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Autoritratto di donna nelle frasi spezzate di un marito lasciato

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Academic year: 2021

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Hélène Bessette, La rottura, Nonostante edizioni, p. 254, euro 20,00

“Finalmente qualcosa di nuovo”, scrisse Raymond Queneau della Rottura di Hélène Bessette, un romanzo in forma epistolare pubblicato nel 1963 e poi dimenticato per mezzo secolo, come del resto gli altri dodici titoli di un’opera intensa e tutta bruciata in circa vent’anni, tra il ’53 e il ’73, nel pieno della stagione delle neo-avanguardie, ma al riparo, lontana dai movimenti. Ora proposto, per la prima volta in italiano, da Nonostante edizioni. Quarantaquattro lettere di Georges a Dora, ovvero del marito alla moglie che lo ha lasciato frapponendo più di mille chilometri tra lei e lui, lettere senza risposta, concatenate in modo tale da formare una sorta di diario della separazione, redatto dopo la fine di tutto, all’altro capo del dolore.

Non stupisce l’entusiasmo di Queneau per N’avez-vous pas froid (questo il titolo originale): è un libro scritto tutto in equilibrio su una lama, se metti un piede in fallo cadi e ti squarci. Una tale mancanza di appigli, una nudità così scoperta non poteva non piacere a Queneau. Non tanto per la storia, ma per come è raccontata. C’è un romanzo di Queneau, meno noto rispetto ai maggiori, e che è tra i suoi più belli, Chêne et chien, quercia e cane, così intitolato perché la quercia spinge i suoi rami in alto e il cane sta con il naso attaccato a terra, volendone sentir gli odori (intime, inscindibili pulsioni). Per quel romanzo Queneau si è inventato una lingua, in quel caso non il neo-francese, scrittura fonetica per ridere di cui ha dato esempi celeberrimi in Zazie. No, in Quercia e cane si è inventato un fraseggio che sembra in versi, che va letto come fosse musica, ma è romanzo. Così nuovo, eppure agli antipodi rispetto alla sperimentazione avanguardistica, quasi uno sberleffo nei confronti del Surrealismo. In quel romanzo, anche Queneau racconta di una separazione e della solitudine e di paure e di corpi, spezzati, e del silenzio. “Ascolta il mio cuore che ti manda frasi”, scrive Georges a Dora nella prima lettera, datata 26 dicembre 1960. Sarà suggestione? Il libro è a battiti, ogni emissione è pulsata, sistole e diastole, la pompa del cuore.

“Dora, cosa farai della tua vita fratturata?”, chiede il marito, che è pastore protestante, rimasto a Parigi, a casa, sotto il tetto coniugale, alla moglie che è fuggita, in Svizzera, lasciando anche i figli, dopo dieci anni di matrimonio, e un’apparenza felice. Nella realtà c’è stata effettivamente rottura tra il marito, realmente pastore protestante, e lei, l’autrice, messasi proprio allora a scrivere frasi spezzate, quelle frasi che Michel Leiris e Raymond Queneau fecero pubblicare da Gallimard. Ma non c’è un attimo, grazie anche alla traduzione misurata di Silvia Marzocchi, in cui venga da pensare che le lettere siano di una donna. Il romanzo delle lettere sta tutto in questa finzione: a esprimersi è lui, lui interroga lei sulle ragioni e non ragioni della rottura. L’autrice lo fa, s’insinua nella scrittura del marito, per porre a se stessa quelle domande. Che sono senza risposta, come lo è qualunque romanzo, ma che vanno poste e che solo la finzione del romanzo permette di porre con tale ferma, scandita presenza.

Ed è allo stesso tempo l’oggettivazione della romanziera a trasformare le tante riflessioni del pastore su di sé nel progressivo comporsi di un (auto)ritratto che sovrappone i tratti di Georges e quelli di Dora, della quercia e del cane i quali, entrambi, agiscono e pensano in ognuno dei due. L’ultima lettera datata è del 2 giugno 1961, con cui la storia si chiude.

Interessante la postfazione di Annalisa Lombardi che illustra e argomenta la “poetica bessettiana della disarticolazione della frase”. Ed anche, in parallelo, la figura della sottrazione come costante della scrittura di Hélène Bessette, la cui Dora, evocando una più nota Nora, ne sarebbe l’erede, ormai assente dalla pagina, allontanata, per meglio mettere a fuoco quello che è stato, letterariamente, dopo di lei.

Gabriella Bosco

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