CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
AMMINISTRAZIONE, FINANZA E CONTROLLO
Tesi di Laurea
TASSAZIONE DEI REDDITI
DELLE PERSONE FISICHE E
AIUTI AI CARICHI FAMILIARI
Relatore
Ch. Prof. Dino Rizzi
Laureanda
Elena Brunetta
Matricola 826937
Anno Accademico
2013 / 2014
Ringraziamenti
Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutata
nella stesura della tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine.
Un ringraziamento speciale è rivolto
alla mia amica e compagna universitaria Michela,
con la quale ho iniziato e concluso il percorso universitario, condividendo gioie e fatiche.
Non meno importante è stato il supporto dei miei genitori,
che non hanno mai preteso, ma solo gioito dei traguardi raggiunti, non facendomi mai mancare una parola di conforto e di sostegno. Un grazie a mia sorella Cristina
che con la sua positività e simpatia
è sempre riuscita a trasformare una delusione in qualcosa su cui sorridere, senza mai disperare. Ringrazio anche le mie amiche
che negli anni mi hanno regalato momenti di spensierata leggerezza. Un ultimo, ma non meno importante, ringraziamento va a Tobia, che mi ha permesso di raggiungere i miei obiettivi con il sorriso, aiutandomi a crescere e a maturare.
INDICE
Introduzione………..………. pag. 5
Capitolo I -‐ Tassazione del reddito delle persone fisiche
1. Criteri di ripartizione del carico tributario …..………..……… pag. 7 1.1 Il principio del Beneficio ………... pag. 8 1.2 Il principio del Sacrificio ………..………. pag. 9 1.3 Il principio della capacità contributiva ………. pag. 13 2. La progressività dell’imposta ………... pag. 15 3. La teoria della tassazione ottima del reddito ……….…… pag. 20 4. Scelta della base imponibile ……….. pag. 28 4.1 tassazione del reddito ………...… pag. 29 4.2 trattamento dei redditi a formazione pluriennale ……….. pag. 37 4.3 tassazione del patrimonio ………..… pag. 39 5. Reddito nominale o reddito reale, il problema del fiscal drag ………. pag. 40 6. Unità impositiva: individuo o famiglia ………... pag. 43
CAPITOLO II -‐ Irpef in Italia e assegni ai nuclei familiari
1. Nozioni alla base dell’applicazione dell’IRPEF ……….. pag. 50 2. I redditi delle persone fisiche ………... pag. 56 3. Il trattamento dei carichi familiari: dalle origini ai giorni nostri ………... pag. 68 4. Gli assegni ai nuclei familiari ………..….. pag. 81 5. L’incidenza di detrazioni e assegni familiari sui contribuenti:
alcuni dati………. pag. 85 5.1 Attribuzione di detrazioni e assegni familiari: considerazioni ……… pag. 96
CAPITOLO III –
Il trattamento dei carichi familiari in Europa
nella prospettiva della tassazione delle persone fisiche
1. La normativa europea in ambito fiscale: cenni ……….……. pag. 103 2. Francia ………...….…. pag. 105 3. Germania ………..….. pag. 112 4. Regno Unito ……….. pag. 118 5. Spagna ………. pag. 124 6. Belgio ………..…………. pag. 132 7. Lituania ………..…………. pag. 138 8. Lussemburgo ………..………. pag. 141 9. I diversi trattamenti delle persone fisiche nei Paesi considerati: alcuni
confronti ………. pag. 145
Conclusioni ………..…………. pag. 164 Appendice A ……….……...…. pag. 167 Appendice B ……….……….... pag. 169 Appendice C ……….………… pag. 177 Bibliografia ……….………. pag. 178
Introduzione
Il lavoro svolto ha come obiettivo quello di analizzare le principali criticità che afferiscono alla definizione di un sistema fiscale moderno, nell’ottica della tassazione delle persone fisiche.
Da un punto di vista storico, si è data rilevanza al percorso normativo verificatosi in Italia a partire dalla costituzione dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef) avvenuta con emanazione del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 5973. Punto focale del lavoro sono le modifiche apportate alla disciplina e i motivi alla base dei cambiamenti che si sono succeduti dalla sua istituzione fino ai giorni nostri, con particolare interesse rivolto alla disciplina garantita ai soggetti con familiari a carico. Nonostante non fosse parte integrante del sistema fiscale italiano si è dato spazio alla disciplina degli assegni familiari, intesi come parte integrante della politica italiana nel dimostrare l’impegno che il nostro Paese ha assunto nel difendere un istituto di primaria importanza come è quello della famiglia.
Come vedremo, si è discusso a lungo sulla possibilità di determinare una tassazione ottima, nel rispetto dei principi di equità e neutralità dell’imposta, anche se, ad oggi, non si è ancora raggiunta una soluzione univoca; questa affermazione trova rilevanza nella considerazione secondo cui i Paesi europei mostrano proprie peculiarità nel sistema di tassazione delle persone fisiche, specie con riguardo alle modalità di sostegno dei cosiddetti familiari a carico.
A partire da quest’ultima osservazione è stato approfondito lo studio dei diversi sistemi fiscali applicati in ciascun Paese appartenente all’Unione europea – tenuto conto che ad oggi non è in vigore una normativa fiscale universalmente accettata e applicata – che ha permesso un confronto, in via empirica, delle risultanze derivanti dall’analisi di alcune situazioni prese a modello.
In particolare, l’ultima parte dell’elaborato è basata sulla valutazione degli esiti dei calcoli svolti, al fine di comprendere l’importanza che la situazione personale dei contribuenti riveste all’interno di ciascuna giurisdizione europea, concentrandosi sui metodi di tassazione e sugli aiuti concessi alle famiglie con l’obiettivo di individuare quelli che si dimostrano più consoni a rendere l’imposta sul reddito delle persone fisiche sempre più personalizzata e disegnata sulla reale e particolare condizione che caratterizza un contribuente rispetto a tutti gli altri.
CAPITOLO PRIMO
TASSAZIONE DEL REDDITO DELLE PERSONE
FISICHE
1. Criteri di ripartizione del carico tributario
L’imposta è una somma che il privato deve versare all’ente pubblico e si caratterizza per il suo carattere coattivo: il contribuente non può sottrarsi a questo obbligo, quando dovuto, e non ottiene una controprestazione immediata, nonostante l’imposta abbia come finalità anche quella di fornire servizi alla collettività.
Le imposte rappresentano la fonte principale delle entrate tributarie e in generale di tutte le entrate, tanto che la tassazione del reddito è, in ambito fiscale, lo strumento più utilizzato dalla maggior parte dei paesi sviluppati per perseguire le finalità distributive e soddisfare le esigenze di equità.
Proprio per l’importanza che la tassazione riveste nella determinazione dell’equilibrio di uno Stato, nonché del rapporto tra Stato e cittadino, è stata a lungo oggetto di discussione: l’applicazione di tale imposta può generare forti disincentivi allo sforzo e all’iniziativa individuali e la ripartizione del carico tributario dipende dalla finalità dell’imposizione e dall’idea di giustizia (Zoli, 2003).
Gli Stati moderni sono Stati costituzionali, vincolati nel loro agire dal rispetto di norme e precetti inderogabili; alla base di ogni sistema normativo degli Stati moderni vi è il principio che prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Tale uguaglianza, in materia tributaria, si traduce in due principi fondamentali, noti come i Principi giuridici delle imposte:
1. Principio della generalità e dell’universalità dell’imposta:
Tutti sono tenuti a pagare le imposte, intendendo con tutti, coloro che risiedono nello Stato e quindi beneficiano dei suoi servizi.
Questo principio ammette delle eccezioni, in particolare con riferimento a soggetti che non raggiungono il reddito minimo e che dunque sono esenti dal pagamento delle imposte e a soggetti che producono redditi esenti per ragioni economiche di interesse generale.
2. Principio dell’uniformità o eguaglianza dell’imposta:
Il carico generale dovrebbe essere suddiviso tra i contribuenti, secondo i criteri di equità (Palmiero, 1995).
La teoria economica individua tre principali criteri di ripartizione del carico tributario, ossia il principio del beneficio, il principio della capacità contributiva e la teoria del sacrificio.
1.1 Il principio del beneficio
Stabilisce che “Ciascun cittadino deve contribuire al finanziamento della spesa pubblica in base al beneficio che ne ricava1”.
In sostanza questa teoria sostiene che dovrebbero esserci soltanto tasse.
Il principio del beneficio è riconducibile alle teorie dello scambio secondo le quali l’imposta coincide con il prezzo dei beni e servizi forniti dall’ente pubblico, da cui deriva che il valore dell’imposta si decide in base al beneficio marginale che i contribuenti ricavano dal consumo dei suddetti beni e servizi. Secondo questa teoria esiste un rapporto di libero scambio tra il settore pubblico, che offre beni e servizi, e il cittadino che paga il prezzo-‐imposta (Bosi, 2010).
I sostenitori del principio del beneficio affermano che un sistema fiscale così disegnato, permetterebbe di ottenere la massima efficienza nella produzione di beni e servizi pubblici; tuttavia, tale argomentazione perde di efficacia qualora si
considerino i cosiddetti beni pubblici puri, ossia beni non rivali e non escludibili, per i quali non si può stabilire una diretta connessione tra consumo individuale e prezzo. Il fenomeno del free riding,2 poi, inficerebbe il funzionamento del meccanismo
prezzo-‐imposta e di conseguenza quello dello scambio volontario. Bisogna inoltre tener conto che la produzione di beni meritori deve essere garantita indipendentemente dalla domanda dei medesimi, i cui vantaggi raggiungono anche coloro che non ne fanno domanda: lo Stato fornisce servizi pubblici sottocosto ai meno abbienti, finanziandoli con il denaro prelevato dai soggetti più ricchi tramite le imposte.
Esempi dei beni in questione possono essere la Difesa e la Sanità (Palmiero, 1995). Infine il principio del beneficio esclude che lo Stato persegua finalità distributive e assuma funzione di regolazione.
1.2 Il principio del sacrificio
Secondo questo principio l’onere dell’imposta comporta la rinuncia di una parte di utilità del proprio reddito e, dunque, l’ammontare della stessa deve essere pari al sacrificio derivante dal pagamento dell’imposta, in modo tale che il sacrificio che un contribuente sopporta coincida con quello degli altri individui. Per definizione, soddisfa il criterio di equità orizzontale, con riferimento alle utilità individuali. Sulla questione del come vada valutato il sacrificio, esistono tre diverse accezioni che giungono a conclusioni diverse riguardo l’imposta richiesta al contribuente e alle modalità di ripartizione dell’onere tributario tra i contribuenti; le prime due (uguale sacrificio assoluto e uguale sacrificio proporzionale) si rifanno direttamente al principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte all’imposta, mentre il terzo (uguale sacrificio marginale), noto anche come principio del minimo sacrificio, è più propriamente collegato alle teorie utilitaristiche e ai problemi di benessere sociale (Leccisotti, 1999).
2Il fenomeno del free riding si verifica quando un individuo, che non ha pagato un prezzo per ottenere uno o più
beni e/o servizi, sfrutta quelli di altri operatori, che hanno sostenuto il relativo costo.
Le ipotesi di base sono3:
• L’utilità di ogni individuo è determinata unicamente dal reddito ed è rappresentata da una funzione cardinale rispetto ad esso;
• Gli individui sono caratterizzati da uguali preferenze; • L’utilità marginale del reddito è decrescente;
• Il reddito al lordo dell’imposta è dato;
Confrontiamo i tre metodi analizzando gli effetti delle imposte su un contribuente “ricco” e su un contribuente “povero”:
SACRIFICIO ASSOLUTO: è stato formulato da John Stuart Mill, il quale afferma che la perdita di utilità sostenuta dai contribuenti deve essere uguale in valore assoluto; i contribuenti dovrebbero pagare imposte di diversa entità, ma tali da rappresentare per ognuno di essi lo stesso sacrificio soggettivo.
Figura 1.1: Principio del sacrificio assoluto uguale
Fonte: Bosi, 2010
L’area CY1DE deve dunque coincidere con l’area C’Y2D’E’, da ciò deriva che il
cittadino ricco dovrebbe pagare somme maggiori dei poveri; tuttavia, da questo modello non si deduce se l’imposta debba essere regressiva, proporzionale o progressiva.
SACRIFICIO PROPORZIONALE: è stato enunciato dall'olandese Cohen Stuart, secondo cui “la perdita di utilità sostenuta dai contribuenti deve essere una percentuale, uguale per tutti i contribuenti, dell’utilità totale che ricavavano dal loro reddito.”4
Figura 1.2: Principio del sacrificio uguale proporzionale
Fonte: Bosi, 2010
CY1 rappresenta l’imposta pagata dal contribuente povero mentre C’Y2 l’imposta
pagata dal contribuente ricco. Questo principio presuppone che il rapporto tra l’imposta pagata e l’utilità totale del reddito del contribuente povero !"!!"
!!!!" debba
coincidere con il rapporto tra l’imposta pagata e l’utilità totale del reddito del contribuente ricco !!!!!!!!!!!!" . In questo modo sono rispettati i criteri di equità orizzontale e verticale.
SACRIFICIO MARGINALE: detto anche del sacrificio minimo è dovuta all'economista inglese Edgeworth. Secondo questo principio, le imposte devono essere ripartite fra i contribuenti in modo che sia minimo il sacrificio totale causato dal prelievo delle stesse; in altre parole la ripartizione del carico tributario dovrebbe avvenire in modo che la somma dei sacrifici sopportati da tutti i contribuenti risulti la minore possibile.
Figura 1.3: Principio del sacrificio marginale uguale
Fonte: Bosi, 2010
Con 0C=0’C’
La logica alla base di questo modello è che togliere anche poco denaro ai soggetti più poveri comporta per i medesimi la rinuncia a bisogni essenziali e quindi un grande sacrificio; viceversa, togliere anche molto denaro ai ricchi comporta per loro la rinuncia a bisogni voluttuari e, quindi, un piccolo sacrificio. È un principio fortemente egualitario che prevede la massima progressività con aliquote fiscali anche pari a 1. Il principio è rispettato se, dopo il pagamento delle imposte, il reddito della persona ricca e il reddito della persona povera coincidono.
In altre parole, il contribuente ricco paga l’imposta fino a che il suo reddito non eguaglia quello della persona povera, a quel punto anche il contribuente povero pagherà l’imposta: ciò significa che se la tassa è inferiore alla differenza tra il reddito della persona ricca e quello della persona povera l’imposta verrà pagata solo dal contribuente ricco. Il sacrificio marginale applica quella distribuzione che massimizza il benessere sociale grazie ad un sacrificio minimo collettivo (Palmerio, 1995).
Le principali critiche al principio del sacrificio riguardano la non misurabilità dell’utilità e l’impossibilità di compiere comparazioni interpersonali di utilità; infatti, come prima evidenziato, le ipotesi di base sono che l’utilità degli individui dipende dal reddito, che tuttavia è una variabile data.
Nonostante ciò, il Principio del sacrificio marginale uguale è quello che ha avuto il maggior peso, nella giustificazione dell’imposizione progressiva (Bosi, 2010).
1.3 Il principio della capacità contributiva
È sancito dall’art. 53 della Costituzione “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, ma è richiamato in diverse costituzioni di paesi europei e non5:
BRASILE-‐ART. 145, COMMA 1: ”Quando possibile, le tasse devono avere un carattere individuale e devono essere graduate in base alla capacità economica del contribuente”.
FRANCIA-‐ART. 13: ”Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese d’amministrazione è indispensabile un contributo comune; esso deve essere equamente suddiviso tra tutti i cittadini in base alle loro capacità”.
SPAGNA-‐ART. 31: ”Tutti contribuiranno a sostenere le spese pubbliche in base alla loro capacità economica, attraverso un sistema fiscale equo sulla base dei principi di uguaglianza e di tassazione progressiva, che in nessun caso potrà arrivare alla confisca”.
SVIZZERA-‐ART. 127, COMMA 2: ”Per quanto compatibile con il tipo di imposizione, vanno osservati i principi della generalità e dell’uniformità dell’imposizione, come pure il principio dell’imposizione secondo la capacità contributiva”.
Dalla lettura di questi articoli si denota come in tutti vi sia un riferimento alla capacità contributiva, quale criterio di ripartizione del carico tributario. I cittadini sono chiamati a partecipare alla spesa pubblica, in ottemperanza al principio di universalità e di uguaglianza, che nel nostro Paese è sancito costituzionalmente all’art.3. Il principio della capacità contributiva svolge una duplice funzione: una solidaristica, laddove chiama tutti i consociati a concorrere alle spese pubbliche, in base alla forza economica di ciascuno; ma anche una funzione garantista, laddove
pone dei limiti alla potestà tributaria chiamando al concorso solo chi ha un’effettiva capacità di contribuzione, nella misura e nei limiti della stessa.
La capacità contributiva è intesa come capacità economica dei contribuenti a pagare le imposte e può essere desunta da elementi obiettivi (come il reddito, il patrimonio, i consumi, ecc.) suscettibili di misurazione.
Questo principio si basa su tre assunti principali:
I. Equità orizzontale: individui in condizioni equiparabili devono essere trattati in modo uguale.
II. Equità verticale: individui diversi devono essere trattati in modo diverso. III. Preclusione di un’aliquota maggiore di 1: le posizioni relative dei contribuenti
prima dell’imposta devono essere preservate (Bosi, 2006).
Il principio della capacità contributiva si distacca completamente dalla logica dello scambio che sta alla base del principio del beneficio e, al contrario di questo, predilige il concetto di equità tra i contribuenti, laddove lo scopo delle imposte non è più solo quello di finanziare la produzione pubblica ma anche di perseguire la redistribuzione.
Da questa teoria sono stati sviluppati alcuni principi alla base dei sistemi tributari di quasi tutti i Paesi, in particolare il principio della discriminazione quantitativa e qualitativa dei redditi e la personalità dell’imposizione.
Secondo il principio della discriminazione quantitativa dei redditi, al crescere del reddito cresce la capacità contributiva: ai redditi più elevati dovrà essere applicata un’aliquota maggiore. Come conseguenza di questo principio si ha l’esenzione dei redditi minimi e il principio della progressività dell’imposta, che si traduce in imposte che crescono più che proporzionalmente rispetto alla base imponibile. Secondo il principio della discriminazione qualitativa dei redditi, occorre tassare i redditi considerando la loro origine, in modo da graduare l’intensità di un’imposta, secondo ragioni di giustizia sociale; questo spiega perché un reddito di capitale può essere tassato in misura maggiore rispetto a un reddito di lavoro.
Infine, in base al principio della personalità dell’imposizione, la capacità contributiva del soggetto dipende, oltre che dal reddito che egli percepisce, dalla sua situazione personale e familiare, che può incidere sulla capacità contributiva, diminuendola. Questo principio giustifica la presenza in ambito tributario di oneri deducibili, che
sono sottratti dal reddito e di detrazioni d’imposta, che sono somme che il contribuente sottrae all’imposta lorda (Palmerio, 1995).
2. La progressività dell’imposta
Il carattere progressivo dell’imposta trova fondamento nella costituzione di diversi Stati europei e impone che il contributo individuale debba essere modulato tra i cittadini in base alla loro capacità contributiva, ad esempio: 6
ITALIA-‐ART. 53 COST.: ”Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il criterio tributario è informato a criteri di progressività”.
GERMANIA-‐ART. 120 COMMA 2: ” Le imposte sul patrimonio e sui redditi, nonché le imposte indirette dovranno essere proporzionate e progressive ispirandosi a criteri sociali”. COMMA 3: “Un’imposta di successione fortemente progressiva dovrà impedire l’accumularsi di beni ai danni del popolo”.
SPAGNA-‐ART. 31: ”Tutti contribuiranno (…) attraverso un sistema fiscale equo sulla base dei principi di uguaglianza e di tassazione progressiva, che in nessun caso potrà arrivare alla confisca”.
USA-‐ART. 1 SEZIONE 9: ”Non potrà essere imposto testatico, o altro tributo diretto, se non in proporzione del censimento e della valutazione degli averi di ciascuno, che dovranno essere effettuati come disposto più sopra nella presente legge”.
Nel secolo XX, per ragioni di giustizia sociale, sono state introdotte molte imposte progressive, come si può dedurre dalle Costituzioni di cui sopra; l’applicazione del principio di progressività nei moderni sistemi tributari non comporta la progressività di ogni imposta presente nel sistema tributario, ma che sul reddito totale di ogni individuo l’aliquota fiscale sia crescente: ciò significa che il totale delle
imposte pagate da un individuo deve aumentare più che proporzionalmente rispetto al reddito dell’individuo stesso.
Proprio perché l’imposta progressiva aumenta più che proporzionalmente rispetto al reddito si può concludere che essa colpisce maggiormente i più i ricchi e meno i poveri e quindi rappresenta un mezzo per ridurre le differenze economiche tra gli individui, permettendo allo Stato di perseguire un obiettivo di redistribuzione (Palmerio, 1995).
Consideriamo una generica base imponibile x e una funzione d’imposta t, allora T=t(x) rappresenta il debito d’imposta corrispondente a un reddito x.
L’aliquota media si definisce come il rapporto tra l’imposta T e la base imponibile x:
Un’imposta si definisce progressiva se l’aliquota media cresce al crescere del reddito:
e se l’aliquota marginale pari a è superiore
all’aliquota media. La progressività dell’imposta può essere realizzata mediante quattro sistemi:7
• PROGRESSIVITÀ CONTINUA:
Si ha quando l’aliquota aumenta in modo continuo all’aumentare della base imponibile, secondo una formula matematica. Questo sta a significare che anche un lieve aumento della base imponibile determina un aumento, sia pur minimo, dell’aliquota8.
7 Palmerio (1995)
8 Questo sistema era applicato in Italia all’imposta complementare sul reddito, abolita con la riforma tributaria
del 1974.
t
−= T / x
t ' =t x + Δx(
)
− t x( )
Δx d t x(
( )
/ x)
dx > 0• PROGRESSIVITÀ PER DETRAZIONE:
La detrazione è un abbattimento del debito d’imposta. Data una base imponibile x, una funzione d’imposta t, e una detrazione det>0, il debito d’imposta è dato da:
T=t(x)-‐det
La base imponibile viene diminuita di una somma fissa pari alla detrazione, e, alla nuova base imponibile così calcolata, si applica un’aliquota costante.
Per dimostrare che la presenza di detrazioni assicura la progressività dell’imposta, assumiamo che t sia una funzione proporzionale, tale che t(x)=tx. In questo caso avremo T=tx-‐det
e quindi
Poiché l’aliquota marginale risulta maggiore dell’aliquota media, l’imposta è progressiva.
• PROGRESSIVITÀ PER DEDUZIONE:
La deduzione è un abbattimento della base imponibile. Data una base imponibile x, una funzione d’imposta t e una deduzione ded>0, il debito d’imposta è dato da:
T=t(x-‐ded)
Come prima, per dimostrare che la presenza di detrazioni rende progressiva l’imposta, assumiamo che t sia una funzione d’imposta proporzionale, tale che t(x)=tx. In questo caso avremo: T=tx-‐tded
e quindi t − = T / x = t −det x t ' = dT / dx = d(tx) (dx) = t t − = T / x = t −tded x t ' = dT / dx =d(tx − tded) (dx) = t
Anche in questo l’aliquota marginale risulta maggiore dell’aliquota media, dunque, per definizione, l’imposta è progressiva.
• PROGRESSIVITÀ PER CLASSI:
La base imponibile viene suddivisa in “classi” alle quali corrisponde una certa aliquota costante, che è maggiore ogni volta che si passa da una classe ad un’altra più elevata. Il problema legato a questa tipologia d’imposta progressiva è che genera un disincentivo molto forte allo sforzo lavorativo: il salto dell’aliquota al passaggio da una classe a un’altra fa sì che l’imposta aumenti troppo bruscamente; di conseguenza, chi ha un imponibile di poco superiore al limite tra una classe e l’altra viene a trovarsi, dopo il pagamento dell’imposta, in una condizione peggiore di chi ha un imponibile uguale o inferiore al limite tra le due classi stesse. Questo fa sì che l’individuo abbia maggiore convenienza ad abbassare il proprio reddito e, quindi, a lavorare di meno.
• PROGRESSIVITÀ PER SCAGLIONI:
Per risolvere la distorsione causata dal sistema della progressività per classi, si adotta il sistema della progressività a scaglioni. Questa tecnica consiste nell’individuare, data una distribuzione di redditi, m livelli di reddito (0=S0<S1<…<Sm), che individuano m scaglioni, cui corrispondono m aliquote
crescenti (0<To<T1<…<Tm). La progressività in questo modo è garantita perché
l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media passando da uno scaglione all’altro (Longobardi e Peragine, 2004).
L’imposta che il contribuente deve pagare è data dalla somma delle imposte calcolate su ogni singolo scaglione. Questo sistema elimina il disincentivo tipico della progressività per classi poiché per gli individui è sempre più utile guadagnare maggior reddito, anche se questo comporta il passaggio allo scaglione successivo. Le imposte moderne hanno diversi obiettivi oltre a quello di raccogliere gettito per finanziare la spesa pubblica degli stati; tra queste altre finalità vi è anche quella di modificare la distribuzione delle risorse economiche generata dal mercato quando ritenuta ingiusta, attraverso la redistribuzione. “In base al teorema di Fellmann e Jakobsson, la progressività dell’imposta è condizione necessaria e sufficiente perché il prelievo riduca la disuguaglianza, qualunque sia la distribuzione dei redditi di
partenza. Se l’imposta è progressiva, per qualsiasi distribuzione dei redditi, il prelievo avrà l’effetto di ridurre il grado di disuguaglianza.”9
All’imposta progressiva vengono però attribuiti anche diversi difetti (Palmiero, 1995).
Innanzitutto, un’eccessiva progressività dell’imposizione spinge i contribuenti a porre in essere comportamenti evasivi finalizzati a sottrarsi in tutto o in parte all’imposizione o comunque, a tentare di trasferire l’onere dell’imposta su altri soggetti. Inoltre, il contribuente fortemente tassato può essere indotto a produrre un reddito minore; dunque, un’eccessiva progressività dell’imposta può rappresentare un disincentivo allo sforzo lavorativo.
Infine, un ultimo difetto è collegato al fiscal drag, fenomeno che si manifesta nei periodi d’inflazione10.
Recentemente l’economista americano Arthur Laffer ha ripreso le critiche tradizionali all’imposta progressiva e ha illustrato gli effetti dell’eccessiva progressività dell’imposizione fiscale sul gettito tributario.
Come prima esposto, una progressività eccessiva spinge il contribuente a produrre meno e quindi si ha, come conseguenza, una riduzione delle entrate statali.
Laffer dimostra come, superato un certo livello ottimo di tassazione, il gettito fiscale può addirittura annullarsi.
La curva di Laffer rappresenta la relazione esistente tra la progressività dell’imposta (asse delle ascisse) e l’ammontare del gettito (asse delle ordinate):
9Longobardi e Peragine (2004)
10 Vedi paragrafo 5 “Reddito nominale o reddito reale, il problema del fiscal drag”
Figura 1.4: Curva di Laffer
Fonte: Palmerio (1995), pag. 204
Come emerge dal grafico, l’andamento del gettito fiscale dipende dall’aliquota d’imposta: quando l’aliquota è pari a zero anche il gettito è nullo, infatti la curva parte dal punto di origine; all’aumentare del valore dell’aliquota d’imposta t, il gettito diventa positivo. Laffer ipotizza l’esistenza di un livello del prelievo fiscale oltre il quale l'attività economica non è più conveniente e il gettito si azzera, quanto meno se il prelievo raggiunge il 100% del reddito, e quindi che le due grandezze siano legate da una curva continua a forma di campana, che ha un massimo, ovvero un'aliquota che massimizza il gettito fiscale. Oltre questa soglia critica, il gettito si riduce fino ad annullarsi nuovamente a causa del verificarsi di tre fenomeni principali: l’evasione, l’elusione e la sottrazione del reddito imponibile dalla tassazione eliminandolo o spostandolo, proprio come nel caso di un’eccessiva progressività.
3. La teoria della tassazione ottima del reddito
La teoria della tassazione ottima si propone di individuare lo schema di aliquote sul reddito che consenta di soddisfare gli obiettivi equitativi al costo minimo in termini di perdita di efficienza. Nel giudicare l’adeguatezza di un sistema impositivo è necessario considerare come gli individui reagiscono al prelievo fiscale e, se, con il loro comportamento, possano influire sulla distribuzione finale delle risorse, distorcendo quella inizialmente posta a obiettivo (Bernasconi e Marenzi, 2013).
L’avvio della moderna teoria della tassazione ottima del reddito si ha con il lavoro del premio Nobel James Alexander Mirrlees11.
Un’attenta analisi sullo sviluppo di questa teoria è stata proposta da Zoli (2003), secondo cui fu Mirrlees, per la prima volta a introdurre in forma analitica gli effetti disincentivanti, indotti dalla tassazione del reddito, sulle scelte di offerta di lavoro individuale.
Argomenti a favore di un’imposizione progressiva, risalgono alla distinzione classica tra beni necessari – il cui consumo doveva essere esente dalla tassazione – e beni superflui – che, per definizione, dovevano essere sottoposti a tassazione – tuttavia, i precedenti studi sul grado di progressività ottimale dell’imposta non avevano considerato le possibili reazioni comportamentali degli individui sottoposti a tassazione. Questi studi sono riconducibili a un approccio utilitarista secondo cui l’utilità dipende solo dal reddito individuale, cresce al crescere del reddito, anche se a un saggio decrescente ed è uguale per ciascun individuo; l’Utilitarismo inoltre, sostiene che la somma delle utilità di tutti gli individui esplicita il benessere della società, che cresce tanto più la ricchezza è ugualmente distribuita tra i cittadini (Bernasconi e Marenzi, 2013).
Tali analisi si basano sui principi del sacrificio secondo cui l’onere dell’imposta coincide con il sacrificio di utilità, che deriva dal pagamento della stessa.
In particolare, l’applicazione del principio dell’uguale sacrificio marginale dovuto all'economista inglese Edgeworth, insieme alle ipotesi alla base della teoria stessa, richiedendo l’uguaglianza dei sacrifici marginali, ossia l’uguaglianza dell’utilità ottenuta da ogni cittadino sull’ultima unità di reddito al netto delle imposte, determina la totale coincidenza dei redditi al netto dell’imposta. La teoria del sacrificio minimo è stata oggetto di critiche volte, da una parte a rilevare l’inadeguatezza della struttura utilitarista su cui si basa, e dall’altra a evidenziare come questa non tenga conto dei possibili effetti distorsivi della tassazione, tanto che lo stesso Edgeworth, in riferimento alla conclusione di uguaglianza dei redditi dopo le imposte, presentò diverse eccezioni, sulla base di considerazioni connesse a possibili effetti di disincentivo per la produzione.
Dalla seconda obiezione nasce la formulazione di Mirrlees, che ha permesso di includere il trade-‐off tra equità ed efficienza nella determinazione della struttura fiscale ottima, incorporando, direttamente nella funzione di utilità, la scelta dell’ammontare di lavoro che ciascun individuo è disposto a fornire.
Il modello di Mirrlees rappresenta un punto di svolta rispetto alla letteratura precedente perché ha permesso di trattare in modo coerente aspetti legati al perseguimento di obiettivi di equità nella distribuzione del reddito senza inficiare l’efficienza del sistema.
Mirrlees assume come obiettivo sociale la massimizzazione di una funzione dei livelli di utilità degli individui della popolazione, al fine di conseguire finalità redistributive, che dipendono dalla specificazione della forma funzionale del benessere sociale che si sceglie di adottare, secondo le logiche dell’approccio welfarista.
Le osservazioni sull’efficienza vengono introdotte attraverso l’analisi degli effetti del sistema fiscale sulle decisioni di offerta di lavoro: nei modelli di tassazione ottima, infatti, oltre al consumo di beni, anche il consumo di tempo libero accresce il benessere degli individui. Da ciò deriva che alte aliquote marginali possono agire come deterrente agli sforzi lavorativi.
Mirrlees ipotizza un modello uni-‐periodale in cui non vi sia risparmio e assume che l’economia sia competitiva e che gli individui differiscano solo per le loro abilità, le quali rappresentano un’informazione privata, sconosciuta al governo. Poiché quest’ultimo può osservare solo il reddito effettivamente guadagnato e non quello potenziale, l’imposta sul reddito rappresenta l’unico strumento a disposizione per compiere una politica redistributiva. L’utilità degli individui dipende da due fattori, ossia il consumo e il lavoro, tenendo conto che a un individuo più abile occorre meno tempo di lavoro, per un dato ammontare di reddito, rispetto a un individuo meno abile; dunque l’utilità dipende in modo implicito dall’abilità (Zoli, 2003).
L’introduzione di un contesto di informazione imperfetta, insieme al riconoscimento del tempo libero, quale argomento della funzione di utilità, rappresenta la novità più radicale del modello di Mirrlees.
Ciascun individuo sceglie la quantità di lavoro da offrire e la quantità di bene di consumo da domandare, in modo da massimizzare la sua utilità, soggetta al vincolo
di bilancio imposto dal governo. Tenendo conto che tutti gli individui hanno le medesime preferenze riguardo al reddito disponibile-‐consumo, che aumenta l’utilità, e al lavoro che invece la riduce, gli individui rivelano la loro allocazione ottima e quindi l’informazione privata circa la loro abilità.
Le differenti abilità moltiplicate per il tempo libero danno come risultato redditi lordi diversi che, se considerati al netto delle imposte, rappresentano il reddito disponibile in consumo (Bernasconi e Marenzi, 2013).
Sotto queste ipotesi la struttura impositiva deve essere tale da incentivare i soggetti ad autoselezionarsi, garantendo redditi più alti agli individui con maggiore abilità; se i vincoli di autoselezione funzionano, gli individui con basse abilità ottengono un sussidio mentre quelli con alte abilità pagano le imposte; tuttavia, poiché una redistribuzione eccessiva potrebbe spingere gli individui con elevate abilità a fingere di essere meno capaci, per beneficiare della redistribuzione, Mirrlees “giunge a suggerire una struttura impositiva con aliquote a scaglioni prima crescenti e poi decrescenti.”12
Dalle considerazioni precedenti, sono stati individuati alcuni risultati qualitativi circa l’andamento e la forma della struttura ottimale delle aliquote marginali; Zoli (2003) ha posto l’accento sui più importanti, quali:
• L’aliquota marginale è ovunque non negativa e inferiore al 100%; la non negatività dell’aliquota marginale è stata dimostrata da Mirrlees nel caso di una funzione di utilità composta solo da consumo e lavoro da “Sadka (1976) per un sistema di tassazione lineare”;13
• Dato un livello minimo di abilità, può essere ottimale per gli individui con abilità inferiore al livello minimo, scegliere di non lavorare; il sistema di tassazione ottima può, dunque, generare disoccupazione: poiché i soggetti che decidono di non lavorare sono produttivi, la loro offerta di lavoro accrescerebbe l’output complessivo. Esiste dunque un trade-‐off tra le condizioni di ottimalità della tassazione e il raggiungimento del massimo output potenziale;
12 De Vincenti e Paladini (2008) 13 Zoli (2003)
• L’aliquota marginale sull’individuo più abile e quindi con reddito più elevato è zero: Seade (1977) dimostra che una struttura fiscale che presenta un’aliquota marginale positiva sul reddito più alto può sempre essere sostituita da un’altra con un’aliquota più bassa, che si rivela Pareto-‐superiore, perché aumenta il benessere di tutti i consumatori, inducendoli a lavorare di più, a parità di imposte pagate;
• È nulla anche l’aliquota marginale sul soggetto meno abile, ma solo se tutti gli individui lavorano; è invece positiva quando esistono lavoratori con abilità troppo bassa, ossia disoccupati (Bernasconi e Marenzi, 2013);
• Una riforma che incrementa l’aliquota marginale in corrispondenza di un certo livello di reddito lordo, automaticamente aumenta anche le aliquote degli scaglioni successivi, accrescendo il carico tributario di coloro che hanno redditi pari o superiori a quel livello e riducendo quello di coloro che hanno redditi più bassi. In questo modo è possibile realizzare una redistribuzione. “ (…) tanto più ristretto è il gruppo su cui graverebbe il maggior carico fiscale o, analogamente, il gruppo che potrebbe beneficiare del trasferimento di reddito, tanto minore è il vantaggio distributivo che potrebbe derivare dalla riforma.”14
Le critiche mosse all’approccio welfarista riguardano principalmente due aspetti: la prima obiezione muove dalla considerazione che il giudizio sull’ottimalità dei sistemi fiscali non tiene conto del valore che gli individui attribuiscono alla fruizione del tempo libero: ogni scelta viene valutata sulla base della somma complessiva di utilità che genera, indipendentemente dalla sua distribuzione tra i cittadini e, dunque, indipendentemente dalle disuguaglianze nella distribuzione dell’utilità. La seconda critica riguarda la scelta della funzione obiettivo da massimizzare che, concentrandosi sul benessere collettivo, offre una visione troppo ristretta degli obiettivi della politica sociale.
A partire da questa seconda critica si sono sviluppati approcci che propongono l’utilizzo di criteri di valutazione diversi dal benessere sociale, definiti non welfaristi.
14 Zoli (2003). Questa interpretazione della natura redistributiva della struttura fiscale è stata proposta da
Tra questi vi è il lavoro di Kanbur Keen e Tuomala (1994, 1995) che sostituiscono all’obiettivo di massimizzazione della funzione del benessere sociale, quello di minimizzazione di un indice della povertà. La finalità del decisore pubblico diventa quella di garantire a tutti gli individui di raggiungere un ammontare di reddito prestabilito, indipendentemente dallo sforzo lavorativo necessario per conseguirlo. In questo modello la povertà è espressa in funzione del reddito anziché del benessere: un individuo è considerato povero se il suo reddito è inferiore allo standard minimo che la collettività ritiene sufficiente a garantire un’esistenza dignitosa. Il decisore pubblico non assegna più un valore positivo al consumo di tempo libero da parte dei poveri perché la scelta di tempo libero non accresce il benessere collettivo, ma, al contrario, è un fattore che concorre a ridurlo (Zoli, 2003).
Contrariamente all’approccio welfarista, in questo caso, l’interesse principale è rivolto agli individui che si collocano nella coda inferiore della distribuzione dei redditi, trascurando i membri più ricchi.
Lo schema d‘imposta, nel modello di tassazione lineare del reddito (Kambur e Keen, 1989), prevede l’erogazione di un sussidio in somma fissa e la tassazione dei redditi da lavoro secondo un’aliquota costante, in modo da eliminare completamente la povertà, trasferendo a ciascun povero un ammontare esattamente pari alla differenza tra il reddito e la soglia prefissata di povertà; il modello così configurato, tuttavia, trascura gli effetti disincentivanti della tassazione e ipotizza l’assenza di vincoli sulle risorse disponibili.
Considerando questi ultimi aspetti, Kambur Keen e Tuomala (1994) arrivano a configurare un modello che considera le reazioni comportamentali degli individui, analogo a quello di Mirrlees, con la differenza che la funzione obiettivo del decisore pubblico è rappresentata da un indice di povertà basato sul reddito e non da una funzione del benessere sociale definita sulle utilità degli individui.
In conclusione, l’aliquota marginale sul percettore più ricco dovrebbe essere pari a zero: se sul reddito più alto gravasse un’aliquota positiva, attraverso una piccola riduzione di quest’ultima sarebbe sempre possibile aumentare il gettito. In un contesto di lotta alla povertà l’obiettivo di estrarre il massimo delle risorse dal ricco può essere raggiunto tramite questa via.