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La percezione della qualità del vino da parte del consumatore attraverso l'applicazione della choice based conjoint

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA IN MARKETING E RICERCHE DI

MERCATO

Dipartimento di Economia e Management

TESI DI LAUREA

LA PERCEZIONE DELLA QUALITÀ DEL VINO DA PARTE

DEL CONSUMATORE ATTRAVERSO L’APPLICAZIONE

DELLA CONJOINT ANALYSIS

Relatore:

Prof. Roberto Sbrana

Candidato:

Alessandro Lamia

(2)
(3)

I

Indice

Premessa ... 1

PRIMO CAPITOLO - Dinamiche del mercato vitivinicolo ... 4

1.1. Introduzione ... 4

1.2. Il mercato mondiale ... 5

1.2.1. Produzione e struttura imprenditoriale ... 5

1.2.2. I consumi di vino ... 8

1.2.3. Gli scambi internazionali ... 10

1.3. Il mercato italiano: l’offerta ... 13

1.3.1. Produzione e struttura imprenditoriale ... 13

1.3.2. I nuovi competitor nel mercato del vino ... 16

1.3.3. Strategie di marketing per il conseguimento di un forte vantaggio competitivo ... 19

1.4. Il mercato italiano: la domanda ... 22

1.4.1. L’evoluzione dei consumi ... 22

1.4.2. La Grande Distribuzione Organizzata ... 25

1.5. Considerazioni conclusive sul mercato vinicolo italiano e analisi SWOT ... 28

1.5.1. L’analisi SWOT ... 29

SECONDO CAPITOLO - Il comportamento d’acquisto nel settore vitivinicolo ... 31

2.1. Introduzione ... 31

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II

2.2.1. Il contributo dell’economia alla teoria del comportamento del

consumatore: alcuni richiami ... 32

2.2.2. Limiti della teoria neoclassica ... 35

2.2.3. Il contributo della psicologia alla teoria del comportamento del consumatore ... 36

2.2.4. Il contributo della sociologia alla teoria del comportamento del consumatore ... 36

2.3. Il processo decisionale d’acquisto del consumatore ... 38

2.3.1. Asimmetria informativa ... 38

2.3.2. La qualità del prodotto vino ... 40

2.3.3. La percezione della qualità ... 41

2.4. Il prodotto vino come paniere di attributi ... 44

2.4.1. Gli attributi sensoriali, chimici e climatici ... 45

2.4.2. Gli attributi oggettivi ... 46

2.4.2.1. Il prezzo ... 47

2.4.2.2. La denominazione d’origine ... 48

2.4.2.3. La marca del produttore ... 49

2.4.2.4. La bottiglia ... 51

2.4.2.5. Il colore ... 52

2.4.2.6. La reputazione ... 52

2.5. Il comportamento del consumatore ... 53

2.5.1. L’evoluzione del consumatore ... 53

2.5.2. Caratteristiche personali che influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori ... 54

2.5.2.1. I fattori culturali ... 54

2.5.2.2. I fattori sociali ... 56

2.5.2.3. I fattori personali ... 57

2.5.2.4. I fattori psicologici ... 58

(5)

III

TERZO CAPITOLO - L’indagine campionaria: Metodi ... 63

3.1. Introduzione ... 63

3.2. Il quadro di campionamento ... 63

3.2.1. Caratteristiche strutturali del territorio oggetto di studio ... 63

3.2.2. Obiettivi e ipotesi di ricerca ... 64

3.2.3. Popolazione di riferimento e unità di campionamento ... 65

3.2.4. Le aree geografiche ... 66

3.2.5. Il campionamento ... 67

3.2.5.1. Primo stadio: i punti vendita ... 67

3.2.5.2. Secondo stadio: gli individui ... 68

3.3. Strumenti di rilevazione: il questionario ... 68

3.3.1. Creazione del questionario ... 68

3.3.2. La prima indagine test ... 69

3.3.3. L’indagine test ... 69

3.3.4. Il questionario ... 70

3.3.5. Tipi di intervista ... 71

3.3.5.1. Intervista faccia a faccia ... 72

3.4. La conjoint analysis: definizione ed evoluzione della metodologia ... 73

3.4.1. Tipologie di conjoint analysis: un confronto ... 76

3.4.2. Analisi del comportamento del consumatore: attraverso la Choice based conjoint ... 81

3.4.2.1. Struttura dell’indagine ... 81

3.4.2.2. Definizione di attributi e livelli ... 82

3.4.2.3. Esperimenti di scelta ... 83

3.4.3. La realizzazione delle interviste ... 86

QUARTO CAPITOLO - L’indagine campionaria: I risultati 1 ... 88

4.1. Introduzione ... 88

4.2. Analisi dei dati ... 88

4.2.1. Distribuzione delle singole variabili ... 89

(6)

IV

QUINTO CAPITOLO - L’indagine campionaria: I risultati 2 ... 119

5.1. Introduzione ... 119

5.2. L’utilizzo del software SAWTOOTH ... 119

5.2.1. Raccolta dati tramite questionario cartaceo ... 120

5.3. Risultati della ricerca ... 121

5.3.1. Grado di importanza relativa di ciascun attributo ... 125

5.3.2. Profilo ideale ... 129 Conclusione ... 130 Ringraziamenti ... 134 Bibliografia ... 135 Sitografia ... 140 APPENDICE A: Questionario ... 141

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1

Premessa

Il termine vino deriva dal verbo sanscrito vena (amare), che fa riferimento all’antica radice indoeuropea wino, cui sono legate anche le espressioni greche

oinos e voinos e la parola latina vinum. L'Italia è il paese al mondo con la più

antica tradizione enologica. Basti pensare, infatti, che uno dei nomi attribuiti dagli antichi Greci alla nostra penisola era appunto Enotria, cioè la terra del vino. Il vino è uno degli ambasciatori dell'Italia nel mondo e l'enogastronomia rappresenta uno dei principali fattori di identificazione del nostro Paese all'estero e si inserisce a tutti gli effetti in quel vasto complesso di elementi che costituisce il patrimonio culturale nazionale, componente primaria delle attrazioni turistiche della nostra Nazione1. Il vino è un prodotto degno di interesse sotto molteplici aspetti. Ai risvolti storici, culturali, sociali, psicologici, si aggiunge la particolarità delle sue proprietà, in parte legate al contenuto alcolico, che l’hanno spesso portato al centro del dibattito politico e scientifico. Alla storia millenaria del vino si contrappone invece la recente affermazione, in ambito di management aziendale, in quanto le dinamiche dei consumi e il comportamento del consumatore sono oggetto di un’attenzione crescente, per due ragioni principali: i loro mutamenti e la crescente attenzione al cliente da parte delle aziende. Il surplus produttivo e l’intensificarsi della competitività nel settore inducono, infatti, le imprese a conoscere i loro clienti e a cercare di adattare l’offerta alle loro esigenze. Quest’orientamento è alla base del successo dei vini del Nuovo Mondo e sta iniziando ad essere recepito anche in Europa. L’Italia ricopre una posizione di tutto rispetto nel panorama mondiale: infatti è il secondo paese produttore e il terzo consumatore, primo esportatore in quantità e secondo esportatore in valore. I dati sulle vendite possono mostrare come i consumatori reagiscono di fronte ai prodotti esistenti, ma non sono sufficienti per delineare una struttura di preferenze che contempli anche prodotti non presenti sul mercato e per distinguere l’importanza delle

1 Unwin T., (1993), “Storia del vino: geografie, culture e miti dall’antichità ai giorni nostri”, Donzelli editore, Roma p. 60.

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2

singole caratteristiche del prodotto. Inoltre è raro poter disporre di informazioni personali sui compratori, congiuntamente a quelle sulle vendite; eppure il collegamento fra tratti socio-economici, comportamenti e preferenze degli acquirenti è fondamentale nella comprensione del consumatore e nell’elaborazione di strategie di marketing mirate ad adeguare l’offerta alla clientela. Risulta dunque evidente la necessità e l’importanza di approfondire questi temi, attraverso ricerche scientifiche e di mercato. L’obiettivo del

presente lavoro è proprio lo studio del comportamento del consumatore italiano di vino, focalizzando l’attenzione sull’influenza degli attributi del prodotto. Per questo si è provveduto innanzitutto a raccogliere e descrivere

tutte le informazioni attinenti l’argomento, siano essi dati di mercato o ricerche scientifiche. In seguito lo strumento dell’analisi conjoint, tramite la tecnica degli esperimenti di scelta, è stato selezionato per effettuare un’indagine su un campione di acquirenti di vino. Coerentemente a questi due approcci, la tesi è composta da una parte generale che descrive la situazione dei mercati e, i fondamenti economici dell’analisi della domanda nel settore vitivinicolo; vi è poi una parte una seconda parte che consiste nella descrizione e commento dei dati ottenuti dall’analisi empirica. Scendendo più nel dettaglio, il primo capitolo si incentra su una rassegna di dati sulla domanda e sull’offerta nel settore vitivinicolo, ponendo l’accento sui processi di internazionalizzazione sia produttivi che commerciali. L’affermazione di nuovi Paesi produttori che si affiancano a quelli tradizionali, l’emergere di nuovi mercati di sbocco, la necessità di effettuare una ricerca produttiva sulla qualità rispetto alla quantità appare sicuramente un aspetto rilevante, e ciò è dimostrato dal fatto, che viene trattato ampiamente nei testi di carattere economico e statistico. Da questa prima analisi emergono alcuni importanti elementi: 1) l’aumentata competitività dei mercati vitivinicoli, a seguito della loro saturazione e globalizzazione; 2) il crescente orientamento al cliente da parte delle imprese, nell’ambito delle strategie di marketing; 3) l’affermazione, nei mercati tradizionali, di nuovi modelli di consumo.

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3

Il secondo capitolo si occupa della domanda del vino da un punto di vista più speculativo. In apertura si parla quindi del processo decisionale d’acquisto del consumatore. In seguito la riflessione si sposta sul prodotto vino: viene delineato lo stato dell’arte della letteratura economica inerente la qualità di questo bene, dagli attributi che concorrono a definirla. L’attenzione passa poi dal prodotto al comportamento del consumatore, con accenni alla sua evoluzione e alle motivazioni socio-psicologiche che influenzano il comportamento d’acquisto del consumatore. Il terzo capitolo apre la sezione della tesi dedicata all’indagine campionaria, con la descrizione dei risvolti pratici e metodologici: dal campionamento alle modalità di rilevazione, dalla struttura dei questionari all’esperimento do scelta attraverso la Choice based

conjoint. Gli ultimi due capitoli espongono i risultati dell’indagine, che sono

stati suddivisi in una parte prevalentemente descrittiva, basata su domande a risposta multipla, che rilevano caratteristiche socio-demografiche, abitudini di acquisto e di consumo, opinioni e atteggiamenti con riferimento al prodotto vino, e una parte relativa alla Choice based conjoint, dove si tenta di valutare il peso relativo di quattro attributi del vino (marca, denominazione, indicazione dei vitigni in etichetta, prezzo) sulle scelte dei consumatori. Oltre ai singoli attributi, vengono considerate anche le loro interazioni e le caratteristiche personali degli intervistati.

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PRIMO CAPITOLO

Dinamiche del mercato vitivinicolo

1.1. Introduzione

Negli ultimi trenta anni il mercato vinicolo mondiale ha subito profondi mutamenti, che ne hanno modificato la struttura produttiva e l’organizzazione. Sono cambiati l’offerta dei prodotti, le dinamiche degli scambi internazionali, i circuiti di commercializzazione, nonché la domanda e le aspettative dei consumatori. Il settore sta abbandonando la sua connotazione prevalentemente agricola e si configura sempre più come un’importante industria, caratterizzata da alti livelli di competitività. Nel mercato mondiale, descritto nel paragrafo 1.2, vanno segnalati soprattutto l’intensificarsi del commercio di vino e l’emergere di nuovi attori; in Italia, come illustreranno i paragrafi 1.3 e 1.4, oltre agli effetti dei cambiamenti su scala globale, vanno rilevate la forte contrazione nei consumi e le difficoltà dell’industria ad adattarsi alla nuova situazione. Spesso il nuovo scenario competitivo viene interpretato troppo semplicisticamente sulla base della dicotomia fra paesi del Vecchio e del Nuovo Mondo del vino. Questa chiave di lettura rischia però di semplificare una realtà complessa e articolata. Potrebbe essere più corretto riconoscere invece una contrapposizione fra un gruppo di imprese (localizzate nel Vecchio

e nel Nuovo Mondo), che perseguono delle “strategie marketing oriented,

risultate vincenti nei confronti delle imprese rimaste ancorate ad un concetto autoreferenziale di qualità e con insufficiente attenzione alla domanda e ai clienti2”

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1.2. Il mercato mondiale

1.2.1. Produzione e struttura imprenditoriale

Al pari di altri settori e prodotti, il comparto viticolo, negli ultimi decenni, ha subito sostanziali cambiamenti in virtù dei quali oggi non è corretto interpretarlo unitariamente, ma appare più opportuno riferirsi ad esso come ad un insieme articolato di offerta ove sono presenti differenti forme e tipologie di prodotto cui rispondono altrettante dinamiche della domanda.

Ciò, in effetti, risponde a quanto accaduto in altri comparti economici anche se, come spesso accade, si sono sviluppate tipologie comportamentali specifiche che rendono unica questa categoria merceologica. A fianco dei Paesi che, per tradizione millenaria, trattano il vino (in primis Italia e Francia) oggi ritroviamo “nuove” realtà (si pensi all’Australia, al Cile, agli U.S.A: ), le quali, grazie soprattutto ad un approccio manageriale, hanno saputo modificare l’impostazione tipica che caratterizzava la gestione delle imprese vinicole3. Attualmente la superficie vitata mondiale è stata stimata, per l’anno 2012, intorno ai 7585 mila ettari4, in seguito a provvedimenti di natura politica e alla contrazione dei consumi. Esaminando il (Graf. 1.1) si rileva come la produzione di vino nel mondo, pari a 248 milioni di ettolitri, abbia mostrato un calo del 6% nel 2012 rispetto al 2011 e che il trend di lungo periodo mostri un continuo calo dei volumi (salvo un picco di 283 milioni di ettolitri nel 2006).

2 Pomarici E., (2005), “Il mercato mondiale del vino: tendenze, scenario competitivo e dualismo tra vecchio e nuovo mondo”.

3 Fait M., (2008), “Competitività e sviluppo dei territori del vino”, Cacucci, Bari pp.15-16. 4 Fonte: dati Istat.

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Grafico. 1. 1. Produzione mondiale di vino 2004-2012 (in milioni di ettolitri)

produzione di vino mondiale; 248,2 230 240 250 260 270 280 290 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Fonte: OIV.

La spiegazione di questi dati è piuttosto semplice: si produce meno vino non soltanto perché l’Europa continua nel percorso degli espianti (oltre a una annata climaticamente avversa), ma anche perché l’onda lunga della crescita degli altri paesi nel mondo si è esaurita. Analizzando il dato delle produzione in termini percentuali (Graf. 1.2), si nota come nel 2012 il 66,5% della produzione mondiale di vino sia garantito dall’Europa ed il 19% dall’America.

Grafico. 1.2. Ripartizione della produzione mondiale di vino per continente anno 2012 (valori percentuali)

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Esaminando tali dati percentuali in termini di tendenza, si osserva che dalla seconda metà degli anni ʾ90 ad oggi la posizione di assoluta supremazia delle produzioni europee è andata ridimensionandosi in favore delle produzioni asiatiche ed australiane.

Alla fine degli anni ʾ90 la produzione mondiale di vino era per il 73,1% di provenienza europea, mentre la produzione americana era di poco inferiore al 18% e quelle dell’Asia e dell’Oceania si attestavano complessivamente intorno al 3,5% e al 2,2%. Nel 2012, mentre la quota del continente americano è rimasta sostanzialmente stabile, la consistenza delle produzioni asiatiche ed australiane è aumentata in modo significativo giungendo rispettivamente a livelli del 6% e 4%. La produzione di vino in africa si è mantenuta essenzialmente stabile, con una quota mondiale del 3,8%.5.

La struttura produttiva del settore vitivinicolo mondiale appare oggi estremamente differenziata e presenta tratti che la distinguono da altre industrie delle bevande e agroalimentari. Innanzitutto moltissime aziende sono di piccola dimensione, talvolta a conduzione familiare, e si occupano di tutti gli stadi della produzione e commercializzazione; questa tipologia d’impresa è evidente in Europa, infatti molte società e cooperative sono organizzate in questo modo.

Alle imprese di dimensioni ridotte se ne affiancano altre di dimensioni maggiori, che possono essere inquadrate in due tipologie. Esistono grandi aziende nazionali, che a partire dagli anni novanta hanno avviato processi di internazionalizzazione delle attività produttive o distributive, attraverso joint-venture oppure investimenti diretti all’estero. Gli esempi in tal senso sono numerosi: gli investimenti della spagnola Miguel Torres in Cile e in altri paesi, sia per la produzione sia per aprire nuove reti commerciali, quelli di Castel Frères nel Magre, le associazioni di Bacon Philippe de Rothschild con Mondavi e con varie aziende cilene. I profili e le strategie aziendali dipendono fortemente dal paese d’origine. Una seconda tipologia, per le aziende di grandi

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dimensioni, è quella delle global company, grandi gruppi internazionali che trattano anche altri tipi di bevande. Le principali sono Piago, Perno Richard, LVMH, Bacardi - Martini e Maxxium. Esse dispongono di reti commerciali sviluppate e di marchi internazionalmente riconosciuti; rappresentano in un certo senso l’evoluzione delle grandi aziende nazionali, sia vinicole sia di altre bevande6. Uno dei fattori che stanno contribuendo a rafforzare le grandi imprese è il cambiamento nelle strutture distributive dei beni di largo consumo, che si manifesta anche per il vino. La quota di vendite di vino che passa attraverso la grande distribuzione supera oggi il 60% in tutti i paesi occidentali. Diventa dunque fondamentale possedere gli strumenti e le capacità per rifornirla e per negoziare con essa. Va ricordato che comunque la rete distributiva del vino è particolarmente varia e articolata, con ampie percentuali delle vendite effettuate direttamente in azienda e nel canale Ho.Re.Ca. e, in minor misura, in negozi specializzati.

1.2.2. I consumi di vino

Il consumo di vino, non da meno di altri alimenti, ha registrato negli ultimi anni profondi cambiamenti. La funzione alimentare del vino, di completamento del pasto, si è nel tempo svilita a favore della degustazione carica di significati socio-culturali e di valenze edonistiche. Tale cambiamento è, principalmente, ascrivibile alle modificazioni che hanno subito le abitudini quotidiane delle persone e ai diversi stili di vita che ne sono scaturiti. Un ruolo fondamentale ha avuto, e tuttora continua ad avere, anche la crescente sensibilizzazione verso un miglioramento della qualità della vita. Le campagne contro l’alcolismo, per un verso, e la maggiore attenzione per i contenuti salutistici e culturali dei prodotti, per l’altro verso, hanno contribuito a condizionare significativamente i consumi di vino. Ricerca consapevole del gusto, emulazione delle classi sociali più elevate, sicurezza alimentare, attaccamento alle tradizioni storiche e culturali: questi sono alcuni dei nuovi

6 Cardinali S., Palionari M., Gregori G. L., (2010), “Piccole imprese vitivinicole e un nuovo approccio al marketing integrato”, Franco Angeli, Milano pp. 44- 46.

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bisogni che i consumatori cercano di soddisfare attraverso il vino. Spesso, poi, le esigenze dei consumatori sono articolate e danno, perciò, luogo ad una domanda differenziata. Gli effetti delle succitate tendenze sui consumi di questa bevanda sono stati sia quantitativi che qualitativi. Da un lato, infatti, si è registrato un decremento nel consumo di vino, dall’altro lato, invece, c’è stato uno spostamento dei gusti dei consumatori verso vini di qualità. Sembra opportuno precisare, infatti, che il calo di consumi ha riguardato soprattutto i vini di bassa qualità, mentre il segmento di mercato del vino di elevata qualità è in costante crescita7. Approfondendo l’analisi degli effetti quantitativi dell’evoluzione della domanda di vino, si nota che il decremento del consumo è ben visibile su scala mondiale. Analizzando il dato dei consumi mondiali di vino in termini percentuali (Graf. 1.3), è possibile evidenziare che:

Grafico. 1.3. Ripartizione percentuale dei consumi mondiali di vino per continente anno 2012

Fonte: OIV.

– l’Europa con una quota mondiale dei consumi pari al 64,9%, occupa il primo posto come continente consumatore, ma la tendenza in atto è di una progressiva e lenta diminuzione nei consumi. Infatti, nella seconda parte degli anni ʾ90, la quota mondiale dei consumi riferiti all’Europa

7Marangon F., Moretti A., Zoccomer G. P.,(2000),”Economia e management del vino”. G. Giappichelli, Torino pp. 168-169.

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era il 72,1%. L’Europa è comunque caratterizzata da tendenze interne molto diverse a livello di singoli Paesi, mostrando cali generalizzati nei Paesi tradizionalmente produttori di vino8 ed incrementi nei consumi nei Paesi PECO e nell’ex Unione Sovietica;

– l’America, con una quota mondiale dei consumi per il 2012 pari al 21%, rappresenta il secondo continente consumatore di vino. Questa progressione positiva è imputabile prevalentemente ad un incremento nei consumi negli Stati Uniti che, dal 2006 al 2012, registrano un +19,8%;

– l’Asia rappresenta il terzo continente consumatore di vino, raggiungendo una quota mondiale pari all’8%, Questo continente rappresenta il maggior polo di crescita dei consumi della seconda metà degli anni ʾ90 al 2012, essendo passato da 5,098 milioni di ettolitri di vino consumati a 17,000 milioni di ettolitri (ovvero triplicando i propri consumi);

– l’Africa e l’Oceania, con rispettivamente 3,5 e 5,3 milioni di ettolitri di vino consumati, stanno aumentando la loro quota di consumo a livello mondiale. Entrambi i continenti registrano nel 2012 rispettivamente un’evoluzione positiva del 3%9

.

1.2.3. Gli scambi internazionali

Le considerazioni sin qui esposte sono strettamente correlate all’intenso e continuo processo di internazionalizzazione che sta interessando il settore. Se si considera il periodo 1970-2011, si nota che mai prima di ora, gli scambi internazionali avevano raggiunto quasi 100 milioni di ettolitri come totale delle esportazioni mondiali. Secondo elaborazioni Ismea su dati Gti i volumi hanno segnato una progressione importante rispetto al 1995 con un volume medio di 58,7 milioni di ettolitri, nel 2005 hanno raggiunto 82.4 milioni di ettolitri. Quindi, nonostante una delle peggiori crisi economiche a livello

8 In prevalenza Italia e Spagna.

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mondiale, la domanda di vino non solo ha tenuto ma è addirittura aumentata. Sebbene ad oggi la crisi economica non possa certo dirsi terminata, il mercato mondiale del vino, già a partire dal 2010, ha ricominciato ad esprimere una certa vitalità. Le importazioni sono infatti in forte ripresa in quasi tutti i principali mercati, seppure con dinamiche differenti da Paese a Paese10. A tale proposito la Tabella.1.1, di seguito riportata evidenzia la crescita della propensione all’importazione.

Tabella. 1.1. I principali Paesi importatori di vino

Ettolitri Milioni di euro

gen-set 2011 gen-set 2012 var.% gen-set 2011 gen-set 2012 var.%

Stati Uniti 7.037.820 8.479.848 20,5 2.457 2.843 15,7 Regno Unito 9.366.731 8.610.318 -8,1 2.349 2.551 8,6 Germania 11.872.015 11.223.928 -5,5 1.651 1.686 2,1 Canada 2.608.297 2.789.868 7,0 965 1.117 15,8 Cina 2.681.741 3.065.169 14,3 730 925 26,7 Giappone 1.501.931 1.903.925 26,8 633 852 34,5 Belgio 2.311.668 2.290.901 -0,9 637 669 5,0 Svizzera 1.387.549 1.390.585 0,2 575 634 10,3 Paesi Bassi 2.409.807 2.516.551 4,4 572 599 4,8 Russia 3.210.277 3.307.557 3,0 392 517 32,0 Francia 4.935.053 4.377.247 -11,3 446 439 -1,7 Svezia 1.483.952 1.449.954 -2,3 378 391 3,2 Danimarca 1.412.085 1.335.362 -5,4 365 348 -4,7 Australia 488.049 570.018 16,8 252 323 28,3 Italia 1.634.286 2.108.136 29,0 187 201 7,4 Altri 17.842.140 15.646.769 -12,3 3.389 3.370 -0,6 Mondo 72.183.402 71.066.136 -1,5 15.979 17.465 9,3

Fonte: elaborazione Ismea su dati Gti

Sviscerando con ordine la graduatoria si evidenzia come tra i primi tre Paesi importatori solo gli Stati Uniti hanno mostrato un incremento della domanda, peraltro piuttosto significativo in termini percentuali (+21%), a fronte di una meno che proporzionale crescita della spesa (+16%). Germania e Regno Unito hanno ridotto la propria domanda di vino estero rispettivamente del 6 e

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8 per cento in volume, incrementando però la spesa del 3 e 9 per cento. Bene anche Canada, Cina e Giappone che hanno incrementato la propria domanda di vino rispettivamente del +7 +14 e + 27 per cento in volume e del +16 +27 +35 per cento in valore. Scorrendo la graduatoria dei principali Paesi importatori si sottolinea una moderata progressione della Russia con un 3% in volume e un 32% in valore Significativa anche il calo della domanda di vino straniero da parte della Francia con un -11% in volume e un -2% in valore . La rapida evoluzione del commercio vitivinicolo rispecchia le rinnovate esigenze di un mercato dove cambiano modalità, frequenze e luoghi di consumo del prodotto, e nello stesso tempo si assiste a una netta segmentazione dei consumatori. Per valorizzare al meglio la propria struttura produttiva, i maggiori competitor del settore spostano una quota sempre maggiore della propria produzione dal mercato interno all’export con l’obiettivo di compensare la contestuale crescita delle importazioni di prodotti stranieri, e soprattutto conquistare i più ampi margini di profitto che alcuni mercati internazionali assicurano. La Tabella. 1.2, di seguito riportata evidenzia una decisa differenza tra i primi tre Paesi esportatori e quelli dell’Emisfero Sud.

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Tabella. 1.2. I principali Paesi esportatori di vino

Ettolitri Milioni di euro

gen-set 2011 gen-sett 2012 var.% gen-set 2011 gen-sett 2012 var.% Francia 10.128.278 10.722.734 5,9 4.915 5.476 11,4 Italia 16.906.125 15.340.444 -9,3 3.098 3.328 7,4 Spagna 16.297.851 14.794.732 -9,2 1.543 1.671 8,3 Australia 5.325.298 5.400.379 1,4 1.054 1.124 6,6 Cile 4.648.800 5.113.108 10,0 853 994 16,5 Stati Uniti 3.247.144 3.051.998 -6,0 702 794 13,0 Germania 3.011.775 2.865.394 -4,9 709 700 -1,2 Nuova Zelanda 1.184.387 1.278.338 7,9 458 553 20,8 Argentina 2.120.237 2.741.904 29,3 428 524 22,4 Portogallo 2.101.656 2.420.618 15,2 445 480 7,7 Sudafrica 2.649.092 2.839.867 7,2 391 408 4,6 Regno Unito 609.298 569.835 -6,5 455 383 -15,9 Paesi Bassi 179.113 179.611 0,3 134 136 1,1 Austria 337.154 346.505 2,8 93 96 3,5 Belgio 176.807 195.007 10,3 83 92 10,4 Svizzera 15.881 12.475 -21,4 124 91 -26,9 Altri 3.244.506 3.193.187 -1,6 493 614 24,5 Mondo 72.183.402 71.066.136 -1,5 15.979 17.465 9,3

Fonte: elaborazione Ismea su dati Gti

Dei tre grandi esportatori europei solo la Francia ha spedito oltre i confini nazionali 10.7 milioni di ettolitri di vino, per un incasso totale del 11%, con Italia e Spagna che hanno mostrato importanti battute d’arresto. Di contro si registrano incrementi delle esportazioni per tutti i Paesi dell’Emisfero Sud. La crescita più importante è quella registrata dall’Argentina (+29%), seguita dal Cile (+10%), dalla Nuova Zelanda e dal Sud Africa, rispettivamente con +8 e +7 per cento. L’Australia si è limitata ad una crescita dell’1%11.

1.3. Il mercato italiano: l’offerta

1.3.1. Produzione e struttura imprenditoriale

L’Italia è il terzo Paese per superficie vitata, preceduta da Spagna e Francia. Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad un progressivo impoverimento del patrimonio viticolo nazionale fino ad arrivare alla soglia dei 650 mila ettari. Le estirpazioni con premio, disciplinate dalla nuova OCM,

11 Fonte: elaborazione Ismea su dati Istat.

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14

sono state una delle prime cause della riduzione di superficie degli ultimi tre anni12. Dai dati Istat relativi all’annata vitivinicola 2011, come denota il (Graf 1.4), la produzione di vino in Italia, pari a 42,7 milioni di ettolitri, è in calo del 9% rispetto al 2010 e dell’11% circa al di sotto della media degli ultimi 10 anni. A livello territoriale, la diminuzione della produzione è distribuita nelle le seguenti percentuali: 1% al Nord, 10% al Centro e 17% al Sud.

Grafico. 1.4. Ripartizione percentuale della produzione di vino in Italia

per aree geografiche

Fonte: Dati Istat

Oltre la metà della produzione (56,5 %) si concentra in quattro regioni (Sicilia, Emilia-Romagna, Puglia e Veneto). Il Veneto è la maggiore produttrice di uva da vino (8,7 milioni di ettolitri), seguita dall’Emilia-Romagna (6,4 milioni di ettolitri), dalla Puglia (5,7 milioni di ettolitri) e dalla Sicilia (4,8 milioni di ettolitri). Rispetto al 2010, gli aumenti di produzione più consistenti si registrano in termini relativi per la Liguria (+6 %) e il Veneto (+4 %).

Il Lazio, area tipica di produzione di vini bianchi, risulta essere la regione maggiormente penalizzata, con una riduzione netta intorno al 48%. La Regione Lazio rappresenta un ambiente molto favorevole alla produzione di

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15

vino e presenta un imponente mercato come quello di Roma di circa 3,5 milioni di abitanti, con un flusso turistico annuale stimabile in circa 20 milioni di turisti. Il Lazio ha subìto una vera catastrofe viticola; basti pensare che nel 1960 la superficie vitata era di circa 190.000 ettari, oggi ridotta ormai a circa 16.08213. Il mercato del vino appena tratteggiato risulta molto frammentato, con una quantità elevata di imprese di dimensioni comunque molto piccole, in termini non solo di superficie, ma anche di quantità di uva raccolta, di ettolitri prodotti, di bottiglie realizzate, per cui, sulla base di quest’ultimo indicatore, la maggior parte delle aziende vitivinicole sono classificate come micro-imprese. Di seguito si fornisce una descrizione più dettagliata del macro-comparto dei produttori e della relativa frammentazione distinguendo tra livello agricolo e livello di trasformazione. A livello agricolo, un ruolo fondamentale è svolto dalle cantine cooperative, che aggregano l’offerta riunendo circa il 60% delle imprese viticole professionali, in particolare quelle più piccole con superficie inferiore ai 2 ettari, situate soprattutto al Nord Est d’Italia, nelle regioni adriatiche e nelle Isole. I viticoltori non associati più piccoli prevalgono invece al Nord Ovest, al Centro e nelle regioni tirreniche del Sud, mentre i produttori singoli con una dimensione non trascurabile sono presenti in tutta Italia tranne che nelle Isole. A livello di trasformazione, è possibile distinguere tra: cantine agricole di tipo artigianale, collegate direttamente all’attività agricola operando con propri vigneti, che per numerosità sono la maggioranza, ma incidono meno sulla produzione date le piccole dimensioni (si tratta per lo più di cantine con produzione inferiore ai 500 ettolitri e di micro-cantine con quantità inferiori ai 100 ettolitri); imprese cooperative o cantine sociali, che con dimensioni maggiori controllano quasi la metà della produzione; infine, cantine industriali, per le quali, cioè prevale l’aspetto della trasformazione, rispetto a quello della produzione di uva. Pur essendo ancora basata su unità aziendali di tipo individuale o familiare (96,0%), la struttura agricola mostra evidenti segnali di cambiamento in quasi tutte le 16 regioni e province

13 Fonte: dati Istat.

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16

autonome. Nel 95% dei casi, il conduttore gestisce direttamente l’attività agricola e nel 65,5% i terreni sono di proprietà sua o dei suoi familiari; tuttavia, la struttura fondiaria è molto più flessibile rispetto al passato, grazie al maggior ricorso a forme diversificate di possesso dei terreni, orientate sempre più all’uso di superfici in affitto o gestite a titolo gratuito. La tendenza all'aumento dei terreni in affitto, già verificata in alcune aree del Paese nel precedente Censimento, è divenuta un vero e proprio boom. Dallo scenario tratteggiato emerge dunque come il mercato del vino sia estremamente frammentato, con una grande maggioranza di imprese di piccole dimensioni e con caratteristiche che rendono difficile l’adozione di un vero e proprio approccio di marketing. Si è riscontrato che nonostante il calo complessivo delle aziende agricole, si è rafforzata la quota dei capoazienda con meno di 30 anni (2,5% nel 2010, contro 2,1% nel 2000), così come quella dei capoazienda con meno di 45 anni (18,6% nel 2010, contro 18,2% nel 2000). Allo stesso tempo si è riscontrato un innalzamento del livello d’istruzione dei conduttori come sintesi della riduzione di chi non possiede alcun titolo di studio o ha soltanto la licenza elementare e dell’aumento del peso dei titoli più elevati, con anche il conseguimento di una specializzazione in ambito agrario da parte del 5% degli imprenditori14.

1.3.2. I nuovi competitor nel mercato del vino

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta anche nel settore vitivinicolo si è assistito al fenomeno della globalizzazione, che, con la crescita progressiva delle relazioni e degli scambi internazionali, ha portato innanzitutto al superamento delle barriere materiali e immateriali alla circolazione di persone, cose, informazioni, conoscenze, idee, tecnologie, tecniche di produzione e gestione e, in secondo luogo, a un’uniformazione delle condizioni economiche, degli stili di vita e delle visioni ideologiche, in conformità in particolare con il modello occidentale metropolitano. Tutto ciò

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17

ha contribuito a ridisegnare il mercato del vino a livello mondiale. Se la produzione e il consumo sono sempre stati relativamente localizzati con uno scambio limitato ai paesi limitrofi, progressivamente si è assistito a una maggiore unificazione dei mercati, a un processo sempre più diffuso di internazionalizzazione delle imprese e, soprattutto, all’affermarsi sullo scenario globale di nuovi attori, con un conseguente inasprimento della competizione.

Si è creata in particolare una dicotomia tra “Vecchio Mondo”, costituito dai paesi europei tradizionali produttori quali Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Germania, e “Nuovo Mondo”, che si caratterizza per uno sviluppo prepotente della produzione da parte di Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Cile, Argentina, Brasile e Sudafrica. Negli ultimi anni hanno fatto poi il loro ingresso nel settore vitivinicolo anche altri paesi emergenti, quali Cina e India, offrendo nuove opportunità e allo stesso tempo lanciando nuove sfide15. La nascita delle grandi imprese market oriented del nuovo mondo coincide con la decisione dei produttori australiani, nella prima metà degli anni ’80, di reagire ad una grave crisi di sovrapproduzione con un’espansione delle esportazioni, basata su una strategia condivisa di penetrazione dei mercati internazionali poi formalizzata nel documento Strategy 202516. L’azione di questi nuovi attori nell’ambito del commercio internazionale si innestava, peraltro, su un processo che si era già avviato negli Stati Uniti, e in California in particolare, dove, sia pure con un orientamento focalizzato sul mercato interno, l’industria del vino stava crescendo grazie a un forte orientamento al mercato basato sull’innovazione nella tecnologia e nella comunicazione. Tali capacità sono sinteticamente individuabili nel massimo controllo del prodotto sino al consumo finale, nonché nella massima conoscenza dell’ambiente esterno all’azienda, soprattutto per quanto riguarda quelle relative alle preferenze dei consumatori, al comportamento dei diretti concorrenti, e nella conseguente

15

Sito: www.winenews.it.

16 Anderson K., (2001), “Australia’s Wine Industry. Recent Growth and prospects”, Cahiers d’Economies et Sociologie Rurales, 15 (60-61), 111-147.

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possibilità di tradurre tali elementi in efficienti strategie aziendali17. Il combinarsi di questi processi determinò lo sviluppo di un contesto competitivo caratterizzato dalla presenza di alcune imprese di grandi o grandissime dimensioni, capaci di sviluppare vere politiche di marca. Queste imprese, per la loro dimensione finanziaria e per le risorse manageriali, hanno condizionato lo stile di marketing nei mercati internazionali e hanno reso la situazione competitiva particolarmente accesa. Il secondo gruppo di nuovi attori che hanno determinato la crescita della competizione è quello delle multinazionali delle bevande alcoliche. Queste, consolidatesi nel corso degli anni ’80, hanno potenziato in modo significativo le politiche di marca come elemento centrale delle strategie di marketing e, negli anni ’90, hanno esteso le loro attività nel campo del vino. Molte di queste, tra cui Fortune Brands (USA), VLMH (Francia), Diageo (UK) e Pernod Richard (Francia– questo gruppo ha recentemente acquisito il gruppo inglese Allied Domeq), sviluppano con il vino un fatturato di entità paragonabile a quelli delle principali imprese vinicole mondiali. Le multinazionali delle bevande si sono dedicate al vino al fine di qualificare la gamma di offerta e di integrare nelle reti di commercializzazione già esistenti quelle delle imprese vinicole acquisite. E’ evidente come l’ingresso nel mercato di questi nuovi attori abbia avuto un effetto di intensificazione della crescita della competizione, che già lo sviluppo delle attività internazionali delle grandi imprese specializzate in vino del nuovo mondo aveva innescato. E’interessante notare come in questa categoria si ritrovino molti gruppi situati in Europa di cui due in un Paese produttore come la Francia. Infine, tra i nuovi attori protagonisti della crescita della competizione nel mercato si trovano le imprese sostenute finanziariamente da capitali esterni al settore e guidate con stili manageriali innovativi per il mondo del vino. Diversi sono i fondi di investimento che

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19

sostengono imprese vinicole, le merchant bank, le società finanziarie e i gruppi assicurativi18.

1.3.3. Strategie di marketing per il conseguimento di un forte vantaggio

competitivo

In questo vivace contesto, la trasformazione in atto del mercato è sottolineata dal passaggio da un prodotto di natura agricola fortemente orientato dall’offerta a un prodotto dell’industria alimentare19

.Le imprese vitivinicole di origini nazionali, così come le compagnie multinazionali, nell’intento di sviluppare il proprio grado di internazionalizzazione, hanno basato le loro strategie su un’ampia gamma di prodotti, su marche rinomate e sull’attenzione sempre più elevata alla rete di distribuzione commerciale20. Il tema della marca è attualmente al centro degli interessi di numerosi studiosi e managers. Anche nel settore vitivinicolo le imprese scelgono la strategia di “branding” per competere ad alti livelli sul mercato e conseguire un vantaggio competitivo maggiore dei concorrenti21. Storicamente, il branding si poneva come un processo interno all’impresa, e come tante, anche quella vitivinicola condivideva questa visione comune. Il processo aveva inizio con lo svolgimento di un’accurata analisi del mercato, proseguiva con il posizionamento strategico/valoriale e terminava con la costruzione di un piano di marketing finalizzato alla conquista del consumatore. È evidente come quest’ultimo, all’interno del suddetto processo, svolgesse un ruolo passivo, e il

brand, in questa prospettiva, non rappresentava altro che un servizio a

supporto del prodotto. Un qualcosa di preconfezionato, che il consumatore acquistava e pagava insieme al prodotto. Lo sviluppo del web ha rovesciato i termini di questo gioco. Prima di tutto, le strategie di branding odierne non sono altro che la risultante di un processo largamente esterno all’impresa. Un

18 Ciaschini M., Socci C., “Economia del vino”, Franco Angeli, 2008, pp. 29-31. 19

Ciaschini M., Socci C., “Economia del vino”, Franco Angeli, 2008, pp. 15-16.

20 Cesaretti G. P., Regazzi D., (2007), “Leve strategiche per lo sviluppo dei sistemi territoriali a vocazione agro-alimentare”, Milano p. 226.

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20

processo che l’impresa può solo tentare di governare, ma non gestire e controllare. I motivi sono principalmente due, il primo consiste nel cambiamento dei comportamenti di consumo, come si è più volte ricordato. Il consumo è sempre meno motivato da fattori di status e sempre più da ragioni “identitarie”. Il brand, perciò, perde la sua funzione primaria di marcare una differenza ed un territorio socio-cognitivo, per divenire strumento attraverso cui costruire relazioni con chi si identifica con certi valori etico-morali. Questo implica che, indipendentemente dalla rete, larga parte del processo di costruzione e comunicazione dei significati di un brand resta al di fuori del controllo dell’impresa. L’unica cosa che può fare l’impresa è tentare di dare un imprinting forte al proprio brand al fine di selezionare sia al proprio interno – dipendenti, fornitori e così via – che al proprio esterno persone che si identifichino con il sistema di valori che l’impresa condivide e si propone di promuovere e diffondere. Molti di questi spazi sono pubblici, per cui è solo associandosi e promuovendo questi valori che le imprese possono sostenere – indirettamente – il valore dei propri investimenti in questa direzione. In secondo luogo, la rete riduce i costi di ricerca, accesso e condivisione dell’informazione, creando ugualmente quel passa parola necessario a costruire il significato e il valore del brand. Gli strumenti di cui si parla non devono essere concepiti solo come strumenti di controllo, attraverso cui cogliere le lamentele al fine di gestirle prima che si trasformino in valore negativo per la nostra impresa. Essi, diversamente, devono essere creativi, utilizzati per tentare di cogliere ed interpretare i bisogni ed i desideri emergenti del mercato ed includere il consumatore nel processo creativo.

21 Cfr,: Busacca B., (2000), “Il valore della marca tra postfordismo ed economia digitale”. Accumulazione, ampliamento, attivazione.

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21

Questo è quanto occorre per entrare in relazione con chi poi comprerà i prodotti e i servizi e che pretenderà siano pensati appositamente per lui. Insomma, a buon intenditore poche parole! In mercati saturi di offerte, come quello del vino, la marca assume un ruolo centrale: per le aziende, in quanto strumento che consente di contrastare la concorrenza e difendere le proprie quote di mercato; per i consumatori, per il soddisfacimento dei propri bisogni. Per conseguire questo risultato le strategie di marketing mirano, attraverso l’uso (oggi più che mai) di media e comunicazione a creare nella mente dei consumatori, associazioni d’idee, sensazioni, immagini ed esperienze che posizionano la marca in modo univoco e distintivo affinché sia da loro immediatamente e istintivamente riconoscibile. Media e comunicazione rappresentano, quindi, la voce del brand, i mezzi attraverso i quali le aziende comunicano ai consumatori valori di un brand e stabiliscono con loro un dialogo. Quali sono, dunque, le opzioni migliori per una corretta strategia di marketing? Le strategie di marketing adottate per affermare e consolidare una marca possono puntare sulla comunicazione di un unico aspetto valoriale o emozionale (per un vino, il colore, il profumo) o su più aspetti sinergici e coerenti tra loro (il gusto e il piacere), utilizzare un solo canale di comunicazione (la pubblicità classica) o più canali (la stampa, il direct marketing). Ovviamente è possibile combinare tra loro, al meglio, le varie opzioni di comunicazione e i canali. Pur rappresentando ancora il mezzo portante della comunicazione, la pubblicità non è l’unico né il più importante canale per affermare un brand. Il successo di un brand dipende sempre più spesso da strategie di marketing che prevedono l’uso combinato di più comunicazioni e canali. L’uso coordinato di più canali e messaggi “colpisce”, infatti, il consumatore in momenti differenti delle sue esperienze d’acquisto e contribuisce più rapidamente alla costruzione e all’affermazione della brand equity. Nell’ottica dell’ internazionalizzazione, le grandi aziende europee hanno puntato molto sulla stabilizzazione nei rapporti di fornitura di vino per assicurare la propria presenza continuativa sul mercato e per avere maggiori

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22

possibilità di affrontare dimensioni sia nazionali sia internazionali, sul consolidamento delle proprie reti commerciali (con accordi, acquisizioni, joint ventures) soprattutto nei mercati di maggiore sviluppo e, infine, su una gamma di vini capace di far fronte sia a mercati consolidati sia a mercati più dinamici. Dal canto loro, le imprese americane e australiane, pur presentando caratteri simili a quelle europee, nonostante il progressivo incremento della gamma dei vini in tutte le fasce di qualità-prezzo e malgrado gli indubbi grandi successi aziendali, riscontrano ancora notevoli difficoltà nella costituzione e nel consolidamento delle proprie reti commerciali internazionali, in particolar modo in mercati tradizionali e consolidati come quello italiano22.

1.4. Il mercato italiano: la domanda

1.4.1. L’evoluzione dei consumi

Alla luce dello scenario congiunturale ed evolutivo che riguarda il mercato di consumo di vino in Italia, non sembrerebbero esserci dubbi sulle direttrici di sviluppo che dovrebbero guidare le strategie di mercato delle imprese vinicole italiane per il prossimo futuro. Ovviamente, il condizionale è sempre d’obbligo. Il mercato italiano rappresenta un bacino di consumo di vino economicamente importante, tra l’altro poco propenso per il momento all’acquisto dei prodotti esteri. Purtroppo, è in prospettiva che l’attrattività di tale mercato sembra destinata a diminuire sensibilmente. Le imprese italiane, per mantenere inalterati i propri livelli produttivi e di redditività dovranno sempre più confrontarsi con consumatori appartenenti a paesi e culture alimentari lontane dalla nostra. La posta in gioco è alta: si corre infatti il rischio di dover dire addio ad una larga fetta della coltivazione delle vite, con tutti gli effetti che ne deriverebbero a cascata sia nelle fasi produttive a valle della filiera, sia nei territori rurali e nelle economie locali, dove la produzione

22Cesaretti G. P., Regazzi D., (2007), “Leve strategiche per lo sviluppo dei sistemi territoriali a vocazione agro-alimentare”, Milano p. 227.

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23

vitivinicola rappresenta un assetto strategico di sviluppo23. Come emerso dall’analisi dello scenario internazionale, dal punto di vista quantitativo il consumo di vino in Italia è ormai da anni in continua diminuzione, così come accade negli altri paesi tradizionali produttori. Da un consumo di quasi 244.000 milioni di ettolitri alla fine del 2006 si è passati, infatti, a meno di 241.900 milioni nel 2011.

Da un’indagine realizzata nel 2010 da Fedagri-Confcooperative in collaborazione con Nomisma su un campione rappresentativo di consumatori italiani di vino, emerge come il calo dei consumi in Italia derivi dalle diverse abitudini di consumo collegato alle svariate fasce di età della popolazione: più del 72,7% dei quantitativi di vino consumati oggi in Italia dipende da consumatori con un’età superiore ai 65 anni (Graf 1.5). Si tratta anche di quella fascia della popolazione al cui interno figura la percentuale maggiore di bevitori abituali di vino, coloro cioè che accompagnano giornalmente tale bevanda ai pasti.

Grafico. 1.5. Con quale frequenza consuma vino?

26,8 32,5 11,4 29,3 72,7 12,6 3,5 11,2

Quotidianamente Alcune volte alla settimana

Alcune volte al mese

Solo in occasioni particolari

Classe di età 25-44 classe di età 65 e più

Fonte: Indagine Fedagri-Nomisma sui consumi di vino in Italia 2010

Se si considera, infatti, la popolazione tra i 25 e i 44 anni, il consumo di vino diventa invece soprattutto occasionale, effettuandosi sempre più in ristoranti, enoteche e bar; non mancano poi nuovi contesti di consumo caratterizzati da un mood di piacevolezza, evasione e divertimento, quali wine bar, enoteche,

(30)

24

locali a tema che propongono accattivanti abbinamenti vino-cibi, cantine e agriturismi.

Da notare però come tali luoghi non sempre si rivelino all’altezza nella promozione del vino con la proposta, spesso anche poco professionale, di un’offerta limitata, monotona e costosa. Riguardo quest’ultimo punto, il 43,5% della popolazione italiana spende tra i 3 e i 5 euro per l’acquisto di una bottiglia di vino, con soprattutto le persone tra i 25 e i 44 anni disposte a pagare anche di più, confermando una certa attenzione per la qualità (Graf 1.6).

Grafico. 1.6. Spesa media per l’acquisto di una bottiglia di vino (riferita alla principale occasione di consumo, per classe di età)

10,7 41,8 33,6 9,8 4,1 28,8 40,3 12,2 1,4 17,3

Fino a 2 euro Tra 3 e 5 euro Tra 6 e 10 euro Oltre 11 euro Non sa

Classe di età 25- 44 classi di età 65 e più

Fonte: Indagine Fedagri-Nomisma sui consumi di vino in Italia 2010.

Da notare come la crisi economica abbia sì influito sulle scelte di acquisto del vino da parte dei consumatori (il 23% ha modificato le proprie abitudini di acquisto di questo prodotto), ma in misura sensibilmente minore rispetto a quanto è avvenuto per i prodotti alimentari in genere (44% dei consumatori) o per i prodotti di natura diversa, quali l’abbigliamento e le calzature (66%) o la spesa per vacanze (50%). Tutto ciò indica come la propensione a scegliere vino di qualità tenga adeguatamente e come, nel corso del tempo, il prodotto in questione sia riuscito a crearsi un’immagine e un valore in grado di far presa sul consumatore italiano anche in situazioni di sfavorevole congiuntura economica. Dall’indagine è infatti emerso come i due terzi degli intervistati abbia dichiarato di non aver cambiato le proprie abitudini nel consumo di tale

(31)

25

bevanda. Degli altri, il 24% sembra aver invece ridotto le quantità consumate nei locali, mentre per i rimanenti si è trattato sostanzialmente di sostituire i vini abitualmente consumati con altri a gradazione alcoolica inferiore o con bevande differenti, ma sempre a minor contenuto alcoolico24.

1.4.2. La Grande Distribuzione Organizzata

Fino ai tempi relativamente recenti, la GDO (Grande Distribuzione Organizzata.) veniva vista dal mondo del vino come un nemico, era il luogo deputato alla vendita del prodotto di scarsa qualità. Collocare le proprie etichette su quegli scaffali equivaleva a una caduta di stile. Ora, alle soglie del 2013. lo scenario è decisamente mutato. La grande distribuzione è stata in grado di giocare un ruolo dominante nei rapporti di filiera, potendo imporre alle imprese di produzione gli standard di fornitura. In questo è stata agevolata dalla crescita del ventaglio di potenziali fornitori in tutte le aree geografiche, che consente una notevole diversificazione degli approvvigionamenti e, quindi, l’aumento del potere contrattuale; oltre a ciò, i fenomeni di concentrazione in corso nella grande distribuzione affidano ad un numero assai limitato di buyer il controllo su quantitativi molto elevati di prodotto commercializzato25.

Secondo i dati riportati dalla Tabella. 1.3, si nota che i produttori, in particolare le cooperative di maggiori dimensioni, hanno aumentato sempre di più negli anni la quota di vini distribuiti attraverso la GDO,

24

Battistuzzi G., (2010), “Comportamento e propensione all’acquisto diretto dal produttore” Fedagri-Confcooperative in collaborazione con Nomisma, pp. 5- 9.

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26

Tabella. 1.3. Totale vini – Indagine su canali di vendita

(% penetrazioni) 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Italia

Vendita diretta 7.5 8.4 9.4 8.8 8.3 8.0 7.8

Grande distribuzione 41.8 44.2 43.7 39.1 44.1 44.8 42.8

Ho.Re.Ca. 23.0 20.5 19.9 23.1 21.7 30.3 19.8

Enoteche e wine bar 11.5 9.9 8.3 10.4 10.8 10.1 9.2

Grossista/Intermediario 14.3 16.4 Altri canali 16.2 17.0 18.7 18.6 15.1 2.5 4.2 Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 Estero Rete propria 9.8 13.6 11.6 9.2 10.4 8.3 6.4 Intermediari importatori 81.4 77.6 72.9 77.8 83.2 81.4 83.9 Altri canali 8.8 8.8 15.5 13.0 6.4 10.3 9.7 Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0

Fonte: dati Mediobanca.

che nel 2011 si è assestata al 42,8%; a seguire il canale Ho.re.ca. al 19,6%, in calo rispetto agli anni precedenti, la categoria grossista/intermediario al 16,4%, le enoteche con i wine bar al 9,2% e la vendita diretta al 7,8%. Lo stesso successo della GDO non si è registrato però nelle vendite dei grandi vini con prezzo superiore ai 25 euro, come mostra la Tabella. 1.4

Tabella. 1.4. Vini oltre 25 euro- Indagine su canali di vendita

(% penetrazioni) 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Italia

Vendita diretta 12.7 9.9 11.9 11.6 12.8 10.5 10.9

Grande distribuzione 9.1 9.4 6.8 6.9 9.0 6.5 6.6

Ho.Re.Ca. 41.2 41.2 44.6 45.8 40.7 42.7 44.0

Enoteche e wine bar 28.1 29.5 28.6 28.4 29.4 29.3 25.6

Grossista/Intermediario 9.4 10.8 Altri canali 8.9 10.0 8.1 7.3 8.1 1.6 2.1 Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 Estero Rete propria 9.9 13.1 10.4 9.1 9.0 6.4 4.2 Intermediari importatori 79.1 83.8 83.1 85.2 84.5 87.1 86.1 Altri canali 11.0 3.1 6.5 5.7 6.8 6.5 9.7 Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0

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27

i quali sono quindi distribuiti prevalentemente attraverso il canale Ho.re.ca (44,0%) e quello delle enoteche (25,6%)26. Allo stesso tempo anche i mercati esteri – in cui i vini italiani, come mostrano la (Tab. 1.3.) e la (Tab. 1.4.), continuano a essere importati in maniera predominante attraverso reti di terzi (83,9% del totale vini, addirittura 86,1% per i grandi vini), il che dimostra, a eccezione delle cooperative, come la dimensione poco significativa delle aziende vitivinicole non permetta loro di dotarsi di reti proprie – si stanno aprendo al vino italiano attraverso la GDO. È il caso della Spagna, che nel 2009 ha aumentato del 21% la vendita nei supermercati dei vini bianchi italiani a fronte di una flessione del 31% di quelli francesi, delle catene distributive di Germania e Inghilterra e, nel resto del mondo, di quelle statunitensi e asiatiche. Da qui il maggior impegno delle insegne italiane nello stringere alleanze con le catene straniere; si porta ad esempio Conad e la sua

partnership con altre catene Coopernic27. Certo, una fetta rilevante di questo giro di denaro riguarda il vino proposto in brik, con la Coop che ricava oltre 7 milioni di euro l'anno e la Conad che supera, nei 12 mesi i 15 milioni di litri di vino in brik. Ma, per farsi un'idea del reale giro d'affari va sottolineata come la Conad ricavi., dal comparto vino, ben 100 milioni di euro l'anno.. E i colossi della Distribuzione moderna, al fine di ottenere il massimo rendimento, hanno messo in atto strategie commerciali e alleanze con fornitori, cantine e imbottigliatori, quali la progettazione di particolari esposizioni con specifici

layout e posizionamenti a scaffale, l’inserimento di un sommelier in aiuto ai

clienti, ma soprattutto la creazione di una loro marca commerciale28.

Ci si sta riferendo al fenomeno dei prodotti contrassegnati con private label, realizzati o forniti da terzi e venduti con il marchio delle catene di distribuzione. Chiamati anche white label (etichette bianche), sono articoli che permettono al distributore di ottenere margini maggiori e al consumatore di

26 Fonte: dati Mediobanca.

27 Chiodo E., (2010) “Il ruolo dei piccoli produttori vinicoli nel contesto italiano”, in Cardinali S., Gregori G. L., Pallonari M. (a cura di), Piccole imprese vitivinicole e un nuovo approccio al marketing integrato, FrancoAngeli, Milano, pp. 44-64.

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28

comprare a costi contenuti un prodotto di qualità. Basti pensare che Conad tanto per fare un esempio, può contare su oltre 60 etichette di proprietà per un totale di 9 milioni di bottiglie mentre proprietary label quelle recanti un altro nome, spesso di fantasia29. Naturalmente le imprese che procurano o producono le referenze, dette copacker , sono selezionate secondo precisi criteri di qualità e di certezza nella fornitura e nel numero di bottiglie concordate.

1.5. Considerazioni conclusive sul mercato vinicolo italiano e analisi

SWOT

Il settore vitivinicolo italiano si presenta in evoluzione e alla ricerca di nuovi equilibri. La pressione concorrenziale è in crescita, a causa della minaccia dei produttori extraeuropei sui mercati internazionali e dei cambiamenti nei modelli di consumo sul fronte interno. Si profila quindi la necessità di approfondire la conoscenza del consumatore italiano di vino e in particolare di comprendere le sue esigenze e i meccanismi che lo guidano nella scelta di un vino. Queste informazioni sarebbero preziose non solo per le imprese, ai fini di un adeguamento dell’offerta e delle strategie di marketing al consumatore, ma anche per le istituzioni, nell’elaborazione di politiche di gestione e di sviluppo del settore. I dati di mercato mostrano chiaramente un calo dei consumi e uno spostamento degli acquisti verso i prodotti di qualità, tuttavia non sono sufficienti per spiegare quali siano i fattori decisivi nella scelta di un vino e come siano strutturate le preferenze dei consumatori. Per esempio, una questione aperta è se il sistema delle denominazioni d’origine sia un efficace strumento di segnalazione della qualità, utilizzato dai consumatori, oppure se, nell’evoluzione dei modelli di consumo, si impongano attributi più universali e riconoscibili anche da consumatori inesperti, come la varietà delle uve e la marca. La normativa vigente in Italia si basa sulla tutela e sul controllo delle denominazioni. La nuova riforma dell’OCM europea promuove anche le igt,

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29

ponendole sullo stesso piano delle denominazioni; riconosce l’importanza dell’indicazione delle varietà delle uve e dell’annata per il consumatore, consentendone l’indicazione anche su vini senza indicazione geografica.

Un altro aspetto che suscita interesse è la spendibilità della marca privata del distributore, che ha riscosso grande successo su molti generi alimentari, nel mercato vinicolo. L’analisi presentata nei capitoli successivi intende indagare questi aspetti, attraverso un approccio di tipo empirico descritto nella seconda parte della tesi.

1.5.1. L’analisi SWOT

Il modello dell’analisi SWOT è semplice ed immediato: indica la direzione d seguire e serve da catalizzatore per elaborare un piano di marketing adeguato. Eseguire questa analisi significa, infatti, valutare strutturalmente ciò che l’impresa può fare (punti di forza) e ciò che non può fare (punti di debolezza) in un dato istante, mettendo in relazione questi fattori con le condizioni ambientali che favoriscono (opportunità) o sfavoriscono (minacce) l’azienda stessa. Prendendo in esame opportunità e minacce di mercati diversi, e misurando attentamente forze e debolezze interne, questo metodo permette di elaborare strategie alternative per l’impresa. I fattori che si possono prendere in esame nell’analisi SWOT sono numerosi e dipendono dl tipo di azienda e di settore in esame la Tabella 1.5. si sofferma sul caso specifico del settore vitivinicolo italiano30.

30 Lambin J., (2008), “Market- driver management Marketing strategico e operative”, McGraw-Hill, Milano pp. 269-270.

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Tabella. 1.5. L’analisi SWOT del settore vitivinicolo italiano

Punti di forza

●Territorio ricco di valori e attrattive, buon sviluppo dell’ enoturismo;

●Buon livello di ristrutturazione e ringiovanimento del tessuto produttivo; ●Elevata specializzazione e professionalità degli operatori in tutte le fasi produttive e nell’indotto tecnico; ●Elevata incidenza delle DOC e DOCG (qualificazione e controllo);

●L’elevato contenuto simbolico delle produzioni (legame con il terroir, storia e cultura), che andrebbe però valorizzato con una comunicazione adeguata; ●Posizionamento consolidato nel mercato Mondiale.

Punti di debolezza

●L’elevata frammentazione del tessuto produttivo, che rappresenta uno dei problemi più sentiti;

●Burocrazia eccessiva;

●Problema del corretto posizionamento dei prodotti di media qualità e relativa comunicazione;

●Comunicazione poco coordinata; ●Asimmetria del mercato;

●Modesta capacità strategica delle forme collettive di governo della filiera (pur con alcune eccezioni).

Opportunità

●Potenziali nuovi importatori nei paesi in crescita (vino e enograstronomia); ● Segnali positivi dall’export;

●Turismo e paesaggio come sviluppo del territorio (Unesco);

●Crescita di una nuova cultura enologica tra le fasce giovani;

●Sviluppo nuovi canali anche altamente strutturati (Eataly);

● Miglioramento del sistema dei controlli a garanzia e tutela del prodotto di qualità.

●Rilancio di iniziative collettive di programmazione e commercializzazione ●Riforma OCM e nuove opportunità di integrazione verticale e orizzontale.

Minacce

●Mercato in fase riflessiva e molto più selettivo relativamente al rapporto qualità/prezzo;

●Rischio di una fase depressiva perdurante del sistema cooperativo e dei piccoli produttori locali;

●Rischi di deturpazione del paesaggio con perdita di immagine;

●L’utilizzo improprio delle denominazioni Nazionali;

●Gli eccessivi ricarichi praticati dal canale della ristorazione;

●Nuovo sistema di definizione ed etichettatura con aumento dei costi di produzione (OCM).

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31

SECONDO CAPITOLO

Il comportamento d’acquisto nel settore vitivinicolo

2.1. Introduzione

In questo capitolo verranno toccate alcune tematiche inerenti la domanda, necessarie alla comprensione delle sezioni seguenti. In particolare, nel par. 2.2 vengono trattati gli aspetti riguardanti la teoria del comportamento del consumatore, analizzandone l’evoluzione ed evidenziandone il carattere multidisciplinare.

La teoria tradizionale, oltre ad essere ben nota, tende a spiegare la domanda in funzione di prezzi e reddito. Però nell’ultimo secolo, l’aumentato potere d’acquisto e la saturazione dei mercati hanno portato ad un calo dell’influenza di queste due variabili, in particolare per i generi alimentari31. È cresciuto il peso della qualità, i cui effetti in economia vengono trattati nel par. 2.3; è anche cresciuto il peso di fattori psicologici, culturali, personali e sociali dei consumatori, discussi nel par. 2.5. Nel par. 2.4 vengono esaminate nel dettaglio le proprietà del prodotto vino.

2.2. Evoluzione ed approcci teorici

Il consumo è formato da un insieme di atti e di comportamenti che ne determinano una rilevante complessità e che non possono essere compresi riferendosi esclusivamente alla sfera delle relazioni di mercato e a quella economica. Il consumo anzitutto e un fenomeno sociale, oltre che economico, riguarda la collettività e singolarmente gli individui e deve essere analizzato e interpretato in chiave interdisciplinare in una prospettiva sia macro sia micro.

31 Su S.J.B., Yen S.T., (2000), “A Censored System of Cigarette and Alcohol Consumption”, Applied Economics, vol. 32, n.6, pp. 729-737.

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A determinare i comportamenti e gli atti di consumo concorrono, infatti, diversi elementi. Ne è prova il fatto che il consumo è oggetto di indagine da parte di numerose discipline, ciascuna delle quali fornisce un’interpretazione autonoma a volte divergente da quella delle altre discipline (economia, sociologia, psicologia, antropologia ecc.) che se ne occupano, senza riuscire, data la complessità dell’argomento, a ottenere un’unicità interpretativa. I contributi che le varie discipline hanno fornito negli anni alla comprensione dei fenomeni di consumo sono molteplici e da essi sono derivate concezioni di ordine generale che costituiscono un presupposto basilare alle tematiche di

marketing32.

2.2.1. Il contributo dell’economia alla teoria del comportamento del

consumatore: alcuni richiami

Nel fornire una spiegazione del comportamento del consumatore, l’economia si basa sulla premessa fondamentale che gli individui tendono a scegliere quei beni e servizi ai quali attribuiscono il valore maggiore. L’economia classica (Smith e Ricardo), fra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, si occupò principalmente dello studio delle caratteristiche di un sistema sociale dal punto di vista della produzione, distribuzione e impiego del reddito

.

Con la rivoluzione neoclassica o marginalista (Jevons, Menger, Walras), intorno al 1870, gli interessi degli economisti si spostano verso il lato della domanda. L’utilità è uno dei primi concetti utilizzati per spiegare la domanda, poiché rappresenta un fattore comune a tutti i beni e servizi.

Che cosa significa “utilità”? In una sola parola, utilità indica soddisfacimento: più precisamente, questo termine si riferisce alla misura in cui determinati beni e servizi vengono preferiti dal consumatore. Spesso si pensa all’utilità in termini di piacere soggettivo che una persona ricava dal consumo di un bene o servizio. Al contrario, si tratta di un concetto scientifico utilizzato dagli economisti per capire il modo in cui i consumatori razionali ripartiscono le

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