).
1.1.3 Meccanismi dell’azione biologica di H
2S
Il solfuro di idrogeno a concentrazioni al di sopra di quelle fisiologiche, circa 50 μM, è nocivo sull’attività della catena respiratoria mitocondriale attraverso un’inibizione non competitiva del complesso IV, ovvero la citocromo C ossidasi (Nicholls e Kim, 1982; Volkel e Grieshaber, 1996), al contrario a concentrazioni inferiori a 20 μM si comporta come donatore di elettroni alla catena di trasporto degli elettroni a livello dell’ubichinone così da stimolare la fosforilazione ossidativa e aumentare la sintesi di ATP (Goubern et al., 2007).
Il comportamento diametralmente opposto nelle azioni biologiche del solfuro di idrogeno ad alte e basse concentrazioni suggerisce l’esistenza di un livello soglia che fa da discrimine fra gli effetti benefici e quelli tossici (Pun et al., 2010).
13 Il solfuro di idrogeno è un agente riducente e questa sua proprietà lo rende capace di neutralizzare l’attività di specie molto reattive quali perossinitrito, anione superossido, anione ipoclorito e perossido di idrogeno (Filipovic et al., 2012A, Jones et al., 2002; Carballal et al., 2011), che andrebbero a danneggiare proteine e lipidi. H2S reagisce con l’emoglobina a formare la sulfoemoglobina utilizzabile
come marker metabolico (Haouzi et al., 2011). Inoltre può anche interagire con gli S-nitrosotioli per formare acido tionitroso, i cui metaboliti NO, NO- e NO+ svolgono importanti funzioni fisiologiche (Filipovic et al., 2012B). Un altro meccanismo di azione di H2S è invece rappresentato dalla possibilità di formare
con i residui cisteinici di specifiche proteine, mediante reazioni di S-sulfidrilazione (Paulsen e Carrol, 2013; Pan e Carrol; 2013; Zhang et al., 2014), gruppi S-SH altamente reattivi capaci di alterare la funzione di svariate proteine ed enzimi (Mustafa et al., 2009; Gadalla e Snyder, 2010; Sen et al., 2012; Paul e Snyder, 2012) (schema 6).
14 L’idrogeno solforato svolge funzioni citoprotettive attraverso la soppressione della produzione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), riducendo l’espressione della proteina caspasi-3 (proteasi coinvolta nel processo apoptotico) e infine prevenendo la deplezione del glutatione (GSH) deputato alla neutralizzazione endogena di molte specie dannose di diversa natura (Chen et al., 2010).
Nelle colture cellulari di neuroblastoma H2S ha mostrato di essere in grado di
proteggere dallo stress ossidativo, non solo mediante l’aumento della produzione di GSH, ma anche attraverso il potenziamento dei trasportatori cistina/cisteina responsabili della distribuzione di GSH nei mitocondri (Kimura et al., 2010). Oltre meccanismi di azione aspecifici sopra elencati, l’idrogeno solforato esplica i suoi effetti biologici interagendo con determinati bersagli molecolari tra cui i canali del potassio ATP-dipendenti (KATP), implicati nella regolazione della
funzionalità cellulare pancreatica, miocardica, scheletrica e muscolare liscia. Altri canali del potassio vengono attivati dal solfuro di idrogeno come i calcio-attivati (KCa) e i voltaggio dipendenti (Kv).
1.2. Ruolo di H
2S nel sistema cardiovascolare
Il solfuro di idrogeno è un mediatore endogeno dalle caratteristiche poliedriche in grado di interagire con moltissime funzioni nell’organismo, in particolare nel sistema cardiovascolare H2S è in grado di regolare l’omeostasi di organi e tessuti
che lo compongono (Martelli et al., 2012A).
Nel cuore si ha una produzione endogena di solfuro di idrogeno che regola la funzione miocardica; H2S è in grado di ridurre l’inotropismo cardiaco e
proteggere dal danno da riperfusione e dal danno causato da ipossia tissutale che possono insorgere a seguito di un episodio ischemico (Calderone et al., 2016). L’azione cardioprotettiva di H2S si esplica attraverso il così detto
precondizionamento ischemico (IPC), fenomeno per il quale un cuore che sia stato sottoposto a piccoli episodi ischemici sia meno suscettibile allo sviluppo successivo di ischemie di natura più grave. Alla base dell’IPC vi è l’attivazione dei canali KATP, in particolare quelli presenti nella membrana interna del
15 mitocondrio (O'Rourke, 2000). Recentemente è stato infatti dimostrato che l’uso di bloccanti della produzione di H2S come PAG (propargilglicina) riduca l’effetto
protettivo dell’IPC (Bian et al., 2006), perciò è plausibile che l’idrogeno solforato svolga un ruolo di mediatore dell’IPC.
Ulteriori evidenze sono state riscontrate su modelli sperimentali sia ex vivo su cuore di ratto isolato e perfuso, che su modelli in vivo di infarto acuto, è stato osservato come la somministrazione di H2S esogeno permetta di ottenere un
precondizionamento farmacologico e quindi la riduzione di un eventuale danno da ischemia di riperfusione. L’effetto anti-ischemico viene annullato da bloccanti dei canali KATP a suggerire che sia proprio questo il meccanismo di azione del gas.
H2S protegge il miocardio dal danno da ischemia e riperfusione anche attraverso
meccanismi antiapoptotici attraverso l’attivazione di vie di trasduzione del segnale come PI3K/Akt, PKC e ERK 1 e 2 e del meccanismo antiossidante Nrf-2 mediato (Calvert et al., 2009). L’idrogeno solforato protegge inoltre il cGMP dalla degradazione inibendo la fosfodiesterasi 5, il cGMP aumentando di concentrazione a sua volta va a stimolare la produzione di H2S da parte della CSE
(Andreadou et al., 2015), il cGMP causa infatti un aumento della trascrizione dell’enzima ed inoltre innesca i meccanismi a valle responsabili del precondizionamento ischemico (Costa et al., 2005).
Il solfuro di idrogeno agisce anche sul postcondizionamento ischemico (IPostC), fenomeno attraverso il quale il blocco rapido e intermittente del flusso sanguigno durante le prime fasi di riperfusione post-ischemica riduce l’entità del danno del miocardio (Zhao e Vinten-Johansen, 2006). La somministrazione di NaHS si è dimostrata cruciale nel migliorare la performance cardiaca di cuori sottoposti a danno da ischemia/riperfusione (Yong et al., 2008); anche in questo caso l’effetto è antagonizzato da bloccanti dei canali KATP (Ji et al., 2008).
L’azione di H2S sull’aggregazione piastrinica consiste in un effetto inibitorio, il
meccanismo attraverso il quale si esplica quest’attività non è ancora stato del tutto delineato, anche se è stato dimostrato che non vi sia il coinvolgimento di canali del potassio, cGMP o formazione di NO (Zagli et al., 2007).
Inoltre H2S agisce nella prevenzione della formazione delle placche
16 modelli sperimentali di ipertensione (Yan et al., 2004; Zhong et al., 2003), ridurre la trascrizione di proteine chinasi mitogeno attivate e sopprimere la proliferazione endotelina-indotta di cellule della muscolatura liscia di aorta di ratto (Du et al., 2004). La formazione delle placche aterosclerotiche viene bloccata grazie all’azione antiinfiammatoria di H2S (Altaany et al., 2014; Zanardo et al., 2006).
Il solfuro di idrogeno a livello del sistema cardiovascolare è implicato nella regolazione del tono vasale; nel corso di vari studi è stato evidenziato che topi knockout per l’enzima CSE, sviluppano ipertensione in dipendenza dell’età anagrafica e perdita della capacità dell’endotelio di rilasciare la muscolatura liscia vasale (Yang et al., 2008).
H2S può essere prodotto sia dall’endotelio che dalla muscolatura liscia vasale
(Shibuya et al., 2009B). A seguito dello stimolo da parte di acetilcolina che induce un aumento del calcio intracellulare, la CSE produce H2S nelle cellule endoteliali
(Yang et al., 2008); il quale causa, nelle cellule della muscolatura liscia vasale, vasodilatazione.
Il meccanismo principale di vasodilatazione H2S-indotta passa attraverso
l’apertura dei canali KATP (Zhao et al., 2001), ma recentemente è stato scoperto
che altri canali sono responsabili dell’attività di questo gas trasmettitore.
I canali KATP possiedono un’architettura eteroottamerica: 4 proteine formanti il
poro appartenenti alla famiglia dei Kir sottofamiglia 6 (canali rettificati di ingresso del potassio) ciascuna associata a una proteina regolatoria SUR (recettori della sulfanilurea) che fanno parte delle proteine ABC, in grado di agire come sensori dell’ATP/ADP ratio. Quando l’ATP/ADP ratio si riduce si ha attivazione del canale KATP con fuoriuscita di K + e iperpolarizzazione di membrana, che sulla
muscolatura liscia dei vasi si traduce in un vasorilasciamento (Nichols, 2006; Miki e Seino, 2005; Bryan et al., 2004).
17
Fig 1.3: Struttura eteroottamerica dei canali KATP.
H2S attiva i canali ionici attraverso una S-sulfidrilazione dei residui di cisteina, sui
canali KATP a livello vascolare ciò si verifica sulla cisteina 43 della subunità Kir
6.1. H2S attiva attraverso la sulfidrilazione anche i canali del potassio
calcio-attivati di intermedia conduttanza e di bassa conduttanza (iKca e sKca) (Mustafa et
al., 2011).
Il solfuro di idrogeno stimola i canali iKca e sKca in modo endotelio dipendente,
causando un’iperpolarizzazione dose dipendente, che si riduce utilizzando bloccanti di questi canali (Tang et al., 2013).
L’azione di H2S si esplica anche sui canali del potassio calcio-attivati ad alta
conduttanza (BKca); questi ultimi possiedono la peculiarità di un duplice
meccanismo di attivazione: l’aumento della concentrazione di calcio intracellulare e l’innalzamento del voltaggio di membrana; questi due meccanismi agiscono in modo indipendente ma sinergico (Hoorigan e Aldrich, 2002). Gli studi sull’attività di H2S sui canali BKca a livello vascolare hanno dato risultati contradditori: la
vasodilatazione H2S indotta su anelli di aorta di ratto è risultata indipendente
dall’attivazione dei BKca dimostrandosi persistente anche dopo il blocco di questi
canali (Zhao et al., 2001; Li et al., 2010); mentre sull’arteria mesenterica di ratto la vasodilatazione viene impedita dalla presenza del bloccante (Jackson-Weaver et
18 al., 2011). H2S ha dimostrato di essere in grado di aumentare il rilascio di piccole
quantità di calcio da parte del reticolo endoplasmatico (RE) nelle cellule muscolari lisce vascolari; agendo a livello endoteliale infatti attiva i canali BKca
che stimolano il rilascio da parte delle cellule muscolari del calcio dal RE, che a sua volta stimola i canali BKca presenti su queste cellule inducendo la
vasodilatazione; questa attività viene persa in caso di non integrità dell’endotelio. (Jackson-Weaver et al., 2013).
Fig 1.4: Struttura canali BK.
Infine il solfuro di idrogeno è in grado di indurre vasorilasciamento sulle cellule muscolari lisce vascolari, attraverso la stimolazione dei canali Kv7 voltaggio
dipendenti, importanti nella stabilizzazione del potenziale di membrana. Il ruolo dei canali Kv7 è stato investigato attraverso esperimenti ex vivo su anelli di aorta
di ratto privati dell’endotelio, si è così evidenziato che bloccanti di questi canali come XE991 sono in grado di ridurre drasticamente la dilatazione H2S indotta
19
1.3. I Canali K
v7
I canali Kv7 appartengono a una delle dodici sottofamiglie di canali del potassio
voltaggio dipendenti, essi sono composti da quattro subunità alfa, che contengono sei domini transmembranari ad α-elica S1-S6 e un P-loop disposti in modo
circolare attorno ad un poro centrale come omotetrameri o eterotetrameri. Il dominio del poro è un tetramero composto da due proteine transmembranarie ad α-elica connesse l’una all’altra attraverso un P-loop (S5-S6), responsabile della
selettività del canale per gli ioni K+ (Del Camino et al., 2005; Del Camino e
Yellen 2002; Swartz, 2004). Il dominio del poro contiene una struttura che agisce come cancello e regola l’ingresso degli ioni, composta da un fascio di α-eliche che chiudono l’ingresso del canale, che corrispondono al dominio S6 (Doyle et al.,
1998; Holmgren et al., 1998). Il dominio del poro è legato covalentemente a quattro domini in grado di agire come sensori del cambiamento di voltaggio S1-S4
(VSDs: domini sensibili al voltaggio), il dominio S4 è caratterizzato dalla presenza
di 4 residui di arginina caricati positivamente (Long et al., 2005A; Long et al., 2005B). Il dominio del poro è legato al dominio S4 tramite un linker che passa dal
lato citoplasmatico della membrana. I VSDs convertono l’energia elettrica della
membrana cellulare in lavoro meccanico che serve a controllare il passaggio selettivo del potassio dal canale (Schow et al., 2012).
20
Fig 1.5: Struttura canali Kv7.
I canali Kv7 presenti sulla muscolatura liscia vascolare si attivano attorno a
-60mV (Mackie et al., 2008) e mantengono il voltaggio di membrana lontano dalla soglia di attivazione dei canali del Ca2+ voltaggio dipendenti(intorno a -40mV)
prevenendo la vasocostrizione (Mani e Byron, 2011).
I canali Kv7 ad oggi caratterizzati sono 5 (Kv7.1-Kv7.5) codificati dal gene
KCNQ; inizialmente la loro attività venne esaminata al livello cardiaco (Kv7.1) e
neuronale (Kv7.2-Kv7.5), solo successivamente si osservarono le loro implicazioni
in altri distretti dell’organismo.
I Kv7.2, Kv7.3 e Kv7.5sono stati per la prima volta identificati come mediatori
della ‘corrente M’ chiamata così perché inattivata mediante attivazione di recettori muscarinici da parte di acetilcolina a livello neuronale. La corrente M è parzialmente o totalmente inattiva durante la depolarizzazione neuronale, mentre quando la membrana cellulare si trova attorno a potenziali di -60mV viene attivata, in questo modo essa mantiene il potenziale di membrana vicino al potenziale di riposo e ne impedisce la continua eccitazione (Brown e Adams, 1980).
21 Mutazioni di questi canali si possono tradurre in convulsioni neonatali benigne, questo fatto ha evidenziato i Kv7 quali possibili target per il trattamento
dell’epilessia (Singh et al., 1998; Charlier et al., 1998).
I Kv7.1 sono invece stati per la prima volta osservati come i canali alla base della
corrente Iks la quale è fondamentale nella fase di ripolarizzazione del potenziale
d’azione cardiaco (Brown e Adams, 1980; Barhanin et al.,1996). L’alterazione di questo canale può portare ad un allungamento dell’intervallo QT e quindi allo sviluppo di aritmie potenzialmente fatali.
Il canale Kv7.4 è stato invece per la prima volta esaminato nell’orecchio interno,
mutazioni nel gene che codifica per questa proteina portano ad anomalie uditive (Kubisch et al., 1989; Kharkovets et al., 2006).
1.3.1. Inibitori dei K
v7
Nello studio dei canali Kv7 l’utilizzo di bloccanti è un utile mezzo al fine di
individuare il target di un eventuale farmaco in esame e di creare una mappatura di questi canali all’interno dell’organismo. Il blocco di tutte le isoforme dei Kv7
viene ottenuto attraverso l’uso di XE991 (10,10-di(4-piridinmetil)-9(10H)-antracenone) (Wang et al., 2000; Yeung et al., 2007).
Si ritiene che XE991 blocchi i canali Kv7 mediante un’interazione diretta, la
presenza di una subunità β KCNE1 modifica il sito di legame di XE991 pertanto i canali KCNQ1-KCNE1 sono molto meno sensibili all’interazione col bloccante (Wang et al., 2000).
22
Fig 1.6: Struttura di XE991
Mentre il blocco selettivo dei canali Kv7.2 e Kv7.3 solitamente viene ottenuto
attraverso l’uso di linopirdina (3,3-di(4-piridinilmetil)-1-fenilindolin-2- one).
Fig 1.7: Struttura linopirdina.
Esistono anche bloccanti per i canali Kv7.1 come Chromanol 293B
(trans-6-ciano-4-(Netilsulfonil-Netilammino)-3-idrossi-2.2-dimetilbenzoidrossipirano).
1.3.2. Attivatori dei K
v7
Fra le sostanze in grado di attivare i canali Kv7 troviamo retigabina e flupirtina,
23
Fig 1.8: Struttura flupirtina.
Fig 1.9: Struttura retigabina.
Queste due sostanze sono state scoperte prima di avere un’idea chiara del loro meccanismo di azione e utilizzate come analgesici e anticonvulsivanti.
Successivamente se ne è chiarito il meccanismo d’azione ovvero l’attivazione dei canali Kv7, in particolare retigabina agisce sui Kv7.2 e Kv7.3legandosi ad una tasca
idrofobica contenente un residuo di triptofano (che occupa posizioni diverse della catena amminoacidica nei Kv7.2 e Kv7.3) che si trova nella porzione
citoplasmatica dei domini transmembranari S5 e S6, il legame a questo residuo stabilizza il canale nella conformazione aperta (Schenzer et al., 2005; Wuttke et al., 2005). Inoltre il legame della retigabina è favorito dalla presenza di tre residui di leucina uno in posizione 272 del dominio S5, uno in posizione 314 all’interno del loop del poro e l’ultimo in posizione 238 del dominio S6 (Lange et al., 2009). La mancanza di questi 4 amminoacidi nel canale Kv7.1, rende retigabina incapace
della sua attivazione (Schenzer et al., 2005; Lange et al., 2009).
Grazie all’interesse rinnovato della ricerca verso i canali Kv7 è stato possibile
creare numerosi attivatori, i quali anche se non tutti utilizzabili a fini terapeutici hanno comunque aiutato a caratterizzare maggiormente l’attività di questi canali, ne sono esempi:
24 S1 (S-N-(1-(3morfolin-4fenil)-etil)-3-fenil acrilamide) e BMS-204352 ((3S)-(1)-(5-cloro-2-metossifenil)-1,3-diidro-3-fluoro-6-(trifluorometil)-2-idrossi- indol-2-one)): il loro sito di legame è costituito da un residuo di triptofano e la loro maggiore efficacia si ha sui canali Kv7.4 e Kv7.5
(Dupuis et al., 2002; Bentzen et al., 2006), BMS-204352 è stato studiato come farmaco per la prevenzione dell’infarto ma non ha superato gli studi di fase 3 (Jensen, 2002).
ICA- 27243 (N-(6-cloropiridin-3-il)-3,4-difluorobenzamide): il sito di legame di questo composto si colloca nei domini voltaggio sensibili S1-S4 (Padilla et al., 2009) e la sua attività è sottotipo specifica, si lega maggiormente alle forme eteromeriche dei Kv7.2 e Kv7.3, piuttosto che
alle forme omomeriche (Wickenden et al., 2008; Blom et al., 2010); probabilmente a causa di differenze di sequenza amminoacidica nel sito di legame di questo composto (Padilla et al., 2009).
Zinco piritione (ZnPy): è in grado di attivare il canale Kv7.2 mutato
insensibile alla retigabina in quanto occupa un differente sito di legame ed è efficace soprattutto nei confronti del canale Kv7.3 (Xiong et al., 2007).
R-L3 è una benzodiazepina attiva sul canale Kv7.1 utilizzata per prevenire
le patologie cardiache causate dall’allungamento dell’intervallo QT (Salata et al., 1998).
1.3.3 K
v7 e muscolatura liscia vascolare
Il meccanismo attraverso il quale si innesca la contrazione della muscolatura liscia vascolare ha come protagonista il Ca2+, infatti quando si ha aumento della
concentrazione intracellulare di Ca2+, esso si lega alla calmodulina attivando la
chinasi della catena leggera della miosina (MLCK) che va a fosforilare la catena leggera della miosina sul residuo 19 di serina. Questa fosforilazione è essenziale al legame fra actina e miosina e quindi allo sviluppo della contrazione. L’aumento del calcio intracellulare può verificarsi mediante rilascio dai depositi intracellulari, quali il reticolo sarcoplasmatico, a seguito di uno stimolo indotto dal fosfatidilinositolo 3 fosfato; oppure attraverso l’attivazione dei canali del Ca2+
25 voltaggio dipendenti (VDCCs). I canali VDCCs si attivano a seguito della
depolarizzazione della membrana, al contrario una iperpolarizzazione, come quella Kv7 –indotta, diminuisce la probabilità di apertura di questi canali rendendo
meno probabile l’ingresso di Ca2 + nella cellula e quindi l’imput alla contrazione
(Stott et al., 2014).
Fig 1.10: Meccanismo molecolare di contrazione.
La capacità dei Kv7 di influenzare il comportamento della muscolatura liscia ha
dato il via ad un nuovo ramo di possibilità nel trattamento delle patologie che vanno a colpire, direttamente o indirettamente, questo distretto.
I canali Kv7 sono stati per la prima volta identificati come parte della muscolatura
liscia vascolare su vena porta di topo (Ohya et al., 2003) e solo recentemente su aorta umana (Ng et al., 2011). Il ruolo dei Kv7 a livello della muscolatura liscia
vascolare è stato dimostrato attraverso l’uso di bloccanti e attivatori di questi canali.
L’uso di XE991 e linopirdina ha permesso di evidenziare un’inibizione del rilasciamento dei vasi (Joshi et al., 2009; Jepps et al., 2011) e inoltre in alcuni vasi come la vena porta di topo e l’arteria mesenterica umana è stato possibile
26 osservare l’induzione da parte dei bloccanti di una lieve contrazione (Yeung et al., 2007, Ng et al., 2010, Jepps et al., 2011).
L’impiego di attivatori dei canali Kv7 come retigabina, flupirtina e S-1 ha
consentito di rilevare l’attività di rilasciamento di vasi precontratti e iperpolarizzazione del potenziale di membrana.
Gli effetti dei Kv7 sulla muscolatura liscia vascolare sono anche evidenti dal fatto
che su aorta e arteria mesenterica di topi spontaneamente ipertesi SHR e di topi con ipertensione angiotensina II- indotta è stata osservata una diminuzione degli effetti degli attivatori dei Kv7, il tutto correlato ad una riduzione dell’espressione
dei canali Kv7.4 (Jepps et al., 2011).
Il meccanismo ipotizzato attraverso il quale i canali Kv7 inducono
vasorilasciamento passerebbe attraverso l’attivazione di una proteina Gs che mediante l’aumento dell’AMPc attiverebbe la fosfochinasi A (PKA) che
aprirebbe, mediante fosforilazione, il canale Kv7 (Chadha et al., 2012; Khanamiri
et al., 2013). L’attivazione invece della proteina Gq porterebbe all’inattivazione
del canale Kv7 attraverso una via mediata dalla proteina chinasi C (PKC).
27 Il meccanismo sopradescritto di attivazione e inattivazione dei canali Kv7 è stato
ipotizzato alla luce delle evidenze riscontrate in uno studio del 2012 da Chadha e colleghi (2012), che lavorando in parallelo su arterie renali di ratto SHR e di ratto normoteso, constatarono una minore capacità del vaso del ratto SHR di rilassarsi a seguito di stimolazione con isoprotenerolo e un calo dell’espressione dei canali Kv7.4. L’isoprotenerolo è agonista β adrenergico, pertanto il fatto che esso sia in
grado di causare un rilassamento concentrazione dipendente e sensibile alla presenza di linopirdina dimostra il coinvolgimento di recettori β adrenergici nell’attività dei canali Kv7. Inoltre a seguito dell’impiego di forskolina, attivatore
dell’adenilato ciclasi, venne ottenuto vasorilasciamento delle arterie renali precontratte indicando quindi un meccanismo AMPc dipendente nell’attivazione
dei Kv7.
Fig 1.12: I grafici in alto sono relativi alla registrazione della tensione isometrica e mostrano vasorilasciamento concentrazione dipendente indotto da isoprotenerolo e forskolina. I grafici in basso sono curve concentrazione risposta in presenza e in assenza del bloccante linopirdina (Chadha et al., 2012).
Queste evidenze sono ulteriormente consolidate da studi che hanno messo in luce, su arterie coronarie di ratto, che la dilatazione vasale indotta da adenosina è mediata dall’attivazione della PKA (Khanamiri et al., 2013).Viceversa altri studi
28 hanno dimostrato che la vasocostrizione vasopressina-mediata agisce bloccando i canali Kv7 su aorta di ratto e arteria mesenterica di ratto. Inoltre l’azione della
vasopressina sarebbe correlata all’attivazione della PKC, in quanto è stato possibile sviluppare un’inibizione della corrente Kv7 del tutto analoga utilizzando
un attivatore diretto della PKC (il formolin-112-miristato-13-acetato); infine la corrente indotta da vasopressina è stata del tutto annullata da un bloccante della PKC ovvero Calpostin C.
A livello endogeno i Kv7 sono attivati da un fattore rilasciato dal tessuto adiposo
perivascolare, detto ADRF (fattore di rilascio derivato dagli adipociti), numerose evidenze hanno dimostrato che questo fattore altri non è che H2S (Schleifenbaum
et al., 2010).
1.4 H
2S-donors
Alla luce delle scoperte inerenti il ruolo di H2S nel mantenimento dell’omeostasi
dell’organismo, soprattutto a livello cardiovascolare, l’interesse della ricerca si è spostato verso l’individuazione di molecole in grado di liberare il solfuro di idrogeno, che per la sua natura gassosa ed elevata tossicità non può essere utilizzato direttamente.
I composti in grado di donare solfuro di idrogeno possono essere divisi in tre classi: sali di solfuro, derivati di origine sintetica e composti di origine naturale, che spesso derivano da piante edibili.
1.4.1 Sali di solfuro
Le prime molecole individuate a questo scopo furono i Sali dell’anione HS-,
sfruttando il fatto che a pH fisiologici questa fosse comunque la specie chimica prevalente di H2S; ne sono esempi NaHS, Na2S e CaS.
Il più utilizzato è NaHS che in soluzione acquosa è in grado di generare H2S
mediante un semplice meccanismo di idrolisi, questo sale inorganico è stato molto sfruttato in ambito di ricerca, dato il suo basso costo, ma si presta male ad un
29 utilizzo clinico in quanto portatore di un rilascio massiccio e repentino di H2S, che
causa effetti avversi come un’eccessiva caduta pressoria. Al fine di evitare questo tipo di conseguenze il farmaco ideale dovrebbe avere quello che si definisce un comportamento smart ovvero rilasciare piccole concentrazioni del gas in maniera costante nel tempo, mimando il comportamento fisiologico (Caliendo et al., 2010; Martelli et al., 2012B). Esistono molte molecole di origine naturale e sintetica in grado di manifestare questa attività.
1.4.2.H
2S donor di origine sintetica
1.4.2.1 Derivati del reattivo di Lawesson
Il reattivo di Lawesson è utilizzato come reagente in sintesi organica (Ozturk et al., 2007)e può essere utilizzato come H2S donor. Viene sintetizzato attraverso il
riscaldamento di una miscela di anisolo e pentasolfuro di fosforo (Fig 1.13) (Lecher et al., 1956; Thomsen et al., 1984).
Fig 1.13: Sintesi reattivo di Lawesson.
Come H2S donor il reattivo di Lawesson mostra attività quali la regolazione di
canali ionici ed azione antinfiammatoria (Spiller et al., 2010; Wallace et al., 2009) Nel 2009 Wallace e colleghi investigarono gli effetti dell’H2S sull’infiammazione
e sull’ulcerazione del colon di ratto: il trattamento con reattivo di Lawesson ridusse la severità della colite e attenuò l’indurimento del colon che si verifica nei ratti che presentano questo quadro patologico. I risultati erano comparabili a quelli ottenuti sul gruppo di ratti trattati con NaHS, confermando così la capacità del reattivo di rilasciare l’idrogeno solforato.
30 Il rilascio di H2S si verifica attraverso un’idrolisi spontanea in soluzione acquosa,
un meccanismo difficile da controllare al fine di riprodurre le condizioni fisiologiche, questo fatto assieme alla poca solubilità del composto ne ha limitato l’impiego.
Al fine di superare le problematiche di questo reattivo è stato impiegato GYY4137 (morfolin-4-ium 4-metossifenil-morfolino-fosfinoditioato), facilmente solubile in acqua. Questo composto viene sintetizzato a partire dal reattivo di Lawesson secondo la seguente reazione:
Fig 1.14: Sintesi di GYY4137.
GYY4137 è un composto che storicamente è stato impiegato nella lavorazione della gomma, solo recentemente è stata individuata la sua capacità di rilasciare H2S lentamente e per lungo tempo. In particolare è stato osservato che in un
tampone fosfato a pH 7.4 e 37° l’incubazione del composto porta ad un rilascio
lento e costante di solfuro di idrogeno, con un tempo di picco di 10-15 min, mantenendo per lungo tempo il plateau; a differenza di NaHS che genera un picco in pochi secondi. Il rilascio del gas trasmettitore è influenzato dalla temperatura e dal pH, rispettivamente aumenta a pH acido e diminuisce a basse temperature (Li et al., 2008).
Inoltre è stato evidenziato come su anelli di aorta di ratto precontratti sia in grado di causare vasorilasciamento, il quale viene drasticamente ridotto dall’uso di glibenclamide dimostrando il coinvolgimento nell’attività dei composti dei canali KATP (Li et al., 2008).
Le proprietà vasorilascianti sono state evidenziate anche su anelli isolati di aorta di topo (Bucci et al., 2012). L’attività di GYY4137 non si limita alla dilatazione dei grandi vasi di capacità come l’aorta, ma anche i piccoli vasi di resistenza che
31 regolano l’arrivo del sangue ai tessuti e la pressione; come è stato evidenziato sulle arteriole renali di ratto (Li et al., 2008).
Gli effetti sul cardiovascolare includono anche effetti antitrombotici attraverso l’inibizione di un recettore della trombina (Grambow et al., 2014); ed effetti antiaterosclerotici in topi knockout per l’apolipoproteina E, nutriti con una dieta ad alto contenuto di grassi (Liu et al., 2013).
Oltre a GYY4137 interessanti molecole in grado di rilasciare H2S sono
tioamminoacidi come la tiovalina e la tioglicina per i quali è stato evidenziato un rilascio di H2S correlato alla presenza di bicarbonato a pH e temperatura
fisiologica, questa caratteristica permetterebbe di ottenere un rilascio controllato del gas (Zhou et al., 2012). Altri composti rilasciano H2S in presenza di tioli
organici come ad esempio i composti N-mercapturici e i pertioli che attivano il rilascio del solfuro di idrogeno in presenza di L-cisteina (Zhao et al., 2011; Zhao et al., 2013) o i gem-ditioli caratterizzati da una generazione lenta del disolfuro di idrogeno (Zhao et al 2014).
32 Alcune molecole come ditioltioni e tioammidi sono maggiormente utilizzate al fine di fabbricare molecole ibride in grado di rilasciare H2S, solo più raramente
vengono utilizzate direttamente. Una delle poche tioammidi utilizzate è la 4-idrossibenzotiamide (4-HBTA), che ha un rilascio molto basso dell’idrogeno solforato in soluzione acquosa, ma che aumenta esponenzialmente in presenza di tioli organici (Martelli et al., 2013B). Questa ariltioammide ha dimostrato capacità vasorilascianti su anelli di aorta di ratto precontratti con noradrenalina e di riduzione della pressione sistolica nel ratto normoteso. Inoltre questa molecola ha dimostrato di essere in grado di causare iperpolarizzazione delle cellule vascolari lisce di aorta umana (HASMC), mediante un meccanismo di attivazione dei canali del potassio (Martelli et al., 2013B). La possibilità di ottenere, attraverso piccole variazioni strutturali, composti con velocità di rilascio di H2S ottimali rende la
funzione tioammidica una delle più interessanti per lo sviluppo di nuovi H2S-
donors (Calderone et al., 2016).
Fig 1.16: Strutture della 4-idrossibenziltioammide (4HBTA); del ditioltione (DTT) e del cicloottazolfo che è la specie chimica prevalente in SG1002.
Un composto di sintesi di particolare interesse è SG1002 una miscela di composti inorganici nella quale la specie chimica prevalente è il cicloottazolfo; questo composto ha dimostrato effetti cardioprotettivi in modelli murini di malattie cardiache (Kondo et al., 2013); inoltre è stato sottoposto a studi di fase 1 su soggetti sani e malati nei quali la somministrazione orale di tale composto ha portato ad un aumento delle concentrazioni di H2S in entrambi i gruppi (Polhemus
33
1.4.2.2 Isotiocianati di origine sintetica
Una classe di composti in grado di rilasciare H2S in maniera lenta e costante è
quella degli isotiocianati, alla quale appartengono sia molecole di origine naturale che derivati sintetici.
Tra gli isotiocianati di origine sintetica il fenilisotiocianato (PhNCS) e il 4-carbossifenilisotiocianato (PhNCSCOOH) rappresentano due molecole in grado di rilasciare lentamente H2S in presenza di tioli organici come L-cisteina.
Fig 1.17: Struttura del 4- carbossifenilisotiocianato. Fig 1.18: Struttura del fenilisotiocianato.
La capacità di questi due arilisotiocianati di rilasciare H2S in presenza di cisteina è
stata determinata attraverso studi amperometrici, poi confermati da studi spettrofotometrici (Martelli et al., 2014), in assenza di questo amminoacido il rilascio è trascurabile; questa proprietà si rivela essere un vantaggio nell’ottica di sviluppare nuovi farmaci, poiché il rilascio di H2S dovrebbe avvenire all’interno
dell’organismo e non ad esempio nel blister di una eventuale compressa. Nel corso di questi esperimenti gli arilisotiocianati sono stati confrontati con DADS (derivato dell’aglio trattato in seguito), GYY4137 e NaHS, i primi due hanno anch’essi mostrato questo rilascio lento e significativo di H2S in presenza di
cisteina, mentre NaHS non è stato influenzato dalla presenza dell’amminoacido. L’effetto degli arilisotiocianati è stato valutato anche su anelli di aorta di ratto privati di endotelio, sui quali è stato possibile osservare come il PhNCSCOOH sia in grado di causare un effetto massimo vasorilasciante superiore a quello di NaHS, mentre PhNCS abbia un effetto più limitato. L’effetto vasorilasciante veniva quasi completamente annullato dall’incubazione con XE991 a dimostrare
34 il coinvolgimento nell’effetto di questi composti dei canali Kv7 (Martelli et al.,
2014).
Nel corso del medesimo studio PhNCSCOOH è stato testato anche su anelli di aorta di ratto non privati di endotelio, sui quali è stato possibile osservare un effetto vasorilasciante con maggiore potenza rispetto a quello osservato su aorte prive di endotelio; l’efficacia non è stata influenzata dall’incubazione con L-NAME che ne ha però ridotto la potenza. Questo effetto suggerisce che l’azione dell’isotiocianato non riguardi la componente di vasodilatazione legata all’NO. Questi composti hanno anche mostrato un effetto reversibile di riduzione della contrazione da noradrenalina su anelli di aorta di ratto privata dell’endotelio. La valutazione della capacità degli arilisotiocianati di indurre iperpolarizzazione delle membrane cellulari è stata valutata su cellule HASMC, osservando come piccole concentrazioni dei composti siano in grado di evocare la risposta massima; inoltre si è avuta ulteriore conferma del coinvolgimento dei canali Kv7
in quanto l’effetto veniva antagonizzato da XE991 (Martelli et al., 2014).
1.4.2.3 Imminotioeteri
Un gruppo funzionale che recentemente ha destato interesse per le sue proprietà di H2S-donor è quello degli imminotioeteri: uno studio condotto presso il laboratorio
di farmacologia del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa (Barresi et al., 2017) ha comparato l’attività di tali composti alle ariltioammidi, già ben caratterizzate in letteratura. Nel corso di questo studio sono emerse le grandi potenzialità di questi composti, in particolare, mediante valutazioni amperometriche è stato possibile evidenziarne la capacità di rilasciare H2S in
presenza di L-cisteina, utilizzata per mimare i tioli organici presenti a livello cellulare. Analisi successive hanno dimostrato l’attività vasorilasciante degli imminotioeteri su anelli di aorta di ratto privati di endotelio.
I dati emersi dall’analisi amperometrica hanno permesso di individuare due differenti cinetiche di rilascio del solfuro di idrogeno: una cinetica più rapida, nella quale si ha una produzione massiva e repentina del gas seguita da un rapido
35 declino della sua produzione, ed una cinetica più lenta nella quale si ha un aumento graduale nel tempo del rilascio di H2S (Barresi et al., 2017).
Sono stati quindi selezionati due composti uno per ogni tipologia di cinetica evidenziata, rispettivamente il Benzil 4-metossibenzimmidotioato come esempio di cinetica lenta, mentre il Feniltiofene-2-carbimmidotioato idrobromuro quale esempio di cinetica rapida. Questi due composti sono stati sottoposti ad ulteriori valutazioni su modelli sperimentali che prevedono l’uso di colture cellulari e su modelli sperimentali in vivo ed ex vivo (Barresi et al., 2017).
Fig 1.19: Struttura chimica del Benzil 4-metossibenzimmidotioato.
Fig 1.20: Struttura chimica del Feniltiofene-2-carbimmidotioato.
Il modello sperimentale su cellule muscolari lisce di aorta umana HASMC è stato utilizzato per valutare il rilascio di H2S all’interno dei substrati biologici,
utilizzando a questo scopo la sonda fluorescente WSP-1, l’esperimento ha confermato quanto emerso dai dati amperometrici evidenziando un aumento graduale della fluorescenza per il Benzil 4-metossibenzimmidotioato, mentre un
36 incremento rapido e massivo della fluorescenza per quanto riguarda il Feniltiofene-2-carbimmidotioato.
Le cellule HASMC sono state anche impiegate per valutare le proprietà iperpolarizzanti di questi composti, mediante l’impiego della sonda DiBac(4)3, e attraverso tali esperimenti, è emerso che l’imminotioetere a cinetica lenta produce un effetto iperpolarizzante maggiore rispetto a quello dato dal Feniltiofene-2-carbimmidotioato.
Il Benzil 4-metossibenzimmidotioato ha dimostrato, nel corso di esperimenti su cuore isolato svolti mediante metodica Langendorff, di essere in grado di evocare un intenso aumento del flusso coronarico fino a valori superiori al basale.
Essendo stati evidenziati in letteratura meccanismi attraverso i quali H2S induce
vasorilasciamento legati all’inibizione della fosfodiesterasi (Bucci et al., 2010), i due imminotioeteri in esame sono stati testati riguardo all’attività di inibizione del cGMP ed è stato riscontrato che il Feniltiofene-2-carbimmidotioato è in grado di evocare un effetto maggiore, facendo supporre che una cinetica rapida nel rilascio di H2S favorisca l’azione sulla fosfodiesterasi.
Esperimenti in vivo condotti su un modello di ipertensione indotta da L-NAME in ratti normotesi, hanno mostrato gli effetti antipertensivi del Benzil 4-metossibenzimmidotioato, che raggiungono l’efficacia del composto di riferimento il diallildisolfuro (H2S-donor di origine naturale trattato in seguito),
mentre per Feniltiofene-2-carbimmidotioato non si è evidenziata un’attività significativa sul controllo della pressione (Barresi et al., 2017).
Gli esperimenti condotti sugli imminotioeteri di sintesi da Barresi e colleghi (2017) hanno permesso di evidenziare la possibilità di ottenere, attraverso piccole modifiche strutturali, composti in grado di rilasciare H2S con cinetiche differenti
rendendo molto interessanti queste molecole nell’ottica di un futuro sviluppo di farmaci.
37
1.4.3 H
2S-donors di origine naturale
1.4.3.1 Derivati dell’aglio
Fra le sostanze che sono state riconosciute come H2S-donors abbiamo l’aglio
(Allium sativum L.), le cui proprietà benefiche sul sistema cardiovascolare sono note da tempo. Il consumo di questo alimento infatti porta a riduzione dello stress ossidativo, della pressione, del colesterolo e dell’aggregazione piastrinica (Banerjee e Maulik, 2002). Solo recentemente grazie alle evidenze ottenute su polisolfuri derivati dall’aglio che rilasciano H2S si è potuto dimostrare il
meccanismo d’azione di questo alimento.
L’alliina è un amminoacido solforato presente nell’aglio, quando questo viene masticato l’amminoacido viene convertito ad allicina grazie all’enzima allinasi; questa poi facilmente decompone a diallil solfuro, diallil disolfuro (DADS) e diallil trisolfuro (Amagase, 2006).
Diallil disolfuro e trisolfuro sono H2S donors e rilasciano H2S lentamente e con un
meccanismo che richiede la presenza di gruppi tiolici endogeni come il glutatione ridotto (GSH).
Fig 1.21: Trasformazione dell’alliina a seguito della frantumazione dell’aglio.
IL GSH può reagire con i polisolfuri organici attraverso una reazione di scambio tiolo/disolfuro (Fig 1.22 A), ma non è questa reazione che porta alla produzione di H2S (Benavides et al., 2007); nei polisolfuri contenuti nelle Alliaceae la presenza
di sostituenti allilici facilita un altro tipo di reazioni nelle quali il glutatione agisce come nucleofilo sul carbonio in alfa al gruppo allilico, questo per esempio nel diallildisolfuro porta alla formazione di S-allilglutatione e allilpertiolo (Fig 1.22
38 B) (Germain et al., 2003). L’allilpertiolo può subire diverse reazioni: una reazione di scambio tiolo/disolfuro con GSH, che porta alla formazione di allilglutatione disolfuro e H2S o una reazione di sostituzione nucleofila da parte del GSH con
formazione di S-allilglutatione e H2S2 (Fig 1.22 C e D), che reagisce nuovamente
con GSH a formare GSSH e H2S (Fig 1.22 E) (Steudel e Albertsen, 1992;
Rohwerder e Sand, 2003; Chatterji e Gates, 2003; Munchberg et al., 2007).
Fig 1.22: Metabolismo dei polisolfuri.
Infine l’allil glutatione disolfuro può subire una sostituzione nucleofila da parte del GSH sul carbonio α (Fig 1.22 F) portando alla formazione di S-allil glutatione e GSSH, il quale è convertito in GSSG (glutatione ossidato) e H2S dalla reazione
tiolo/disolfuro (Fig 1.22 G).
Molti polisolfuri derivati dall’aglio non sono in grado di rilasciare H2S in presenza
di GSH in quanto o non possiedono la funzione polisolfurica o non presentano gruppi attivanti per la sostituzione nucleofila sul carbonio in α.
Il meccanismo di rilascio dell’idrogeno solforato dei componenti sopradescritti è dipendente dalla presenza di GSH; quindi le proprietà benefiche di questi composti si verificano a condizione che le riserve di glutatione ridotto siano integre. Polisolfuri di origine naturale come diallil disolfuro e trisolfuro hanno dimostrato una buona attività vasorilasciante non endotelio dipendente su anelli di
39 aorta toracica di ratto precontratti con fenilefrina, dando così un’evidenza solida alle presunte capacità dell’aglio di rilassare la muscolatura liscia vascolare (Benavides et al., 2007).
1.4.3.2 Isotiocianati di origine naturale.
In quest’ottica le piante della famiglia delle Brassicaceae si sono rivelate un’importante fonte di molecole in grado di avere effetti benefici sull’organismo e in particolare sul sistema cardiocircolatorio.
Gli isotiocianati isolati dalle Brassicaceae derivano da una trasformazione mediata dalla mirosinasi dei glucosinolati, metaboliti secondari prodotti dalle piante di questa famiglia.
L’attività H2S donor degli isotiocianati naturali come allilisotiocianato (AITC,
presente nella Brassica nigra L.), 4-idrossibenzilisotiocianato (HBITC, contenuto nella Sinapis alba L.), benzilisotiocianato (BITC, presente in Lepidium sativum L.) e erucina (ERU, presente in molte specie tra cui Brassica oleracea L. e Eruca vesicaria L.), è stata evidenziata mediante studi amperometrici. In particolare AITC e HBITC hanno mostrato un incremento del rilascio del gas trasmettitore in presenza di L-cisteina mentre ERU e BITC si sono rivelati blandi H2S-donors sia
in assenza che in presenza di L-cisteina (Citi et al.,2014). Il rilascio di H2S da
40
1.5 Erucina
Fig 1.23: Struttura di erucina.
L’isotiocianato erucina (ERU) si forma dall’idrolisi in vivo della glucoerucina, isolata per la prima volta nel 1970 dai semi di Eruca sativa Mill., essa è anche ottenuta dalla riduzione di sulforafano (SF), un isotiocianato ossidato contenuto in grande quantità nei broccoli (Brassica oleracea L. ssp italica) (Gmelin e Schluter, 1970; Leoni et al., 1997; Kassahun et al., 1997).
Non sono ancora disponibili studi di biodisponibilità di erucina, ma dato che erucina e sulforafano sono strutturalmente correlati si può ipotizzare che abbiano il medesimo destino farmacocinetico.
Il sulforafano in vivo viene coniugato con glutatione grazie alla glutatione transferasi (Juge et al., 2007). La velocità della reazione degli isotiocianati con il glutatione dipende dallo stato ossidativo dell’atomo di zolfo inserito nella catena carboniosa, pertanto erucina subisce coniugazione più velocemente di sulforafano (Kolm et al., 1995). A seguito della coniugazione con glutatione, gli isotiocianati vengono metabolizzati attraverso la via dell’acido mercapturico; gli acidi mercapturici formati possono essere rilevati nelle urine ed essere usati per determinare la biodisponibilità degli isotiocianati (Jiao et al.,1994).
Gli acidi mercapturici derivati da erucina e sulforafano sono escreti in alte quantità a quattro ore dal consumo di un’insalata di rucola (biodisponibilità circa del 94%). Questi dati hanno sottolineato come la cinetica in vivo di questi due isotiocianati strutturalmente simili sia analoga, sia per quanto concerne la velocità di assorbimento che di escrezione.
Nel corso di studi clinici a seguito del consumo di broccoli, che non contengono glucoerucina, sono stati rilevati in campioni di urina gli acidi mercapturici derivati
41 sia da erucina che da sulforafano con livelli di escrezione rispettivamente del 29% e 50%, (dove il livello di acido mercapturico derivato da erucina è stato espresso come % della dose di glucorafanina). Queste analisi hanno dato la prima prova della conversione di sulforafano in erucina nell’uomo (Vermeulen et al., 2006); questo tipo di conversione metabolica era stata precedentemente dimostrata nel ratto, dove erucina risultò essere il maggior prodotto metabolico di sulforafano (Kassahun et al., 1997; Bheemreddy e Jeffery, 2007).
A seguito di somministrazione intraperitoneale di una singola dose di SF il 12% è stato eliminato con le urine come N-acetilcisteina coniugato di erucina e il 67% di una singola dose di erucina è stato eliminato come coniugato di sulforafano; dimostrando così la reversibilità dello stato di ossidazione dello zolfo presente in ERU e SF e mostrando come l’ossidazione del solfuro in ERU sia maggiormente favorita rispetto alla riduzione del solfossido di SF (Kassahun et al.,1997). La riduzione in vivo di SF a ERU è stata ulteriormente dimostrata a seguito della somministrazione orale di SF a ratti (Bheemreddy e Jeffery, 2007). Sebbene non siano disponibili studi diretti sul metabolismo di erucina nell’uomo è plausibile che il suo destino metabolico ricalchi quello di sulforafano alla luce della interconversione fra le due specie chimiche (Fig 1.22).
Il maggior prodotto del metabolismo di SF attraverso la via dell’acido mercapturico è rappresentato da coniugati tiolici (Jiao et al., 1994). La coniugazione di sulforafano con i tioli è una reazione reversibile e il SF liberato dalla coniugazione è presente nel plasma e nei tessuti in condizioni fisiologiche (Conaway et al., 2001) ed è stato misurato a seguito del consumo di broccoli (Gasper et al., 2005 ; Conaway et al., 2005).
42
Fig 1.24: Interconversione metabolica fra sulforafano e erucina.
Ad oggi gli studi su erucina si sono soffermati soprattutto sulle sue proprietà antitumorali, in particolare è stata riscontrata, rispetto ad altri isotiocianati, una certa capacità della molecola di essere selettiva verso le cellule cancerose e quindi con notevoli vantaggi nell’ottica di un futuro impiego della sostanza (Melchini e Traka, 2010). I meccanismi attraverso cui erucina esplica l’attività antitumorale sono stati analizzati mediante studi in vitro e in vivo che hanno portato al riconoscimento di una pletora di meccanismi diversi:
1) Modulazione del metabolismo di fase I: il bersaglio molecolare attraverso cui erucina esplica questa attività è dato dagli enzimi della famiglia del citocromo CYP450, questa attività è stata riscontrata in studi in vitro su cellule di epatocarcinoma umano HepG2 e ex-vivo su tessuto epatico murino e umano e su tessuto polmonare di ratto (Lamy et al., 2008; Hanlon et al., 2008; Hanlon et al., 2009A);
2) Induzione del metabolismo di fase II: i bersagli molecolari di questa attività sono la chinone reduttasi e la glutatione transferasi la cui attività ed espressione viene aumentata in modo da proteggere i tessuti da carcinogeni e
rucola Glucoerucina Mirosinasi erucina sulforafano Mirosinasi glucorafanina
43 da gruppi elettrofili tossici, questa azione è stata riscontrata a livello di tessuti umani, murini e cellule CACO-2 (cellule umane di carcinoma del colon) (Zhang et al., 1992; Munday e Munday, 2004; Jakubikova et al., 2005A; Hanlon et al., 2009B);
3) Modulazione della proliferazione cellulare: questa attività possiede numerosi target molecolari fra i quali:
a) le proteine p53 e p21 (soppressori di tumore): riscontrata su cellule A549 (umane di adenocarcinoma del polmone) e HepG2 (cellule di carcinoma epatocellulare) (Melchini et al., 2009; Lamy et al., 2009);
b) Punti di controllo del ciclo cellulare e segnali proapoptotici: erucina è in grado di causare un aumento del numero delle cellule in fase G2 e M a
spese della Fase G0/G1, questo accumulo porta poi all’arresto del ciclo
cellulare e all’innesco di meccanismi proapoptotici, che probabilmente hanno origine nel mitocondrio, anche a causa della deplezione di glutatione. Questo tipo di meccanismo è stato evidenziato in protocolli sperimentali su cellule CACO-2, cellule HL60, cellule Jurkat e HepG2 (Munday e Munday, 2004; Jakubikova et al., 2005B; Fimognari et al., 2004; Lamy e Mersch-Sundermann, 2009);
c) Recettori degli androgeni espressi nelle cellule di cancro alla prostata LNCaP: erucina agisce causando una downregulation dei recettori degli androgeni, di conseguenza interferisce con lo stimolo alla proliferazione causato dal rilascio ormonale (Kim e Singh, 2009);
d) Specie reattive dell’ossigeno: erucina e gli isotiocianati in genere aumentano la produzione di ROS manifestando effetti citotossici, riducendo la proliferazione di cellule umane HL60 (leucemia mieloide acuta) e K562 (linea cellulare eritroide con leucemia mieloide cronica) (Doudica et al., 2009).
I meccanismi sopra riportati insorgono con l’utilizzo di concentrazioni di erucina relativamente elevate, è quindi plausibile che, come verificato per altri isotiocianati, a basse dosi essa sia in grado di esplicare effetti benefici sul sistema
44 cardiovascolare. Ipotesi rafforzata dal fatto che sulforafano a basse dosi protegge la muscolatura liscia vasale e le cellule endoteliali dallo stress ossidativo (Jackson et al., 2007; Shan et al., 2010; Zhu et al., 2008). Sulforafano ha proprietà neuroprotettive ed antiinfiammatorie, protegge dal danno da ischemia/ riperfusione, da emorragie e dalla tossicità serotonin-indotta (Mukherjee et al., 2010; Calabrese et al., 2010).