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Evoluzione di un paesaggio agrario: le comunità di Bientina e Buti tra Sette e Novecento

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Academic year: 2021

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EVOLUZIONE DI UN PAESAGGIO AGRARIO:

LE COMUNITÀ DI BUTI E BIENTINA

TRA SETTE E NOVECENTO

INTRODUZIONE

Da tempo un gruppo di studiosi all’interno di quello che è stato il dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’università di Pisa, si occupa di Pisa e della sua provincia dal punto di vista agrario per evidenziarne la particolarità e le trasformazioni. Numerosi e importanti sono i lavori sul sistema mezzadrile, i ceti dirigenti vecchi e nuovi, la distribuzione della proprietà, le rendite, le colture, la popolazione e il paesaggio agrario.

Da tale contesto prende spunto la presente indagine, tesa a individuare nello specifico i cambiamenti impressi dall’uomo al territorio in quel particolare momento della storia granducale a cavallo tra Sette e Ottocento, con le riforme leopoldine a fare da spartiacque; tali trasformazioni hanno disegnato nel tempo la campagna toscana tipica, con la coesistenza di alberi e vite coi cereali da una parte e la tradizionale mezzadria dall’altra. Per dirla col Pazzagli: “il paesaggio dell’appoderamento, delle case coloniche e dei rustici sparsi, della coltura promiscua, delle piantagioni di viti e di ulivi che attraversano e delimitano in file armoniose e regolari i campi a forma tendenzialmente geometrica alternati ora al bosco ora al sodo, racchiusi dai fossi e dalle vie campestri, sostenuti, sui terreni declivi, dalle linee trasversali dei muri a secco e dei ciglioni erbati”.1

Il periodo esaminato è cruciale ai fini di questa evoluzione, denso com’è di eventi locali ed europei di grande portata: oltre alle riforme già citate, le lunghe guerre, la conseguente dominazione francese e il predominio economico e industriale inglese scandiscono il ritmo diseguale di questo passaggio da un secolo all’altro. Bisogna però sottolineare che si tratta solo di un tassello all’interno di un processo

1 C. PAZZAGLI, Il paesaggio degli alberi in Toscana. La campagna tra pianura e collina, in Storia

dell’agricoltura italiana in età contemporanea, Spazi e paesaggi, vol. I, Venezia, Marsilio editori, 1989.

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più vasto, caratterizzato da continue cesure e dall’alternanza di fasi contrastanti. Lo stesso quadro disegnato dal Pazzagli prende il posto di quello precedente, che a partire dal Seicento viene contraddistinto dal dilagare della peste del 1630, dal calo demografico e da uno spopolamento che si era tradotto nelle campagne in una forte diminuzione dell’arativo e in un allargamento dell’area boschiva, dei pascoli e delle acque stagnanti e delle paludi.

Tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento la Toscana non resta estranea ai mutamenti che ridisegnano il volto dell’Europa: grazie alle trasformazioni stimolate dai Lorena e dalla dominazione francese nasce una nuova proprietà della terra, liberata dai precedenti limiti che ne impedivano il pieno godimento (manomorta, fidecommessi, ecc.) e affrancata dagli ultimi vincoli feudali, peraltro ormai debolissimi in Toscana. Sull’onda della crescita demografica, si procede così al dissodamento e alla messa a coltura di nuove terre e la mezzadria guadagna progressivamente terreno: «tutto quel processo, insomma, che nell’Ottocento sfociò poi nell’appoderamento e nella ulteriore diffusione della mezzadria, non è che il punto di arrivo, in quest’ottica, di un movimento lungo, iniziato diversi secoli prima, di valorizzazione delle terre di tutta l’area regionale. Indizi, oggi disponibili, fanno ritenere che dal Cinquecento al Settecento, […] vadano di pari passo la diffusione della mezzadria e un continuo, forte aumento della popolazione, indice assai chiaro di un processo di espansione agricola»2. Un’espansione che deve fare i conti con l’andamento dei prezzi dei prodotti agricoli e la variazioni nella domanda di merci sul mercato europeo. La classe di proprietari imprenditori, emersa in questa fase, deve rispondere alla sfida di un mercato più vasto e più difficile da raggiungere, dominato come si è detto dalla competitiva concorrenza inglese. Deve imparare ad adeguare le sue risposte a una domanda e a prezzi estremamente fluttuanti. Nel periodo in oggetto, per esempio, fino alla restaurazione le colture si allargarono a spese del bosco, del pascolo e della palude, sulla scia della ripresa economica generale e della crescita demografica che si verificò anche in Toscana, seppur in misura ridotta: «esso, combinato con l’apertura del mercato alla crescente

2 M.MIRRI, Contadini e proprietari nella Toscana moderna, in Contadini e proprietari della

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domanda estera, provocò un’azione di conquista o di riconquista di terreni all’agricoltura. [...] L’espansione del terreno coltivato si ebbe ovunque: in collina ed in montagna a spese di sodivi e del bosco, in pianura soprattutto grazie all’opera di bonifiche, molte delle quali furono una continuazione dell’impegno dei Medici in questo settore».3

In una fase successiva, contraddistinta dalla discesa dei prezzi e dalla conseguente crisi subita dai proprietari terrieri che più si erano esposti nell’acquisto di nuovi terreni, si verificò una contrazione dell’arativo. Questo duplice movimento si riflette anche nei rapporti tra il mezzadro e il proprietario terriero, che nella fase positiva limitò l’autonomia del lavoratore, escludendolo dalla gestione delle terre affidategli, salvo poi ritornare a un regime di maggiore condivisione delle responsabilità durante la crisi successiva.

Il pensiero economico del XVIII secolo che influenzò sia l’azione dei sovrani riformatori – sullo spinta di gruppi sociali e di nuove esigenze economiche – sia la storiografia successiva sull’argomento, ritenne che il miglioramento agricolo fosse legato anche a un processo di privatizzazione della terra e di liberazione della proprietà fondiaria dai vincoli feudali precedenti ai fini di una maggiore commerciabilità della terra, “un’esigenza e una rivendicazione comune non solo ai nuclei di una borghesia terriera ed agraria, già in via di sviluppo nei vari Stati italiani, bensì anche di gruppi importanti di grandi proprietari feudali, economicamente e culturalmente più avanzati, e di non pochi tra gli organi statali ed i sovrani stessi”.4

Promotori del processo di trasformazione in Toscana furono i Medici prima e la dinastia degli Asburgo–Lorena (1737-1859) in seguito:in particolare, nel periodo di quest’ultima dinastia, occorre menzionare Pietro Leopoldo, considerato colui che meglio ha applicato le idee illuministe nel settore giudiziario (abolizione della tortura e della pena di morte), amministrativo, economico e fiscale, e successivamente Ferdinando III. I due condussero un’azione che, in fasi diverse,

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G. BIAGIOLI, L’agricoltura toscana dell’800 e l’economia del padule in Il padule di Fucecchio.

La lunga storia di un ambiente naturale a cura di Adriano Prosperi, Roma, Edizioni di Storia e

letteratura, 1995 p. 213

4 E. SERENI, Agricoltura e mondo rurale in Storia d’Italia vol. I I caratteri originali Torino,

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doveva portare alla soppressione delle corporazioni, alla liberalizzazione della proprietà terriera (così da disporne liberamente tramite vendite o trasmissioni ereditarie) e alla secolarizzazione di buona parte della proprietà ecclesiastica. Quanto alle riforme fondiarie si arrivò anche a «una privatizzazione dell’uso della proprietà terriera, con l’abolizione degli usi civici e il diritto di “chiudere”i propri beni; un aspetto particolare del punto precedente, la libera fruizione delle risorse boschive da parte dei proprietari»5. Di rilevanza particolare furono provvedimenti quali la libertà di coltura e di rotazione introdotta tra il 1775 e il 1780, la libertà di disboscamento e di dissodamento tra il 1776 e il 1780 e l’abolizione della servitù di pascolo nella provincia pisana e nella montagna pistoiese6, disposizioni che andavano nel senso di un restringimento o di un annullamento delle tradizionali servitù collettive, vitali per il sostentamento di molti abitanti. Ne sono un esempio «le disposizioni per il contado e la montagna pistoiese del 1776, che abolivano la servitù di rumo, ruspo, guaimi»7, tutto ciò insomma che consentiva sui beni altrui la pastura degli animali e la raccolta dei frutti dopo la prima raccolta. Da non dimenticare, infine, l’annullamento degli statuti locali che imponevano una data comune per la vendemmia che non tenevano conto della particolarità di un’uva, di un terreno o della sua esposizione in grado di variare la maturazione da zona a zona.

Questi provvedimenti furono determinanti per il futuro del territorio, ma ebbero a volte conseguenze nefaste: è quanto avvenne per esempio con la liberalizzazione del taglio dei boschi, fondamentale rispetto al successivo dilavamento delle pendici montane: «Le condizioni di dissesto finirono per aggravarsi alla fine di quello stesso secolo, per effetto dell’abrogazione delle leggi vincolistiche forestali decisa dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1780 (un atto sciagurato [- scrive Rombai -…] cui si cominciò a porre rimedio con i rimboschimenti e le

5 G.BIAGIOLI, La fine dell’ancien régime nella proprietà delle terre: passaggi di proprietà in

Toscana tra XVIII e inizio XIX secolo, in Istituto internazionale di Storia economica “F. Datini” di

Prato, Il mercato della terra, secoli XIII-XVIII, a cura di S.CAVACIOCCHI, Firenze, Le Monnier, 2004

6 E.SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari, 1961, p. 243

7 G.BIAGIOLI, La fine dell’ancien régime nella proprietà delle terre: passaggi di proprietà in

Toscana tra XVIII e inizio XIX secolo, in Istituto internazionale di Storia economica “F. Datini” di

Prato, Il mercato della terra, secoli XIII-XVIII, a cura di S.CAVACIOCCHI, Firenze, Le Monnier, 2004, Atti della Trentacinquesima settimana di studi, n. 35, pp.413-430

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sistemazioni idraulico-agrarie di tipo orizzontale attuate dagli stessi sovrani e dai proprietari illuminati a partire dagli anni ‘20 e ‘30 dell’Ottocento)»8.

Il risultato più eclatante di tale politica nel suo complesso fu comunque l’aumento della terra disponibile e di conseguenza dell’attività agricola. Effetti di rilievo ebbe anche la libertà di commercio dei grani che fu concessa per far fronte alla scarsa produzione di cereali, al rialzo dei prezzi e all’incremento demografico, fenomeno che interessò la Toscana e anche la provincia pisana lungo tutto l’arco dell’età moderna. «Tale incremento sembra collegarsi a un fenomeno di sempre più diffusa occupazione del territorio e di sfruttamento sempre più largo del suolo, nel senso probabilmente di una progressiva estensione delle colture, non senza escludere […] anche una qualche intensificazione colturale»9.

La crescita della popolazione e l’aumento del bisogno di braccia per le coltivazioni rendeva via via più impellente la necessità di dare alloggio alle famiglie dei lavoratori. Alla fine del Settecento il numero delle abitazioni esistenti non era sufficiente, spesso non erano abbastanza vicine alle terre, o ancora si rivelavano troppo piccole e prive degli annessi utili a rendere autonomo il lavoro del colono.

All’interno del sistema mezzadrile, la costruzione o l’ampliamento di case coloniche sui fondi era però un onere importante che spettava interamente al padrone. Proprio per incentivare questi ultimi a procedere a nuove costruzioni e a ristrutturare l’esistente, con un editto del 3 settembre 1784 Pietro Leopoldo promise «la gratificazione e il rimborso del quarto della spesa, e in alcuni luoghi del terzo, per chi risarcirà delle case o casaloni distrutti o fabbricherà nuove case rurali»10. Un ulteriore stimolo all’investimento in fabbricati rurali veniva inoltre dall’esenzione fiscale delle case coloniche e dei loro annessi (stalle, tinaie,

8 L. ROMBAI, Prefazione a G. Nanni – M. Pierulivo – I. Regoli (a cura di) L’Arno disegnato,

catalogo della mostra di cartografia storica sul basso Valdarno attraverso i documenti degli archivi comunali (sec. XVI-XIX), Ponte a Egolo (Fi) comune di San Miniato 1996, p. 7

9 M.MIRRI, Premessa a AA.VV., Ricerche di Storia moderna, I, Pisa 1976, p. XI

10 PIETRO LEOPOLDO D’ASBURGO LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A.

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cantine, ecc) decisa nel 1782, sulla base del fatto che il valore di questi fabbricati era giudicato inseparabile da quello del fondo11.

Man mano che si conquistavano nuove terre e si assumeva la manodopera necessaria ai lavori su fondi, si ridefinivano anche i rapporti di forza esistenti nelle campagne e i contratti: si può ipotizzare che «la progressiva occupazione e il successivo sfruttamento delle terre fossero avvenuti sulla base di una progressiva redistribuzione della proprietà e contemporaneamente di una sua continua estensione: da un lato, si sarebbe modificato, nel tempo, il rapporto tra proprietà di coltivatori o conduttori diretti e proprietà di ceti non coltivatori; ma, soprattutto, si sarebbero progressivamente alterati i rapporti fra proprietà “contadina” e proprietà del patriziato privilegiato, “cittadini” pisani o fiorentini che estendevano via via nel “contado” o nella “provincia pisana” i loro possessi, spostando, alla fine, decisamente a loro vantaggio i rapporti di forza»12.

Momento focale di questa conquista della terra fu, ovviamente, il recupero delle terre paludose e acquitrinose così come la risoluzione del grave disordine idrico, problema che sollevò non pochi interrogativi e discussioni. Molti ingegneri e scienziati vennero chiamati dai governi granducali per affrontarlo a più riprese13 ma solo nell’Ottocento sotto Leopoldo II (1824-1859) si arrivò con un progetto di Alessandro Manetti a essiccare il lago tramite il passaggio delle acque sotto l’Arno e la costruzione del Canale Emissario.

La bonifica delle zone umide era invocata da tempo in nome della salute della stessa popolazione. Si veda, per esempio, il caso della palude di Fucecchio: «Il disordine idrico dell’area, l’impaludamento delle acque e le durissime condizioni di vita a cui la popolazione fu ridotta resero micidiali le malattie endemiche: la grande peste del 1630 fu seguita da ondate periodiche di epidemie, che finirono per attirare sul padule l’accusa di essere la causa prima dei pericoli per la salute degli abitanti. All’ombra di un paradigma sanitario di questo tipo, avanzò allora un disegno di integrale bonifica dell’area dietro il quale premevano gli interessi di

11 G.BIAGIOLI, L’agricoltura e la popolazione toscana all’inizio dell’800, Pacini editore, Pisa

1975, p. 29

12 M.MIRRI, Premessa a AA.VV., Ricerche di Storia moderna, I, Pisa 1976, p. XV

13 Tra gli altri Evangelista Torricelli, Sigismondo Coccapani, il matematico Leonardo Ximenes e

soprattutto Alessandrino Manetti, che per primo pensò seriamente al prosciugamento del bacino bientinese e lo realizzò tramite il progetto di botte sotterranea.

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grandi proprietari fondiari via via subentrati alla proprietà del granduca. La nuova dinastia dei Lorena credette di aver trovato la soluzione del problema con la privatizzazione totale dell’area».14

Non sempre i risultati furono quelli auspicati, anzi, i vari interventi si rivelarono spesso un’arma a doppio taglio: la popolazione, come nel caso di Bientina, venne privata del suo principale sostentamento, mentre è ormai appurato il risultato molto parziale delle allivellazioni15 riguardanti le terre del Granduca, di enti o di comuni ai fini della creazione di una piccola e media proprietà coltivatrice: «Il tentativo granducale di ampliare la base della proprietà toscana ebbe un esito piuttosto limitato; a quanto sembra, esso fu concentrato nelle zone più fertili, potenzialmente più favorevoli al piccolo conduttore»16.

La situazione si modificò invece nel senso di un’ulteriore concentrazione dei beni in poche mani17 che coinvolse proprio i terreni bonificati che necessitavano di ingenti capitali da investire. Non si tratta certo di un fenomeno nuovo, ma attesta piuttosto una certa continuità con le politiche precedenti: «Principi, patrizi, mercanti e banchieri […] usano la bonifica delle paludi e dei “beni inculti”, come potente leva per modificare a loro vantaggio i diritti di proprietà sulla terra. Il forte investimento di capitali da anticipare nei lavori idraulici giustifica l’appropriazione esclusiva di beni collettivi. Il potere cittadino di controllo sul territorio farà il resto. Non è certo casuale che la famiglia Medici acquisti vasti possessi terrieri proprio in zone impaludate o in prossimità di esse. Essi hanno la possibilità economica di trasformare queste aree in grandi fattorie [come avvenne per esempio a Vicopisano] ed hanno anche la forza politica per comandare ai

14 A. PROSPERI, Introduzione a Il padule di Fucecchio. La lunga storia di un ambiente naturale,

Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1995, p.9

15 Patto agrario che tendeva a far coincidere il possesso con la proprietà, il livello era «una forma

di enfiteusi a lunghissimo periodo , diffuso in Toscana fin dal Medioevo» cfr G.BIAGIOLI, La fine

dell’ancien régime nella proprietà delle terre: passaggi di proprietà in Toscana tra XVIII e inizio XIX secolo, in Istituto internazionale di Storia economica “F. Datini” di Prato, Il mercato della terra, secoli XIII-XVIII, a cura di S.CAVACIOCCHI, Firenze, Le Monnier, nota 7 p. 4

16 G.BIAGIOLI, I problemi dell’economia toscana e della mezzadria nella prima metà

dell’Ottocento, in AA.VV. Contadini e proprietari nella Toscana moderna, Atti del convegno in

onore di G. Giorgetti, I-II, Firenze, Olschki, 1981 p. 91

17 M.MIRRI, Proprietari e contadini toscani nelle riforme leopoldine, in “Movimento operaio”,

n.s., a. VII, 1955, n.2 e G.GIORGETTI, Per una storia delle allivellazioni leopoldine, in G.GIORGETTI, Capitalismo e agricoltura in Italia, Roma, 1977 pp. 92-216

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contadini l’esecuzione dei lavori idraulici necessari..».18 In entrambi i periodi, comunque, si tratta di un’occasione di ascesa sociale che i possidenti locali non si lasceranno sfuggire.

È tra Sette e Ottocento, insomma, che si va costruendo una nuova proprietà terriera e una nuova fase di crescita per la Toscana. Il presente lavoro cerca di mettere in luce la complessità di questi fenomeni attraverso il confronto fra tre fonti: l’estimo di fine Settecento, il catasto geometrico-particellare del 1834-36 e, per quel che riguarda Buti, la carta del suolo del Piano regolatore del 2004. Questo confronto è stato integrato da fonti dirette (orali e scritte) e da confronti tra mappe geografiche, guardando alle variazioni intervenute nel numero delle case per i lavoratori e dei poderi, nell’utilizzo del suolo, senza dimenticare le variazioni delle aree paludose e l’avanzare di colture legnose specializzate.

L’attenzione si è focalizzata in particolare su due comunità assunte ad emblema delle trasformazioni chiave di questo periodo, terre entrambe di confine, da sempre oggetto delle mire espansionistiche, sin dai tempi delle potenze medievali (Pisa Firenze e Lucca), per la loro posizione strategica dal punto di vista militare commerciale: Bientina, terra lacustre e paludosa e luogo in seguito di ampie bonifiche e Buti, con la sua agricoltura montana sempre più specializzata nell’olivocoltura. Due paesi che rappresentano in piccolo un esempio di quella specializzazione e di quell’ampliamento delle terre a coltura che avvenne a scapito, appunto, di paludi e boschi, grazie a cospicui investimenti fondiari e agrari (bonifiche, sistemazioni idriche, costruzioni di edifici). Ma se a Bientina il fenomeno ebbe proporzioni inequivocabili, diverso è il caso di Buti dove la geografia del luogo impedì l’espansione eccessiva dell’arativo, preservò il bosco e favorì piuttosto una specializzazione monoculturale nell’olivo. L’area boschiva, e in particolare i castagneti, mantennero qui uno spessore di rilievo: oltre che per evidenti ragioni geografiche, la loro resistenza si spiega anche con le esigenze di una manifattura nata qui prima che altrove. Il castagno, essenziale a scopi

18 F. CAZZOLA, Risorse contese: le zone umide italiane nell’età moderna, in Il padule di

Fucecchio. La lunga storia di un ambiente naturale a cura di A.PROSPERI, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1995, p. 28

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alimentari, lo è anche come materia prima per le castagne destinate alla farinatura presso i numerosi mulini della zona; e per il legname, indispensabile alla nascente e caratterizzante produzione butese dei corbelli.

Proprio per queste sue peculiarità, si è cercato di seguire l’evoluzione del paesaggio agrario butese per un arco cronologico più esteso: partendo dalla descrizione dell’estimo settecentesco e passando attraverso l’Ottocento fotografato dal catasto, si è arrivati all’oggi così come è presentato nella planimetria del piano catastale butese del 2004. Ulteriori indicazioni ci sono venute dallo studio di testimonianze dirette. Abbiamo raccolto, registrato e analizzato le voci dei mezzadri butesi stessi, quelli che hanno vissuto la transizione novecentesca di questo tipo di patto agrario fino al suo trasformarsi nelle forme contrattuali ancora in uso.

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