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Il ricorso straordinario per cassazione per errore materiale o di fatto

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Academic year: 2021

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INDICE - SOMMARIO

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Capitolo I

PREMESSE STORICHE E INQUADRAMENTO

GENERALE DELL’ISTITUTO………pag. 4

!

§ 1 Una problematica e faticosa genesi - § 2 Introduzione

generale: riflessi costituzionali - § 3 Natura dei rimedi ex

art. 625 bis Cod. proc. pen. - § 4 Ambito di applicazione - §

5 Un’ipotesi tramontata: l’art. 625 bis Cod. proc. pen. e le

decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

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Capitolo II

UNA GIUSTIFICATA BIPARTIZIONE DELLA TESI:

L’ERRORE DI FATTO………pag. 54

§1 Considerazioni preliminari - § 2 Verso una definizione

del concetto di errore di fatto - § 3 Ulteriori corollari - § 4

Una fattispecie controversa: l’omesso esame di un motivo di

ricorso.

!

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Capitolo III

L’ERRORE MATERIALE………pag. 68

§ 1 Premesse generali - § 2 Una possibile lettura dell’art.

625 bis Cod. proc. pen. - § 3 Ricognizione casistica delle

decisioni della Cassazione in materia

!

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Capitolo IV

IL PROCEDIMENTO………pag. 103

!

§ 1 Introduzione - § 2 I soggetti legittimati - § 3

Legittimazione del difensore - § 4 Forma e modalità di

proposizione del ricorso - § 5 Le cause di inammissibilità

del ricorso ed il relativo vaglio preliminare - § 6

L’individuazione del giudice - profili di eventuale

compatibilità - § 7 La fase di esame nel merito dell’udienza

- § 8 La sospensione degli effetti del provvedimento

impugnato - § 9 I provvedimenti conclusivi - § 10 La

riproponibilità di un nuovo ricorso.

!

!

(3)

SINTESI FINALE……….……pag. 157

!

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Bibliografia……….………….pag. 160

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Capitolo I

PREMESSE STORICHE ED INQUADRAMENTO GENERALE DELL’ISTITUTO

!

SOMMARIO: § 1 Una problematica e faticosa genesi - § 2 Introduzione generale: riflessi costituzionali - § 3 Natura dei rimedi ex art. 625 bis Cod. proc. pen. - § 4 Ambito di applicazione - § 5 Un’ipotesi tramontata: l’art. 625 bis Cod. proc. pen. e le decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

!

§ 1 Una problematica e faticosa genesi.

Con la legge 26 marzo 2001 n. 128, il legislatore, in occasione di uno dei ripetuti e periodici provvedimenti normativi “in tema di sicurezza dei cittadini”, è intervenuto, tra l’altro, sulla disciplina del procedimento di legittimità, introducendo all’art. 6 comma sesto il nuovo strumento del ricorso straordinario per Cassazione.

Si è trattato, come sottolineato dalla totalità della dottrina, di un intervento parziale e composito, condizionato dalla ristrettezza dei tempi della relativa approvazione derivante dalla imminente scadenza della legislatura, in forza del quale, oltre a modifiche del giudizio di Cassazione ispirate a finalità deflattive e al rapido smaltimento del carico di lavoro del giudice di legittimità (artt. 610 e 611 Cod. proc. pen.), è stata prevista una nuova figura di ricorso straordinario, destinata a rispondere all’esigenza, ormai non più eludibile, di temperare il rigore del principio, “quasi metafisico”, dell’intangibilità

(5)

delle decisioni della Cassazione, a fronte di patenti errori maturati nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità ( 1).

In virtù della modifica, si è provveduto a disciplinare nell’art. 625 bis Cod. proc. pen. il ricorso per errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di Cassazione.

L’operata unificazione normativa delle due figure di errore, che presentano caratteristiche ed involgono profili di sistema del tutto difformi, è stata oggetto di pressoché unanime critica, dal momento che sono state ricondotte sotto un unico istituto situazioni processuali disomogenee per la natura del rimedio, per il tipo di vizio che legittima l’attivazione del procedimento, per le stesse conseguenze sul dictum del giudice di legittimità sul piano sostanziale e processuale.

! Sull’istituto in generale, cfr.: A. Bargi., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio

1

di cassazione, Padova, 2004; P. A. Bruno, Innovazioni e modifiche al giudizio di cassazione, in AA. VV., Le nuove norme sulla tutela della sicurezza dei cittadini, Milano, 2001; A. Capone, Errore materiale ed errore di fatto della corte di Cassazione, in Diritto e Proc. Pen., 2002, pag.

863; Id., Il concetto di errore di fatto e la sua prova, in Diritto e Proc. pen., 2003, pag. 736; Id.

Note critiche in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, in Riv. It. Dir. Proc. Pen.,

2003, pag. 224; V. Ceccaroni, Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in Dir.

Proc. pen., 2003, pag. 623; C. Conti, Le nuove norme sul giudizio di cassazione, in AA. VV. , Processo penale: nuove norme sulla sicurezza dei cittadini, Padova, 2011; A. Diddi, Il ricorso straordinario per errore di fatto. Stato della questione, in Giust. Pen., 2002, pag. 26; Id., Presupposti e limiti del ricorso straordinario per cassazione, in Giust. Pen.,2002, III, pag. 449;

F. R. Dinacci, Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in Trattato di Procedura

Penale, diretto da G. Spangher, Vol. V, Le Impugnazioni a cura di G. Spangher, Torino, 2009,

pag. 867; G. Fumu, Commento all’art. 6 della legge 26.3.2001 n. 128, in Legislazione Penale, 2002, pag. 428; M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, Milano, 2005; Id., Ancora

sul concetto di errore di fatto come vizio dei provvedimenti della cassazione, in Cass. Pen.,

2002, pag. 2627; Id., Appunti sul concetto di errore di fatto nel nuovo ricorso straordinario per

cassazione, in Cass. Pen., 2002, pag. 2317; Id., Osservazioni sul vaglio preliminare di inammissibilità del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., in Cass. Pen., 2002, pag. 2317;

G. Iadecola, Il giudizio in cassazione, in Dir. Proc. pen., 2001, pag. 948; G. Inzerillo, Riflessioni

“a prima lettura” sul ricorso straordinario per cassazione, in Indice Penale, 2002, pag. 51; O.

Mazza, Il ricorso straordinario per errore di fatto: un quarto grado di giudizio occasionale?, in

Cass. Pen., 2003, pag. 3213; E. Marzaduri, Più lontane le perplessità della dottrina sul rischio di un quarto grado di giudizio, in Guida al diritto, 2007, 29, pag.93; G. Romeo, Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di cassazione, in Cass. Pen., 2002, pag. 3475; Id., Errori di fatto della corte di cassazione ed errore di diritto delle Sezioni Unite, in Cass. Pen., 2001, pag. 3380; G. Santalucia, sub art. 625 bis Cod. proc. pen., in Codice di Procedura Penale, a cura di G. Lattanzi ed E. Lupo, Vol IX, Milano, 2013, pag. 1121.

(6)

Mentre, infatti, la correzione degli errori materiali, come avremo modo di mettere più compiutamente in rilievo infra, non può qualificarsi come una vera e propria impugnazione, avendo al contrario una funzione tipicamente riparatoria e non sostitutiva, in quanto volta unicamente alla rettificazione del lapsus espressivo contenuto nel provvedimento giurisdizionale, che non viene quindi modificato nella sua ratio decidendi, la configurazione del nuovo istituto quale mezzo di impugnazione extra ordinem appare corretta ed appropriata solo per l’errore di fatto.

Invero, mentre il primo tipo di errore, quello materiale, già trovava rimedio nella procedura di correzione prevista dall’art. 130 Cod. proc. pen., alla cui disciplina si sovrappone l’art. 625 bis Cod. proc. pen., determinando delicati problemi interpretativi ed applicativi ( 2),

totalmente nuovo appare il regime predisposto dal legislatore per l’errore di fatto, “che ha carattere essenziale e decisivo poiché incidente sull’esito del giudizio, per la cui emenda la legge processuale previgente non offriva alcun mezzo di tutela” ( 3).

Merita ripercorrere per brevi tappe il percorso che ha condotto all’innovazione legislativa in questione.

I principi di riferimento di carattere sistematico dell’ordinamento processuale risultavano, sin dal codice di procedura penale del 1930, del tutto coerenti e chiari.

Inoppugnabilità, irrevocabilità e giudicato sono i principi ordinamentali che costituivano la cornice entro la quale si è venuto ad

! Su tali specifici profili, cfr. anche i Capp. III e IV.

2

! A. M. Siagura, sub art. 625 bis Cod. Proc. Pen, in Codice di Procedura Penale Commentato, a

3

(7)

inserire il rimedio approntato dal legislatore nel 2001, nel momento in cui è stata data vita alla nuova impugnazione straordinaria ( 4).

Principi circondati “da un’aura di sacralità e di mistero, tanto che nei manuali di diritto processuale si sottolineava con enfasi l’efficacia della decisione irrevocabile, destinata a facere de albo nigrum: conclusione non sempre e non necessariamente coerente col fine di giustizia che il processo dovrebbe comunque perseguire, ma imposta dall’esigenza, propria di ogni ordinamento, che la vicenda processuale ad un certo punto si concluda, senza possibilità – salvi gli eccezionali e tassativi casi di revisione della sentenza – di essere rimessa in discussione” ( 5).

La regola dell’inoppugnabilità delle pronunce della Corte di Cassazione rappresenta, com’è finanche intuitivo, un canone fondamentale di ogni sistema processuale: un canone, da un lato, dipendente dalla incontrovertibilità delle sue decisioni, desumibile dalla posizione apicale e dalle funzioni di nomofilachia e di unificazione della giurisprudenza attribuite al giudice di legittimità, dall’altro coessenziale allo stesso concetto di processo, al fine di evitare la perpetuazione dei giudizi, in vista del conseguimento di un accertamento definitivo in ordine alla fondatezza o meno della pretesa punitiva esercitata dallo Stato.

Il canone dell’inoppugnabilità costituisce, come viene ulteriormente sottolineato, un principio fondamentale del processo, in quanto “condicio sine qua non rispetto alla formazione del giudicato: tra

! L’inoppugnabilità denota la mancanza di rimedi con i quali possono essere fatti valere

4

eventuali vizi della pronuncia, laddove il termine di irrevocabilità è connesso all’esaurimento della situazione giuridico-processuale, collegandosi alla cosa giudicata. I due concetti, fino all’entrata in vigore dell’art. 625 bis Cod. proc. pen. erano coincidenti, dal momento che non era previsto alcun mezzo di impugnazione per le decisioni del supremo Collegio. Nel successivo § 2 affronteremo le implicazioni in punto di definizione del mezzo di impugnazione de quo e in ordine alla incidenza sulla nozione di giudicato.

! In questi termini, G. Romeo, Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di

5

(8)

l’inoppugnabilità della pronuncia destinata a chiudere il processo e il giudicato sussiste, insomma, un evidente nesso logico. Quest’ultimo postula che il processo sia congegnato come una serie chiusa di atti: ma tale configurazione presuppone a sua volta che vi sia, ad un certo punto, una decisione di per sé (assolutamente o relativamente) immutabile” ( 6).

Il codice del 1930 espressamente statuiva (artt. 567 e 552) l’irrevocabilità delle sentenze rispetto alle quali non era ammessa impugnazione diversa dalla revisione e l’insuscettibilità di impugnativa delle pronunce del giudice di legittimità e su tali postulati sistemici si era collocato l’art. 648 del codice di rito attuale, rispetto alla quale la dottrina e la giurisprudenza sottolineavano come, pur in assenza di una previsione specifica pari a quella contenuta nel citato art. 552, la inoppugnabilità delle pronunce della Cassazione potesse essere desunta senza possibilità di dubbio alcuno dai principi generali in tema di tassatività delle impugnazioni (artt. 586, 624 e 628 del vigente Codice di procedura penale) e di irrevocabilità del giudicato ( 7).

Le decisioni della Cassazione sfuggivano, quindi, ad ogni tipo di controllo sovraordinato, non potendo essere oggetto di riesame da parte di nessun altro giudice, salva la sola eventualità di ricorrere ai mezzi straordinari.

In altre parole, per usare un’icastica definizione formulata nell’ambito processualcivilistico, le decisioni del giudice di legittimità erano

! Così M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit., pag. 41.

6

! Per riferimenti di carattere generale, cfr.: F. Corbi, L’esecuzione nel processo penale, Torino,

7

1992; G. Dean, Ideologie e modelli dell’esecuzione penale, Torino, 2004; G. Catelani, Manuale

dell’esecuzione penale, Milano, 2002; A. Gaito – G. Ranaldi, Esecuzione penale, Milano, 2005;

P. Di Ronza,Manuale di diritto dell’esecuzione penale, Padova, 2003; G. De Luca, Giudicato, in Enc. Giur., XV, Roma, 1989, pag. 5; G. Ciani, sub art. 648, in Codice di Procedura Penale, a cura di G. Lattanzi – E. Lupo, Vol. X, Milano, 2012.

(9)

“come Minerva armata dal cervello di Giove”, vale a dire nascevano già formalmente passate in giudicato ( 8).

Inoppugnabilità da intendersi, quindi, come mancanza di rimedi con i quali far valere eventuali vizi del provvedimento della Cassazione, che ontologicamente doveva reputarsi intangibile ed insuscettibile di modifica o di revoca.

In questa costruzione tecnicamente coerente nei suoi presupposti fondanti, esisteva un nodo di impossibile soluzione, dati i parametri di sistema esistenti: quello costituito dagli errori di fatto incorsi nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità.

Infatti, l’ovvio corollario dell’inesistenza di rimedi proponibili contro i provvedimenti della Cassazione era costituito dalla necessaria irrilevanza di qualsiasi vizio della decisione

In altre parole, fissato il principio che le pronunce del Supremo Collegio erano inoppugnabili e, quindi, passibili soltanto di mere irregolarità e, come tali, tutt’al più rettificabili, ogni vizio in

procedendo o in iudicando era destinato ad essere assorbito nel

giudicato, quale ne fosse la relativa gravità.

Erano quindi destinati a rimanere senza rimedio le violazioni più gravi ed eclatanti del diritto di difesa o i casi di patente ingiustizia, quali ad esempio l’erronea declaratoria di inammissibilità di un ricorso, l’omesso esame di un motivo, così come ogni altro deficit percettivo nella lettura degli atti interni.

Ciò a costo del lamentato “controsenso istituzionale” di rendere innocue proprio le violazioni di legge commesse dall’organo deputato a vigilare sull’osservanza della legge, in forza dell’insuperabile ostacolo del principio dell’intangibilità del giudicato ( 9).

! In tal senso, F.P. Luiso, Diritto Processuale Civile, Milano, 2000, II, pag. 444.

8

! La definizione è di G. Bellavista, Sentenza di cassazione inesistente, in Arch. Pen., 1954, pag.

9

(10)

Il viatico percorso dalla Corte di Cassazione di fronte a tali situazioni processuali di rilevante criticità incominciò a sfrangiarsi.

Il principio assoluto dell’inoppugnabilità continuava a dominare la maggior parte degli arresti dal giudice di legittimità, secondo cui “pur in mancanza di una norma analoga a quella dell’art. 522 c.p.p. 1930, che espressamente prevedeva l’inoppugnabilità di ogni provvedimento della Corte di Cassazione nella materia penale, deve ritenersi la non impugnabilità di tali provvedimenti anche nella vigenza del nuovo Codice di procedura penale, in applicazione dei principi generali di tassatività delle impugnazioni e di irrevocabilità del giudicato. Inoltre, avverso detti provvedimenti, non è neppure esperibile il procedimento di correzione degli errori materiali implicante una modificazione essenziale del provvedimento o la sua sostituzione” ( 10).

Tuttavia, accanto a tale filone giurisprudenziale maggioritario, l’esigenza pressante di rimediare alle più paradossali, verrebbe da dire dirompenti, situazioni di ingiustizia della decisione provocò il dissenso di parte della stessa giurisprudenza di legittimità, che cercò di dar corpo ad escamotages di difficile compatibilità col quadro normativo, per “necessità di giustizia”.

Vari espedienti furono suggeriti dalla dottrina, al fine di superare l’assolutezza del canone dell’inoppugnabilità.

Da un lato, si prospettò l’esperibilità di un’impugnazione dinanzi alla Sezioni unite, dall’altro la percorribilità della procedura dell’incidente di esecuzione in caso di inesistenza della sentenza, in dipendenza della

! In questi termini, per citare massime risalenti ma espressive dell’orientamento dominante:

10

Cass., Sez. VI, 20 aprile 1998, n. 1402, Nocelli, CED 210915. Nello stesso senso, Cass., sez. III, 17 aprile 1997, Salmi, CED 208283; Cass., Sez. VI, 24 settembre 1998, n. 2676, CED 202283; Cass., Sez. VI, 3 giugno 1998, n. 2076, Caruso, CED 211961.

(11)

mancata instaurazione del contraddittorio nel processo di legittimità ( 11).

Entrambe le soluzioni non trovarono sponda nella giurisprudenza. Il giudice di legittimità, quanto alla prima soluzione offerta, ebbe a rilevare agevolmente la totale estraneità al sistema della possibilità di impugnativa dinanzi alle Sezioni Unite, argomentando che “l’ordinamento positivo non consente di impugnare davanti alle Sezioni Unite le decisioni delle Sezioni singole, sia perché, per espresso disposto dell’art. 522 c.p.p. del 1930 tutti i provvedimenti della Corte di Cassazione in materia penale, anche se emessi dalle singole sezioni sono inoppugnabili, sia perché non è riconosciuta alla Sezioni Unite un’autonomia istituzionale esterna rispetto alle Sezioni singole, essendo tale autonomia prevista solo con riguardo a provvedimenti emanati da giurisdizioni diverse da quella ordinaria, nei casi tassativamente previsti dalla legge (artt. 54 comma 2°, 547 comma 1° e 560 c.p.p. del 1930). La preclusione non è rimossa dal nuovo Codice di procedura penale, il quale ha riaffermato il principio di tassatività delle impugnazioni (art. 568), non ha previsto impugnazione alcuna avverso i provvedimenti della Cassazione e ribadito la irrevocabilità del giudicato (art. 648)” ( 12).

Sull’altro versante, il giudice di legittimità negò la possibilità di configurare alcuna ipotesi di inesistenza, sul rilievo che la violazione del diritto di difesa, in quanto riconducibile alla figura della nullità, era destinata ad essere sanata dal giudicato e non era quindi emendabile a mezzo dell’incidente di esecuzione.

! Così G. Bellavista, Processo penale e civiltà, in Riv. dir. proc. pen., 1955, pag. 368 e C.

11

Massa, Di un particolare caso di inesistenza della sentenza in relazione al giudizio di

cassazione, in Foro pen., 1950, p. 295.

! Così Cass., Sez. Un., 31 maggio 1991, n. 6, Catalano, CED 188164; negli stessi termini,

12

(12)

Veniva ribadito il principio che “a norma dell’art. 552 Cod. proc. pen. l’eventuale nullità incorsa nel giudizio di Cassazione è improduttiva di effetti, in quanto, anche se assoluta, dà luogo al formarsi della cosa giudicata” ( 13).

Nella ricerca di un possibile varco utile a superare l’ostacolo dell’inoppugnabilità, un consistente filone giurisprudenziale non esitò ad impiegare estensivamente il rimedio della correzione degli errori materiali (art. 149 Cod. proc. pen. 1930 e artt. 130 del codice vigente), forzandone i limiti normativi, per arrivare a sostituire decisioni affette da veri e propri errores in procedendo o in iudicando.

Si venne quindi a formare un orientamento, minoritario ma non evanescente, che, attraverso una lettura delle disposizioni in tema di correzione dell’errore materiale non aderente al tessuto normativo ed ai principi di sistema, elaborò, per la dichiarata finalità di “tutela delle esigenze di giustizia sostanziale”, procedure operative extra ordinem. L’applicazione pratica finì, se così si può dire, per “liberare” gli istituti giuridici di riferimento, in maniera più o meno disinvolta, da quelli che erano avvertiti come condizionanti presupposti normativi, nell’intento, metagiuridico, di prevenire il consolidamento di ingiustificati e pregiudizievoli effetti.

Nel corso degli anni venne, quindi, alla luce una sorta di repertorio giurisprudenziale formato da pronunce ispirate a criteri eminentemente empirici e di natura casistica, tant’è che, come osservato in dottrina, tale connotato, necessariamente riconducibile alla valenza “pretoria” delle decisioni stesse, “non ha mai consentito a chi abbia studiato il problema di enucleare dalla lettura dei provvedimenti dalla Corte Suprema resi prima dell’entrata in vigore dell’art. 625 bis c.p.p. regole generali alle quali poter ricondurre la

! Cass., Sez. II, 26 gennaio 1985, n. 5151, Abate, CED 169409 ; negli stessi termini, ex

13

(13)

soluzione dei vari casi esaminati e che potessero costituire un appiglio sicuro per casi futuri: com’è dimostrato dal rilievo che frequentemente a fattispecie del tutto sovrapponibili sono state date soluzioni esattamente agli antipodi” ( 14).

La Cassazione, al fine di “sanare” errori non qualificabili come materiali, fece ricorso, separatamente o congiuntamente, a vari

escamotages, consistiti: nell’affermazione che l’art. 149 Cod. proc.

pen. 1930 sarebbe stato dettato solo per i provvedimenti impugnabili e che, pertanto, le decisioni della Cassazione, per legge inoppugnabili, non rientrando tra quelle alle quali si riferisce tale articolo, potevano essere corrette anche oltre i limiti fissati dalla predetta disposizione normativa; nella sussunzione dell’errore di fatto di volta in volta esaminato nella categoria dell’errore materiale; nella utilizzazione del rimedio della revocabilità delle ordinanze, non applicabile alle sentenze; nell’insistito richiamo dei principi di carattere costituzionale, irrimediabilmente vulnerati dalla mancata rimozione delle pronuncia sostanzialmente ingiusta.

Gli istituti giuridici di riferimento, nell’intento di privilegiare esigenze di giustizia sostanziale, vennero, dunque, nell’applicazione pratica disancorati da quelli che erano avvertiti come “frustranti” limiti normativi.

Il quadro complessivo incerto nei suoi contorni appare chiaramente espressivo del crescente disagio del giudice di legittimità a fronte dell’impossibilità, propria del sistema processuale, di rimediare ai gravi errori percettivi nella lettura degli atti interni del giudizio imputabili alla stessa Corte, per “rimuovere il danno ingiusto, non altrimenti eliminabile per l’inoppugnabilità delle decisioni” ( 15).

! G. Romeo, Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di cassazione, cit., pag.

14

3476.

! Così, sintomaticamente, Cass., Sez. III. 6 novembre 1991, n. 186904.

(14)

Merita passare in rassegna le più significative decisioni in tal senso, emblematiche delle divaricazioni intervenute in senso al Supremo Collegio tra l’orientamento maggioritario e il filone giurisprudenziale in oggetto ( 16).

Sono state ritenute “emendabili” con la correzione dell’errore materiale: a) le sentenze di rigetto pronunciate in assenza di valida costituzione del rapporto processuale, in base alla ritenuta ritualità dell’avviso di udienza al difensore, al quale, al contrario la notificazione era stata pretermessa o effettuata irregolarmente ( 17); b)

le declaratorie di inammissibilità del ricorso pronunciate sull’erroneo presupposto che il difensore dell’imputato contumace non fosse munito di specifico mandato ad impugnare ( 18); c) le dichiarazioni di

inammissibilità del ricorso per mancata presentazione dei motivi, in realtà ritualmente presentati ( 19); d) le declaratorie di inammissibilità

del ricorso ritenuto fuori termine, ma in realtà tempestivo ( 20); e) le

pronunce di inammissibilità dell’istanza di rimessione per legittimo sospetto sull’erroneo presupposto che la richiesta non fosse stata notificata all’altra parte privata ( 21); e) la sentenza, pronunciata a

seguito di impugnazione da parte del Procuratore Generale presso una Corte d’Appello, il quale aveva, poi, rinunciato al ricorso, con

! Per una puntuale ed esaustiva disamina delle decisioni adottate dalla Corte di Cassazione,

16

cfr.: G. Romeo, Passato e futuro per gli errori di fatto nel giudizio di cassazione, cit., pagg.

3478 e segg.

! In tal senso: Cass., Sez. II, 10 luglio 1996, n. 3164, Lisi, CED 205607 (in tal caso la Corte,

17

rilevato che il ricorso era stato deciso, nonostante l’omesso avviso al difensore dell’imputato, provvide a correggere la propria decisone, rinviando la trattazione del ricorso medesimo a nuovo ruolo); analogamente, Cass., Sez. VI, 22 maggio 1995, n. 2005, Russo, CED 201702.

! Cass., Sez. III, 13 febbraio 1996, n.673, Conte, CED 204569.

18

! Cass., Sez. VI, 27 settembre 1983, Crocco, CED 160812 ; Cass., sez. I, 24 settembre 1987,

19

Montorsi, CED 176740.

! Cass., Sez. I, 6 marzo 1992, n. 1076, P.M. in proc. Pirrello, CED 189740;

20

! Cass., Sez. I, 10 luglio 1986, Vecchione, CED 173524; Cass., Sez. I, 22 novembre 1982, n.

21

(15)

apposita dichiarazione non inserita nel fascicolo inviato alla Suprema Corte ( 22); f) la declaratoria di inammissibilità del ricorso motivata

dalla inesatta circostanza della non iscrizione del difensore all’albo speciale ( 23).

Appare immediatamente evidente come le regole ermeneutiche seguite di volta in volta dalla Corte siano fondate non tanto su di un’interpretazione estensiva delle disposizioni in tema di errore materiale, i cui rigorosi contorni operativi sono stati sopra evidenziati e verranno ulteriormente trattati nel Capitolo III, ma su di una vera e propria integrazione creativa del tessuto normativo, nella insostenibile ricerca di un rimedio non previsto dall’ordinamento, anzi escluso, in ragione del principio di tassatività delle impugnazioni, del conseguente divieto di interpretazione analogica e del principio della irrevocabilità del giudicato.

La giustificazione di tali arresti finiva, in definitiva, col riposare, come dichiaratamente e significativamente asserito, sulla necessità di apportare correttivi al sistema processuale, “al fine di evitare conseguenze aberranti” ( 24) ovvero sulla doverosità, per la Corte

stessa, di “evitare conseguenze non solo gravemente lesive per le parti, data l’inoppugnabilità di tali decisioni, ma anche aberranti” ( 25)

oppure al fine di elidere decisioni “quando sia palesemente manifesta l’ingiustizia del provvedimento” ( 26).

Non erano pure mancate pronunce che, sul presupposto di una lettura dell’art. 130 Cod. proc. pen. nel quadro dei principi costituzionali e delle caratteristiche generali dell’ordinamento processuale, avevano

! Cass., Sez. V, 15 dicembre 1999, n. 6093, P.G. in proc. Cervetti, CED 215775.

22

! Cass., Sez. V, 20 giugno 1975, n. 480, CED 131646.

23

! Cass., Sez. I, 6 marzo 1992, n. 1076, P. G. in proc. Pirrello, cit.

24

! Cass., Sez. I, 24 settembre 1987, n. 3480, Montorsi, cit.

25

! Cass., Sez. I., 23 settembre 1992, Di Balsamo, CED 192843.

(16)

affermato che “qualora si accerti che il giudice di legittimità sia incorso nel decidere in un errore di fatto nella lettura degli atti interni del giudizio, è ammissibile il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali; devono infatti ritenersi applicabili alle sentenze penali della Corte di Cassazione, nell’ambito di una lettura sistematica delle disposizioni complessivamente regolanti la procedura di correzione, il principio generale di diritto processuale enunciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 31 gennaio 1991, n. 36 – con la quale ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 395 Cod. proc. civ. nella parte in cui non prevedeva la revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione per errore di fatto – e le nuove disposizioni di cui all’art. 391 bis Cod. proc. civ. – che attuano, in sede civile, detto principio, le quali hanno sostanzialmente equiparato la procedura di correzione degli errori materiali a quella di revocazione. Nelle predette ipotesi, pertanto, è consentito anche in sede penale provvedere alla correzione dell’errore di fatto in camera di consiglio – fase rescindente – con eventuale rinvio alla pubblica udienza per la fase rescissoria” ( 27)

In tali casi si era ritenuto di superare l’insufficienza del quadro normativo facendo riferimento alle “suggestioni” provenienti dal versante processuale civile, attraverso un’operazione, per così dire, di

! Cass., sez. II, 10 luglio 1996, n. 3164, Lisi, cit.; nello stesso senso, Cass., Sez. VI, 22 maggio

27

(17)

“osmosi extra ordinem”, tra l’altro fondata sull’erronea equiparazione concettuale tra errore di fatto ed errore materiale ( 28).

Questa variegata serie di decisioni “pretorie” si era fino a quel momento confrontata con le posizioni di netta chiusura sempre manifestate sino a quel momento, tanto dalle Sezioni Unite e dall’orientamento prevalente della Corte, quanto, soprattutto, della Corte Costituzionale.

Infatti, a fronte di tale complessivo filone giurisprudenziale ( 29) che,

con soluzioni oscillanti e metagiuridiche, continuava, con “andamento carsico”, a riaffiorare con pronunce di “onesta autofagia” ( 30) per

rimediare a situazioni di paradossale ingiustizia della decisione, numericamente superiori furono le decisioni del giudice di legittimità allineate ad una posizione “rigoristica” e dirette ad escludere categoricamente l’ingresso di soluzioni volte alla elisione della res

iudicata.

Le Sezioni Unite, ripetutamente chiamate a dirimere il contrasto di giurisprudenza sulla ammissibilità del ricorso alla procedura della

! L’impossibilità di accomunare la correzione dell’errore materiale alla revocazione, derivata da

28

un’errata lettura di sistema, era stata ribadita da Cass., Sez. Un., 9 ottobre 1996, n. 19, Armati, CED 206176, la quale espressamente rilevò che “tale tesi non può ritenersi praticabile a seguito della sentenza n. 119 del 18 aprile 1996 della corte Costituzionale. Nella suddetta pronuncia, esaminandosi la questione relativa all’art. 391 bis c.p.c., laddove detta norma accomunava quanto alla disciplina l’istituto della correzione a quello della revocazione (dalla quale era stato desunto quel principio di sostanziale equiparazione estensibile al processo penale) è stata affermata la intrinseca eterogeneità dei due istituti. Pertanto, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 391 bis sul punto, la Corte Costituzionale ha sostenuto che non risponde ad un canone di ragionevolezza accomunare i due istituti in questione dovendosi considerare che l’errore materiale emerge dal testo della sentenza, mentre l’errore di fatto (revocatorio) risulta solo dagli atti e dai documenti di causa.

! Rileva G. Romeo, in Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di cassazione,

29

cit., pag. 3482, che risulta difficile riuscire a determinare l’incidenza quantitativa delle decisioni

“pretorie”, anche per la mancata memorizzazione nell’archivio elettronico della Cassazione della maggior parte dei provvedimenti di correzione degli errori materiali incorsi nel giudizio di cassazione ante legge n. 128/2000; in questo senso appare probabile che un certo numero di provvedimenti resi ai sensi dell’art. 149 Cod. proc. pen. 1930 riguardasse veri e propri errori di fatto. Gli elementi acquisibili dalle statistiche esistenti, col limite sopra segnalato, segnalano poco più di sessanta decisioni anteriori all’intervento normativo del 2001.

! La definizione è di F. Cordero, Procedura Penale, Milano, 1998, pag. 152.

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correzione dell’errore materiale per i provvedimenti emessi allorquando possibili errori od omissioni siano conseguenti a difetti percettivi nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, riaffermarono il principio che “in tema di correzione degli errori materiali deve ritenersi esclusa l’applicabilità dell’art. 130 Cod. proc. pen., quando la correzione si risolve nella modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già assunta. L’errore, quale che sia la causa che possa averlo determinato, una volta divenuto partecipe del processo formativo della volontà del giudice, non può che diffondere i suoi effetti sulla decisione: ma questa, nella sua organica unità e nelle sue essenziali componenti non può subire interventi correttivi, per quanto ampio significato si voglia dare alla nozione di errore materiale. Viceversa, sono sempre ammissibili gli interventi correttivi imposti soltanto dalla necessità di armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione col il suo reale intangibile contenuto, proprio perché incapaci di incidere sulla decisione già assunta” ( 31).

Le Sezioni Unite non fecero altro che ribadire, in coerenza al complessivo ordito processuale vigente, che la correzione degli errori materiali non poteva essere trasformato in un improprio strumento di revisione dei provvedimenti della Corte di Cassazione, proprio perché questi ultimi non sono più impugnabili.

E per far ciò, richiamato tale principio e sottolineato il rapporto di esclusione che la legge ha inteso stabilire tra la funzione riparatoria della correzione e quella sostitutiva delle impugnazioni, riaffermarono il divieto normativo di apportare una modificazione essenziale del provvedimento emesso dal giudice di legittimità, tramite una lettura non coerente con la lettera e la ratio dell’art. 130 Cod. proc. pen., volta a trasformare in tal modo l’istituto in un anomalo mezzo di gravame.

! Così Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994, n. 8, Armati, CED 198543.

(19)

La giurisprudenza successiva in massima parte venne ad allinearsi a tale autorevole insegnamento nelle sue decisioni ( 32).

In questo quadro di sostanziale incertezza, la stessa Corte Costituzionale aveva mantenuto, almeno fino alla sentenza n. 395 del 2000, una posizione di sostanziale chiusura verso la possibilità di infrangere il giudicato a fronte degli errori di fatto incorsi nel giudizio di Cassazione.

Più volte investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 552 Cod. proc. pen. 1930 e 648 del vigente codice di rito, sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui in non veniva predisposto alcun rimedio agli errori percettivi verificatisi dinanzi alla Corte di Cassazione, la Consulta aveva dichiarato non fondate le relative eccezioni sollevate dal giudice a quo.

Merita ripercorrere sinteticamente i passaggi motivazionali seguiti dalla Corte.

Nella sentenza n. 136 del 1972, la Consulta osservò che l’art. 24 Cost. “vuole assicurata l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento; all’interno, cioè, del rapporto processuale, ma senza oltrepassare l’arco complessivo delle varie fasi in cui esso è positivamente articolato. Ovvie esigenze di certezza delle situazioni giuridiche, presenti in tutti gli ordinamenti, richiedono d’altronde che – per quanto desiderabilmente larghi ed efficienti siano i controlli e i mezzi di gravame attribuiti alla parti – ad un certo momento il processo si concluda irretrattabilmente, restando assorbiti nella definitività delle decisioni eventuali vizi in procedendo o in iudicando. Altrimenti detto, la garanzia del diritto di difesa opera nel processo,

! In tal senso, possono citarsi: Cass., Sez. Un., 9 ottobre 1996, n. 19, Armati, CED 206176;

32

Cass., Sez. II, 21 gennaio 1997, n. 124, Pilato, CED 207129; Cass., Sez. V, 6 giugno 1997, n. 2768, Montella, CED 208363; Cass., Sez. VI, 20 aprile 1998, n. 1402, Nocelli, CED 210915; Cass., Sez. V, 24 settembre 1998, n. 2676, Gidaro, CED 211717; Cass., Sez. VI, 3 giugno 1998, n. 2076, Caruso, CED 211961; Cass., Sez., V, 13 maggio 1999, n. 2284, Faraon, CED 213770; Cass., Sez. III, 13 gennaio 2000, n. 93, Massaro, CED 215528; Cass., Sez. III, 17 aprile 1997, n. 1762, Salmi, CED 208283; Cass., Sez. III, 24 novembre 1999, n. 3725, D’Amico, CED 215015.

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finché questo in corso di svolgimento, ma non postula anche – in contrasto con le accennate esigenze – che il processo rimanga indefinitivamente aperto ( 33).

La Consulta, peraltro, a fronte della fattispecie concreta che aveva determinato la rimessione ( 34), segnalò alla “prudente valutazione del

legislatore” la ricerca e l’introduzione, nello spirito del principio dell’art. 24 Cost., “di opportuni strumenti atti a riparare alle conseguenze del possibile verificarsi di episodi (peraltro rarissimi) come quello che ha dato origine alla presente controversia”.

Analoga espressione di self-restraint può considerarsi anche la sentenza n. 21 del 1982 della Consulta (ancora una volta posta di fronte ad un giudizio di Cassazione avvenuto senza il difensore dell’imputato per omessa notifica).

La Corte Costituzionale ribadì ulteriormente che “l’art. 24, secondo comma Cost., se garantisce, con la solenne proclamazione della sua inviolabilità, il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, non ne disciplina, però, i modi di esercizio, che, quindi, il legislatore ben può regolare variamente, purché in forme idonee e su un piano di uguaglianza, tenendo conto delle peculiarità strutturali e funzionali e dei diversi interessi in gioco nei vari stati e gradi dei procedimenti. D’altra parte, è insito nella nozione stessa di procedimento che il complesso di operazioni in cui si articola sia preordinato al fine di conseguire un accertamento definitivo che costituisce lo scopo medesimo dell’attività giurisdizionale. In questo schema logico si colloca l’ordinario procedimento penale, il cui momento terminale,

! C. Cost., 3 luglio 1972, n. 136, in Giur. Cost., 1972, pag. 1380, con nota di M. Chiavario,

33

Inoppugnabilità delle sentenze di cassazione ed art. 24 Cost.

! La situazione processuale denunciata dal giudice a quo, in un giudizio per incidente di

34

esecuzione, si era tradotta nella violazione del diritto di difesa verificatasi nel giudizio di Cassazione, per l’omessa notifica al difensore dell’imputato, dell’avviso di cui all’art. 534 Cod. proc. pen. 1930.

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ove siano esperiti i normali mezzi di impugnazione, è costituito dal giudizio e dalla pronuncia della Corte di Cassazione che, per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione (art. 111 secondo comma), non può soffrire ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso” ( 35).

Anche in questo caso non mancò il richiamo al legislatore, stante la gravità dell’episodio che aveva dato origine alla rimessione (giudizio senza contraddittorio), cui solo spettava “valutare se e con quali

rimedi straordinari ( 36), rispettando la coerenza e la funzionalità del

sistema processuale, sia possibile ovviare ad inconvenienti del genere, connaturati, peraltro, per quanto auspicabilmente assai rari, a qualunque giudizio che si concluda con un provvedimento inoppugnabile”.

Come abbiamo visto, in entrambe le decisioni il giudice delle leggi, senza negare che il problema dell’errore percettivo in cui sia incorso il giudice di legittimità dovesse trovare una soluzione dell’ordinamento, posto che tale eventualità era foriera di gravi conseguenze sul rispetto dei principi costituzionali coinvolti (art. 24 Cost.), aveva continuato a rigettare la possibilità di una pronuncia di carattere additivo, in ragione dell’evidente delicatezza della materia, implicante ricadute a livello di sistema processuale, rimettendo al legislatore ogni intervento al riguardo.

L’ultima pronuncia sopra esaminata si spinse (nell’intento di attivare un percorso legislativo “sanante”) sino ad individuare la possibile sede processuale dell’auspicata modifica normativa, vale a dire, il terreno dei mezzi straordinari di impugnazione.

La latitanza del legislatore, ciò nonostante, non cessò.

! Corte Costituzionale, 19 gennaio 1982, n. 21, Giur. Cost., 1982, pag. 206.

35

! Corsivo nostro.

(22)

Nella pronuncia n. 247 del 1995, la Corte Costituzionale riaffermò, su diversa fattispecie (giudizio di rinvio), che “la scelta legislativa di rendere improponibili in un determinato grado del procedimento eccezioni di nullità che si assumono verificate nelle fasi precedenti ed esaurite, non può dirsi irrazionale, ma appare, al contrario, ispirata dall’intento di evitare le perpetuazione del procedimento stesso, così realizzando un interesse fondamentale dell’ordinamento” ( 37).

La svolta fu rappresentata dalla sentenza n. 395 del 2000.

La Corte dichiarò l’inammissibilità della questione prospettata dalla Cassazione con ordinanza del 5 maggio 1999 sollevata con riferimento agli artt. 629 e 630 Cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevedevano la revisione delle decisioni della Cassazione per errore di fatto nella lettura degli atti interni al giudizio, sul rilievo che, essendo stata sollevata la questione di legittimità in costanza di procedimento di correzione dell’errore materiale ex art. 130 Cod. proc. civ., le norme formalmente sottoposte a scrutinio di legittimità non potevano assumere rilevo ai fini della decisone della Cassazione nel caso specifico.

La Corte ritenne, però, di non limitarsi ad una stringata motivazione in punto di inammissibilità della questione sollevata, ritenendo di dover svolgere valutazioni di carattere complessivo.

Al di là della riaffermata inammissibilità di richieste miranti alla introduzione nel sistema processuale di un mezzo straordinario di impugnazione che, in presenza di determinate condizioni, consenta di ovviare alle conseguenze, ritenute lesive di diritti dell’imputato, di errori contenuti nelle pronunce della Cassazione, sul rilievo ostativo delle diverse soluzioni astrattamente adottabili, la Consulta rilevò che “l’errore di tipo percettivo in cui sia incorso il giudice di legittimità e

! Corte Costituzionale, 13 giugno 1995, n. 247, in Giur. Cost., 1995, pag. 1792. Sul punto, in

37

dottrina, cfr.: A Giarda, Ancora sull’intangibilità assoluta delle sentenze della corte di

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dal quale sia derivata l’indebita declaratoria di inammissibilità del ricorso (con l’ovvia conseguenza di determinare l’irrevocabilità delle pronuncia oggetto di impugnativa) rappresenta un’eventualità tutt’altro che priva di conseguenze per il rispetto dei principi costituzionali coinvolti. E’ evidente, infatti, che una simile evenienza – e non importa certo se statisticamente rara – si porrebbe in automatico e palese contrasto non soltanto con l’art. 3 ma anche con l’art. 24 della Costituzione, per di più sotto uno specifico e significativo aspetto, qual è quello di assicurare l’effettività del giudizio di Cassazione. Questa garanzia, infatti, si qualifica ulteriormente in funzione dell’art. 111 della Costituzione, il quale non a caso prevede che contro tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge” ( 38).

La Corte Costituzionale osservò, quindi, che l’errore percettivo in cui sia incorso il giudice di legittimità e dal quale sia derivata l’indebita compromissione del diritto al controllo di legittimità riservato alla Corte di Cassazione “deve avere un necessario rimedio”; rimedio che peraltro non poteva essere ricondotto nella logica applicativa della revisione, dato che non si trattata di rimuovere uno degli effetti di una decisione divenuta “errata” per cause tipizzate dall’ordinamento. Su tali presupposti, affermò che “spetta alla stessa Corte di Cassazione – odierna rimettente – svolgere appieno la propria funzione di interpretazione adeguatrice del sistema, individuando, all’interno di esso, lo strumento riparatorio più idoneo. Che tale strumento possa essere poi rinvenuto proprio all’interno dello speciale istituto previsto dall’art. 130 Cod. proc. pen., non a caso oggetto del procedimento a

quo, è aspetto che – tenuto conto delle ineludibili esigenze di

adeguamento secundum constitutionem che la peculiare e delicata

! Corte Costituzionale n. 395/2000, cit.

(24)

tematica, come si è detto, impone – dovrà essere scandagliato dalla stessa Corte, in linea, d’altra parte, con la funzione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata” ( 39).

La Corte, nel momento in cui aveva nuovamente declinato l’adozione, in via additiva, di soluzioni surrogatorie nell’ambito delle impugnazioni, aveva finito con l’indirizzare lo stesso giudice di legittimità verso un’interpretazione estensiva dell’art. 130 Cod. proc. pen., vista come unica possibilità di soluzione diretta ad ovviare alle conseguenze, lesive di valori costituzionalmente garantiti, derivanti dagli errori di fatto contenuti nelle pronunce della Cassazione.

La decisione è stata oggetto di critica da parte della dottrina, sul fondato rilievo che, con la pronuncia “declinatoria” in esame, la Consulta aveva finito col “saggiare la praticabilità per via giurisprudenziale di un obiettivo di diortosi processuale sino ad allora non conseguito attraverso la via maestra dell’intervento legislativo, delegando alla Corte Suprema l’oneroso, ingrato e secundum ordinem impraticabile compito di infrangere essa stessa il giudicato con lo strumento, assolutamente inadeguato, dell’art. 130 c.p.p.” ( 40).

Le preoccupazioni connesse agli esiti dell’attività necessariamente creativa addossata alla Cassazione, col rischio di ulteriori crepe sulla certezza del diritto e con l’eventualità di possibili ricadute negative sull’idea e sui confini stessi del giudicato, spinsero, finalmente, il legislatore ad intervenire con la legge 26 marzo 2001 n. 128, mediante l’introduzione della nuova impugnazione straordinaria di cui all’art. 625 bis Cod. proc. pen.

!

§2 Introduzione generale: riflessi costituzionali.

! Corte Costituzionale n. 395/2000, cit.

39

! Così G. Romeo, in Passato e futuro per gli errori di fatto nel giudizio di cassazione, cit., pag.

40

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Alcune brevi considerazioni vanno svolte con riferimento ai principi costituzionali che vengono in rilievo nella materia in esame, con riferimento al ricorso per errore di fatto, diversa essendo, come sopra sottolineato, la natura del rimedio della correzione dell’errore materiale.

A b b i a m o , i n n a n z i t u t t o , g i à r i l e v a t o c o m e l a r e g o l a dell’inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte Suprema rappresenti uno dei cardini del sistema processuale in generale, in quanto condicio sine qua non rispetto alla formazione del giudicato. Giudicato, inteso non come una sorta di feticcio autoritario, ma come scopo ultimo dell’attività giurisdizionale penale, finalizzato alla realizzazione di un dictum che abbia valore incontrovertibile ed imperativo, a tutela della certezza dei rapporti giuridici, sia sotto il profilo individuale ( 41) che collettivo ( 42).

L’inoppugnabilità ed il giudicato, quindi, segnano il limite finale del sistema processuale, “quale barriera ad una pretesa di ricerca della verità che, assunta come unico riferimento, porterebbe all’esperienza di un processo senza fine” ( 43).

E che il processo penale sia volto alla pronuncia di una sentenza che accerti incontrovertibilmente la sussistenza o meno del dovere di

! Ciò caratterizza l’effetto preclusivo del giudicato ai sensi dell’art. 649 primo comma Cod.

41

proc. pen. Sulla dimensione di garanzia individualistica quale presidio a tutela del singolo, cfr.: G. De Luca, Giudicato: II) diritto processuale penale, in Enc. Giur.,XV, Roma, 1989, pag. 2; G. Lozzi, Giudicato (diritto penale), in Enc. Dir., XVIII, Milano, 1969, pag. 913; A. D’Orazi, La

revisione del giudicato penale. Percorsi costituzionali e requisiti di ammissibilità, Padova,

2003, pag. 176; F. R. Dinacci, Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, cit. pag. 866. Sulla copertura costituzionale del giudicato, inteso come valore unitario, cfr. le considerazioni svolte da M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit., pag. 42; sul punto anche F. Cordero, Riti e sapienza del diritto, Bari, 1985, pag. 760.

! Sul punto, cfr. M. Chiavario, Processo e garanzie della persona, II, Le garanzie

42

fondamentali, Milano, 1984, pag. 247; B. Lavarini, L’esecutività della sentenza penale, Torino,

2004; P. Ferrua, Presunzione di non colpevolezza e definitività della condanna penale, Milano, 1991

! P. Ferrua, Garanzia del contraddittorio e ragionevole durata del processo, in Quest. Giust.,

43

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punire emerge in maniera indubbia anche dal canone costituzionale di cui all’ art. 111 secondo comma Cost. in punto di ragionevole durata del processo, il quale logicamente presuppone il divieto di rimettere in definitivamente in discussione il contenuto della sentenza assistita ormai dai connotati della inoppugnabilità e della irrevocabilità; nonché dallo stesso art. 27 secondo comma Cost., che stabilisce in maniera chiara che il dictum individuale contenuto nella pronuncia prevalga sulla libertà personale dell’individuo solo quando lo stesso ha assunto il carattere della definitività ( 44).

L’interesse fondamentale dell’ordinamento, rappresentato dalla necessità di garantire, a presidio della certezza delle situazioni giuridiche, la definizione dei procedimenti nell’intento di evitare la perpetuazione dei giudizi, attraverso lo strumento dell’inoppugnabilità delle pronunce rese dal giudice di legittimità, è stato, d’altro lato, ripetutamente riconosciuto dalla Consulta con uniformità di accenti, come abbiamo messo in rilievo con riferimento alle sentenze sopra esaminate.

Coerente con tale assetto ordinamentale appare, quindi, il ruolo apicale del giudice di legittimità, quale organo supremo della giurisdizione e (solo tendenzialmente, stante l’elefantiasi del sistema processuale) della nomofilachia ( 45).

Entro tali parametri, la Costituzione assegna alla Corte di Cassazione, attraverso la previsione di cui all’art. 111 commi sesto e settimo Cost., il ruolo di giudice sulla legalità della decisione, sulla razionalità della motivazione e sulla legittimità dello stesso processo; vale a dire sulla

! M. Gialuz. Il ricorso straordinario per cassazione, op. cit., pag. 41 e segg. Analoghi rinvii

44

alla sentenza definitiva sono contenuti nell’art. 48 terzo comma e 68 secondo comma della Costituzione.

! I procedimenti definiti dalle sezioni penali della Corte di Cassazione nell’ultimo triennio –

45

cfr. statistiche sul sito web della Cassazione – superano ormai i 50.000 l’anno. La mole appare

veramente inusitata, a confronto delle corti supreme degli altri ordinamenti, e, oltre alle negative ricadute sullo smaltimento del lavoro, rende, com’è inevitabile, sempre più evanescente l’effettività della funzione nomofilattica attribuita alla Cassazione dall’ordinamento

(27)

coerenza con la legge sostanziale delle decisioni di merito, sulla verifica della congruenza dell’apparato motivazionale, sulla conformità degli atti svolti nel procedimento alle regole processuali. Appare chiaro che il giudizio di legittimità, quale ultimo segmento processuale anteriore al formarsi del giudicato, rappresenti, quindi, un valore centrale, in quanto strumento di garanzia soggettiva, siccome rivolto alla tutela dei valori costituzionali rappresentati dagli artt. 24 commi primo e secondo e 111 Cost.

Ed è significativo notare come la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo abbia a più riprese ribadito come anche nel procedimento dinanzi alle corti supreme debba essere garantito il diritto ad una procedura nel pieno rispetto del principio del contraddittorio ( 46).

Poste questi brevi premesse, non può non diventare chiaro che, interpretato in termini assoluti, il canone della inoppugnabilità, postulando l’immediata sanatoria delle nullità verificatesi nel giudizio di legittimità, rischierebbe di vanificare il sistema di garanzie tratteggiato dalla Costituzione.

In questo senso, appare imposta, a tutela dei diritti costituzionali in questione, una disciplina degli errori percettivi incorsi nel giudizio di legittimità aventi, come vedremo, carattere decisivo; disciplina intesa quale unico strumento suscettibile di attuare una composizione ed un bilanciamento tra i valori costituzionali di fondo, tra loro potenzialmente confliggenti.

Di ciò ha pienamente dato conto la Consulta, nel momento in cui ha affermato che l’errore percettivo in cui incorre il giudice di legittimità deve trovare un necessario rimedio, dal momento che il giudizio di Cassazione costituisce un presidio costituzionalmente imposto, a

! Al riguardo, cfr., anche con indicazione di giurisprudenza della corte di Strasburgo, M.

46

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garanzia dei canoni costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione ( 47).

Ciò che, secondo la impostazione seguita dalla Consulta deve essere garantito, in quanto costituzionalmente doveroso, è l’effettività del giudizio di Cassazione, vale a dire il diritto a fruire del controllo costituzionalmente riservato alla Corte Suprema in base alla Costituzione.

E tale scelta appare imposta dalla natura dell’errore di fatto, dal momento che lo stesso, a differenza dell’errore materiale che ontologicamente non influisce sull’esito del giudizio, sostanziandosi in mero deficit espressivo, consiste in una svista percettiva di carattere decisivo ricadente sugli atti interni del giudizio di legittimità, che abbia indotto il giudice ad affermare l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo, la cui esistenza od insussistenza risulti in modo incontrovertibile dagli atti.

L’errore di fatto, allora, incide sulla decisione finale sulla base di una svista percettiva che si colloca al di fuori della realtà processuale risultante dagli atti, finendo col diventare il presupposto fondante ed erroneo del ragionamento seguito dal giudice.

Presupposto decisivo che si colloca extra actis e che vale a vanificare quel dovere di controllo che l’ordinamento assegna al giudice di legittimità.

Logico corollario è che, in tali casi, la mancata previsione di adeguati strumenti di tutela volti a garantire l’effettività dello scrutinio riservato alla Cassazione nei termini sopra esposti non possa reputarsi coerente con i canoni costituzionali di riferimento.

Canoni che, come abbiamo visto, sono diretti ad assicurare non la possibilità di rimettere in discussione all’infinito l’esito del processo in presenza di un qualsivoglia lamentato sintomo di ingiustizia della

! Corte Costituzionale n. 395/200, cit.

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decisione o di un qualsiasi errore di diritto o di giudizio, sebbene soltanto ed unicamente che il giudizio di Cassazione svolga effettivamente il proprio fine di garanzia, quale costituzionalmente delineato, giungendo ad una decisione che non sia non perturbata dall’errore percettivo avente carattere decisivo sugli atti interni.

Ciò che deve essere garantito, in parole semplici, è il diritto al controllo, nei termini esposti, e non la bontà della decisione.

Solo entro tali rigorosi termini, come avremo modo di vedere, appare ammissibile la “demolizione” della res iudicata, allontanandosi il rischio di un quarto grado di giudizio, di una incontrollabile proliferazione di ricorsi.

Ed in questa prospettiva, recependo finalmente le indicazioni della Consulta, il legislatore del 2001, attraverso l’art. 625 bis Cod. proc. pen., si è prefissato lo scopo di introdurre un istituto volto assicurare il diritto all’effettivo controllo da parte della Cassazione sulla base degli atti interni nel giudizio di legittimità, indicando, quale fattore idoneo ad inficiare la decisione, l’errore percettivo decisivo.

Istituto che è quindi diretta espressione delle doverosa tutela dei valori costituzionali sopra ricordati.

!

§ 3 Natura dei rimedi ex art. 625 bis Cod. proc. pen.

Come abbiamo già rilevato, la norma in commento riconduce sotto un unico istituto situazioni profondamente differenti quanto ad implicazioni di sistema.

Mentre la correzione dell’errore materiale, che consiste in semplice

deficit espressivo contenuto nel provvedimento del giudice non

inerente al processo decisionale, oltre che direttamente riscontrabile dall’esame della decisione, dà luogo ad una mera emenda del provvedimento medesimo, ad un suo completamento, cioè, senza

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alterazione della ratio decidendi, il ricorso per correzione dell’errore di fatto possiede valenza di impugnazione.

Pacifica è la natura di mezzo di impugnazione del ricorso diretto ad eliminare l’errore di fatto ( 48).

Esso, infatti, partecipa di tutti i caratteri che sono individuati quali peculiari dei rimedi impugnatori.

Anzitutto, ha natura sostitutiva, in quanto diretto a provocare l’elisione della statuizione del giudice ed a sovrapporre alla precedente manifestazione di volontà un nuovo dictum; in secondo luogo, il congegno in parola è rimesso per la sua attivazione, a differenza della correzione dell’errore materiale, all’iniziativa del condannato o del Procuratore Generale, con esclusione di qualsiasi impulso officioso, nel rispetto di termini perentori.

In dottrina, si è posto il problema del carattere straordinario o meno del nuovo rimedio revocatorio.

Il discrimen fondamentale tra le due tipologie di rimedi risiede nel loro diverso rapporto col giudicato: i mezzi ordinari corrispondono ai rimedi diretti ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza, laddove i mezzi straordinari, al contrario, sono diretti nei confronti di sentenze che hanno acquisito il massimo grado di stabilità, mirando alla rimozione della res iudicata.

Appare di intuitiva evidenza come l’accertamento della natura dell’impugnazione finisca con l’incidere, in termini generali, sulla stessa individuazione del momento in cui viene a formarsi il giudicato formale, ossia del momento in cui la sentenza diventa irrevocabile. Occorre, in altre parole, verificare se, a seguito dell’introduzione dello strumento revocatorio previsto dall’art. 625 bis Cod. proc. pen., sia mutata la fattispecie formativa del giudicato formale, dovendosi

! Sul punto non è dato rinvenire alcuna opinione difforme nella dottrina citata, così come con

48

(31)

ritenere o meno che lo stesso maturi con lo spirare del termine di 180 giorni previsto per la proponibilità del rimedio.

E su ciò incide anche la svista del legislatore, che ha omesso di coordinare il contenuto precettivo dell’art. 648 primo comma Cod. proc. pen. col nuovo mezzo di impugnazione.

I criteri esegetici ai fini dell’inquadramento dei rimedi impugnatori nell’una o nell’altra della due categorie appaiono plurimi: la dinamica di proposizione del gravame, vale a dire se lo stesso sia o meno proponibile in termini perentori o meno; la maggiore o minore eccezionalità dei motivi; l’effetto sospensivo connesso alla relativa proposizione.

L’opinione pacificamente formatasi in giurisprudenza è nel senso della natura straordinaria del rimedio de quo ( 49).

Il carattere effettivo di impugnazione straordinaria è stato peraltro messo in dubbio da parte della dottrina.

La dottrina maggioritaria, peraltro, appare attestata sulle stesse posizioni della giurisprudenza ( 50).

Tale qualificazione sistematica sarebbe imposta, secondo l’operata ricostruzione, dalla stessa lettera della legge, che, denominando nella rubrica il rimedio con l’aggettivo straordinario, manifesta la chiara intenzione del legislatore di richiamare la consolidata nozione dottrinale, che vede nei mezzi di impugnazione straordinari gli strumenti indirizzati contro le decisioni divenute irrevocabili.

Siffatta linea ricostruttiva, risulterebbe ulteriormente confortata, d’altro lato, dall’immutata previsione dell’art. 648 secondo comma Cod. proc. pen., secondo cui “se vi è stato ricorso per Cassazione, la

! In tal senso, cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16104, De Lorenzo, non

49

massimata, in Cass. Pen., 2002, pag. 2623; Cass., Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile, CED 221281.

! Così M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione,op. cit., pagg. 141 e segg.; A. Corbo,

50

Il favore del condannato come presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto, in Cass. Pen., 2011, pag. 3063.

(32)

sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso”; il che significa che le decisioni di rigetto e di inammissibilità della Corte determinano il passaggio in giudicato immediatamente, non appena siano state pubblicate.

Ulteriore argomento a sostegno della natura straordinaria è stato correlato alla caratteristica di impiego unidirezionale del rimedio revocatorio in questione solo in favore del “condannato”, vale a dire di colui che è stato ritenuto colpevole in forza di una condanna definitiva, quando, cioè, si è determinata la fattispecie formativa del giudicato.

La stessa giurisprudenza, nell’avallare la natura straordinaria del rimedio, ha evidenziato che il legislatore, nel regolamentare lo strumento di cui all’art. 625 bis Cod. proc. civ., avendo previsto la sua ammissibilità solo a favore del condannato ed avendo limitato la legittimazione esclusivamente a quest’ultimo ed al Procuratore Generale, avrebbe chiaramente “assunto come modello il contenuto della disciplina della revisione (cfr. artt. 629 e 632 Cod. proc. civ.)” ( 51), vale a dire dell’istituto pacificamente avente caratteri di

straordinarietà.

D’altro lato, il legislatore ha ritenuto di escludere l’automatico effetto sospensivo del ricorso per errore di fatto, analogamente all’altro rimedio straordinario della revisione (ricollegando inoltre la possibilità di sospensione solo ai casi di eccezionale gravità, in termini assai più stringenti rispetto all’altro mezzo straordinario: cfr. art. 635 Cod. proc. pen.), laddove per le impugnazioni ordinarie la regola è rappresentata dalla sospensione dell’esecuzione (art. 588 comma primo Cod. proc. pen.).

! Cass., Sez. Un. 27 marzo 2002, Basile, cit.

(33)

E’ stato osservato che una simile opzione appare compatibile col disposto di cui all’art. 27 secondo comma Cost. (che ricollega la privazione della libertà personale alla sentenza definitiva), soltanto ammettendo che le pronunce del giudice di legittimità passino immediatamente in giudicato e siano pertanto attaccabili solo con un mezzo di impugnazione straordinario.

Diversamente opinando, il problema di coerenza dell’art. 625 bis Cod. proc. pen. in punto di non automaticità dell’effetto sospensivo col canone costituzionale di cui all’art. 27 Cost. emergerebbe in tutta la sua evidenza.

Nella prospettiva dottrinale indicata, il rimedio revocatorio per errore di fatto non potrebbe quindi essere inserito nella fattispecie costitutiva del giudicato, della quale costituirebbe, più propriamente, una fattispecie risolutiva dello stesso.

E quale ulteriore argomento a sostegno della natura straordinaria del rimedio è stato addotto anche il criterio statistico, fondato sulla scarsa incidenza numerica dei casi di revoca per errore di fatto; criterio che dovrebbe far ritenere irragionevole configurare come impeditivo del giudicato un mezzo che, “per quanto presentabile entro un termine determinato sia volto a censurare un vizio così raro da rendere ridotta la probabilità di una modifica della sentenza ad esso soggetta” ( 52).

La difforme opinione, fondata sulla riconoscibilità del vizio e della presenza di un termine predeterminato per la proposizione del rimedio, intesi quali indici sintomatici della natura ordinaria del ricorso de quo, appare dotata di minore efficacia persuasiva, alla luce delle argomentazioni sopra svolte ( 53), posto che tali elementi, in

! Così M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit. , pag. 149.

52

! Cfr.: A. Bargi, Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di cassazione, op. cit.,

53

pagg. 152 e segg.; A. Capone, Note critiche in tema di ricorso straordinario per errore di fatto,

cit. Di natura ibrida dell’impugnazione parla F. Cordero, Procedura Penale, Milano, 2001, pag.

(34)

ragione delle caratteristiche peculiari del rimedio impugnatorio in esame, non appaiono elementi ostativi univocamente valorizzabili ai fini dell’inquadramento del ricorso straordinario per errore di fatto all’interno della categoria delle impugnazioni ordinarie.

E appare di impervia sostenibilità l’opinione che ritiene che la sentenza della Cassazione contra reum durante la pendenza del termine per la proposizione del ricorso straordinario sia efficace ma non irrevocabile, dal momento che deve escludersi che un provvedimento suscettibile di essere modificato possa qualificarsi in termini di irrevocabilità, ovvero sia dotata di efficacia provvisoria condizionata al decorso del termine per impugnare ( 54).

E’ stato sul punto ribattuto come un ostacolo a siffatta ricostruzione discenda, come sopra notato, dal principio sancito dall’art. 27 secondo comma Cost., mentre all’ulteriore rilievo in punto di modifica non può associarsi valenza decisiva, dal momento che, pacificamente, anche la sentenza di condanna irrevocabile, siccome suscettibile di revisione, risulta sempre modificabile.

Appare maggiormente aderente al dato normativo, pur in presenza di elementi distonici rispetto ai canoni interpretativi tradizionalmente impiegati, ritenere che il nuovo rimedio, che deroga al principio dell’irrevocabilità delle decisioni della Cassazione, si collochi, accanto alla sola revisione, sia pure con caratteristiche “ibride” rispetto all’ordinario paradigma del rimedio extra ordinem, tra i rimedi straordinari volti a rimuovere gli effetti del giudicato.

!

§ 4. Ambito di applicazione.

L’art. 625 bis Cod. proc. pen. ammette il ricorso straordinario in esame a favore del condannato, in ogni caso di errore contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Cassazione.

! Così A. Bargi., ivi, pag. 156.

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