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Ethan H. Shagan, The Rule of Moderation. Violence, Religion and the Politics of Restraint in Early Modern England, University of California, Berkeley 2012, 380 pp.

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Ethan H. Shagan, The Rule of Moderation. Violence, Religion and the Politics of Restraint in Early Modern England, University of California, Berkeley 2012, 380 pp.

AWARD WINNER Giuliana Di Biase

C’è un diffuso consenso, nell’Inghilterra del seicento, riguardo all’importanza della moderazione. La virtù è concepita come uno dei fondamentali lasciti dei filosofi classici; le differenze che separano gli ideali di moderazione di stoici, peripatetici ed epicurei sono riconciliate nella visione sincretistica della filosofia neo-stoica che domina il pensiero di tanti autori. La moderazione è spesso identificata con l’aristotelica μεσότης, il medio tra eccessi opposti; si tratta di una identificazione aliena alla tradizione classica ma piuttosto usuale negli scritti inglesi del secolo. Il medio, come evidenziava alcuni anni fa Joshua Scodel nel suo libro Excess and the mean (2002), è intensivamente invocato come norma di moderazione negli scritti religiosi, politici e letterari del seicento inglese; d’altra parte, questa apparente unanimità nasconde profondi disaccordi. Diverso è infatti il significato che di volta in volta è attribuito al medio, e diverso di conseguenza il contenuto conferito alla moderazione. I membri della chiesa nazionale sembrano concordi nell’identificarsi con la via media e nel dipingere il papismo come uno degli estremi da evitare, benché si dividano riguardo a quale varietà di protestantesimo considerare come l’altro estremo; puritani come Samuel Ward criticano la via media della chiesa nazionale come sinonimo di “lukewarmenesse”, ma al tempo stesso insistono sulla necessità di moderare lo zelo turbolento. Durante la Guerra civile, membri della fazione realista e parlamentare si appellano spesso al medio e alla moderazione, identificando se stessi con

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l’ideale di una monarchia mista; dopo il regicidio, Marchamont Nedham associa il “medio politico” alla repubblica, mentre Hobbes propone il suo Leviathan come medio tra coloro che parteggiano per una libertà troppo grande, e quelli che amano un’autorità troppo grande. Simili appelli contrastanti alla via media e alla moderazione saranno comuni tra coloro che supporteranno o osteggeranno Carlo II durante l’Exclusion crisis; fuori dall’arena politica e dal dibattito religioso, anche i testi letterari rivelano un analogo, ambiguo uso della norma della mediocritas finalizzato ad esprimere ideali opposti di moderazione.

L’opera di Ethan Shagan The Rule of Moderation consente di mettere a fuoco alcuni aspetti più complessi del diffuso appello alla moderazione tipico del seicento inglese. Il significato della virtù, osserva Shagan, impercettibilmente sconfina dall’idea del dominio sui propri appetiti a quella del controllo sociale; la moderazione intesa come dominio etico di sé giustifica l’autorità politica che la impone universalmente come norma. Il controllo interno si traduce in controllo esterno; la moderazione è dunque una virtù aggressiva nel seicento, che legittima il potere coercitivo dello stato.

Il libro di Shagan offre un’analisi approfondita della retorica della moderazione rintracciabile in vari testi del periodo, individuandovi uno strumento di legittimazione del potere; l’autore esamina i diversi, insistiti claims alla moderatio con i quali si autopromuovono il regime Tudor e quello Stuart, ma anche l’appello alla via media della chiesa Anglicana e delle diverse chiese dissenzienti identificandovi un comune denominatore, la giustificazione dell’intervento coercitivo dello stato. Similmente, nota Shagan, il diffuso appello alla moderazione di coloro che difendono la tolleranza religiosa sottende una legittimazione della coercizione: la tolleranza del dissenso è promossa e auspicata nei testi inglesi del seicento solo nella misura in cui è moderata dall’intolleranza dell’immoralità e del vizio. L’importanza di spostare il focus dell’azione del magistrato dal dissenso religioso all’immoralità è

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insistita già da Jeremy Taylor, cappellano di Carlo I, nella sua Theologia Eclectike (1647), e rappresenta uno degli argomenti a favore della tolleranza più utilizzati dagli autori della Restaurazione; anche la difesa della tolleranza di Locke, nota Shagan, «benché evidentemente incentrata sulla liberazione della religione dalle catene della coercizione civile, di fatto spende molta della sua energia spostando la coercizione dalla dottrina alla morale». L’attacco di Locke in A Letter concerning Toleration (1689) contro coloro che perseguitano il dissenso ma si mostrano «indulgenti verso iniquità e immoralità indegne del nome di un cristiano», ma anche il suo esplicito invito al magistrato, nella seconda e terza lettera, ad intraprendere un’azione coercitiva a favore della vita buona, evidenziano quanto Shagan abbia colto nel segno: la tolleranza religiosa nel seicento è percepita come moderata, e dunque legittima, solo nella misura in cui è bilanciata dall’intolleranza della debauchery. La moderatio richiede un’atto di forza; non è concepibile nel seicento puritano inglese un ordine sociale, morale e politico senza un intervento coercitivo dall’alto, data l’ubiquità attribuita al peccato.

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