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Aroldo Bonzagni e le decorazioni pittoriche di Villa San Donnino.

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Introduzione

Questo lavoro di tesi si propone come obiettivo quello di approfondire lo studio intorno alla vita e all’attività artistica del pittore Aroldo Bonzagni di Cento. Una particolare attenzione è stata rivolta al caso delle decorazioni pittoriche di Villa San Donnino (Modena) realizzate dal pittore nel 1911. Il lavoro è stato per questo suddiviso in due parti principali, che hanno avuto il compito di illustrare da un lato la biografia dell'artista approfondita in particolare relativamente all’attività pittorica ed espositiva, dall’altro l’analisi più nello specifico delle decorazioni pittoriche della villa.

Nella prima parte del lavoro sono state illustrate la biografia del pittore e la sua attività artistica: è stato rilevante sottolineare i caratteri di maggiore interesse riguardo alla produzione pittorica relativamente allo stile e ai temi, la partecipazione alla vita espositiva della città di Milano (nella quale Bonzagni ha lavorato e vissuto per quasi tutta la vita), l’adesione e l’allontanamento dal movimento futurista, la svolta tematica e stilistica degli ultimi anni di attività.

Partendo dalla formazione e dagli influssi artistici ricevuti durante gli anni di studio presso l’Accademia di Brera di Milano, si è proceduto con l’analisi degli ambienti culturali frequentati e soprattutto degli eventi artistici ed espositivi a cui ha partecipato il pittore; questi aspetti, ritenuti molto interessanti, sono stati approfonditi attraverso lo studio dei cataloghi degli eventi, materiale che, sebbene quasi sempre non illustrato e mancante di informazioni specifiche sulle opere (come la tecnica o le dimensioni), ha comunque permesso di venire a conoscenza dei titoli (e quindi presumibilmente dei temi trattati) e di datare parte della produzione. Lo studio sulle opere, per quanto possibile, ha cercato di mettere in luce le peculiarità dell’attività artistica del pittore, facendo emergere i caratteri più interessanti relativi agli stimoli artistici ricevuti, allo stile e alla sua personale interpretazione della realtà, tema prediletto dall’artista. Interprete abilissimo nel descrivere la società moderna, Bonzagni non si limitò a trascriverne le caratteristiche esterne, ma rappresentò i suoi soggetti in modo da svelarne le inclinazioni e gli atteggiamenti più nascosti, attraverso la sua immancabile sottile ironia. Se da un lato la borghesia milanese aveva catalizzato la sua attenzione nella prima fase di produzione, così come il tema della modernità e della città, nel suo ultimo periodo di attività artistica si fece portavoce degli umili, i mendicanti, gli zingari e allo stesso tempo rivolse attenzione agli aspetti politici e sociali della contemporaneità, soprattutto nel periodo dell’intervento bellico dell’Italia durante il primo conflitto mondiale, a cui dedicò illustrazioni e disegni.

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Grande interesse suscita il rapporto tra Bonzagni e il Futurismo, al quale aderì firmando tre manifesti, ma ben presto abbandonato per questioni non del tutto chiare. Anche per questo aspetto della biografia, così interessante, mancano documenti che chiariscano del tutto questo rapporto, quindi l’analisi si è basata prevalentemente da un lato sulle testimonianze di amici, artisti e familiari vicini al pittore che commentarono i fatti, dall’altro sulla lettura dei manifesti futuristi e sui possibili punti di contatto e rottura tra queste posizioni e quelle di Bonzagni. Inoltre alcuni confronti tra le opere del pittore e alcune di quelle dei massimi esponenti del Futurismo hanno mirato a mettere in luce i possibili punti di vicinanza e distanza tra il pittore e il gruppo futurista soprattutto riguardo a temi da entrambi affrontati. Una seconda parte del lavoro di tesi è stato dedicato allo studio delle decorazioni pittoriche realizzate per la Villa San Donnino, nei pressi di Modena, oggi di proprietà della famiglia Lonardi. Non è stata conservata alcuna documentazione relativa alla costruzione della villa o circa la commissione delle decorazioni, motivi che hanno reso lo studio di questo caso limitato ad alcuni aspetti. Informazioni che hanno aiutato una ricostruzione seppur limitata degli avvenimenti si sono ricavate dai progetti dell’edificio presentati al comune di Modena, firmati dall’architetto Ferdinando Benvenuti e datati al 1910 (oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Modena) e dalla firma di Bonzagni alle decorazioni dell’ingresso alla villa e dalla dedica al committente (che si trovano in una delle scene del ciclo) che hanno contribuito a datare la fine dell’impresa pittorica nel novembre 1911 e ad identificare in Claudio San Donnino il committente di queste. Questo dato testimonia che Bonzagni realizzò sicuramente il ciclo decorativo dell’ingresso composto da dieci scene pittoriche, particolare oggetto di studio della tesi. Data l’assenza di documenti specifici su questa commissione, non è stato possibile pervenire ad una identificazione certa delle tematiche affrontate nel ciclo, di cui si è tentato di dare una descrizione più approfondita dello stile e dei possibili contatti con altre opere soprattutto dello stesso Bonzagni, per tentare di aggiungere un tassello significativo alla biografia dell’artista, finora scarsamente trattato. Benché non risolutivo circa molti aspetti, lo studio di questo caso ha cercato di rivolgere una particolare attenzione verso un’impresa pittorica ancora troppo poco conosciuta e quindi da valorizzare con ogni mezzo.

Per la prima parte del lavoro di tesi, sono stati utilizzati studi precedentemente svolti sul pittore (in prevalenza cataloghi di mostre), monografie sui pittori e sui movimenti artistici coinvolti, lettere e manifesti soprattutto relativi al periodo futurista, riviste dell’epoca (tra tutte «Emporium»), cataloghi delle esposizioni a cui ha potuto partecipare Bonzagni dal 1909 al 1918, materiale d’archivio relativo a queste mostre come Fascicoli scarti e Rubriche

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(questa parte relativamente alle esposizioni presso la Società di Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano).

Per lo studio delle decorazioni pittoriche di Villa San Donnino non sono disponibili, come già detto, documenti relativi alla villa e alle decorazioni; la ricerca è stata effettuata in loco e ha previsto la realizzazione di materiale fotografico, un’analisi di riviste locali del periodo trattato e lo studio di altri lavori sulla villa, in particolare riguardo agli aspetti architettonici.

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Capitolo 1

La vita e l’attività artistica di Aroldo Bonzagni.

In questo capitolo è stata analizzata la biografia del pittore Aroldo Bonzagni di Cento (FE), con particolare attenzione riguardo alla sua attività pittorica ed espositiva. Nella sua pur breve vita (morì a soli 31 anni nel 1918) Bonzagni ha saputo lasciare un segno originale e interessante, soprattutto se visto in relazione al periodo artistico vissuto in Italia, e in particolare per il suo caso a Milano, intorno agli anni ’10 del Novecento. In un momento di sperimentazione e fermento artistico caratterizzato dalla nascita dell’avanguardia futurista nell’ambito delle arti, Bonzagni ha saputo veicolare i messaggi di modernità con uno straordinario linguaggio personale che risentì di influssi internazionali (in particolare le Secessioni tedesca e austriaca) senza, però, distaccarsi dal mondo artistico italiano: guardò ai modelli divisionisti per alcuni tratti della sua produzione, fu vicino al Futurismo, di cui firmò tre manifesti per poi distaccarsene ben presto, mantenne contatti e rapporti con gli artisti più rivoluzionari dell’epoca, come Boccioni e Carrà, partecipando attivamente a ciò che il panorama espositivo italiano poteva offrirgli attraverso le società e le istituzioni artistiche della città di Milano.

1. Aroldo Bonzagni a Cento: l’infanzia e la prima formazione (1887- 1902).

Aroldo Bonzagni nacque a Cento (in provincia di Ferrara) il 24 settembre 1887, da Angela Gilli (1857- 1944) e Angelo Candini (fornaciaio trentasettenne nativo di Sant'Agata Bolognese). Il secondogenito, Giuseppe (detto Peppino) nacque a Cento nel 1891, e morì nel 1961 a Savona, città nella quale visse con Giuseppina Brambilla, sposata a Milano il 18 marzo 1946.

Dopo l’abbandono da parte del padre, il quale si trasferì in America non mantenendo alcun contatto con la famiglia, l’8 maggio del 1898 Angela Gilli sposò a Cento un conduttore di macchine agricole, Felice Bonzagni (1847- 1936), motivo per cui a undici anni il pittore cambiò il proprio cognome. Da questo matrimonio nacquero le sorelle del pittore, Luisa (1898- 1974) e Ada, conosciuta meglio come Elva (1901- 1987).

Fino al 1902 frequentò la scuola di Disegno e Ornato “Il Guercino”, fondata a Cento nel 1834, situata nella sede del Patrimonio degli Studi. Notando nel giovane una grande predisposizione per la pittura, il direttore della scuola Marcello Basilio Mallarini consigliò alla madre di iscrivere Bonzagni all'Accademia di Brera a Milano.

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L’ambiente culturale che si respirava a Cento tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento fu da stimolo per Bonzagni, il quale iniziò a frequentare le persone di maggior spicco della città. Il salotto letterario di Maria Majocchi Plattis1, in arte Jolanda, affermata scrittrice di livello nazionale e giornalista molto apprezzata, fu il luogo in cui per la prima volta le capacità artistiche del giovanissimo Bonzagni furono riconosciute, tanto da spingere la stessa Jolanda ad incentivare un trasferimento del ragazzo a Milano per perfezionare gli studi artistici. Bonzagni studiò, inoltre, violino dal maestro Leone Sarti, approfondendo la sua passione musicale, che trasmise alla sorella minore Elva, futura pianista.

Importante e inevitabile stimolo visivo per la prima formazione artistica di Bonzagni fu il concittadino Guercino, del quale molte opere (soprattutto di grafica) potevano esser ammirate presso la Pinacoteca di Cento, la cui collezione venne accresciuta grazie alla celebre mostra di disegni, incisioni e fotografie dell’artista seicentesco del 18912, oltre che gli affreschi di Casa Pannini, realizzati da Guercino tra il 1615 e il 1617. 3 La spiccata e costante attenzione di Bonzagni verso la produzione grafica può essere collegata probabilmente alla celebre tradizione figurativa della quale godette la sua città natale, importante centro artistico per le arti grafiche sin dalla fine del ‘500 e punto di riferimento per artisti e cultori d’arte.

Una delle prime opere documentate del pittore è Le zebre4 (Fig. 1), del 1903; non si sa se è

stata realizzata prima o dopo la partenza per Milano. L’opera presenta i due animali in primo

1 Maria Majocchi Plattis (24 aprile 1864- 8 agosto 1917) nacque a Cento da famiglia colta e benestante. L'amore e la versatilità per la scrittura favorirono la professione giornalistica accanto a quella di letterata di grande fortuna. Jolanda fu lo pseudonimo scelto in ricordo dell'eroina di Giuseppe Giacosa in Una partita a scacchi, leggenda drammatica messa in scena a Napoli per la prima volta nel 1873. Divenne scrittrice tra le più amate e popolari e dette alle stampe più di trenta volumi tra saggi, studi, scritti brevi, novelle e romanzi. Sposò Ferdinando Plattis ma rimase vedova nel 1893, momento nel quale si rifugiò nella scrittura e nelle attività culturali. A Cento divenne punto di riferimento importante per scrittori e intrattenne rapporti con i maggiori intellettuali della sua epoca. Per approfondimenti attorno alla figura di Maria Majocchi Plattis si consiglia la lettura di Jolanda: le idee e l’opera, atti del convegno, a cura di Clemente Mazzotta, Cento 28- 29 novembre 1997, Editografica, Bologna 1999.

2 Nel 1891 a Cento si festeggiò il terzo centenario della nascita del Guercino: venne, così, allestita la mostra di

disegni, incisioni e fotografie collegate alla produzione del pittore nel Palazzo Falzoni Gallerani di Cento. Il curatore della mostra e del catalogo, il centese Antonio Orsini, svolse un ruolo considerevole nella costituzione della raccolta. Per approfondimenti sulla produzione grafica di Guercino si rimanda a Il Guercino (Giovanni

Francesco Barbieri, 1591-1666). Disegni, catalogo critico dei dipinti, a cura di Denis Mahon, Palazzo

dell’Archiginnasio, Bologna 1 settembre-18 novembre 1968, Alfa, Bologna 1968.

3 Casa Pannini, una signorile costruzione seicentesca, sorgeva sul corso principale della città di Cento, Borgo

di Mezzo. Ne era proprietario Bartolomeo Pannini, discendente di una famiglia di origini molto antiche. Nel 1615 Pannini decise di affidare la decorazione delle stanze dell’edificioal pittore Guercino, il quale vi restò impegnato per due anni, fino al 1617. Nel 1840 il nuovo proprietario di Casa Pannino, Francesco Diana, decise di far trasportare su tela i dipinti delle pareti della sua casa per porre fine al continuo deterioramento causato dalle infiltrazioni d’acqua. Per approfondimenti sulle decorazioni di Casa Pannini si rimanda a PRISCO BAGNI, Guercino a Cento. Le decorazioni di Casa Pannini, Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1984.

4 L’opera è stata pubblicata in bianco e nero in Aroldo Bonzagni, catalogo della mostra, a cura del Comune di

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piano, all’interno di un contesto naturalistico e pacato e rimane l’unica testimonianza degli inizi pittorici dell’artista sedicenne.

2. L’arrivo a Milano e gli anni a Brera (1903- 1909).

A eccezione del padre che rimase sempre a Cento, tutta la famiglia si trasferì a Milano, con l’appoggio incondizionato della madre e l'insistenza del direttore della scuola “Il Guercino”, Marcello Basilio Mallarini. Il fratello minore di Bonzagni, Peppino, ricorda così il momento del trasferimento nella città di Milano:

«[...] In lui aveva individuato una formidabile promessa e tanto fece, disse e consigliò fino a convincere nostra madre a trasferirsi a Milano, per iscrivere il ragazzo all'accademia di Brera. Del tutto logicamente contrario nostro padre che per l'età e la buona posizione professionale in meccanica agricola non poteva concepire per quel trasferimento lo sfasciarsi della sua famiglia- come doveva purtroppo avvenire- e lo avrebbe costretto a vivere solitario lontano dai figli. Irremovibilmente decisa, invece, la madre che, risoluta e vinta la debole resistenza del marito, di lì a poco organizzò la partenza, seguendo come ho detto i consigli del Mallarini, del nostro Sindaco Mangilli, del Marchese Maiocchi e di Jolanda Plattis, altresì esortata da una sorella già residente a Milano. Ceduto il negozio di stoffe che essa esercitava, ci trasferimmo a Milano: Aroldo quindicenne, assai inferiori le nostre due sorelle. Con questa partenza, per noi bimbi festosa, ma per nostro padre considerata un salto nel buio, si decise l'avvenire di Aroldo Bonzagni»5.

La Milano del primo decennio del Novecento rappresentava il centro della modernità artistica per quel che riguarda il contesto italiano: sede della nascita dei più importanti movimenti artistici già dalla fine dell’Ottocento, era stata punto di incontro tra artisti e correnti differenti che ebbero, così, modo di dar vita ad un dibattito critico stimolante. A Milano nacque il movimento scapigliato, che decretò l’inizio ufficiale delle sperimentazioni moderne, per giungere alle ricerche divisioniste e approdare al futurismo che ebbe come baricentro italiano proprio il capoluogo lombardo (termine cronologico ultimo per l’argomento trattato in questo lavoro).6

di Ferrara, Ferrara 1974, s. p. In questo catalogo si legge che si tratta di un olio su tavola, dalle dimensioni di 45 x 65 cm. Non sembra ci siano altre riproduzioni dell’opera in ulteriori pubblicazioni.

5 Testimonianza di Peppino Bonzagni, fratello del pittore, riportata in FAUSTOGOZZI, Identità della Galleria

1918- 2006/ Dalla morte di Aroldo Bonzagni al Catalogo Generale della Galleria d’Arte Moderna, in Galleria d’arte moderna Aroldo Bonzagni di Cento, cat. generale, a cura di Fausto Gozzi, Federico Motta Editore, Cento

2006, p.32.

6 Per ulteriori approfondimenti sulla situazione artistica a Milano dalla fine dell’Ottocento si rimanda a Arte a

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Tratto distintivo di queste fasi di mutamento artistico e culturale fu la volontà, condivisa da tutti i movimenti, di occuparsi di tematiche afferenti la vita moderna, che videro il loro punto di partenza nel rifiuto alla rappresentazione dei generi accademici (come la storia) per rivolgere l’attenzione alla modernità, scandagliata al suo interno e mostrata attraverso le città, i luoghi del progresso, o ancora le classi sociali che la rappresentavano, la borghesia da un lato e la classe povera e emarginata dall’altro, approdando talvolta verso i grandi temi socio-politici, terreno di indagine sui quali Bonzagni lavorò moltissimo7.

Milano è stata sede di una delle più prestigiose accademie artistiche italiane (l’Accademia di Brera, per l’appunto), in cui artisti di formazioni differenti si ritrovarono per approfondire gli studi; molte furono le occasioni per questi giovani emergenti di mostrarsi, grazie all’attività espositiva delle più influenti società artistiche dei primi anni del Novecento quali la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente e la Famiglia Artistica.

Bonzagni iniziò a frequentare l'Accademia di Brera dal 1903 e vi rimase iscritto probabilmente non oltre il 1909, come riferiscono le istanze di sussidi inviate dall'artista stesso alla Deputazione provinciale di Ferrara in quell'anno, di cui si è a conoscenza grazie ad un importante studio effettuato da Lucio Scardino, attraverso cui si è potuto ricostruire l’intero iter di richieste di sussidi effettuate da Bonzagni negli anni di studio a Milano8. Per

poter studiare a Brera ebbe, infatti, la necessità di esser mantenuto grazie a sussidi economici; il pittore compare in questi atti di richiesta per la prima volta nel 1904, nonostante sia già iscritto a Brera dal 1903: ricevette per quest’anno contributi economici del Patrimonio degli studi di Cento (forse un premio). In una lettera datata 18 ottobre 1904 si rivolse al Consiglio provinciale di Ferrara «invocando la concessione di sussidio onde proseguire gli studi intrapresi, ciocché gli sarebbe impedito dalle ristrettissime condizioni finanziare della di lui famiglia», allegando un certificato dove è scritto che ha frequentato l’Accademia nell’anno

scolastico 1903-1904 e che è stato promosso al secondo anno, risultando altresì tra i migliori

gennaio 1996, Electa, Milano 1995; Dalla Scapigliatura al Futurismo, cat. della mostra, a cura di Flavio Caroli e Ada Masoero, Palazzo Reale, Milano 17 ottobre 2001- 17 febbraio 2002, Skira, Milano 2001.

7 Per un quadro più completo della situazione artistica della città di Milano intorno agli anni ’10 del Novecento

e delle tematiche relative alla modernità, oggetto di rappresentazione da parte di Bonzagni e gli artisti coevi, si rimanda ai paragrafi successivi e a Arte a Milano 1906- 1929, cit.; Italie 1880-1910: arte alla prova

della modernità, cat. della mostra, a cura di Gianna Piantoni e Anne Pingeot, Galleria Nazionale d’Arte

Moderna, Roma 22 dicembre 2000- 11 marzo 2001; Musée d’Orsay, Parigi 9 aprile-15 luglio 2001, Umberto Allemandi, Torino 2000; Dalla Scapigliatura al…, cit.

8 Attraverso lo studio di un carteggio inedito conservato oggi a Ferrara presso l’Archivio di Stato, alla voce

Deputazione Provinciale- Beneficenza, il cui studio è stato pubblicato in LUCIO SCARDINO, Aroldo

Bonzagni: un inedito carteggio ferrarese, in Aroldo Bonzagni: pittore e illustratore 1887- 1918: ironia, satira e dolore, cat. della mostra, a cura di Fausto Gozzi, Cento 1998- 1999, Charta, Milano 1998, lo studioso Lucio

Scardino ha ricostruito le varie tappe legate alle richieste e all’ottenimento dei sussidi da parte del pittore Bonzagni; da questi studi, si può avere maggiore chiarezza relativamente agli anni effettivi di studio a Brera del pittore.

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nel disegno di figura. Ad interessarsi assiduamente alla causa di Bonzagni fu il Comune di Cento (grazie anche al tramite del padre, Felice Bonzagni, che lo sostenne con costanza dalla città emiliana) che nella figura del suo sindaco Antonio Maiocchi chiese alla Deputazione provinciale di accogliere la richiesta di Bonzagni in quanto tra i più meritevoli alunni di Brera e esaltandone in modo entusiasmante le doti artistiche, le varie richieste portarono alla concessione del sussidio per l’anno 1904-1905 e per il successivo, mentre le richieste per gli anni accademici 1906- 1907 e 1907- 1908 non vennero accolte, dovendo così rinunciare anche a partecipare al premio Hayez9 bandito nell’ambito di Brera nel 1908.

Per quanto concerne gli effettivi anni di studio a Brera, rispetto al ciclo ordinario di studi all'Accademia e rispetto agli altri studenti, Bonzagni frequentò un numero inferiore di anni (si calcola un numero di cinque, stando ai precedenti atti relativi alle richieste di sussidi economici), essendo stato licenziato quasi certamente prima del regolare termine degli studi, come testimonia l’insegnante Cesare Tallone:

«Furono pochi gli anni trascorsi da Aroldo a Brera, giacché l'allievo poco o nulla avrebbe avuto da imparare e fargli ultimare i corsi normali sarebbero stati anni sprecati, perciò venne licenziato innanzi tempo»10.

Per capire in che modo era organizzata l’Accademia di Belle Arti di Brera11 è necessario far

riferimento allo Statuto del 1802 e al Piano Didattico del 180312, i primi veri e propri regolamenti dell’Accademia. Leggendo tali documenti è possibile ricavare le notizie relative ai corsi di studio e alla vita accademica degli studenti iscritti. Nonostante i vari tentativi di cambiamento in seno all’istituzione milanese, le basi su cui sostanzialmente si resse l’Accademia negli anni furono quelle stabilite dal regolamento del 1802, con il grande passo avanti nel 1859 grazie all’accrescimento del numero dei corsi da poter seguire (per un totale di diciotto: pittura, scultura, elementi di architettura, architettura superiore, prospettiva, ornato elementare e superiore, anatomia, paesaggio, elementi di disegno e di figura, incisione, litografia, storia generale e patria, storia dell’arte a cui si aggiunse la scuola di

9 L’aspetto relativo ai premi indetti dall’Accademia di Belle Arti Brera sarà affrontato in maniera più

approfondita nel corso del capitolo.

10 Testimonianza di Cesare Tallone riportata in F.GOZZI, Identità della Galleria..., in Galleria d’arte…, cit.,

p. 32.

11 Le notizie relative all’Accademia di Brera e al suo funzionamento sono state tratte da EVA TEA,

L’accademia di Belle Arti a Brera- Milano, Felice Le Monnier Editore, Firenze 1942.

12 Le informazioni relative allo Statuto e al Piano Didattico del 1802 sono ricavate da Appendice IX- Statuto

del 1802, in E.TEA, L’accademia di Belle…, cit., pp. 284- 289, e da Appendice X- Piano Disciplinare del

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pittura di fiori tre anni dopo). Sin dal primo statuto dell’Accademia erano previsti premi e concorsi. Esistevano premi di prima classe, medaglie d’oro di valore monetario differente, che si davano per concorso per gli studi di pittura, architettura, scultura, incisione, disegno di figura e disegno di ornato; essi venivano distribuiti a tutte le Accademie ed erano assegnati da apposite commissioni. Vi erano, poi, i premi di seconda classe, medaglie d’argento del valore di due zecchini per ciascuna, da assegnare agli allievi più meritevoli in architettura, nudo, disegnatori di rilievo, modellatori di figura, scuola degli elementi di figura, ornato e prospettiva. Tra i vari premi di ricordino il premio Gavazzi che veniva conferito ad un alunno della scuola di pittura o che ne era uscito da non più di cinque anni per un dipinto di soggetto storico o biblico; il premio Stanga che veniva conferito per l’incisione all’acquaforte; il premio Hayez che consisteva in una pensione biennale da conferire al termine del corso di pittura a un giovane alunno che si era distinto e di disagiate condizioni (il premio poteva esser assegnato annualmente); il premio Bozzi Caimi che veniva assegnato nei corsi speciali di pittura e scultura per la migliore testa dipinta o modellata.

Andando avanti negli anni, nella seconda metà dell’Ottocento, la situazione esterna all’Accademia era fortemente caratterizzata dalla presenza di centri e movimenti artistici alternativi, che proponevano un’arte più libera e meno rigida di quella insegnata nell’istituzione milanese, quindi lo sforzo degli accademici in questi anni fu quello di ridare nuovo respiro all’arte soprattutto nel cercare di aprirsi agli stimoli esteri, simbolo di modernità. Diverse modifiche si ebbero ancora negli anni successivi, così dal 1879 l’Accademia fu regolata da un nuovo statuto, che prevedeva la divisione dell’insegnamento artistico in sei anni: un anno preparatorio, tre anni in comune e due anni “speciali” (soltanto l’architettura aveva quattro anni speciali e non due). Nel programma di pittura non vi era più la composizione, giudicata dannosa alle nuove tendenze “veriste”, a sottolineare come la reazione anticlassica avesse vinto su tutti i fronti e come il passato interessasse meno ai giovani studenti di Brera. Nel tentativo di creare armonia tra principi accademici tradizionali e nuove forze artistiche esterne ad essa, alcuni degli insegnanti di Brera (alcuni dei quali maestri di Bonzagni) furono capaci di mantenere vivo l’insegnamento accademico in un momento di intensi cambiamenti culturali, sostenuti da Camillo Boito, divenuto presidente dell’Accademia nel 1879. Tra queste figure, Cesare Tallone era diventato maestro di pittura («pittore feracissimo per la immediatezza e per l’eleganza dell’espressione pittorica»)13,

disciplina che insegnava con la semplicità e l’immediatezza dell’antica bottega; Giuseppe Mentessi iniziò ad insegnare prospettiva e fu ritenuto un maestro di prim’ordine soprattutto

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per il suo metodo di insegnare agli allievi attraverso il disegno; Vespasiano Bignami, ottocentista puro, disegnatore, scrittore e poeta, insegnò disegno e fu una figura di grande interesse e dal carattere sovversivo, fondatore della Famiglia Artistica.

Proprio durante gli anni in cui si formò Bonzagni, la situazione vissuta in Accademia risentiva di quel dualismo tra aperture verso la modernità e insegnamenti più tradizionali, (che in misura maggiore si avvertiva nella città di Milano a partire dalla metà dell’Ottocento) che condusse anche nelle arti a mutamenti in ambito stilistico, formale e tematico14, dei quali gli artisti di fine Ottocento inevitabilmente risentirono.

Bonzagni ebbe modo di seguire i corsi di Giuseppe Mentessi, Vespasiano Bignami e Cesare Tallone, insegnanti molto importanti per la sua formazione artistica.

Giuseppe Mentessi15 (Ferrara 1857- Milano 1931), formatosi dal 1872 all’Accademia di Parma e dal 1877 all’Accademia di Brera, è stata una figura di spicco tra gli artisti a cavallo tra Ottocento e Novecento. Venne a contatto con un ambiente di grande vitalità allora sospeso tra il legame alla tradizione accademica e l’apertura verso il rinnovamento del linguaggio artistico intrapreso prima di tutti dagli esponenti della Scapigliatura, molto influente sulla formazione delle nuove generazioni.16 All’inizio della sua formazione fu legato alla rappresentazione di interni, soprattutto di chiese, a cui applicò non tanto i rigidi schemi della prospettiva piuttosto una maggiore attenzione per il dato reale in sintonia con gli intenti di rinnovamento della pittura lombarda di fine Ottocento. La rappresentazione di vedute e di paesaggi fu una costante nella produzione del pittore, generi dai quali emerge la sua capacità di trascrivere gli elementi naturalistici, gli effetti luministici e atmosferici:

«Sembrava che la natura si confidasse a lui, gli parlasse, gli raccontasse i suoi misteri, gli svelasse le sue bellezze, lo facesse fremere e pensare là, dove gli altri passavano e non vedevano; passavano e non sentivano»17.

Accanto a questa caratterizzazione naturalistica delle città e dei paesaggi, si sottolinea talvolta anche una vena onirica e fantastica che connota le vedute urbane, realizzate in questo

14 Un contributo interessante circa tale argomento è quello di ADA MASOERO, Dalla scapigliatura al

futurismo: un percorso di modernità, in Dalla Scapigliatura al…, cit., pp. 21- 55.

15 Per approfondimenti intorno alla figura di Giuseppe Mentessi si rimanda a Giuseppe Mentessi (1857- 1931),

cat. della mostra, a cura del Comune di Ferrara, Palazzo dei Diamanti, Ferrara 1 luglio- 2 ottobre 1972, Siaca Arti Grafiche, Cento 1972; Giuseppe Mentessi. Opere nelle collezioni del Museo dell’Ottocento di Ferrara, cat. generale, a cura di Marcello Toffanello, Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, Ferrara, Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, Ferrara 1999.

16 Alcuni riferimenti al movimento scapigliato vengono fatti nelle pagine seguenti.

17 SEVERINOPAGANI, La pittura lombarda della scapigliatura, Società Editrice Libraria, Milano 1995, p.

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caso attraverso il mezzo dell’acquerello (molti sono gli esempi di “fantasie architettoniche” all’acquerello, basate sulla trasfigurazione visionaria di soggetti architettonici affidata a intensi contrasti chiaroscurali atti a evocare atmosfere inquietanti)18.

Nel 1880 ottenne presso l’Accademia di Brera l’insegnamento di disegno architettonico e di geometria elementare; dal 1887 ottenne l’incarico di primo aggiunto alla cattedra di prospettiva con l’insegnamento del paesaggio e nel 1907 divenne titolare della cattedra di prospettiva e del corso speciale di scenografia.

Un ambito della produzione di Mentessi di notevole importanza per comprendere gli sviluppi della sua pittura sul finire del XIX secolo fu quello associato alla rappresentazione delle tematiche sociali19, questioni urgenti e discusse proprio a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento. Fu un grande interprete del dolore e della fatica degli umili, che rappresentò in quella triste e faticosa quotidianità, che egli stesso aveva sperimentato durante la sua vita:

«Con un’anima così sensibile, non poteva rimanere indifferente alla fatica e al dolore degli umili: di tale sua considerazione è frutto un bel gruppo di quadri che recano tutti l’impronta del genio accanto ad una rara comprensione dell’umano soffrire e ad un suo mistico fervore […]»20.

Un esempio di accurata e profonda descrizione delle condizioni di disperazione dell’uomo è il dipinto Lagrime del 1898 (Fig. 2) realizzato in occasione della repressione dei moti milanesi del 1898, opera che segna un avvicinamento del pittore al linguaggio divisionista. L’altra figura di spicco tra gli insegnanti di Bonzagni a Brera fu Vespasiano Bignami (Cremona 1841- Milano 1929), fondatore della Famiglia Artistica milanese21, punto di ritrovo e di dibattito per gli artisti milanesi della fine del XIX secolo, soprattutto per gli scapigliati. Assecondando le sue doti di disegnatore, il padre lo fece studiare dal 1852 per quasi dieci anni con il professore Enrico Scuri, direttore della celebre Accademia Carrara di

18 BEATRICEAVANZI, Giuseppe Mentessi. L’opera pittorica, in Giuseppe Mentessi. Opere…, cit., pp. 3- 6. 19 Su un quadro generale circa le tematiche sociali affrontate da Mentessi si consiglia B.AVANZI, Giuseppe

Mentessi. L’opera…, cit., pp. 7- 12.

20 S.PAGANI, La pittura lombarda…, cit., p. 450.

21 La Famiglia artistica di Milano fu fondata nel 1870 e ebbe vita fino al 1920, grazie all’interessamento di

artisti nati in seno al movimento scapigliato e alla partecipazione di giovani artisti coinvolti nelle esposizioni organizzate dalla società. Figura di spicco nella fondazione della società è stata quella di Vespasiano Bignami, che riunì attorno a sé molti degli scapigliati e dei divisionisti nell’intento di creare un movimento artistico che coinvolgesse tutti i movimenti artistici della città di Milano, partendo dalla base scapigliata, per attraversare il Divisionismo e approdare a coinvolgere anche il Futurismo. Nonostante la serietà degli intenti, la Famiglia Artistica si contraddistinse per uno spirito libertino e canzonatorio. Per approfondimenti sulla società Famiglia Artistica di Milano si rimanda a Esposizione retrospettiva e contemporanea di Belle Arti della Famiglia Artistica, catalogo della mostra, Palazzo della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Milano 10

ottobre - 10 dicembre 1913, Alfieri & Lacroix, Milano 1913; La Famiglia artistica milanese nel centenario, prefazione di Cesare A. Carnazzi, Strenna dell'Istituto Gaetano Pini, Milano 1972.

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Bergamo; si trasferì a Milano nel 1861 e tenne dal 1893 al 1923 la cattedra per l’insegnamento della figura all’Accademia di Brera. Vissuto nell’ambiente della scapigliatura milanese, fondò la Famiglia Artistica nel 1872 per creare uno spazio di confronto e di produzione artistica per tutti quegli artisti che si sentivano vicini alle novità scapigliate e che nutrivano il desiderio di condividerle e viverle nella città lombarda:

«Vespasiano Bignami diede il meglio del suo ingegno alla Famiglia Artistica e, coadiuvato da altri artisti animosi ed eclettici […] ne fece la colonna portante delle sue geniali iniziative, anche a scopo di bene»22.

Luogo di studio e di creazione, la Famiglia Artistica fu frequentata dai pittori più rivoluzionari dell’epoca (in particolare gli scapigliati) ma non escluse conoscenti, curiosi e ammiratori che desideravano entrarvi in contatto. L’organizzazione di esposizioni e feste fu il mezzo principale per proporsi alla città di Milano e alla collettività, portandovi lo spirito di libertà artistica e costante gioiosità che la contraddistinse, fino allo scoppio della prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo, che ne decretarono la fine. In seno a questa società soprattutto gli artisti esponenti della Scapigliatura artistica milanese23 (tra tutti Tranquillo

Cremona e Daniele Renzoni)24 ebbero modo di confrontarsi e sperimentare in un ambiente stimolante, vivendo una dimensione di ricerca artistica in contrapposizione netta agli accademismi, che li portò a risultati nuovi rispetto al linguaggio figurativo della prima metà dell’Ottocento. Ebbero, inoltre, modo di indagare nuove possibilità e mezzi di espressione, che nel campo della produzione pittorica li condussero a una pittura giocata su forti contrasti chiaroscurali e ricca di impasti di colore, con il risultato di immagini più evocative che descrittive. Bignami visse l’ultima fase del movimento scapigliato milanese, condividendone lo slancio innovativo e l’energia, caratteristiche che si manifestarono poi nelle sue opere, in particolare i ritratti così vivi e energici, di cui fu particolare interprete e creatore; tra questi si ricordi quello del maestro e compositore Amilcare Ponchielli (Fig. 3),

22 S.PAGANI, La pittura lombarda…, cit., p. 573

23 Per approfondimenti sulla Scapigliatura milanese si rimanda a Mostra della Scapigliatura: pittura, scultura,

letteratura, musica, architettura, cat. della mostra, Palazzo della Permanente, Milano maggio- giugno 1966,

Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Milano 1966; La pittura lombarda…, cit.; Il segno della

Scapigliatura. Rinnovamento tra il Canton Ticino e la Lombardia nel secondo Ottocento, cat. della mostra, a

cura di Mariangela Agliati Ruggia e Sergio Rebora, Pinacoteca Cantonale Giovanni Züst, Rancate 15 settembre- 3 dicembre 2006, Silvana Editoriale, Milano 2006.

24 Per una analisi delle personalità dei pittori scapigliati si rimanda a La pittura lombarda…, cit.; Il segno

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al quale fu legato da profonda amicizia. Fu anche un grande paesista e si dilettò nell’uso dell’acquerello, appreso grazie all’esempio di alcuni grandi pittori del gruppo lombardo. Ad avere maggiore influenza sulle scelte stilistiche di Bonzagni negli anni di formazione trascorsi a Brera fu comunque il maestro Cesare Tallone25 (Savona 1853- Milano 1919). Entrò a Brera a diciannove anni e fece un brillante percorso di studi, procurandosi la stima di molti dei suoi insegnanti. Ricevette numerosi premi durante il periodo di studio presso Brera grazie alla sua pittura, che aveva la capacità di oltrepassare i limiti formali dell’accademismo e di aprirsi a contenuti più rivoluzionari. Di carattere modesto e mite, Tallone si conquistò la stima anche di molti suoi compagni, tra cui Bignami e Mentessi, suoi futuri colleghi come insegnanti a Brera; così lo ricordò Bignami parlando del carattere del giovane Tallone:

«Non posso credere che egli non avesse acquistata ormai la coscienza della propria bravura; certo non lo dimostrava. Oppure a lui pareva così naturale d’esser bravo di non valer la pena di vantarsene. Mostrando agli amici le sue opere non le commentava, non diceva mai né male né bene di se stesso. Ma se invece l’opera non era sua, ed era ella, si dava pena di farla gustare e di dividere in buona compagnia il piacere dell’ammirazione».26

Fu docente di pittura e disegno del nudo all’Accademia di Brera dal 1898 e fu molto amato dai suoi allievi a cui insegnò di perseguire la personale strada artistica, sostenendoli in questa ricerca. Fu uno dei pittori partecipanti alle attività della Famiglia Artistica sin dal momento della sua fondazione, nel 1873, e questa occasione fu per Tallone un’alternativa artistica all’Accademia, dove poter sperimentare e ricercare nell’ambito dell’arte in un clima amicale e giocoso. E sin da queste sperimentazioni Tallone si servì di un’arte che non si basava sul copiare dal vero, ma era libera e dinamica, dettata dalla volontà di trascrivere un’impressione rapida.

«[…] Non è un verista nel senso meschino e gretto in cui tale definizione viene applicata a coloro che tendono ad emulare la esatta e fredda obiettività della fotografia. La sua visione è sempre essenzialmente pittorica, e quindi trascendente e soggettiva. Egli possiede in grado eminente le facoltà che distinguono i grandi pittori di tutti i tempi: di vedere la natura con potenza, di tradurla artisticamente con energia»27.

25 Uno studio approfondito sul pittore è stato condotto dalla nipote di Cesare Tallone, Gigliola Tallone, in

GIGLIOLATALLONE, Cesare Tallone, Mondadori Electa, Milano 2005.

26G.TALLONE, Cesare Tallone, cit., pp. 12- 13.

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Sebbene la natura si collochi come punto di partenza della rappresentazione artistica del pittore, che scelse come generi prediletti il ritratto e la pittura di paesaggio28, Tallone non rinunciò a una rappresentazione immediata, vivace e ricca di suggestioni cromatiche, che diede la misura della “modernità” di un artista la cui formazione fu più tradizionalista e conservatrice:

«Quale coloritore, egli è succoso e robusto, come ogni pittore che fa dipendere il colore dal tono esatto; ricco, come ciascuno che gode nello sviluppare e esaltare i più brillanti spunti coloristici che il vero può offrire […] Tutta la produzione di Cesare Tallone reca l’impronta di un temperamento pittorico di primo ordine; dal suo insieme scaturisce una singolare impressione di energia, risultante dalla potenza d’osservazione del vero e dalla immediatezza irruente della traduzione, realizzata quasi sempre risolutamente alla prima ma in modo deciso»29.

Il ritratto fu il genere maggiormente rappresentato da Tallone, che escluse dalla sua produzione i temi di genere; realizzati con una ristretta gamma cromatica e con l’aggiunta di pochi lampi luminosi soprattutto nei particolari dell’abbigliamento, generalmente adagiati su sfondo scuro così da risaltarne la plasticità, i personaggi di Tallone si distinsero per vitalità e comunicatività. Considerato uno dei più importanti ritrattisti della sua epoca (specialmente per quanto riguarda i ritratti a figura intera) Tallone rappresentò le figure caratterizzandone i tratti psicologici attraverso una rappresentazione attenta allo sguardo o alla posa, utilizzando uno stile rapido e lucido, che richiamava per molti versi l’esperienza scapigliata di Tranquillo Cremona30, suo validissimo predecessore nel genere del ritratto e massimo esponente della Scapigliatura milanese. Infatti, sin dai suoi esordi, Cremona mostrò grandissima sensibilità per gli effetti della luce e per un cromatismo dai toni soffusi, una spiccata propensione alla sperimentazione sul colore e sul segno. Il genere del ritratto, il prediletto dal pittore, rende evidenti tali caratteri e sottolinea ancora di più le capacità di Cremona nel definire sensazioni e emozioni attraverso variegate gradazioni delle gamme cromatiche e di colori sempre più stratificati e pastosi.

28 Per un approfondimento su questi due generi trattati da Tallone, oltre al lavoro di Gigliola Tallone, si

consiglia Ritratti E paesaggi: Cesare Tallone, cat. della mostra, a cura di Don Gino Scalzi, Accademia di Belle Arti Tadini, Lovere 20 aprile- 9 giugno 1996, Accademia di belle arti Tadini, Lovere 1996.

29 A.LOCATELLIMILESI, Cesare Tallone, cit., pp. 40- 42.

30 Per approfondimenti intorno alla figura di Tranquillo Cremona si rimanda a ROSSANABOSSAGLIA,

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Se per molti versi Tallone richiamò alcune caratteristiche di Cremona (come l’attenzione al colore e la cura per gli effetti luministici) i risultati del primo mostrano il superamento delle precedenti esperienze scapigliate nel colore vibrante e tenue e nella resa di figure estremamente espressive e parlanti, molto energiche e statuarie. Uno dei dipinti che testimonia l’apice del verismo applicato al ritratto dal pittore è il Ritratto di Cesare Maironi (Fig. 4), dove la figura del collega pittore fu resa con gran vigore e molta espressività. Durante gli anni di studio a Brera, Bonzagni strinse amicizia con moltissimi suoi compagni di corso a Brera, tra cui Carlo Carrà (arrivato come studente dell’Accademia nel 1906)31, mentre la conoscenza di artisti più “progressisti”, tra cui Luigi Russolo (arrivato a Milano nel 1901 ma mai iscritto a Brera)32 e la più importante con Umberto Boccioni (arrivato nel capoluogo lombardo all’inizio del 1907)33 , conosciuti alla Famiglia Artistica, consentì a Bonzagni di ricevere e assimilare grandissimi spunti e di entrare nel vivo delle sperimentazioni artistiche in corso nella città. Il rapporto che Bonzagni instaurò con alcuni di questi artisti è importante anche ai fini di un discorso sulle opere, in particolare sui vari spunti recepiti dal pittore in questi anni e sulle rielaborazioni di quanto appreso in uno stile personale, che si fece notare già dalle primissime realizzazioni.

L’opera che segna il vero e proprio inizio della produzione pittorica di Bonzagni è l’Autoritratto del 1905 (Fig. 5), la cui datazione fu attribuita dalla sorella dell’artista, Elva, che ne riconobbe il fratello diciottenne. Il tratto rapido delle pennellate e l’accavallarsi dei colori, soprattutto sullo sfondo, la particolareggiata descrizione della fisionomia, resa realisticamente nel suo tratto melanconico, permettono di accostare l’opera ai ritratti di Tallone degli anni ’80-’90 dell’Ottocento. Nella ritrattistica di Tallone di questi anni34, in

cui la figura umana è unica padrona della tela, si riscontra, infatti, una maniera di procedere che sottolinea i contrasti e che modella viso e corpo, senza rinunciare ad alcuni “difetti” nei dettagli che indicano l’originalità dello stile talloniano nella creazione di figure che esprimono una intensa vitalità e naturalezza. Nel Ritratto del pittore Massazza (Fig. 6) del 1884 circa, Tallone realizzò una figura appena accennata tra brevi ombre e poco delineata nei contorni, ma allo stesso tempo viva e intensa per quello sguardo dimesso che spicca dallo

31 Riguardo all’inscrizione di Carrà all’Accademia di Brera, si rimanda al racconto che lo stesso pittore ne fece

in CARLOCARRÀ, La mia vita, Abscondita, Milano 2002, pp. 49- 63.

32 Per approfondimenti attorno alla figura di Luigi Russolo si rimanda a Luigi Russolo. Vita e opere di un

futurista, cat. della mostra, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Trento 27 maggio-

17 settembre 2006; Estorick Collection of Modern Italian Art, Londra 4 ottobre- 17 dicembre 2006, Skira, Milano 2006.

33 Per un approfondimento sull’arrivo di Boccioni a Milano si consiglia Boccioni a Milano, cat. della mostra,

Palazzo Reale, Milano, dicembre 1982- marzo 1983, Mazzotta, Milano 1982

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sfondo multiforme e movimentato dalle pennellate larghe e rapide, elemento quello dello sguardo ancora più significativo nel Ritratto d’uomo (Fig. 7) del 1883. Tallone riprese in questi due dipinti il naturalismo nella variante scapigliata e un esempio al quale poter fare un riferimento per mostrare la vicinanza tra i ritratti di Tallone di questo periodo e la tradizione scapigliata è il Ritratto di Benedetto Junck di Tranquillo Cremona (Fig. 8) del 1874 in cui la resa dell’intenso sguardo, la predominanza del colore sul disegno, la collocazione della figura in uno spazio non definito e la resa immediata e disinvolta del personaggio ritratto sono elementi che è possibile riscontrare anche nell’opera del maestro Tallone.

Il dipinto di Bonzagni sembrerebbe segnare una sorta di evoluzione figurativa della tradizione scapigliata del ritratto, che dalle realizzazioni di Tranquillo Cremona, passando per quelle di Cesare Tallone, giunse alle novità dell’opera del centese. In quest’opera è forte, infatti, il richiamo a tale eredità (mediata sicuramente attraverso gli insegnamenti dei maestri di Brera) soprattutto se si guarda agli elementi del volto, alla mancanza di disegno di contorno e alla resa libera attraverso i colori sulla tela. Ma in questo Autoritratto di Bonzagni la novità rispetto alla precedente tradizione figurativa scapigliata e di ascendenza talloniana deriverebbe dalla forte carica espressionista che contraddistingue l’opera così come, d’altro canto, questa componente avrebbe caratterizzato anche gran parte dell’attività artistica di Bonzagni dei successivi anni: le tonalità cromatiche molto accese e la pennellata violenta, la sovrapposizione delle tinte e la velocità d’esecuzione sono elementi che richiamano maggiormente le esperienze espressioniste di ambito estero.35

Gli esempi di ritratti e autoritratti di questi stessi anni realizzati da giovani artisti36 come Bonzagni si possono collocare in un fase di sperimentazione, dalla quale non è possibile dedurre con precisione lo stile perché sintesi in molti casi di molteplici influenze e insegnamenti. Un richiamo ad alcune delle caratteristiche descritte per Bonzagni viene avvertito, ad esempio, in Carlo Carrà nel Ritratto d’uomo (Fig. 9) del 1903; il pittore propose uno sfondo indefinito animato dal movimento di pennellate dalle tinte tenui e pacate e una figura austera e dallo sguardo fisso il cui corpo venne realizzato attraverso larghe pennellate che si sfaldano e si mescolano con lo sfondo, soprattutto nella parte finale del busto.37 Anche

35 Sui legami tra quest’opera e una tendenza espressionista si sono espressi vari studiosi, tra cui Fausto Gozzi

e Vittorio Sgarbi, rispettivamente in Galleria d’arte…, cit., p. 59, e Aroldo Bonzagni, catalogo della mostra, a cura di Vittorio Sgarbi, Ed. Mazzotta, Acqui Terme 2005, p. 24.

36 Si fa riferimento, in particolare, agli artisti che aderirono a Futurismo, che condivisero con Bonzagni gli anni

di formazione a Brera e che lavorarono soprattutto nella città di Milano.

37 In questi anni, antecedenti la partecipazione al Futurismo, Carrà sperimentò moltissimo in pittura, giungendo

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il pastello Testa di bambina (Fig. 10) del 1906 presenta un tratto concitato ed estremamente vivace con cui Carrà realizzò la testa della bambina di cui non è possibile distinguere con chiarezza i dettagli, ad esclusione di qualche elemento del volto e per le cromie fredde e pallide.

Anche qualche ritratto giovanile di Boccioni, in particolare tra quelli dal 1906 al 1909 circa, risentì di uno stile che può accostarsi a quello utilizzato da Bonzagni per l’uso della pennellata rapida e l’indefinitezza nella resa del soggetto ritratto, con forti accenti espressionisti, che Boccioni apprese agli inizi del Novecento durante il suo soggiorno romano38, soprattutto nell’utilizzo del colore e della pennellata estremamente rapida, come ad esempio il Ritratto dell’avvocato Zironda (Fig. 11) del 1906 e il dipinto Testa di vecchio (Fig. 12) del 1909.

Il richiamo a modelli internazionali fu principio comune a molti giovani artisti, i quali videro negli esempi stranieri delle fonti da poter rielaborare nelle loro opere: Boccioni si avvicinò molto all’ambiente tedesco e austriaco, in particolare a quello della Secessione austriaca e monacense, proprio durante la sua permanenza a Roma (dal 1900 fino al 1906)39. Meno influenza subì sicuramente Carrà, la cui formazione invece può considerarsi interamente italiana. Bonzagni mantenne, invece, rapporti formali e stilistici più evidenti con l’arte internazionale, in particolare quella di ambito secessionista ed espressionista; gran parte della sua produzione artistica ne risentì, infatti, sia per quanto riguarda la pittura che la grafica. Tali stimoli riguardano principalmente alcuni aspetti relativi allo stile; si può affermare che l’utilizzo di un colore forte, violento e libero sulla tela, di una pennellata larga, estremamente vivace e stesa di getto, l’uso di un tratto grafico estremamente concitato e dinamico, che rende l’immediatezza della realizzazione, e la realizzazione di figure dalla silhouette asciutta e longilinea, dalle forme svuotate e appiattite possono definirsi caratteristiche tipiche degli esempi artistici nati in seno alle Secessioni40 e all’Espressionismo41. Mezzi di fondamentale importanza per la diffusione del gusto

quelle divisioniste antecedenti la partecipazione al Futurismo. Per approfondimenti sull’opera di Carlo Carrà si rimanda a MASSIMOCARRÀ, Carrà. Tutta l’opera pittorica, Edizioni dell’Annunciata, Milano 1967.

38 Per approfondimenti sulla formazione artistica di Boccioni si rimanda a MAURIZIOCALVESI e ESTER

COEN, Boccioni, Electa, Milano 1983; Boccioni prefuturista, cat. della mostra, a cura di Maurizio Calvesi,

Ester Coen e Antonella Greco, Reggio Calabria, 1983, Electa, Milano 1983.

39 In Boccioni prefuturista, cit., pp. 16- 17

40 Per uno studio sulle varie secessioni artistiche, si rimanda a Le arti a Vienna : dalla secessione alla caduta

dell’impero asburgico, cat. della mostra, a cura di Paolo Portoghesi et alii, Palazzo Grassi, Venezia 20 maggio-

16 settembre 1984, Mazzotta Editore e La Biennale di Venezia, Milano e Venezia 1984; MARIAMAKELA,

The Munich Secession. Art and artists in Turn- of- the- Century Munich, Princeton University Press, Princeton

1990.

41 Per approfondimenti sull’Espressionismo si rimanda a PAOLO CHIARINI, L’Espressionismo. Storia e

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internazionale furono le riviste42, che certamente circolarono in Italia e negli ambienti

culturali della città di Milano; rappresentative della cultura secessionista, tra queste riviste si ricordano Pan (che iniziò a circolare dal 1895) legata maggiormente alla rappresentazione di soggetti floreali, adottando uno stile sinuoso, ondeggiante e fortemente decorativo; Jugend (dal 1896), che abbinò ad uno stile decorativo, soprattutto applicato per le lettere e i testi, un profondo simbolismo; Simplicissimus (1896), settimanale nato a Monaco, fortemente satirico nei confronti di tematiche quali la chiesa, l’interventismo militare; Ver Sacrum fondata nel 1898, fu la rivista ufficiale della secessione austriaca43. Del fatto che Bonzagni avesse conosciuto in parte queste riviste alla Biblioteca Braidense viene data testimonianza da Anselmo Bucci («Quattordici anni or sono, nel salone di lettura della Biblioteca Nazionale di Milano, un adolescente scartabellava, leggeva e sogghignava. […] Sollevava il naso dai fogli di una rivista straniera […]»)44, e da queste sembra plausibile che il pittore

avesse tratto spunti per la sua opera, in particolare disegni e illustrazioni per riviste e libri, di cui si parla di seguito.

L’altro grandissimo canale di diffusione della cultura secessionista e espressionista furono le mostre di arte internazionale promosse dalla città di Venezia. Sin dalla Prima Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia45 del 1895 fu significativa la presenza tedesca

grazie alle opere di Franz von Stuck, Josef Isräel, Max Liebermann, presenza che rimase costante anche negli anni successivi e che si avvalse di ulteriori contributi internazionali, grazie all’organizzazione di esposizioni personali. Alla Quinta Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia46 del 1903, la prima che ipoteticamente poté vedere Bonzagni visto l’arrivo nello stesso anno a Milano, le presenza di Franz von Stuck e del tedesco Max Liebermann poterono introdurre Bonzagni alle prime esperienze secessioniste. Allo stesso

espressionisti, Casa editrice Le Lettere, Firenze 1989; WOLF-DIETERDUBE, Espressionismo, Rusconi, Milano 1990; JILL LLOYD, German Expressionism. Primitivism and Modernity, Yale University Press New Haven & London, New Haven 1991.

42 Un interessante contributo circa la grafica secessionista e le riviste più influenti è Grafica

dell’Espressionismo. Dalle Secessioni al 1930, cat. della mostra, a cura di Bruno Passamani, Palazzo dei Musei,

Modena 29 aprile- 30 maggio 1972, Arti Grafiche Bassanesi, Bassano del Grappa 1971.

43 Per approfondimenti attorno a questa rivista si consiglia MARINABRESSAN,MARINODEGRASSI,

Ver sacrum: la rivista d’arte della secessione viennese 1898-1903, Edizioni della Laguna e Editoriali generali,

Mariano del Friuli e Trieste 2003.

44 Anselmo Bucci in un articolo del 15 gennaio 1919 su «Il Secolo Illustrato» parlò di Bonzagni poco dopo la

morte dell’artista di Cento. Lo ricordò giovane durante gli anni di formazione all’Accademia di Brera e ricordò questo particolare dei suoi studi presso la Biblioteca di Brera a sfogliare riviste straniere, fonte importante per l’attività illustrativa e grafica del pittore dal 1911. ANSELMOBUCCI, Aroldo Bonzagni, «Il Secolo Illustrato», a. VII, n. 2, 15 gennaio 1919, pp. 63- 64.

45 Prima Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia, 1895, catalogo dell’esposizione, Venezia 22

aprile- 22 ottobre 1895, Fratelli Visentini, Venezia 1895.

46 Quinta Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia, 1903, catalogo dell’esposizione, Venezia 22

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modo, nelle successive esposizioni veneziane le presenze internazionali resero più diretto il contatto e l’assimilazione delle tematiche predilette dagli avanguardisti, dello stile e dell’uso del colore. Alla Ottava Esposizione Internazionale47 del 1909 la mostra personale di Franz von Stuck offrì un quadro completo della sua opera, così come di notevole interesse furono le presenze alla Nona Esposizione Internazionale48 del 1910 di Edvard Munch, Emil Nolde, Max Pechstein e la grande personale di Gustav Klimt, che mostrarono i risultati maturi delle ricerche avanguardiste.

3. La crescita artistica e gli stimoli culturali durante il periodo di formazione presso l’Accademia di Brera a Milano.

Gli anni trascorsi all’Accademia furono quelli durante i quali emerse la personalità e il carattere di Bonzagni, quelli in cui egli si formò come pittore e artista.

«Cuore caldo ed anima appassionata, per la vivacità del carattere suscitava in tutti l’ammirazione. Dirò meglio: Aroldo Bonzagni era di una esemplare rettitudine artistica e di una assoluta sincerità. Non chiese, non pretese mai nulla; visse e morì povero, come povero era nato. Era, insomma, una coscienza altamente morale […]»49.

«Aroldo Bonzagni vivo era veramente buono e caro, non era presuntuoso: artista nuovo e geniale, […] non aveva per nulla, mai, spirito aggressivo e sprezzante non era mai, benché godesse allora di una considerazione ampia ed assai evidente nel confronto di tanti amici suoi; questi a loro volta non avevano di lui invidia, perché vivevano spiritualmente nel raggio della sua vita e della sua luce, della sia genialità e, aggiungerò, della sua stessa povertà nobilissima, non triste povertà; giovani pittori e scultori che interamente avevano il cuore e la mente dediti all’arte, come ad una religione per la quale erano pronti in perfetta serena coscienza, ad ogni sacrificio»50.

Con i compagni di corso Carrà e Romani, con Russolo e con l’amico di sempre Boccioni, Bonzagni godette di numerosi stimoli intellettuali e della grande influenza, non soltanto culturale, che il capoluogo lombardo era in grado di offrire:

47 Ottava Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia, 1909, catalogo dell’esposizione, Venezia 22

aprile- 31 ottobre 1909, C. Ferrari, Venezia 1909.

48 IX Esposizione internazionale della città di Venezia, 1910, catalogo dell’esposizione, Venezia 22 aprile- 31

ottobre 1910, C. Ferrari, Venezia 1910.

49 CARLOCARRÀ, Aroldo Bonzagni, Cappelli, Bologna 1972, (I ed. 1961), p. 7. 50 ALDOCARPI, in C.CARRÀ, Aroldo Bonzagni,, cit., p. 14.

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20 «[...] Bonzagni amava la vita notturna e stava con quegli artisti che la vita notturna facevano; la vivevano da artisti con tutto il pieno della loro fantasia. Carrà, Camona, Boccioni (intimissimo di Aroldo), Erba, Funi, Dudreville, Bucci, Costantini, Sironi, di notte discutevano e chiarivano le posizioni del loro spirito, delle loro aspirazioni e complicazioni, sia per il tempo presente sia per l'avvenire, per trovare un rapporto tra passato e futuro; non mancavano mai le lunghe discussioni filosofiche e morali più o meno attendibili; la politica non era quel malsano fardello che oggi macina tutti noi, dopo le grandi guerre»51.

«Bonzagni, per quanto povero, era uno degli allievi più eleganti di Brera. Seppi poi che, a parte le native attitudini, ciò si doveva al fatto che egli si forniva da un ottimo sarto, ricompensandolo con dei piccoli guazzi alla maniera di Anglada, pittore di moda allora in Italia. Le cocottes fornivano a Bonzagni gli argomenti più attraenti procurandogli presto buon nome fra la gente mondana e nell'ambiente degli artisti milanesi; lui, del resto, per la vivacità del carattere attirava la simpatia. [...]».52

Attratto dalla vita mondana milanese e dal contesto culturale di cui lui stesso faceva parte, Bonzagni riuscì a ricavare da tutto ciò gli stimoli necessari per la propria produzione artistica, facendo di qualsiasi elemento ed esperienza uno spunto da rielaborare nelle sue opere. In questo contesto così ricco di stimoli crebbe sempre più l’attenzione alle tematiche inerenti la modernità53: la società mondana, la città, i luoghi di svago iniziarono ad essere i soggetti e gli scenari prediletti per la produzione di Bonzagni. Proprio in questi anni, la riflessione artistica non si rivolse esclusivamente alla problematiche relative allo stile, ma una fortissima interrogazione fu suscitata dalle nuove tematiche da sottoporre alla collettività, ai nuovi soggetti da rappresentare. In queste premesse si riscontra ovviamente una vicinanza molto forte tra Bonzagni e gli artisti futuristi, anche se differenti furono le soluzioni formali adottate, che rappresentano poi la reale distanza tra il pittore e il Futurismo. Il rapporto con la città rappresentò un nodo centrale della poetica futurista un tema, questo, che si prestò benissimo ad esprimere il continuo movimento e divenire della modernità: le trasformazioni sociali ed economiche, dell’architettura delle metropoli, l’idea stessa di abitare la città in maniera diversa iniziarono ad essere gli argomenti chiave di una parte della

51 Ivi p. 15.

52 C.CARRÀ, La mia vita, cit., p. 54.

53 Per avere un quadro maggiormente completo delle tematiche più affrontate dagli artisti si consigliano i testi

ENRICOCRISPOLTI, Storia e critica del Futurismo, Editori Laterza, Bari 1986; Futurismo. I grandi temi 1909- 1944, cat. della mostra, a cura di Enrico Crispolti e Franco Sborgi, Palazzo Ducale, Genova 17 dicembre

1997- 8 marzo 1998 e Fondazione Antonio Mazzotta, Milano 29 marzo- 28 giugno 1998, Mazzotta Editore, Milano 1997; Futurismo 1909- 2009, Velocità + Arte + Azione, cat. della mostra, a cura di Giovanni Lista e Ada Masoero, Palazzo Reale, Milano 6 febbraio- 7 giugno 2009, Skira, Milano 2009.

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produzione futurista. Allo stesso modo il tema della velocità e del dinamismo vennero ad esser incarnati dai mezzi di trasporto moderni (macchine e treni), simboli concreti delle innovazioni tecnologiche atte ad una visione e fruizione nuova della città. La vita moderna, nelle sue molte sfaccettature, venne rappresentata e mostrata sotto lenti nuove, le lenti della modernità; i futuristi scelsero di rappresentare la realtà contemporanea esaltandone quei valori essenziali per il loro concetto di modernità (velocità, dinamismo, ricostruzione del mondo), Bonzagni invece trascrisse la realtà scandagliandola dal suo interno, mostrandone gli aspetti più intimi e nascosti, utilizzando per lo più un atteggiamento ironico e a tratti canzonatorio, dal quale era possibile ricavare una visione diversa, inedita e sicuramente originale.

Un pittore (citato da Carrà nella testimonianza precedente sul pittore)54 a cui fu molto vicino Bonzagni relativamente a questa particolare interpretazione della realtà e ai mezzi stilistici per rappresentarla, la cui analisi risulta di grande rilevanza per valutare gli ulteriori stimoli artistici del giovane pittore, è stato Hermenegild Anglada I Camarasa55 (1871- 1959), pittore spagnolo nativo di Barcellona. Nei primi anni del Novecento gli artisti spagnoli, tra cui lo stesso Anglada, Zuloaga, Sorolla, godettero di enorme fortuna in Italia, attraverso le esposizioni alle Biennali veneziane, nelle quali furono molto apprezzati. Anglada partecipò alle Esposizioni Internazionali della città di Venezia del 190356 con Gitane e In teatro, nel

190557 esponendo Cavallo e gallo, Danza gitana, Fiori della notte, Fiori del male, Campi elisi, Lucciole, Mur ceramique (Fig. 13), Pavone bianco, Ristoratore di notte, Vecchia gitana venditrice di melegrane, nel 190758 con Fra le rose, nel 191459 con una sala personale a conferma dell’enorme valore attribuitogli in Italia.

Sin da giovanissimo Anglada partecipò a esposizioni di enorme prestigio, come l’Esposizione Universale di Barcellona del 1888, dove emerse per l’interesse spiccato verso il dato naturalistico, il dettaglio descrittivo, la ricchezza e la vivacità cromatica, caratteristiche che lo accompagnarono lungo la produzione dei primi anni del Novecento. Il

54 Vedi nota 52.

55 Per approfondimenti attorno alla figura del pittore spagnolo si consiglia FRANCESC FONTBONA e FRANCESC MIRALLES, Anglada- Camarasa, Ediciones Polígrafa, Barcellona 1981. Per un quadro d’insieme dei pittori spagnoli contemporanei a Anglada si rimanda a MARCOLORANDI, Dalla tradizione

alla tradizione: Rusiñol, Sorolla, Zuloaga, Anglada e la pittura della reiberizzazione in Spagna, 1874-1945,

Baroni editore, Viareggio 2000.

56 Vedi nota 46 per riferimento bibliografico del catalogo dell’esposizione.

57 Sesta Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia, 1905, catalogo dell’esposizione, 22 aprile- 31

ottobre 1905, C. Ferrari, Venezia 1905.

58 Settima Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia, 1907, catalogo dell’esposizione, 22 aprile-

31 ottobre 1907, C. Ferrari, Venezia 1907.

59 XI Esposizione internazionale della città di Venezia, 1914, catalogo dell’esposizione, 15 aprile- 31 ottobre

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trasferimento a Parigi nel 1897 gli consentì di entrare a far parte del mondo dei caffè, del cabaret, della vita mondana parigina, temi che diventarono centrali nella sua produzione pittorica. La notorietà in Italia arrivò grazie alla sua partecipazione alle Biennali di Venezia e all’Esposizione Internazionale di Roma nel 1911, nella quale venne organizzata una mostra personale che, nonostante lo scandalo e le polemiche suscitate, riscosse un enorme consenso.

«[…] L’arte d’Hermen Anglada y Camarasa, così originale, […] suscita l’entusiastica ammirazione di coloro che amano invece il bello caratteristico ed espressivo, che desiderano la rappresentazione degli spettacoli della vita moderna, la cui realtà sia sintetizzata ed intensificata dallo spirito di osservazione e di riproduzione dell’artista, e che sono profondamente convinti che la pittura sia fatta sopra tutto per la gioia degli occhi»60.

Il pittore spagnolo ha potuto influenzare molto l’opera di Bonzagni soprattutto nella scelta dei temi e del colore come strumento espressivo principale: la partecipazione alla vita contemporanea venne catturata da entrambi nei dipinti di interni dei luoghi di ritrovo (come caffè, teatri, ippodromi, ecc.) della borghesia cittadina (di Parigi lo spagnolo, di Milano Bonzagni), nelle descrizioni dei tipi umani e delle loro abitudini sociali; si può, inoltre, notare in entrambi una tensione ad una rappresentazione talvolta canzonatoria di ciò che li circonda nella sottolineatura degli aspetti più ironici e ridicoli, quasi caricaturali.

Nel dipinto che segnò l’apice della sua pittura al termine del soggiorno parigino, Le paon blanch (Fig. 14) del 1904, esposto alla Biennale di Venezia del 190561, Anglada descrisse minuziosamente il contesto elegante di un caffè-concerto durante le ore serali, in cui si trovano le figure che emergono dallo sfondo perché messe in risalto dal bagliore della luce. L’attenzione al dettaglio, tipica di Anglada, è stata accentuata grazie all’utilizzo di questa luce che investe le figure; ad esempio, la figura femminile in primo piano, adagiata su un’agrippina, con un abito dorato e lavorato, dalle cromie tenui, è stata messa in risalto proprio dalla luminosità diffusa e improvvisa che la investe.

La volontà di descrivere la vita contemporanea attraverso l’utilizzo di un colore molto comunicativo, la particolare attenzione alla figura femminile colta nei tipici atteggiamenti e movenze propri dell’ambiente mondano e la descrizione dei luoghi di ritrovo e di svago della società moderna possono essere sicuramente forti punti di contatto tra i due pittori e sicuramente premesse fondamentali per la produzione di Bonzagni a partire dal 1910.

60 VITTORIOPICA, Artisti contemporanei: Hermen Anglada y Camarasa, «Emporium», a. XXI, n. 126,

giugno 1905, pp. 424- 425.

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3. 1 La produzione artistica durante gli anni di formazione a Brera.

Della produzione pittorica degli anni compresi tra il 1903 e la fine degli studi a Brera nel 1908, si conoscono soltanto pochissime opere.

Oltre al già citato Autoritratto del 1905, si segnala un secondo Autoritratto (Fig. 15) la cui datazione risulta incerta62. Del 1908 è il disegno ad inchiostro nero Ritratto della madre (Fig. 16) su cui è interessante soffermarsi grazie all’accostamento con lo stile e il tema tanto trattato da Boccioni. Bonzagni fu grande amico di Boccioni sin dal suo arrivo a Milano nel 1907; nell’autunno di quest’anno, infatti, si trasferì nella città lombarda dopo il distacco da Roma nel 1906 e la permanenza breve a Padova (dove vivevano la madre e le sorelle). Al suo arrivo rimase profondamente attratto dalla vita cittadina ma l’ambiente artistico che trovò non fu per lui stimolante, perché troppo chiuso all’innovazione e alla sperimentazione fino a quel momento; rimase colpito dai divisionisti, in particolare Previati. Non fu studente dell’Accademia di Brera e questo gli permise di distaccarsi dalla tradizione o meglio di non farne parte, maturando in sé la volontà di effettuare un cambiamento della condizione artistica in città. L’incontro con artisti più giovani e desiderosi di attuare uno stravolgimento delle premesse artistiche (importanti i casi di Romani, Carrà e dello stesso Bonzagni) spinse Boccioni ad occuparsi in prima linea del nascente movimento futurista in Italia e nella stessa città di Milano.63 Nella produzione grafica di disegni e illustrazioni (che in questo punto

interessa approfondire per i contatti con quella di Bonzagni) Boccioni risentì fortemente del richiamo ad esempi internazionali, legati sia alla secessione, con la quale entrò in contatto fin dalla permanenza romana, che alle esperienze francesi di Toulouse- Lautrec e Daumier, recepiti durante la permanenza parigina nel 1906.64 Molte sono, infatti, le caratteristiche che legano i disegni di Boccioni alle esperienze estere, come il tratto estremamente concitato del disegno, la realizzazione di figure dalla silhouette asciutta e longilinea, tipica dei disegni

62 La datazione di questa opera nel catalogo in cui è stata pubblicata, Aroldo Bonzagni, catalogo della mostra,

a cura di Fortunato Bellonzi, Galleria Civica Campione d’Italia, luglio- agosto 1983, Campione d’Italia 1983, corrisponderebbe al 1909. La datazione che, invece, viene attribuita da Fausto Gozzi, attuale direttore della Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni di Cento, corrisponderebbe al 1907, in F.GOZZI, Identità della

Galleria…, cit., in Galleria d’arte…, cit., p.34.

63 Per approfondimenti relativi all’attività di Boccioni all’arrivo a Milano si consiglia: Boccioni a Milano, cat.

della mostra, Palazzo Reale, Milano, dicembre 1982- marzo 1983, Mazzotta, Milano 1982; M.CALVESI,E. COEN, Boccioni, cit.; MAURIZIOCALVESI,ESTERCOEN, Boccioni. L’opera completa, Mondadori Electa, Milano 1983.

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