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Il luogo per l’esercizio dei diritti sindacali:

l’unità produttiva nell’impresa frammentata

A

NNAMARIA

D

ONINI

Università di Genova

vol. 5, no. 2, 2019

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Il luogo per l’esercizio dei diritti sindacali:

l’unità produttiva nell’impresa frammentata

A

NNAMARIA

D

ONINI

Università degli studi di Genova Ricercatrice di Diritto del Lavoro

annamaria.donini@unige.it

ABSTRACT

It is a common opinion that the effectiveness of the freedom of association need to be supported by the possibility for trade unions and workers to exercise collective rights within the places where the work is carried out. Among the legislative criteria that enable effective union action at the firm’s level, a central role is played by the “business unit”, around which the collective interest promoted by the law can be developed.

The Author tries to shape the interpretation of the “business unit” laid down by case-law to the features of fragmented business organizations such as digital platforms. The area identified in art. 35 of the Workers’ Statute can be declined in different forms, following the peculiarity of the gig economy. Moreover, it is also suggested that platform workers should be counted to satisfy the threshold required for the application of the Workers' statute

Keywords: representation of workers at firm level; undertaking’s fragmentation; gig economy; collective rights.

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A.DONINI, Il luogo per l’esercizio dei diritti sindacali

LLI, Vol. 5, No. 2, 2019, ISSN 2421-2695 100

Il luogo per l’esercizio dei diritti sindacali:

l’unità produttiva nell’impresa frammentata

SOMMARIO: 1. Le condizioni di esercizio dei diritti sindacali nella gig-economy. – 2. Elementi

identificativi dell’unità produttiva e questioni problematiche. – 3. Unità produttiva nelle piattaforme digitali: alcune modulazioni possibili. – 4. La rilevanza della distribuzione topografica in ambito urbano. – 5. Computabilità delle forme di lavoro

non standard per la soglia dimensionale dell’art. 35 St. lav.

1. Le condizioni di esercizio dei diritti sindacali nella gig-economy

Le caratteristiche delle tecnologie digitali – moltiplicatori di opportunità e fattori di stress per i concetti giuridici – mostrano la propria ambivalenza anche con riguardo alle regole che governano le forme dell’azione sindacale in azienda. Nei contesti produttivi tradizionali l’esercizio dei diritti di cui al titolo III St. lav. può essere facilitato dalle connessioni sul web, dalle piattaforme di condivisione, dall’immediata accessibilità di luoghi virtuali per il confronto e lo scambio. I nuovi supporti virtuali per l’azione sindacale, in grado di raggiungere un maggior numero di lavoratori o di facilitare il loro effettivo coinvolgimento(1), richiedono tuttavia un adattamento delle norme statutarie

concepite per operare all’interno dello spazio-fabbrica o di luoghi dotati di materialità.

Anche nelle forme organizzative del crowdwork i mezzi di comunicazione digitale possono divenire veicoli di esercizio dei diritti sindacali; in questo ambito, tuttavia, gli schemi legislativi per la rappresentanza dei lavoratori(2) sembrano ancor più inadeguati rispetto all’obiettivo di

sostenere l’autonomia collettiva nei luoghi di lavoro.

(1) Sui diversi piani in cui può avvenire tale coinvolgimento, M. Marazza, Social,

relazioni industriali e (nuovi percorsi di) formazione della volontà collettiva, RIDL, 2019, I, 55 ss.; v.

anche G. De Simone, Lavoro digitale e subordinazione. Prime riflessioni, RGL, 2019, 1, 21 s. (2) Tale questione ha assunto connotazioni diverse nell’ordinamento inglese dove il riconoscimento di un sindacato entro un ambito aziendale costituisce requisito per accedere alla contrattazione collettiva e per alcuni diritti di rappresentanza, come l’accesso a permessi per lo svolgimento dell’attività sindacale. Il Central Arbitration Committee si è pronunciato nei confronti del sindacato IWGB in riferimento a diverse piattaforme di trasporto di beni: è stato risconosciuto rappresentativo di un determinato gruppo di lavoratori e titolato a costituire una bargaining unit presso il sito di Whitfield Street della società The Doctors Laboratory. Nei confronti dei ciclofattorini di Deliveroo, al contrario, il CAC, con decisione confermata dalla High Court (Case Number no: CO/810/2018, 5 dicembre 2018), ha negato il riconoscimento, perché, pur in presenza dei criteri di rappresentatività richiesti per l’accesso

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Benchè la titolarità della libertà sindacale, alla luce delle fonti nazionali e sovranazionali(3), si estenda a tutti i lavoratori, l’effettività di tale posizione

soggettiva è piena soltanto se accompagnata dall’azione del sindacato al livello più vicino ai prestatori(4). Nel nostro ordinamento l’intervento legislativo a

sostegno della presenza di rappresentanze in azienda non è facilmente adattabile a contesti produttivi frammentati e articolati, ancor più quando, come nel caso della gig economy, i lavoratori non siano formalmente alle dipendenze di un imprenditore e manchi un complesso aziendale immediatamente identificabile.

La legislazione di sostegno all’agire sindacale realizza il bilanciamento tra il beneficio per il perseguimento degli interessi collettivi e il sacrificio addossato all’imprenditore anzitutto introducendo criteri per selezionare i sindacati legittimati alla costituzione di rappresentanze.

La ricerca dei soggetti abilitati ai sensi dell’art. 19, St. lav. potrebbe risultare fallimentare nelle imprese digitali poiché si fonda sul criterio della firma o della partecipazione alle trattative per la stipula di un contratto collettivo realmente applicato. Le piattaforme digitali, difatti, rifuggono alla regolazione collettiva tanto quanto a quella legislativa: lo dimostra l’insuccesso dei tavoli di negoziazione avviati nel 2018 e la costituzione di un’autonoma associazione datoriale da parte delle principali multinazionali del settore del trasporto a domicilio. É forse nelle realtà imprenditoriali a rilevanza nazionale che le condizioni per la contrattazione e di conseguenza per la costituzione di RSA possono verificarsi con maggiore facilità, come ha dimostrato l’accordo concluso entro una società di trasporto nella città di Firenze(5).

ai diritti di contrattazione collettiva (Schedule A1 del TULRCA 42 1992), non è stato ravvisato il presupposto soggettivo per ottenere il risconoscimento del sindacato (v. s 296 del TULRCA 1992. Sulla vicenda, M. Freedland - H. Dhorajiwala, Uk response to new trade Union

strategies for new forms of employment, ELLJ, 2019, 10, 288).

(3) Art. 11 CEDU; 12 e 28 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; art. 6 Carta sociale europea; Convenzione OIL sulla libertà sindacale 1948; Convenzione OIL sul diritto di organizzazione e e di negoziazione collettiva, 1949; e, nell’ordinamento italiano, art. 39 e 35 Cost. Sull’attuale dibattito relativo all’ambito di applicazione dei diritti collettivi oltre la subordinazione, si veda, da ultimo, il fascicolo monografico di ELLJ, 2019, 10, 3, curato N. Countouris, V. De Stefano, M. Freedland.

(4)«Occorre che la libertà sindacale si concreti anche in un effettivo potere di agire nei confronti delle piattaforme digitali […] che richiede piuttosto la concreta agibilità all’interno del luogo/organizzazione del lavoro, e di accedere ai diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto», O. Bonardi, Sintesi del dibattito, QRGL, 2017, 2, 144.

(5) Accordo quadro Riders Toscana firmato dalla società Laconsegna spa, da CGIL, CISL e UIL e dal rappresentante sindacale (lett. a, pag. 2: «in data 18.4.2019 i lavoratori hanno provveduto ad eleggere la RSA aziendale nella persona del sig. C.A.»). Una maggiore facilità a concludere accordi con operatori economici di rilevanza locale è confermata dal

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Allo stesso tempo, il d. l. n. 101/2019, convertito con la l. n. 128/2019, scommette sulla conclusione di contratti collettivi nazionali di categoria per il lavoro autonomo nel settore digitale. Le parti sociali sono sollecitate a definire modalità di quantificazione del compenso per i prestatori del food delivery attraverso un incentivo costruito “in negativo”: qualora non si giunga ad alcun accordo, dopo 12 mesi dall’entrata in vigore della legge sarà vietata la misurazione del compenso in base al numero delle consegne e si applicheranno i livelli retributivi della contrattazione di settori affini o equivalenti.

Anche nel caso in cui la stipula di un contratto collettivo permetta di individuare un sindacato abilitato alla costituzione di RSA, l’accesso alle prerogative del titolo III dello Statuto dei lavoratori è articolato attorno a specifici confini aziendali modulati sul piano funzionale e dimensionale. Il locus per la concretizzazione della garanzia costituzionale di libertà sindacale è un’unità produttiva di determinata consistenza occupazionale: tale entità è rilevante nella definizione del campo di applicazione del titolo III e nella disciplina relativa ad alcuni diritti sindacali (artt. 20, 21, 22, 23, 25, 27); a ciò si aggiunga che anche le regole pattizie che si sono succedute nelle diverse stagioni sindacali hanno disciplinato la titolarità e l’esercizio dei diritti attorno al medesimo ambito(6).

La frammentazione delle prestazioni tra una pluralità di lavoratori rende più problematico riconoscere l’elemento entro cui il legislatore statutario ha organizzato le prerogative sindacali. In tale tipologia di imprese la possibilità di individuare o comporre un’unità produttiva di almeno 16 lavoratori incontra ostacoli di diverso genere: in primo luogo, qualora l’impresa prediliga i moduli negoziali dell’autonomia ottiene l’effetto collaterale di impedire il conteggio dei lavoratori per raggiungere la soglia occupazionale fissata dalla legge (v. infra, §5).

contratto collettivo siglato dalla piattaforma danese di servizi per la casa Hilfr.dk; nonché dalla “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano” relativa alla città di Bologna che vede la firma di società radicate a livello nazionale.

(6) Da ultimo, il TU Rappresentanza (Parte II, sez. I): «Le parti contraenti il seguente accordo concordano che in ogni singola unità produttiva con più di quindici dipendenti dovrà essere adottata una sola forma di rappresentanza»; Parte II, sez. II, art. 1: «Rappresentanze sindacali unitarie possono essere costituite nelle unità produttive nelle quali il datore di lavoro occupi più di 15 dipendenti, ad organizzazione delle associazioni sindacali di categoria. […] i lavoratori con contratto di lavoro a part time saranno computati in maniera proporzionale all’orario di lavoro contrattuale mentre i lavoratori con contratto a tempo determinato saranno computati in base al numero medio mensile di quelli impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro».

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In secondo luogo, l’identificazione o la costruzione di un’unità produttiva risulta problematica all’interno di organizzazioni fluide, nell’assenza di un luogo fisico di riferimento. Gli elementi quali-quantitativi selezionati dallo Statuto per certificare una minima complessità organizzativa potrebbero non cogliere appieno le peculiarità delle piattaforme digitali e il dato relativo all’atomizzazione delle relazioni lavorative, di regola svolte senza legami diretti con gli altri prestatori e sulla base delle richieste, indicazioni e ammonimenti inviati dalla direzione aziendale tramite lo strumento digitale.

Come ogni ambito sollecitato dalle tecnologie, anche questo si colloca sul crinale tra l’opportunità di un intervento normativo di riforma e le chances di adeguamento del corpus legislativo ai nuovi scenari(7). Poiché il recente

intervento legislativo non ha definito specifici meccanismi di facilitazione per la costituzione di rappresentanze o differenti ambiti e regole per l’azione sindacale, diviene necessario rileggere le linee interpretative della nozione di unità produttiva e verificare se il concetto sia adattabile ai gruppi di lavoratori che lavorano attraverso le piattaforme digitali.

2. Elementi identificativi dell’unità produttiva e questioni problematiche

In mancanza di criteri definitori di origine legislativa, l’elencazione delle articolazioni imprenditoriali ammesse a costituire un’unità produttiva secondo l’art. 35 St. lav. (sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo) è stata oggetto di diverse interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali, nel tentativo di circoscrivere ratio e criteri di operatività di una «nozione irremediabilmente relativa»(8).

La posizione sostenuta in via prevalente dalla giurisprudenza, a fronte di opinioni dottrinali talvolta contrastanti(9), sostiene l’esistenza di una nozione

(7)All’ultimo annivesario decennale dello Statuto, ad esempio, L. Mariucci, Ridare

senso al diritto del lavoro. Lo Statuto oggi, LD, 2010, 16 suggeriva l’introduzione di un parametro

qualitativo per la definizione del campo di applicazione dell’art. 35 St. lav. (8) M.G. Garofalo, Statuto dei lavoratori: I, EGT, XXX, 1993, 20.

(9) Condividono la tesi unitaria: C. Cester, Unità produttiva e rapporti di lavoro, Cedam, 1983; A. Vallebona, L’unità produttiva, RIDL, 1979, I, 278; sono invece favorevoli all’attribuzione di una pluralità di significati: R. De Luca Tamajo, sub art. 35, in Commentario

allo Statuto dei lavoratori, diretto da G. Giugni, 1979, Giuffrè, 625; M. Biagi, La dimensione dell’impresa nel diritto del lavoro, Franco Angeli, 1978, 135 ss. e 261 ss.; G. Ferraro, Rilievi sul concetto di unità produttiva, RGL, 1972 I, 78 ss.

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comune di unità produttiva(10), utile a selezionare la sfera a cui applicare le

previsioni che all’interno dello Statuto dei lavoratori si riferiscono a tale livello. Le interpretazioni giurisprudenziali concernono prevalentemente il trasferimento del lavoratore o l’ambito della tutela contro i licenziamenti illegittimi (in riferimento al quale valgono oggi regole in parte diverse, frutto dell’intreccio tra i criteri di computo di cui all’art. 18, co. 8, St. lav. e dell’art. 1, co. 3, d. lgs. n. 23/2015), mentre sono meno numerose con riguardo all’individuazione di uno spazio per le rappresentanze sindacali.

Sintetizzando le principali letture formulate dai giudici si ricava che l’“unità produttiva” è una componente dell’impresa connotata da indipendenza tecnica e amministrativa, non meramente strumentale o ausiliaria, capace di portare a compimento una frazione dell’attività aziendale di produzione o erogazione di servizi(11). Non è necessaria la presenza di un

soggetto preposto alla specifica sede(12) e l’elemento geografico non sempre è

(10) A partire da Cass. 16 gennaio 1986, n. 222: «L'art. 35 della l. 20 maggio 1970 n. 300, richiama simultaneamente l'art. 18 ed il titolo terzo della stessa legge, riservato all'attività sindacale, ed utilizza quella stessa nozione di unità produttiva adottata per segnare i confini entro cui, per un verso, può svolgersi nella forma più immediata ed essenziale l'attività sindacale (art. 19, 20 e 22) e, per altro verso, il lavoratore ha diritto di rendere la propria prestazione (art. 13, comma 1, ultimo inciso)»; fanno riferimento ad una «nozione generale» Cass. 3 giugno 1987, n. 4871; Cass. 19 maggio 1988, n. 3497; Cass. 24 aprile 1991, n. 4494; v. anche Cass. 9 agosto 2002, n. 12121. Alcuni correttivi o specificazioni vengono operati in relazione alle particolari finalità di tutela dell’art. 2103 c.c., ad es., in Cass. 30 luglio 2019, n. 20520. Per una recente ricostruzione, F.V. Ponte, Brevi riflessioni intorno alla nozione di unità

produttiva, tra la distribuzione delle tutele e il limite all’applicazione dello statuto dei lavoratori, ADL,

2015, 6, 1401.

(11) L’unità produttiva è definita, in alcune pronunce recenti, come: «ogni articolazione autonoma dell’impresa o azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa del quale [il prestatore nda] è elemento organizzativo», secondo Cass. 30 luglio 2019, n. 20520, cit.; «struttura organizzativa che costituisce una rilevante componente dell’impresa, in quanto capace di realizzare, con i connotati dell’indipendenza tecnica e amministrativa, una frazione dell’attività produttiva aziendale» (in materia di nulla osta ex art. 22 St. lav. per il trasferimento del dirigente sindacale), secondo Cass. lav. 22 agosto 2003, n. 12349. Secondo T. Roma, 1 febbraio 2018, DJ per esservi unità produttiva ai fini dell’art. 2103 c.c. l’articolazione aziendale deve essere «autonoma nel senso di avere, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima, della quale costituisca una componente organizzativa connotata da indipendenza tecnica ed amministrativa, tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale»; in termini simili Cass. 30 settembre 2014, n. 20600. Già C. cost. 6 marzo 1974, n. 55 si era riferita al «carattere di autonomia, così dal punto di vista economico strutturale, come da quello finalistico o del risultato produttivo, nella più vasta area del mercato dei beni o dei servizi».

(12) Cass. 4 dicembre 2012, n. 21714: l’autonomia dell’unità produttiva «non postula necessariamente l’esistenza di un soggetto ad essa preposto dotato di poteri rappresentativi […] Non rileva neppure la sussistenza di una unitaria direzione aziendale (o di una minore

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ritenuto determinante. La disciplina protettiva per il lavoratore in caso di trasferimento, ad esempio, è applicabile anche quando lo spostamento avvenga in un ambito territorialmente ristretto, perché persegue la finalità di «tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere l’insieme di relazioni interpersonali che lo legano ad un determinato complesso produttivo»(13).

All’interno di un testo legislativo dotato di coerenza interna e di obiettivi trasversali, la ripetizione della stessa terminologia non può che avere rilevanza definitoria, delineando un’entità aziendale di base che funge da parametro tutte le volte in cui sia necessario circoscrivere un ambito per il funzionamento di determinati istituti. Gli attributi scelti dalla giurisprudenza per disegnare i confini dell’unità produttiva, tuttavia, non sempre sono in grado di fornire soluzioni adeguate: assegnando valore determinante alla capacità di concludere una frazione del processo, la costituzione di una rappresentanza non sarebbe consentita al livello di grande stabilimento industriale perché quest’ultimo è senza dubbio scomponibile in più unità produttive.

Sembra invece più opportuno adattare lo spazio organizzativo dell’unità produttiva agli apparati normativi a cui risulta funzionale: l’incerto significato delle espressioni utilizzate e gli esiti applicativi non univoci suggeriscono di ricavare gli elementi mancanti dal singolo contesto in cui il sintagma è inserito. Quando l’unità produttiva costituisce lo spazio di esercizio dei diritti collettivi, la capacità di realizzare una frazione dell’attività d’impresa diviene il criterio minimo per certificare una determinata consistenza organizzativa. Al di sotto di questa, la dinamica sindacale non riceve misure protettive, salva l’eccezione di cui al comma 2 dell’art. 35 St. lav. (v. infra, §4). Superata tale soglia, invece, il livello individuato dovrà esser adeguato alla costruzione di rappresentanze e, ancor più, all’esercizio dei diritti sindacali da parte dei lavoratori, in «un continuum di possibilità organizzative che consente di non disperdere alcun interesse ma al contrario di dar voce a tutti»(14).

Nel rispetto di «una rigorosa coincidenza tra ambito di costituzione della r.s.a. e ambito di competenza dei suoi poteri»(15) al fine di evitare la

struttura per il coordinamento delle varie unità produttive)», contrariamente C. Cester, Unità

produttiva e rapporti di lavoro, op. cit., 372 ss.

(13) Cass. 29 luglio 2003, n. 11660; ma la finalità di tutelare la dignità professionale conduce a delineare anche l’ipotesi opposta: «oltrechè nel passaggio da una ad un’altra unità produttiva (nel senso dell’art. 35 St. lav.), il trasferimento del lavoratore è configurabile, altresì, nello spostamento territoriale delle sue prestazioni lavorative – da una ad un’altra zona, non coincidenti con unità produttive dell’impresa», Cass. 9 novembre 2002, n. 15761.

(14) P. Alleva, Il campo di applicazione dello Statuto dei lavoratori, Giuffrè, 1980, 57. (15) C. Cester, Unità produttiva e rapporti di lavoro, cit., 201.

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moltiplicazione delle sedi di esercizio dei diritti, le misure strumentali di promozione e sostegno al sindacato possono radicarsi su diversi piani, decentrati o accentrati, adattando i criteri ricavabili dall’orientamento al risultato del complesso produttivo alle direzioni intraprese dall’interesse collettivo(16).

3. Unità produttiva nelle piattaforme digitali: alcune modulazioni possibili

Al fine di selezionare l’insieme organizzato di strumenti e posizioni lavorative con un fine produttivo condiviso in cui costituire una rappresentanza sindacale, si dovrà tener conto delle caratteristiche strutturali e funzionali dei metodi di produzione delle piattaforme digitali, articolati attorno alla predisposizione e offerta di un servizio sul mercato tramite l’organizzazione del lavoro per via digitale.

L’atomizzazione delle prestazioni e l’incessante turnover tra lavoratori costituiscono un ostacolo per la nascita e crescita dell’interesse collettivo secondo le modalità aggregative tradizionali, sia nell’ambito di piattaforme che richiedono prestazioni di lavoro offline che, ancor più, entro quelle che veicolano prestazioni digitali. Soprattutto nel primo gruppo di ipotesi, le difficoltà di emersione del fenomeno sindacale sono state in parte superate da organismi di rilevanza locale legati in reti sovranazionali, attivi sul piano rivendicativo e dell’azione collettiva, nonchè impegnati nel sollecitare l’intervento del potere legislativo e sensibilizzare l’opinione pubblica(17). Si

tratta di fenomeni emergenti che non coprono ogni settore produttivo dell’economia delle piattaforme e, anche laddove radicati, non sono ammessi a beneficiare della titolarità delle misure di promozione dell’azione sindacale.

(16) I diritti del titolo III sono esercitabili «nell’unità produttiva più decentrata che abbia un minimo di consistenza organizzativa […] ferma restando la libertà di organizzarsi […] intorno all’interesse collettivo che si radica tra lavoratori occupati nella struttura produttiva di raggio più ampio», M. G. Garofalo, Sulla nozione di unità produttiva nello Statuto dei

lavoratori, RGL, 1992, 622.;

(17) Per una panoramica sulle più rilevanti esperienze nazionali ed europee, G. A. Recchia, Alone in the crowd? La rappresentanza e l’azione collettiva ai tempi della sharing economy,

RGL, 2018, 1, 141 ss. Talvolta si sono verificate anche dinamiche collaborative tra

sindacalismo di base e confederale, F. Martelloni, Individuale e collettivo: quando i diritti dei

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I criteri che definiscono l’unità produttiva richiedono di selezionare una frazione dell’attività di impresa di una certa complessità ma, «in piena e corretta coerenza alla garanzia dell’esercizio della libertà organizzativa»(18),

devono altresì essere rispettosi del modello di rappresentanza attuato dai lavoratori. In particolar modo in un settore produttivo di recente sviluppo, l’ambito di riferimento per l’applicazione del titolo III St. lav. dovrebbe essere costruito in modo da assecondare la crescita dell’interesse collettivo.

Gli strumenti legislativi di sostegno all’azione sindacale nei luoghi di lavoro evitano di riferirsi all’azienda nel suo complesso a causa di una «ben individuata prospettiva di politica sindacale» ossia de «l’esigenza di un reale decentramento delle attività e delle strutture sindacali e di una più effettiva ed articolata partecipazione ed attivazione della base»(19).

Secondo tale logica, l’unità produttiva potrebbe essere individuata al livello più decentrato possibile di articolazione, entro limiti, racchiusi nella capacità di portare a termine una quota del risultato produttivo, che garantiscano l’equilibrio rispetto agli oneri sostenuti dai datori e perseguano l’obiettivo di non polverizzare la dinamica sindacale.

All’opposto, il raggio entro il quale si manifesta l’interesse collettivo da sostenere e tutelare potrà corrispondere all’intera compagine aziendale o a una ampia articolazione della stessa qualora la capacità dei lavoratori di aggregarsi sia in grado di esprimersi soltanto in un contesto più ampio.

Le due opzioni sembrano rispondere alle esigenze di imprese con diverse caratteristiche: l’interesse collettivo può emergere a livelli decentrati nelle organizzazioni digitali finalizzate all’offerta di servizi che implicano lo svolgimento di lavoro offline e che rendono pertanto possibili i contatti tra prestatori; l’accentramento sembra più adeguato alle piattaforme che veicolano soltanto lavoro digitale. In queste ultime, l’impossibilità di conoscere i partecipanti a singoli progetti (affidati dal committente e poi suddivisi in unità minime dalla piattaforma) e il conseguente ostacolo ai rapporti tra prestatori, inducono a ritenere che l’ambito aziendale costituisca l’orizzonte di sviluppo dell’interesse collettivo. Alcuni aggiustamenti a livello negoziale potrebbero essere introdotti nelle imprese che affidino vaste commesse a siti di crowdwork digitale “puro”, ad esempio ampliando l’elettorato passivo per le RSU, oppure (18) C. Assanti, sub art. 35, in C. Assanti - G. Pera, Commentario allo statuto dei diritti dei

lavoratori, Cedam, 1972, 415; in riferimento a contesti produttivi tradizionali continua

evidenziando che la libertà organizzativa «incontra un solo limite: quello dell’infrazionabilità del reparto autonomo, non potendosi applicare le disposizioni del titolo terzo suddividendo in settori il reparto che abbia caratteristiche di autonomia».

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individuando forme specifiche di rappresentanza per i gruppi di lavoratori in tal modo coinvolti.

É possibile altresì evidenziare che le particolari modalità di inserimento del lavoro nell’organizzazione imprenditoriale della piattaforma digitale agevolano la composizione dell’unità produttiva secondo le forme che di volta in volta assume l’interesse collettivo. Se ciascuna prestazione è dotata di potenziale o attuale autonomia, in quanto costituisce realizzazione del singolo compito o progetto affidato dalla piattaforma, sarà più facilmente aggregabile alle altre fino a raggiungere la consistenza organizzativa che più corrisponda all’assetto in cui si afferma l’azione sindacale.

4. La rilevanza della distribuzione topografica in ambito urbano Nelle piattaforme digitali che erogano servizi di consegna a domicilio l’unità produttiva potrebbe assumere forme peculiari e insolite. Il confine dell’indipendenza funzionale di tali strutture è significativamente condizionato dall’assetto geografico: l’attitudine a concludere una frazione dell’attività aziendale si verifica quando il gruppo di lavoratori sia in grado di offrire un servizio in un ambito individuato sul piano topografico: la città, oppure una zona o un quartiere della stessa.

L’importanza dell’ambito cittadino al fine di definire l’autonomia funzionale di un determinato gruppo di lavoratori discende dalla tipologia del servizio erogato. Come la giurisprudenza ha già precisato in relazione ai cd. piazzisti, nel caso di prestazioni che non possono essere svolte entro le mura aziendali, l’unità produttiva si colloca ne «la zona da visitare o [ne] l’itinerario da compiere per eseguire la prestazione lavorativa e più in generale [ne] l’ambito territoriale entro il quale la prestazione dedotta in contratto deve essere effettuata»(20). Ricorrendo a un ragionamento simile, può dirsi che per i

lavoratori delle piattaforme che svolgono offline la propria attività, la sfera cittadina o di quartiere assume rilevanza autonoma perché costituisce il perimetro territoriale in cui è realizzata la prestazione.

La rilevanza del livello cittadino può altresì fondarsi sul secondo comma dell’art. 35 St. lav. che consente la costituzione di un’unità produttiva qualora vi siano più nuclei periferici che singolarmente non raggiungono la soglia dimensionale, ma che possono essere raggruppati se operanti in ambito

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comunale. Il territorio di un comune non corrisponde pienamente alla prevalente collocazione delle attività di consegna nei centri città, ma può costituire una risorsa facilmente accessibile da parte dei lavoratori delle piattaforme digitali per beneficiare del modello statutario di rappresentanza sindacale.

L’ambito cittadino o di quartiere costituiscono dunque i confini di strutture organizzate dotate di indipendenza funzionale legata al raggio di erogazione del servizio. Tale opzione corrisponde ai luoghi in cui si sono affermate le prime forme di concentrazione degli interessi dei lavoratori impiegati dalle piattaforme digitali per fini sindacali(21).

È possibile considerare altresì che la scelta della città come confine di riferimento per la costituzione di unità produttive sia in grado di assecondare e potenziare le azioni di collegamento e sinergia tra le rappresentanze di diverse aziende del settore dei servizi tramite piattaforme digitali(22).

Il modello normativo per l’esercizio dei diritti sindacali, come è noto, non prevede articolazioni che uniscano e combinino i rappresentanti di diverse entità aziendali(23). Se tuttavia si considera che l’omogeneità dei servizi è in

grado di generare rivendicazioni simili, soprattutto nelle ipotesi in cui i prestatori lavorino a favore di più piattaforme contemporaneamente, allora un intervento di riforma legislativo o una misura introdotta per via contrattuale potrebbe sostenere la capacità dei lavoratori di agire collettivamente nello spazio cittadino. All’introduzione di “rappresentanze sindacali urbane” che raggruppino lavoratori in maniera trasversale alle diverse piattaforme dovrebbe conseguire l’attribuzione di alcuni benefici del titolo III dello Statuto (ad es. artt. 20 e 27).

(21) Secondo A. Lassandari, La tutela collettiva del lavoro nelle piattaforme digitali: gli inizi di

un percorso difficile, LLI, 2018, 4, 1, IX, in particolare per ciò che riguarda i ciclofattorini e gli

autisti, «in piena continuità con quanto sempre avvenuto, il territorio ove si svolge la prestazione è ora necessariamente dato e non eliminabile per i lavoratori».

(22) M. Marrone, Rights against the machines! Food delivery, piattaforme digitali e

sindacalismo informale, LLI, 2019, 5, 1, I.14 descrive il processo di radicamento del sindacato

Riders Union Bologna nella città evidenziando che «RUB prende la forma di una “coalizione urbana” che vede attorno alla vertenza dei riders anche la mobilitazione di una rete cittadina di attivisti e solidali». V. anche M. Forlivesi, Alla ricerca di tutele collettive per i lavoratori digitali:

organizzazione, rappresentanza, contrattazione, LLI, 2018, 4, 1, 46 ss. Assume una posizione più

cauta P. Tullini, L’economia digitale alla prova dell’interesse collettivo, LLI, 2018, 4, 1, 13, dubitando della possibilità di dilatazione «senza regole del perimetro della rappresentanza nella direzione della cittadinanza sociale».

(23) Diversamente da quanto è previsto per i Rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori che, rivestendo funzione istituzionale, hanno carattere necessario.

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L’ostacolo principale per la configurazione di tale nuovo modello di promozione della presenza del sindacato entro luoghi di lavoro di rilevanza cittadina si ravvisa prevalentemente nella difficoltà di individuare quale sia l’imprenditore obbligato alla concessione dei diritti. Non è pertanto casuale che nella Carta di Bologna dei diritti digitali sia stato attribuito un ruolo anche all’amministrazione comunale per contribuire a risolvere tale elemento problematico: se la retribuzione in caso di assemblea dovrà essere corrisposta dalla piattaforma di referimento, i locali e le bachehe aziendali saranno invece messi a disposizione dal Comune di Bologna(24).

5. Computabilità delle forme di lavoro non standard per la soglia dimensionale dell’art. 35 St. lav.

La selezione degli ambiti in cui trova applicazione il titolo III St. lav. si fonda altresì sul conteggio dei dipendenti impiegati nell’unità produttiva. La soglia dei 16 dipendenti esprime la normale e ricorrente esistenza di una «vita sindacale interna»(25) nelle imprese di maggiori dimensioni, alla cui tutela sono

preordinate le norme statutarie.

All’indomani dell’entrata in vigore dello Statuto, la sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1975, n. 241 aveva ritenuto legittima la limitazione di alcune norme (artt. 14, 20, 27, 28) ai lavoratori subordinati «in funzione del fatto che essi prestano con continuità la loro opera all’interno di una comunità organizzata di lavoro, caratterizzata da vincoli di dipendenza e subordinazione»(26). L’interpretazione espressa in quell’occasione non è stata

(24) Secondo A. Occhino, Nuove soggettività e nuove rappresentanze del lavoro nell’economia

digitale, Labor, 2019, 1, 50, senza negare l’elemento innovativo di tali forme di lavoro, sul

piano sindacale «si tratta di recuperare istanze classiche, e minimali, che erano state della prima autotutela».

(25) C. cost. 8 luglio 1975, n. 189 che dichiara costituzionalmente legittimo l’art. 35 nella parte in cui indiviua una soglia quantitativa per l’applicazione dell’art. 18 St. lav. Secondo A. Vallebona, L’unità produttiva, op. cit., 273 la rilevanza normativa delle dimensioni dell’unità produttiva ha ragioni diverse in riferimento al’applicazione della tutela dell’art. 18 e del titolo III St. lav.: nel primo caso la ragione risiede nel fatto che l’esiguo numero di dipendenti genera una «particolare relazione tra i lavoratori e il soggetto presposto all’unità medesima», mentre nel secondo caso si spiega con «un presunto diverso atteggiarsi degli interessi dei lavoratori all’attività sindacale in azienda».

(26) Aggiungendo che il lavoro autonomo – anche se nei confronti di un solo soggetto e nei locali del medesimo – «non richiede ovviamente alcuna particolare tutela quanto all’esercizio dell’attività sidacale che essi [i lavoratori autonomi nda] ben possono

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significativamente messa in discussione né dalla giurisprudenza né dagli interpreti, se non in riferimento alla peculiare posizione dei soci-lavoratori autonomi(27).

Il riferimento alla presenza di “più di 15 dipendenti” appare precludere l’accesso ai diritti sindacali poiché le tipologie contrattuali con cui sono normalmente impiegati i prestatori delle piattaforme digitali (lavoro autonomo, collaborazione coordinata e continuativa o prestazione occasionale) non potrebbero concorrere a raggiungere la soglia fissata dalla legge, vanificando ogni possibilità di costituzione di rappresentanze(28). In alcuni settori la

contrattazione collettiva ha svolto un ruolo di supplenza normativa, attribuendo diritti sindacali ai collaboratori o consentendo a questi ultimi l’elezione o la nomina di rappresentanti(29). Si tratta tuttavia di ambiti in cui il

lavoro parasubordinato si affianca a quello dipendente e le forme di tutela e rappresentanza del primo gruppo prendono a modello quelle del secondo, articolandosi attorno a unità produttive già esistenti.

Il problema del computo dei lavoratori è connesso alla questione della corrispondenza tra le forme negoziali prescelte e le reali modalità di svolgimento dell’attività. Non v’è dubbio che qualora i crowdworkers siano riconosciuti come lavoratori dipendenti possano concorrere a raggiungere la soglia numerica richiesta.

All’esito delle modifiche apportate dal d. l. n. 101/2019, conv. in l. n. 128/2019, inoltre, il ricorso in sede giudiziaria all’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015 sembra praticabile con maggiore facilità. Le conseguenze della novella sono oltremodo incerte: non va infatti dimenticata la limitata applicazione giurisprudenziale della precedente formulazione; mentre, da differente punto di vista, non è facile ottenere riscontri in merito alla potenziale efficacia dissuasiva delle nuove norme nei confronti dell’operare degli imprenditori digitali.

svolgere liberamente, senza che occorrano speciali forme di garanzia per la sua esplicazione all’interno dei locali di lavoro».

(27) M. Barbieri, Il lavoro nelle cooperative, in Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo

276/2003, a cura di P. Curzio, Cacucci, 2004, 354.

(28) Secondo A. Occhino, Nuove soggettività e nuove rappresentanze del lavoro nell’economia

digitale, op. cit., 45 alle soggettività sindacali della gig economy «in linea di principio non può

negarsi la qualità sindacale delle forme organizzate di autotutela che si sviluppano con modalità più o meno strutturate o tradizionali»; mentre può essere precluso l’accesso a determinati istituti in presenza di requisiti selettivi, come nel caso dell’art. 19 St. lav.

(29) Analizzati da R. Voza, Interessi collettivi, diritto sindacale e dipendenza economica, Cacucci, 2004, 126 ss.

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L’intervento di riforma inoltre non ha chiarito il punto controverso relativo all’applicazione generale o selettiva della «disciplina» del lavoro subordinato. A favore dell’inserimento anche dei lavoratori autonomi etero-organizzati nel computo dei lavoratori ex art. 35 St. lav. si può invocare la formulazione letterale dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n 81/2015 che non autorizza alcuna selezione da parte del giudice; indicazioni contrarie si ricavano dal fatto che l’estensione prevista dalla norma riguarda «la disciplina del rapporto di lavoro subordinato», laddove la combinazione delle previsioni in questione attiene al profilo collettivo. L’eventuale inclusione delle tutele di cui al titolo III tra quelle estese alle collaborazioni etero-organizzate non è in grado, al pari di un’azione per il riconoscimento della natura subordinata del rapporto, di garantire l’esercizio delle prerogative statutarie(30) perché destinata ad

intervenire ex post, in seguito ad azioni giudiziarie che non potrebbero restituire tempestività all’azione sindacale.

Il conteggio dei soli lavoratori dipendenti nella base di computo esclude dall’azione legislativa promozionale le realtà produttive articolate, in cui è più forte il bisogno di presenza sindacale a causa della frammentazione o della composizione eterogenea del personale. Se l’unità produttiva svolge la funzione di combinare una valutazione di indipendenza funzionale con la libertà del sindacato nel declinare le dimensioni organizzative della propria azione, allora la verifica del raggiungimento della soglia quantitativamente rilevante nelle piattaforme digitali dovrebbe includere tutti i lavoratori che concorrono al servizio offerto sul mercato con un certo grado di stabilità. Se così è, l’inserimento nel computo anche di collaboratori autonomi “stabilmente inseriti nell’organizzazione produttiva”(31) o integrati nell’impresa

in modo da formare una sola unità economica(32) non dovrebbe essere

(30) Secondo M. Faioli, Jobs “apps”, gig economy e sindacato, RGL, 2017, 2, 300 «c’è (già) la possibilità di costituire Rsa/Rsu o forme equivalenti, anche su iniziativa dei lavoratori della

gig economy. Non si porrebbe alcun problema giuridico se si trattasse di lavoratori subordinati

o lavoratori somministrati. Potrebbero esserci alcune difficoltà, qualora ex art. 2, c. 2, d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il protocollo/contratto collettivo non fissasse le regole per avere Rsa/Rsu (o forme equivalenti) nel lavoro autonomo eterorganizzato».

(31) Così una giurisprudenza risalente richiamata da M. G. Garofalo, Statuto dei

lavoratori, op. cit., 15: T. Milano, 30 marzo 1982, Lav. 80, 1981, 555. Cass. 24 settembre 2015,

n. 18975 ravvisa invece «l’impossibilità per l’organizzazione sindacale [di lavoratori autonomi,

nda] di beneficiare dei rimedi statutari in mancanza di un nesso rappresentativo con lavoratori

subordinati e stante, quindi, l’impossibilità di individuare un datore di lavoro in senso proprio, unico legittimato passivo dell’azione speciale». Sull’adeguatezza del novero dei soggetti protetti dall’art. 28 St. lav. a fronte di una forza lavoro più complessa, M. Falsone,

Tecnica rimediale e art. 28 dello Statuto dei lavoratori, LD, 2017, 3-4, 579.

(32) Secondo il linguaggio della sentenza C. giust. 4 dicembre 2014 C-413/2014,

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condizionata dalla quota di autonomia di ciascun lavoratore nell’esercizio della propria prestazione.

Si può altresì aggiungere che l’alto tasso di sostituzione tra i lavoratori in tali realtà produttive non determina variazioni del numero complessivo di lavoratori che si mantengono al livello fissato dall’impresa (sulla base della domanda), mentre le eventuali fluttuazioni sono frutto di variazioni periodiche, legate ad esempio ai giorni della settimana. Non si tratta di «contingenti e occasionali contrazioni o espansioni del livello occupazionale aziendale»(33), discendenti da flussi straordinari o improvvisi, ma al contrario di

flessioni prevedibili e in certa misura inevitabili, conseguenza del modello imprenditoriale prescelto, orientato al massimo e tempestivo adattamento dell’offerta dei servizi alle esigenze del mercato.

Un ulteriore elemento a favore della computabilità dei lavoratori delle piattaforme digitali al fine di raggiugere la soglia dell’art. 35 St. lav. si rinviene nelle regole previste per il contratto di lavoro intermittente, che, nella declinazione senza obbligo di disponibilità, sembra catturare efficacemente le specificità di molte forme di crowdwork(34). L’art. 18, d. lgs. n. 81/2015 consente

di inserire il lavoratore intermittente nel conteggio dei dipendenti «in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre», fornendo pertanto una (possibile) soglia di rilevanza per quantificare il peso dei prestatori nella composizione dell’unità produttiva.

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(33) Così, tra le altre, Cass. 4 febbraio 2014, n. 2460 in riferimento al computo dei lavoratori per l’applicazione dell’art. 18 St. lav.

(34) In tal senso, M. Novella, Il rider non è lavoratore subordinato, ma è tutelato come se lo

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