5.
FENOMENI GRAVITATIVI: DEFORMAZIONI
GRAVITATIVE PROFONDE E FRANE
L’area studiata presenta numerosi e vasti fenomeni gravitativi che mostrano caratteristiche e comportamenti diversi a seconda del tipo di attività, dei litotipi interessati dal fenomeno, delle caratteristiche geomorfologiche e idrologiche della zona, nonché a causa di fattori esterni quali precipitazioni di particolare importanza e non per ultimo, l’intervento antropico. In particolare, sono stati individuati sia fenomeni di deformazione gravitativa profonda di versante (Dgpv), sia frane, che saranno descritti di seguito, con particolare riferimento all’area di Monte Labbro e di Arcidosso, dove sono presenti i movimenti più significativi, per estensione, attività o rischio per l’ambiente antropico.
5.1 DEFORMAZIONI GRAVITATIVE PROFONDE DI VERSANTE
Riguardo alle deformazioni gravitative profonde, e alle cause che intervengono in tali processi, non è stato ancora raggiunto il livello di conoscenza delle frane (Varnes, 1978; Cotecchia et al., 1979; Cruden & Varnes, 1996) e anche riguardo la loro definizione in letteratura sono presenti varie ipotesi.
Il concetto di Dgpv risale alla metà degli anni ’60, ma fino ai primi anni ’90 non esisteva un generale accordo fra gli autori circa la classificazione di questi fenomeni e la loro distinzione con le frane.
Nel 1995 Sorriso-Valvo redige una revisione delle varie terminologie e criteri distintivi presenti in letteratura, dalla quale emerge che un limite concettuale nella classificazione dei fenomeni gravitativi è probabilmente quello di utilizzare come criterio distintivo la profondità e l’estensione areale e volumetrica del fenomeno.
Le deformazioni gravitative di versante vengono definite, e distinte in questo modo dalle frane, come fenomeni di movimento in massa in cui la presenza di un’eventuale superficie di scorrimento continua non è macroscopicamente evidente e non è necessario postularla per rendere conto delle deformazioni osservate sia in superficie che in profondità (Sorriso-Valvo, 1995; D’Amato Avanzi & Puccinelli, 1997).
Le caratteristiche tipiche di questi fenomeni sono in genere le seguenti (D’Amato Avanzi & Puccinelli, 1997):
1. grande estensione (vari kmq) e spessore della massa di roccia coinvolta (decine, talvolta centinaia di metri);
2. spostamento limitato rispetto alle dimensioni delle masse rocciose coinvolte; 3. assenza di una superficie netta che delimiti la massa soggetta a movimento;
4. evoluzione molto lenta, con lunghi periodi di inattività, o di attività estremamente ridotta, durante i quali si può assistere a una repentina riattivazione in conseguenza a eventi sismici, o meteorici estremi;
5. meccanismo di rottura legato a creep;
6. cinematica spesso influenzata da tettonica attiva e dalla presenza di stress tettonici residui ed alta pressione di confinamento;
7. movimento controllato più dalle caratteristiche geologico-strutturali piuttosto che dalle caratteristiche morfologiche locali.
Questo tipo di fenomeni causa effetti superficiali che vengono spesso osservati in corrispondenza delle Dgpv (D’Amato Avanzi & Puccinelli, 1997); in particolare, la parte superiore del versante deformato è interessata da tensioni estensionali che producono piani di deformazione ad alto angolo, cui sono associati gradini in contropendenza, trincee e doppie creste. La parte inferiore del pendio risulta invece coinvolta in fenomeni compressivi che
generano rigonfiamenti e, talvolta, piani di deformazione a basso angolo al piede del pendio; tali piani non sono sempre facilmente individuabili, a causa della presenza di depositi superficiali quali corpi di frana, depositi alluvionali o altro.
Le aree interessate da deformazioni gravitative profonde di versante mostrano, in genere, le seguenti caratteristiche:
1. alta energia di rilievo, con versanti ben sviluppati, modellati, di solito, in rocce di tipo competente;
2. condizioni morfo-climatiche favorevoli ad un’erosione attiva, con alti valori delle precipitazioni;
3. sismicità elevata;
4. tettonica attiva o recentemente attiva.
Le Dgpv sono comunemente suddivise nei seguenti tipi (Jahn, 1964; Zischinsky, 1969; Varnes, 1978; Sorriso-Valvo, 1995; Cruden & Varnes, 1996; D’Amato Avanzi & Puccinelli, 1997):
a) colamento di roccia (Sackung); b) espansione laterale;
c) scivolamento in blocco.
Nell’area in esame le Dgpv interessano principalmente l’area che si estende da Monte Labbro, fino al limite meridionale della carta.
5.1.1 Le deformazioni gravitative profonde dell’area di Monte Labbro
L’area in esame si estende da Monte Labbro fino all’estremità meridionale della carta. In questa zona affiorano alcune formazioni appartenenti all’Unità Toscana non metamorfica, cui sono sovrascorse le Unità di Canetolo e quelle appartenenti al Dominio Ligure. Tali unità sono state coinvolte, nell’ambito della quarta fase deformativa, in un blando piegamento, come si può osservare dallo schema tettonico dell’area rilevata (cap. 4); questa deformazione dà origine a grosse anticlinali e sinclinali ad andamento NNW-SSE e piano assiale verticale che ripiegano un assetto strutturale più antico caratterizzato da superfici di sovrascorrimento e piegamenti alla scala meso- e megascopica, che sono il risultato delle tre fasi deformative duttili precedenti.
Una di queste strutture plicative interessa l’area a sud di Monte Labbro, coinvolgendo la Scaglia toscana in una blanda anticlinale che mostra al nucleo le Argilliti di Brolio, in contatto stratigrafico con le Marne del Sugame; sopra si trovano le due litofacies in cui sono state suddivise le Calcareniti di Montegrossi.
Il Monte Labbro è la cima più elevata (1192 m s.l.m.) del gruppo montuoso, smembrato in blocchi, che si estende fino all’abitato di Roccalbegna, costituito dalle Calcareniti di Dudda e dalle Calcareniti di Montegrossi poggianti, talvolta con contatto tettonico, sulle Marne del Sugame e le Argilliti di Brolio. Nell’area in esame l’Unità Toscana non metamorfica è rappresentata dalle formazioni delle Marne a Posidonomya, dei Diaspri, della Maiolica, della Scaglia Toscana ed infine del Macigno, mentre non sono mai presenti in affioramento i termini più antichi che tuttavia, sono stati rinvenuti dalle perforazioni eseguite dall’Enel nell’ambito degli studi geotermici e minerari.
In particolare il substrato Mesozoico, costituito da calcari triassici e calcari con selce del Lias si rinviene ad una quota di 900 metri s.l.m. in località Bandinella, e di 100 metri
s.l.m. in prossimità di Roccalbegna; questo dislivello di 800 metri è distribuito su una distanza di 3,5 km, che corrisponde ad una pendenza media del substrato di circa 10° (Cestari et al., 1979). La figura 5.1 mostra uno schema del versante meridionale di Monte Labbro, fino al paese di Roccalbegna; in tale schema si può osservare l’andamento del substrato, costituito da a) evaporiti e b) calcare selcifero, diaspri, maiolica. Il substrato è attraversato da un sistema di faglie dirette che hanno causato un abbassamento della porzione meridionale del versante. Sopra la copertura plastica, costituita dalle 1) Argilliti di Brolio e dalle 2,3 e 4) Marne del Sugame e Calcareniti e Argilliti di Dudda si trovano le Calcareniti di Montegrossi (5), che, in relazione all’abbassamento subito dal substrato per l’azione delle faglie dirette, si smembrano in placche. 5 4,3 2,1 b a
Fig. 5.1: Diagramma del versante sudoccidentale del monte Labbro. Cestari et al.,
1979
Le direttrici tettoniche principali presenti nell’area sono tre: il sistema principale ha andamento N-S, ed è testimoniato dalla presenza di allineamenti strutturali ad andamento meridiano, quale quello materializzato dagli affioramenti della Falda Toscana di Stribugliano-Rocchette allineati lungo una stessa struttura plicativa anticlinalica asimmetrica, con asse circa N-S a vergenza orientale. Un’importante faglia, con la stessa direzione, coincide con
l’alto corso del fiume Albegna, e mette in contatto la formazione delle Argille a Palombini, appartenenti alle Unità Liguri, con le Calcareniti di Montegrossi a Roccalbegna; un altro elemento a direzione N-S è rappresentato dal contatto tra le Calcareniti di Montegrossi e la formazione delle argille e Calcari di Canetolo in corrispondenza di Podere Macereto.
Il secondo sistema è costituito da faglie normali a gradinata, con orientazione circa NW-SE, che interessano il versante meridionale del Monte Labbro; tale sistema di faglie ha causato lo smembramento delle placche calcarenitiche in blocchi che si dispongono secondo differenti fasce, con orientazione NW-SE, e che si arrestano ad occidente in corrispondenza della dorsale N-S di Poggio le Volturaie - Monte Buceto (vedi fig. 5.2). Il rigetto delle singole faglie che compongono la gradinata è stato ricostruito in base alla presenza di un livello guida costituito da una breccia poligenica sinsedimentaria (Iotti, 1992).
Il massiccio del monte Labbro è interessato anche da un sistema di faglie E-W che danno luogo a uno smembramento della placca con progressivo ribassamento dei blocchi costituenti la parte settentrionale.
Fig. 5.2 Schema della deformazione gravitativa profonda che a causato lo smembramento del versante
meridionale del Monte Labbro nelle placche calcarenitiche mostrate in figura.
Du: Argilliti e Calcareniti di Dudda Mgr: Calcareniti di Montegrossi Cint: Argilliti di Cintoia Sug: Marne del Sucame Bro: Argilliti di Brolio
Le trincee, che rappresentano i limiti delle placche sono indicate a tratteggio.
L’insieme dei primi due sistemi di faglie ha, come già detto, smembrato il blocco calcarenitico in varie placche caratterizzate dalla presenza di fenomeni di instabilità, come frane di crollo che interessano i margini delle placche stesse.
Nella figura 5.3 è mostrato una schema dell’evoluzione geologico-strutturale della zona; nel primo stadio si osserva la situazione iniziale, data dalla sovrapposizione delle formazioni dell’Unità Toscana non metamorfica: a- substrato rigido costituito da evaporiti, calcare selcifero, diaspri e maiolica; b- Argilliti di Brolio e Marne del Sugame e Argilliti di Brolio; c- Calcareniti di Montegrossi.
Nel secondo stadio si osserva l’instaurarsi della tettonica distensiva, con coseguente formazione di faglie dirette nel substrato rigido; si osserva come la Scaglia Toscana non sia interessata direttamente dalle faglie, ma reagisca in conseguenza al movimento del substrato.
Nello stadio tre e quattro, infine, si osserva lo smembramento delle calcareniti in placche.
Fig. 5.3: Schema dell’evoluzione geologico-strutturale dell’area di Monte Labbro e Roccalbegna.
a: substrato rigido
b: copertura plastica (Marne e Argilliti) c: placche rigide (calcareniti)
Le placche calcarenitiche sono caratterizzate dalla presenza di fratture aperte, che mostrano spostamenti diversi delle pareti, strutture a graben e trincee che si sviluppano nella parte centrale delle placche; l’orientazione di tali trincee è diversa da blocco a blocco.
Le placche che si possono individuare sono:
1. Blocco sud-occidentale di Monte Labbro. È il blocco più esteso: ha una superficie di circa 1,5 km2 e uno spessore di circa 100 metri (Cestari et al., 1979). La placca mostra trincee di varie dimensioni orientate prevalentemente SW-NE ed E-W; le trincee mostrano caratteristiche differenti, che lasciano presupporre che si siano sviluppate in periodi differenti; alcune di queste strutture, infatti, mostrano profili arrotondati. Una
trincea molto evidente è posta sotto la vetta del monte, è lunga 300 m, si sviluppa nelle calcareniti ed ha una direzione N150.
2. Blocco di Poggio Carletto; questa placca ha dimensioni ridotte (0,25 km2 circa); al suo interno si sviluppano trincee che hanno andamento E-W.
3. Blocco di Poggio Prato Nanzi; la placca immerge a SW ed ha un’estensione di circa 0,3 km2; le due scarpate, di 60 metri a SW e di 30 metri a SE, mostrano due sistemi di joint, dai bordi netti e privi di detrito, paralleli a tali pendii.
4. Ci sono poi due blocchi di dimensioni ridotte rispetto ai precedenti. Il primo è il blocco di Podere di Monte Labbro: questo è l’unico blocco che si muove verso Nord e la sua superficie è di circa 0,1 km2. Il secondo blocco, di Podere Sant’Anna è quello più orientale, e anche questo ha una superficie di circa 0,1 km2.
Le condizioni litologiche e tettoniche generali descritte precedentemente, la loro estrema frammentarietà, l’assetto giaciturale particolarmente disturbato degli orizzonti marnoso-argillosi visibili, inducono a ritenere che tutte le unità litostratigrafiche costituenti il versante meridionale del Monte Labbro, siano state interessate da un lento e generalizzato movimento gravitativo profondo. Inoltre, la presenza di trincee, orientate in maniera differente da blocco a blocco, è un ulteriore indizio del fatto che questi blocchi siano interessati da DGPV.
Il fenomeno può essere attribuito all’azione delle faglie sul substrato mesozoico, come descritto in precedenza ed esplicato in figura 5.1. Va precisato che il movimento non si è manifestato in maniera uniforme ed omogenea in tutta la massa poiché le unità litostratigrafiche hanno subito scivolamenti differenziati. Il perdurare delle condizioni di deformazione delle zone plastiche, in concomitanza con il procedere del sollevamento dell’intera area, ha avuto come effetto lo smembramento delle placche di calcareniti, che
sovrastano le porzioni argillitiche e marnose a comportamento plastico; tali placche hanno reagito alle sollecitazioni impresse dal substrato, con un comportamento meccanico di rottura rigida.
Allo stato attuale delle conoscenze geologiche non è possibile precisare l’intervallo di tempo entro cui si sono manifestati i fenomeni di DGPV nell’area di Monte Labbro; Cestari et alii (1979) presumono che il movimento gravitativo sia iniziato almeno durante il Pliocene per raggiungere la massima entità in concomitanza alla evoluzione tettonica del substrato. Non si hanno informazioni in merito alla possibile continuazione del movimento anche in tempi attuali, tuttavia se si tiene conto della inclinazione del substrato si può supporre che ancora oggi la struttura si trovi in uno stato di instabilità (Cestari et al., 1979, Iotti & Tarchiani, 1996).
5.2 LE FRANE
Per quanto riguarda il concetto di frana la terminologia comunemente utilizzata si basa sulla classificazione suggerita dall’UNESCO nel WP/WLI- Working Party on World Landslides Inventory del 1993; in questo senso un fenomeno franoso viene definito come il movimento di una massa di roccia, terra o detrito, lungo un versante.
Le frane vengono distinte in base allo stato di attività, che fornisce informazioni riguardo il tempo in cui è avvenuta la frana e la sua evoluzione temporale, alla distribuzione di attività, che descrive dove la frana si sta movendo e permette di prevedere il tipo di evoluzione, in senso spaziale, del dissesto, e allo stile di attività, che riguarda i meccanismi di movimento.
Nell’area rilevata i fenomeni franosi s.s. sono molto estesi e si sviluppano in varie litologie. In particolare interessano la formazione delle Argille a Palombini, che occupa la porzione laterale, sia ad E che a W, della carta, la formazione delle Argille e Calcari di Canetolo e la porzione argillitica della formazione della Pietraforte. E’ proprio in questa litologia che si sviluppa il fenomeno franoso che interessa l’abitato di Arcidosso e che è stato studiato in dettaglio nell’ambito di questa tesi.
I fenomeni franosi che interessano l’area sono attribuibili a diversi tipi di movimento. Secondo la classificazione di Cruden & Varnes del 1996 le frane possono essere divise in cinque gruppi a seconda del tipo di movimento (tab. 5.1).
a) Le frane di crollo sono movimenti repentini di caduta libera da versanti ripidi, pareti e scarpate. La velocità raggiunta da questo tipo di movimento può essere molto elevata in relazione all’altezza di caduta; le dimensioni del fenomeno sono inversamente proporzionali alla frequenza dei crolli. Le frane di crollo possono avere varie cause, come ad esempio l’allargamento di fratture pre-esistenti, il superamento dell’attrito statico in conseguenza a sismi; altre possibili cause sono l’aumento di inclinazione del pendio in seguito a deformazioni di versante (come nel caso del Monte Labbro), oppure la perdita di matrice in un deposito matrice sostenuto; in questo caso i vari blocchi che compongono il deposito sono sottoposti a crollo.
b) Le frane di ribaltamento sono legate alla rotazione, verso l’esterno del versante, di una massa intorno ad un perno situato sotto il centro di massa del materiale spostato. Il fenomeno può essere indotto dal distacco di una porzione colonnare in seguito all’allargamento di fratture pre-esistenti, oppure da eventi meteorici estremi, da erosione prolungata ad opera di un corso d’acqua o del moto ondoso; il fenomeno può essere favorito
dalla presenza di acqua nelle fratture della roccia. La velocità di questi movimenti è estremamente variabile, e può raggiungere valori elevati. Anche in questo caso le dimensioni del fenomeno sono inversamente proporzionale alla sua frequenza.
c) Il termine scorrimento è utilizzato per descrivere un movimento di materiale lungo superfici di rottura riconoscibili; il movimento non comincia contemporaneamente su tutta la superficie di rottura, ma si estende da una zona ben precisa, dove di solito il versante è fratturato, poi il materiale coinvolto scivola e copre la superficie originaria del versante. Le frane di scorrimento si dividono in frane di scorrimento rotazionale e frane di scorrimento traslativo. Nel primo caso la superficie di rottura ha una forma concava verso l’alto e il movimento tende a riportare le masse all’equilibrio.
Nel caso di frane per scorrimento traslativo la superficie di rottura è piana o ondulata e in questo caso la deformazione del materiale coinvolto è scarsa o nulla. Generalmente le traslazioni sono più superficiali rispetto alle frane per scorrimento rotazionale.
d) Il fenomeno del lateral spreading è legato all’espansione di un materiale competente che sprofonda in un materiale sottostante meno competente; lo strato superiore si frattura in blocchi e il materiale che costituisce lo strato inferiore va a riempire tali fratture. L’estensione avviene lungo zone di taglio e può derivare dalla liquefazione del materiale sottostante, indotta da terremoti. L’area interessata da questo tipo di fenomeno è di solito molto vasta e la velocità con cui avviene il movimento è bassa, ma è molto elevata quando il fenomeno è provocato da liquefazione.
e) Nelle frane di colamento il movimento è continuo, si instaura su superfici di taglio fittamente spaziate e sono caratterizzate da un’intensa deformazione del materiale coinvolto. La velocità di queste frane può essere estremamente variabile, da movimenti impercettibili, fino a valanghe di detrito, che possono raggiungere e a volte superare i 100 m/s. Il materiale
tende ad incanalarsi e ad aprirsi a ventaglio. Si può assistere ad un passaggio graduale tra frane di scorrimento e frane di colamento, in seguito a variazioni della coesione del materiale coinvolto.
Nell’area oggetto di studio le frane di crollo interessano le pareti delle placche calcarenitiche descritte nel paragrafo precedente. Gli accumuli di materiale prodotti in relazione ai fenomeni di crollo possono essere sottoposti poi ad altri fenomeni franosi, come ad esempio il colamento.
5.2.1 La frana di Arcidosso Pianta dell’area in frana Perforazioni di sondaggio (Geotecno) | Inclinometri U Piezometri
L’area di Arcidosso è interessata da due fenomeni franosi storicamente attivi; il primo interessa l’area del santuario della Madonna Incoronata, nella zona immediatamente ad occidente del centro storico del paese; il secondo interessa l’abitato di Case Rosse, situato a nord di Arcidosso.
Il paese di Arcidosso è stato inserito nell’Atlante dei centri gravitativi instabili della Toscana, in relazione ai fenomeni di dissesto che interessano la zona attigua alla chiesa della Madonna Incoronata. In tale lavoro la tipologia della frana è indicata come un colamento, lo stato del dissesto è definito quiescente con parziali riattivazioni; vengono indicati, tra i fabbricati e le infrastrutture coinvolte, numerosi edifici ad uso residenziale e la Strada provinciale n°251, la via Cinigianese. Per quanto riguarda le dimensioni della frana, la sua lunghezza è indicata essere 800 metri, per un’estensione areale di 112.000 mq.
Una ricerca condotta presso il Comune di Arcidosso ha portato alla raccolta di tutte le informazioni riguardo lo studio che il comune stesso ha svolto al fine di bonificare l’area in frana; i risultati di questa ricerca vengono riportati di seguito. Il fenomeno franoso della Madonna Incoronata è attivo da tempi storici; i documenti relativi al periodo medievale indicano, infatti, la zona attualmente delimitata come area instabile, con il termine “soda”, che, nel dialetto locale, indica un’area non adatta a scopi agricoli; viste le caratteristiche del terreno e l’elevata disponibilità idrica, questa definizione deve evidentemente riferirsi proprio alle sue caratteristiche di instabilità.
L’instabilità della zona è stata notevolmente aggravata dagli interventi antropici, eseguiti nel corso degli anni ’60, volti a deviare il corso del torrente Arcidosso, incanalandolo, così come i suoi affluenti, e facendolo scorrere sotto il piano di campagna.
Questo ha ridotto il naturale drenaggio del terreno e, come diretta conseguenza, ne ha aumentato l’instabilità. Nei primi anni ’80 il comune di Arcidosso ha stanziato dei fondi per
lo studio del fenomeno franoso, in relazione ai danni subiti dai fabbricati e dalla strada provinciale. Uno studio preliminare è stato eseguito dalla società Geotecno di Firenze, secondo la quale il fenomeno franoso aveva caratteri superficiali, e proponeva quindi interventi poco profondi. Per lo studio delle caratteristiche di stabilità, gli elementi disponibili sul rapporto della società Geotecno di Firenze sono stati integrati con uno studio geomorfologico di dettaglio, appositamente eseguito, e con una serie di sondaggi eseguiti con tecniche diverse sui terreni.
Tali dati sono stati riesaminati in questa sede, al fine di determinare le caratteristiche meccaniche dei materiali coinvolti: esse saranno utilizzate nella nuova verifica di stabilità di versante.
La frana si sviluppa all’interno della formazione della Pietraforte; questa formazione è costituita da un membro arenaceo, che nella zona rilevata non è interessato da fenomeni franosi e si presenta sostanzialmente stabile, e da un membro pelitico, all’interno del quale si sviluppano le frane di scorrimento e di colamento. La formazione della Pietraforte poggia su un complesso di argilloscisti varicolori, noto come Complesso di base della Pietraforte, che non affiora nell’area studiata. Come risulta evidente dalla sezione geologica, la frana interessa anche il complesso di base, raggiunto dai sondaggi a carotaggio continuo eseguiti nell’area e descritti nel paragrafo successivo.
Le evidenze principali della presenza del fenomeno franoso sono gli estesi danni ai manufatti (fig. 5.5) e i dissesti subiti dalla Strada Cinigianese; sono inoltre evidenti ondulazioni del pendio, variamente orientate rispetto all’asse della valle e tratti pianeggianti, più o meno estesi, che, come indicato dai documenti raccolti presso il Comune, avevano talvolta ristagni d’acqua prima degli interventi di stabilizzazione.
Abitazione Simonetti Lato Sud
Muro recinzione Corsini
Fig. 5.5 Danni strutturali subiti dai manufatti in seguito al movimento franoso.
5.2.2 Parametri geotecnici e verifiche di stabilità nella prima fase
Nell’ambito del progetto di bonifica dell’area in frana, allo scopo di avere informazioni sulle litologie interessate dal dissesto e sulla geometria della superficie di rottura, il Comune ha fatto eseguire, nei primi anni ’80, una serie di nove sondaggi a carotaggio continuo: tali indagini hanno segnalato l’esistenza di materiali con proprietà scadenti e assetto strutturale scompaginato, per uno spessore dell’ordine della decina di metri e oltre. Questo ha escluso la superficialità del fenomeno, precedentemente ipotizzata. Da tali sondaggi (fig. 5.6) si può osservare che per i primi 6-7 metri il terreno è costituito da una coltre di materiale detritico a prevalente componente argillosa, profondamente rimaneggiata. Sotto tali terreni, e fino ad una
profondità dell’ordine dei 15 metri, i sondaggi hanno incontrato argilliti a struttura generalmente scompaginata, inglobanti livelli di arenaria a spessore variabile. A profondità maggiori il terreno è costituito da argilliti a struttura ordinata probabilmente in posto.
SOND. N°1 SOND. N°2 SOND. N°5
a b c a d b d c a c d c
Fig. 5.6 Stratigrafie dei sondaggi geognostici.
I numeri a lato delle colonne indicano i metri.
a) detrito a prevalente componente argillitica b) argilliti scompaginate
c) argilliti in posto d) livelli arenacei fratturati
Precedentemente era stata commissionata, sempre dal comune, una serie di analisi geotecniche condotte su campioni indisturbati prelevati dai sondaggi. In particolare le analisi che sono state condotte hanno portato alla determinazione dei seguenti parametri:
− umidità relativa espressa in percentuale (w%); − peso di volume (γ) o densità umida (Du); − peso specifico assoluto (γs);
− peso di volume secco (γd);
− composizione granulometrica;
− limiti di consistenza o limiti di Attemberg: limite di plasticità (wp) e limite di liquidità
(wl);
− angolo di attrito interno (ϕ) e coesione (c) mediante la prova di taglio diretta con apparecchio di Casagrande;
− attrito e coesione a saturazione tenuto conto dell’influenza dell’acqua nel meccanismo del movimento franoso;
− per alcuni campioni, determinazione dell’angolo di attrito interno residuo e della coesione residua (con prova di “taglio residuo”);
− coefficiente di permeabilità (k);
− cedimento del provino (misura del ∆h con la progressione dei carichi e della variazione dell’indice dei pori) mediante la prova di compressione ad espansione laterale impedita (prova edometrica);
− variazione del coefficiente di permeabilità durante la prova edometrica, ricostruzione della curva dei cedimenti nel tempo e determinazione del coefficiente di consolidazione (cv);
I risultati di tali prove sono riassunti in tabella 5.2.
Tab. 5.2 Risultati delle prove geotecniche eseguite, dalla Geotecno di Firenze, su campioni
La situazione idraulica del sottosuolo risultava, al momento dell’esecuzione dei sondaggi, piuttosto complessa. Le misure piezometriche disponibili forniscono valori molto differenti per i vari sondaggi e non chiaramente correlabili tra di loro e con le condizioni idrauliche al contorno (vedi tabella 5.3). In particolare, il livello statico della falda coincide con il piano di campagna per i sondaggi 3 e 4, mentre raggiunge una profondità compresa tra i 5 e i 10 metri dal p.c. nei restanti sondaggi. I livelli risultano inoltre estremamente variabili nei vari periodi dell’anno, in relazione agli apporti idrici esterni.
Tab. 5.3: Misure Piezometriche. Committente: Impresa Bramberini. Località: Madonna Incoronata- Arcidosso. Profondità livello sotto bocca foro.
* Misure effettuate dopo che in data 22 Marzo 1985 si è provveduto allo svuotamento artificiale dei piezometri.
** I piezometri 3° fase sono stati svuotati ed è stato misurato il tempo di riempimento:
− N.1 min 20 è risalito metri 1.50
− N.2 min 20 è risalito metri 0.60
L’analisi dei danni strutturali, sebbene non consenta sempre una chiara ed immediata interpretazione, ha consentito di collegare i dissesti a movimenti relativamente lenti di terreni di fondazione che si sono protratti per tempi relativamente lunghi, dell’ordine della decina di anni. Dai dati raccolti dal Comune di Arcidosso risulta che in alcuni casi è stata osservata una qualche relazione, tra la ripresa ed accentuazione del fenomeno, ed i lavori di sistemazione idraulica eseguiti nel Fosso del Giunco, a monte della Via Giuranna e nel Fosso Arcidosso ai piedi del versante.
Analisi si stabilità svolte nella prima fase
La relazione fornita dal comune conteneva i risultati dello studio della stabilità del pendio con i metodi dell’equilibrio limite; le verifiche sono state eseguite utilizzando un programma di calcolo automatico che consente di controllare le condizioni di equilibrio confrontando direttamente i risultati dei metodi di Janbu, di Morgenstern, di Price, di Bell.
Una prima serie di verifiche, è stata eseguita nell’ipotesi di una superficie di rottura collocata nei primi 6-7 metri di materiali prevalentemente argillosi o rimaneggiati; questa ipotesi si basava sulla supposizione, rivelatasi poi erronea, che il movimento franoso fosse superficiale.
Per quanto riguarda i parametri geotecnici del terreno da introdurre nei calcoli, il comune non ha ritenuto opportuno utilizzare direttamente i risultati di alcune prove di resistenza ottenuti in laboratorio, a causa dell’assetto caotico e dell’eterogeneità dei materiali.
Nelle verifiche eseguite dal comune, pertanto, sono stati attribuiti al terreno parametri medi di resistenza. In particolare, al terreno è stato attribuito sempre un valore nullo della coesione, ed un valore dell’angolo di attrito ϕ’ compreso tra i 12° ed i 18°, che esprimono la resistenza al taglio del terreno in condizioni residue.
Per quanto riguarda le condizioni idrauliche, le verifiche sono state riferite a tre casi limite di riferimento.
Una prima condizione (A), che prevede il livello della falda praticamente coincidente con il piano di campagna, rappresenta le condizioni più critiche nelle quali, in base alle osservazioni fatte, possono trovarsi alcune zone del versante.
Una seconda condizione (B), è quella che si ottiene estrapolando direttamente misure di livello disponibili.
La terza condizione (C), infine, è stata quella di assumere il livello di falda ad una quota media di circa 6 metri dal piano di campagna. Questa condizione è studiata al fine di verificare l’efficacia dell’intervento di consolidamento previsto, collegato ad un abbassamento generalizzato della falda.
Una seconda serie di verifiche di stabilità è stata eseguita con riferimento a potenziali superfici di rottura più profonde, ricadenti all’interno del complesso delle argilliti scompaginate. Tali condizioni si riferiscono all’ipotesi, coincidente poi con la realtà dei fatti, di movimenti di insieme più estesi e generalizzati a più ampie zone del versante.
Anche in questo caso le verifiche sono state eseguite ammettendo condizioni variabili sia per quanto riguarda i parametri geotecnici, sia per quelli idraulici. In particolare, anche per le argilliti scompaginate sono state ipotizzate condizioni di resistenza al taglio in condizioni residue.
Dall’insieme dei risultati si desume, come del resto prevedibile, che le condizioni di equilibrio migliorano nettamente ammettendo un livello medio della falda sempre più depresso.
Come si può osservare dalla tabella, con un livello medio della falda posto a circa 5 metri dal piano di campagna, il coefficiente di sicurezza risulta sufficientemente maggiore
dell’unità, anche nell’ipotesi di minimi valori dei parametri di resistenza attribuiti ai terreni. (vedi tabella 5.4).
Tab. 5.4: Verifiche di stabilità; i coefficienti di sicurezza sono ottenuti calcolando la media dei valori ricavati
con i metodi di Janbu, Morgenstern-Price, Bell.
A= livello della falda coincidente con il piano di campagna
B= livello della falda ricavato direttamente misure di livello disponibili.
C= livello della falda ad una quota media di circa 6 metri dal piano di campagna. Questa condizione è studiata al fine di verificare l’efficacia dell’intervento di consolidamento previsto, collegato ad un abbassamento generalizzato della falda.
In conclusione, le verifiche delle condizioni di stabilità eseguite nella prima fase hanno permesso di formulare le seguenti ipotesi:
− I movimenti osservati possono essere collegati sia a movimenti superficiali della coltre di materiale detritico, sia a movimenti più estesi e profondi riguardanti anche il complesso delle argilliti.
− Riprese di movimento sono possibili in conseguenza di innalzamenti, peraltro verosimili nella situazione contingente, del livello medio della falda, che possono portare in tutti i casi le condizioni di equilibrio prossime a quelle limite. Sulle condizioni più
sfavorevoli, con il livello della falda coincidente con il piano di campagna lungo tutto il versante, si potrebbero verificare le condizioni di rottura generalizzata.
− Condizioni di equilibrio sufficientemente stabili si ottengono con un livello medio della falda, posto a 5-6 metri dal piano di campagna.
5.2.3 Indagini geotecniche e geognostiche svolte nella fase di consolidamento
Il progetto di stabilizzazione proposto dall’Impresa Bramerini Francesco, prevedeva l’esecuzione, preliminarmente alla realizzazione delle diverse opere, di varie indagini geotecniche. In particolare sono state eseguite prove inclinometriche, piezometriche, ed è stato impostato un sistema di monitoraggio degli spostamenti superficiali.
Scopo delle indagini era quello di acquisire informazioni più significative sui caratteri geometrici e cinematici del movimento franoso. Le stesse indagini avrebbero inoltre consentito il controllo e la verifica continua degli interventi di stabilizzazione via via eseguiti.
Le indagini, eseguite secondo un programma concordato con i responsabili tecnici dell’amministrazione comunale di Arcidosso, sono consistite nella realizzazione di quattro fori, profondi ciascuno 30 metri, attrezzati per misure inclinometriche.
In prossimità di ciascun foro inclinometrico è stata installata una coppia di piezometri, costituita da un piezometro tipo Casagrande, posto in opera ad una profondità di circa 12 metri dal piano di campagna, e da un piezometro a tubo aperto posto a circa 8 metri di profondità.
Una serie di tredici capisaldi superficiali distribuiti nell’area interessata dai dissesti avrebbe inoltre consentito la misura, mediante livellazione di precisione, degli spostamenti verticali ed orizzontali di superficie.
I fori di sondaggio per l’installazione degli inclinometri sono stati eseguiti in modo tale da consentire il carotaggio continuo dei terreni attraversati.
Dopo le prime due serie di misurazioni, effettuate in data 10.09.84 e 09.02.85, oltre a quella iniziale di riferimento eseguita in data 10.09.84, è stato possibile redigere una prima elaborazione dei dati, come riportato di seguito.
Gli inclinometri hanno consentito di delimitare in tutti i casi un volume di terreni in movimento (fig. 5.7). La profondità della superficie di scorrimento è risultata nei diversi punti, compresa tra i 6 metri dal piano di campagna per la postazione numero 3, ed i 21.5 metri dal p.c. per la postazione numero 4.
Fig. 5.7 Inclinometrie
I dati ottenuti dalle postazioni numero 1 e numero 4 indicano che la superficie di scorrimento si trova ad una profondità alla quale, dai sondaggi, era stato individuato il passaggio tra le Argilliti rimaneggiate a struttura caotica e quelle a struttura ordinata. Per quanto riguarda i risultati della postazione numero tre, invece, i massimi spostamenti si registrano a 6 metri di profondità dal piano di campagna, nell’ambito della coltre più superficiale di Argilliti rimaneggiate ed alterate.
Sebbene le misure fossero ancora incomplete, è stato possibile osservare un aumento della velocità media di spostamento superficiale tra le due serie di misure. Le velocità medie complessive di spostamento sono risultate comprese tra i 0.04 mm/giorno della postazione numero 1, ed i 0.08 mm/giorno della postazione numero 4.
Le misure piezometriche non hanno mostrato, in generale, significative differenze, per ciascuna postazione, tra quelle ottenute dai piezometri tipo Casagrande e quelle dei piezometri a tubo aperto più superficiali. Una differenza di un metro è risultata soltanto tra le corrispondenti letture della postazione numero 1. Il livello della falda è risultato ad una profondità dal piano di campagna compresa tra i 2 metri della postazione numero 4 ed i 5 metri della postazione numero 3.
Per quanto riguarda le misure topografiche, i loro valori non sono stati riportati nella relazione fornita al comune, poiché gli spostamenti osservati stato stati molto piccoli, tali da non consentire alcuna osservazione particolare.
In fase esecutiva, poi, è stato ritenuto opportuno integrare le misure piezometriche disponibili, mediante l’installazione di altri sedici piezometri a tubo aperto, profondi ciascuno 15 metri, ed estesi ad un’area molto più vasta rispetto a quella iniziale. Le letture corrispondenti, effettuate nei primi giorni del mese di Marzo del 1985, indicano che l’acqua è stata incontrata ad un livello compreso tra il piano di campagna (P12) ed i 2 metri di
profondità (P14). Solo in tre casi il livello della falda è risultato a profondità maggiori (P4: hm=13 metri; P11: hm=8 metri; P13: hm=10.5 metri). Lo stato attuale delle conoscenze non consente di interpretare tali valori anomali del livello della falda.
Il complesso delle indagini e delle misure ha consentito quindi il raggiungimento di conclusioni, di seguito riportate, che hanno determinato alcune modifiche ai progetti delle opere di stabilizzazione redatti in fase preliminare.
In particolare, si è osservato che il franamento interessa sia i terreni limosi ed argillosi della coltre superficiale di materiale rimaneggiato ed alterato, sia le sottostanti argilliti alterate e scompaginate.
Le misure di spostamento disponibili non sono in contrasto con l’ipotesi di un unico movimento d’insieme, esteso ad un’ampia zona dell’intero versante.
La superficie di scorrimento corrisponde sostanzialmente, verso la base del versante con quella più profonda assunta a base delle verifiche di stabilità eseguite in sede di progetto degli interventi di stabilizzazione (vedi paragrafo precedente).
E’ verosimile inoltre che il movimento sia più esteso rispetto a quanto inizialmente previsto. La diffusa presenza di lesioni osservabili sulle strutture nella zona adiacente lo sperone di roccia sul quale si erge la chiesa della Madonna dell’Incoronata, potrebbe essere dovuta ad una maggiore distorsione subita in questa zona dai materiali in movimento piuttosto che ad una ripresa dei movimenti a carattere locale.
Le misure piezometriche hanno indicato una situazione idraulica piuttosto complessa ma nell’insieme hanno confermato le ipotesi di base assunte nella progettazione degli interventi di stabilizzazione.
5.2.4 Applicazione dei metodi all’equilibrio limite nella situazione attuale
Nello svolgimento di questa tesi, i risultati delle misure geotecniche condotte dalla Geotecno di Firenze sono state utilizzati per l’applicazione dei metodi dell’equilibrio limite al versante interessato dalla frana.
Le procedure di valutazione della stabilità di un pendio attraverso la valutazione dell’equilibrio limite consistono nella stima di un coefficiente di sicurezza alla traslazione e/o alla rotazione del volume di materiale compreso tra il piano di campagna ed una superficie di taglio potenziale imposta. La procedura di calcolo prende in considerazione tutte le forze e/o i momenti agenti lungo il piano di taglio, fornendo una valutazione della stabilità globale attraverso le equazioni d’equilibrio fornite dalla statica.
Il coefficiente di sicurezza globale del pendio viene calcolato attraverso il rapporto tra la resistenza di taglio massima disponibile lungo la superficie di rottura e gli sforzi tangenziali mobilitati lungo tale piano. All’equilibrio tale coefficiente deve ovviamente essere 1; tuttavia, in realtà, il valore che viene considerato come limite tra condizioni di stabilità e condizioni instabili è 1.3, in relazione alle approssimazioni con cui sono noti i parametri geotecnici del terreno e all’incertezza introdotta dalle ipotesi semplificatrici nella procedura di calcolo. Vengono quindi distinti tre casi:
a) Coefficiente di sicurezza inferiore a 1: il pendio si trova in condizioni di instabilità globale.
b) Coefficiente di sicurezza compreso tra 1 e 1.3: il pendio si trova in condizioni prossime all’equilibrio limite; anche un piccolo incremento degli sforzi tangenziali alla superficie potenziale di rottura può innescare il fenomeno franoso.
c) Coefficiente di sicurezza superiore a 1.3: il pendio si trova in condizioni di stabilità globale.
Nell’applicare le equazioni della statica al problema dell’analisi di stabilità di un pendio occorre ipotizzare che siano verificate alcune condizioni; la verifica va eseguita prendendo in esame una striscia di versante di larghezza unitaria (solitamente un metro), trascurando l’interazione laterale tra la striscia e il terreno contiguo. Inoltre è necessario che la resistenza al taglio lungo la superficie potenziale di rottura sia esprimibile attraverso la legge di Coulomb:
Tmax= c + γ h tg ϕ;
con
Tmax= resistenza di taglio massima del terreno
c= coesione del terreno γ= peso di volume del terreno
h= profondità della superficie di rottura ϕ= angolo di resistenza al taglio del terreno.
La precisione con cui vengono stimati in sito o in laboratorio i parametri geotecnici di coesione e di angolo di resistenza al taglio deve essere la stessa: in caso contrario la resistenza al taglio mobilitata dovrebbe essere espressa introducendo nel calcolo due coefficienti di sicurezza, uno per ogni parametro, e questo complicherebbe notevolmente la risoluzione analitica del problema.
Infine si deve considerare omogenea la distribuzione degli sforzi tangenziali mobilitati lungo la superficie potenziale di rottura. Questo significa che in ogni punto del piano ipotetico di scivolamento i parametri dell’equazione di Coulomb c,γ, ϕ ed h devono avere lo stesso valore.
Per limitare l’errore introdotto nel calcolo da quest’ultima ipotesi, la superficie di scivolamento viene suddivisa, nella maggior parte delle procedure di calcolo note in
letteratura, in più settori (conci), all’interno dei quali si considera verificata la condizione di omogeneità degli sforzi tangenziali mobilitati. Nella pratica i limiti dei conci vengono fatti cadere dove vi sia una variazione significativa dei parametri c,γ e ϕ, o in corrispondenza di variazioni significative nel profilo topografico del versante.
Questo modo d’impostare il problema conduce però all’introduzione nella risoluzione analitica di nuove incognite che esprimono il modo in cui interagiscono tra loro, lungo le superfici divisorie, i vari conci. Questo fa sì che il numero di incognite sia maggiore del numero di equazioni disponibili, e rende quindi indeterminato il nostro problema.
Le equazioni mancanti possono essere ottenute introducendo nell’analisi ulteriori ipotesi semplificatrici, che riguardano la distribuzione delle forze lungo le superfici di separazione dei conci. Le varie procedure di risoluzione del problema differiscono essenzialmente per la schematizzazione che viene fatta di questa distribuzione.
Nell’applicare il metodo dell’equilibrio limite al versante interessato dalla frana in esame sono stati utilizzati i metodi di Bishop (semplificato), di Janbu (semplificato) e di Spencer.
Il metodo di Bishop (semplificato) pone come condizione che le forze verticali agenti sulle superfici di separazione dei conci siano trascurabili. Di conseguenza i conci interagiscono tra di loro solo attraverso forze orientate lungo l’orizzontale. Questo metodo si basa sull’equilibrio dei momenti agenti, e suppone una superficie potenziale di scivolamento circolare.
Nel metodo di risoluzione di Janbu (semplificato) si pone la condizione che le forze verticali agenti sulle superfici di separazione dei conci siano trascurabili, di conseguenza i conci interagiscono tra di loro solo attraverso forze orientate lungo l’orizzontale. Questo
metodo, a differenza di quello di Bishop, consente di verificare superfici potenziali di scivolamento di forma qualsiasi ed è un metodo basato sull’equilibrio delle forze agenti.
Infine abbiamo considerato il metodo di risoluzione di Spencer che pone come condizione che le forze d’interazione lungo le superfici di divisione dei singoli conci siano orientate parallelamente tra loro ed applicate nel punto medio della base del concio; il metodo è valido per superfici di scivolamento sub-circolari. E’ un metodo rigoroso, in quanto è basato sull’equilibrio sia dei momenti che delle forze agenti.
Lungo una sezione trasversale dell’area soggetta al fenomeno franoso, mostrata in figura 5.8, sono state riportate le ubicazioni dei sondaggi e delle inclinometrie descritte nei paragrafi precedenti, e sulla base di questi valori sono state ipotizzate due superfici di scivolamento.
I sondaggi goegnostici (fig. 5.6) individuano nel sottosuolo, la presenza di tre strati: il primo, che si estende fino a una profondità media di 7 metri dal piano di campagna, è
I4
I3
I2
Fig. 5.8 Profilo trasversale alla frana
costituito da detrito a prevalente componente argillitica; il secondo strato raggiunge, in media, i 13 metri dal piano di campagna ed è costituito da argilliti profondamente rimaneggiate, alternate a livelli arenacei fratturati. Il terzo strato, infine, è costituito da argilliti stratificate, alternate a livelli arenacei ed è stato rinvenuto fino alla fine di ogni sondaggio, eseguiti fino ad una profondità massima di 30 metri.
Sulla base di questi dati è stato ricostruito il possibile andamento degli strati nel sottosuolo (fig. 5.9 e 5.10).
I campioni indisturbati prelevati dai sondaggi geognostici, sono così distribuiti all’interno dei tre strati:
STRATO A): campioni 1 – 2 – 4 – 5 – 6 – 9 STRATO B): campioni 3 – 7 – 10 – 11 STRATO C): campione 8
Per ogni strato sono stati quindi calcolati i valori medi dei parametri geomeccanici necessari all’applicazione dei vari metodi, come riassunto in tabella 5.5:
Tab. 5.5 Valori medi dei parametri goemeccanici.
Per ognuna delle due superfici di scivolamento sono state eseguite due prove diverse: la prima prova consiste nel fornire al programma di calcolo i punti esatti di incontro tra il piano di campagna e la superficie di scivolamento ipotizzata; il programma costruisce un numero richiesto (nel nostro caso 100) di superfici di scivolamento circolari con raggio costante e posizione del centro variabile, con un intervallo di aumento anche questo richiesto, che nel nostro caso era di 3 metri. Per ogni superficie, disegnata di blu in figura, è stato calcolato il coefficiente di sicurezza, ed è stata poi evidenziata in colore rosso la superficie per la quale tale coefficiente era minimo. Questa superficie è quella che più probabilmente coincide con la vera superficie di scivolamento (fig. 5.9 a).
La seconda prova consiste nel fornire al programma due intervalli spaziali, uno a valle ed uno a monte all’interno dei quali far variare il piede e la testa della frana. Anche in questo caso il programma costruisce una serie di circonferenze, per ognuna delle quali viene calcolato il coefficiente di sicurezza. In figura è stata evidenziata in rosso la superficie a coefficiente di sicurezza minimo (fig. 5.9 b).
Per quanto riguarda la superficie di scivolamento collocata più a valle, il procedimento seguito è stato diverso; infatti non si conosce il punto esatto di incontro tra la superficie di scivolamento e il piano di campagna (vedi fig. 5.8).
La prima prova effettuata consiste nel fornire al programma due intervalli spaziali, uno più piccolo a monte (5 metri), ed uno più esteso a valle (70 metri) entro i quali sono state costruite 100 superfici di scivolamento circolari, facendo variare ogni volta di tre metri la posizione dei centri. Anche in questo caso la superficie evidenziata in rosso è quella con coefficiente di sicurezza minimo (fig. 5.10 a).
La seconda prova consiste nell’utilizzare i punti di incontro tra il piano di campagna e la superficie a coefficiente di sicurezza minimo appena calcolata; fornendo al programma di
calcolo questi due punti, sono state calcolate 100 superfici circolari di scivolamento a raggi incrementali. Di tali superfici, ancora una volta, è stata evidenziata in rosso la superficie a coefficiente di sicurezza minimo (fig. 5.10 b).
I valori di riepilogo su queste quattro superfici con coefficiente di sicurezza minimo sono sintetizzati nelle figure 5.11, 5.12, 5.13 e 5.14. Le prime due figure si riferiscono alla superficie di scivolamento collocata più a monte, mentre le seconde due si riferiscono alla superficie situata più a valle.
Fig. 5.11 Riepilogo delle caratteristiche della superficie di scivolamento con coefficiente di
sicurezza minimo, collocata a monte, ottenuta tramite l’inserimento nel programma di calcolo di valori esatti della posizione del piede e della testa della frana stessa.
Fig. 5.12 Riepilogo delle caratteristiche della superficie di scivolamento con coefficiente di
sicurezza minimo, collocata a monte, ottenuta tramite l’inserimento nel programma di calcolo di due intervalli per la collocazione rispettivamente del piede e della testa della
Fig. 5.13 Riepilogo delle caratteristiche della superficie di scivolamento con coefficiente di
sicurezza minimo, collocata a valle, ottenuta tramite l’inserimento nel programma di calcolo di valori esatti della posizione del piede e della testa della frana stessa.
Fig. 5.14 Riepilogo delle caratteristiche della superficie di scivolamento con coefficiente di
sicurezza minimo, collocata a valle, ottenuta tramite l’inserimento nel programma di calcolo di due intervalli spaziali entro i quali far variare la posizione del piede e della testa della frana stessa.
5.2.5 Interventi di stabilizzazione
Gli elementi ottenuti dalle indagini prima esposte indicano che il movimento franoso interessa un volume di terreno molto più profondo ed esteso di quello che era stato ipotizzato in fase di progetto. Questa circostanza non ha tolto validità agli interventi previsti, miranti al miglioramento delle condizioni di stabilità ed al rallentamento del movimento, attraverso l’abbassamento del livello medio della falda nella zona di versante interessato.
Tuttavia, sulla base dei risultati delle indagini eseguite, è stato opportuno apportare alcune modifiche ai progetti degli interventi di stabilizzazione redatti in fase preliminare, al fine di rendere più efficaci gli interventi stessi.
Nel progetto delle opere sono state individuate tre zone distinte di intervento, che possono essere trattate in modo indipendente, anche se la stabilizzazione di ciascuna area contribuisce alla stabilità d’insieme dell’intero versante.
Tale impostazione, oltre a favorire un’esecuzione del lavoro complessivo secondo stralci funzionali, si presta ad una migliore verifica continua degli effetti ottenuti progressivamente e ad un coordinamento tra le varie fasi d’intervento.
Una prima serie di interventi riguarda la zona situata immediatamente a monte della Via Giuranna, verosimilmente interessata da più o meno lenti e profondi movimenti verso valle. In questa zona gli interventi sono stati ricondotti alla realizzazione di un unico setto drenante, più profondo, che ha lo scopo di delimitare verso monte la zona di versante sulla quale ottenere un miglioramento complessivo delle condizioni di stabilità.
Una seconda rete di drenaggi profondi, realizzata con trincee drenanti, è stata effettuata ai piedi del versante, a valle della strada principale. In questo caso non ci sono state modifiche rispetto a quanto ipotizzato in fase di progetto.
La terza, ed ultima, zona di interventi si riferisce alla zona centrale urbanizzata. In questa zona è stata realizzata una serie di pozzi drenanti opportunamente distanziati; la zona di influenza dei pozzi è regolata da una serie di dreni orizzontali che si addentrano nella zona adiacente i pozzi stessi.
Lo smaltimento delle acque di drenaggio è assicurato da un setto drenante profondo, che collega i pozzi alla rete di trincee drenanti poste a valle della strada provinciale.
Nell’ambito di questa tesi è stata rivista la geometria e la stabilità del versante interessato dalla frana della “Madonna Incoronata”.
La nuova verifica di stabilità ha permesso di individuare una superficie di scivolamento il cui indice di sicurezza indica che le condizioni del versante sono globalmente instabili. Il valore posto come limite a norma di legge, secondo il decreto ministeriale dell’11/03/88, è infatti 1,3; tale eccedenza rispetto al valore unitario è da imputarsi, come già accennato in precedenza, all’incertezza introdotta da alcune ipotesi semplificatrici nella procedura di
calcolo, necessarie tuttavia alla risoluzione algebrica del problema, nonché all’approssimazione con cui sono noti i parametri geotecnici del terreno.
Per quanto riguarda la seconda superficie di scivolamento il valore del coefficiente di sicurezza è di poco superiore all’unità, e si mantiene sempre comunque inferiore a 1,3; questo permette di constatare la condizione di precarietà dell’equilibrio di tale superficie. In questo caso il movimento franoso può essere innescato anche da un piccolo incremento degli sforzi tangenziali a tale superficie. Considerando la scarsa conoscenza del livello e delle variazioni della falda acquifera si ritiene che la superficie sia effettivamente a rischio.
Resta comunque opportuno un controllo piezometrico e topografico, per valutare l’efficacia degli interventi apportati.