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Ildegarda di Bingen (Bermesheim 1098 – Rupertsberg 1179)

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Ildegarda di Bingen

(Bermesheim 1098 – Rupertsberg 1179)

Ildegarda nacque a Bermesheim, nella regione del Reno, nel 1098, ultima di dieci figli di una nobile famiglia locale. Preziose informazioni biografiche sono contenute nei suoi scritti (tutti in lingua latina), in particolare nella Vita e nelle lettere ancora oggi conservate.

La sua esistenza fu segnata fin da bambina dal dono della visione, che le permetteva, pur rimanendo cosciente, di conoscere le “cose invisibili”, come se un occhio interiore la rendesse capace di cogliere figure e segni appartenenti al mondo spirituale. Ildegarda udiva, inoltre, una voce segreta, che le dice come comportarsi nelle situazioni difficili e le affidava messaggi profetici. A queste doti sorprendenti, si accompagnarono una malattia non meglio precisata (nonostante gli studiosi abbiano suggerito che si potesse trattare di emicranie o di “scotoma scintillante”) e un senso di spossatezza e malessere, spesso in concomitanza con la visione. Tali disturbi, tuttavia, non impedirono ad Ildegarda di beneficiare di una

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lunga vita, almeno secondo la media dell’epoca: morì, infatti, nel convento di Rupertsberg nel 1179, all’età di 81 anni.

Così Ildegarda descrive la sua infanzia e le prime visioni: “E nel terzo anno della mia vita vidi una luce tale che il mio animo ne tremò; ma dato che ero piccola non potei raccontarlo. Ma nel mio ottavo anni venni offerta a Dio, consegnata alla vita spirituale, e fino al mio quindicesimo anno vidi molte cose, e parlai di molte di esse semplicemente, cosicché chi mi ascoltava si meravigliava, e si chiedeva da dove venissero o di chi fossero le cose che dicevo.”1

La profonda conoscenza delle Scritture e le competenze nei più disparati campi del sapere (dalla cosmologia alla medicina, dalla poesia alla musica), giungevano ad Ildegarda come una grazia divina dalla personificazione della Sapienza, senza il minimo sforzo né difficoltà di apprendimento. Dal canto suo, Ildegarda dichiara più volte la sua umiltà ed ignoranza, definendosi “paupercula feminea forma” e ancora “paupercula mulier et indocta”.

In un primo tempo, Ildegarda tenne per sé le proprie visione, poi, incoraggiata da Jutta di Spanheim, badessa del convento di Disibodenberg, e dal monaco Volmar, suo futuro collaboratore, Ildegarda decise di renderle pubbliche, provando, dopo questa scelta, un certo sollievo rispetto all’oppressione fisica che avvertiva.

Nel 1136 Ildegarda succedette a Jutta nel ruolo di badessa, da questo momento entrerà in contatto con le maggiori personalità dell’epoca, che le riconosceranno indubbi poteri profetici. In realtà si tratta di un processo progressivo: dopo l’appoggio di Volmar, la sua esperienza visionaria venne vagliata dal vescovo di Magonza e, infine, dal papa in persona. Durante il sinodo di Treviri (1147-1148), al quale partecipa anche san Bernardo, papa Eugenio

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I passi della Vita di Ildegarda sono riportati tradotti in italiano in P. Droke, Donne e cultura nel

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ratificò ufficialmente i primi scritti di Ildegarda, nei quali la religiosa aveva cominciato a descrivere ciò che vedeva e sentiva durante le visioni, cercando, inoltre, di comprenderne il significato.

La vita di Ildegarda non si esaurisce all’interno del convento. La badessa dimostra in più occasioni di essere ben interessata e coinvolta nelle vicende politiche dell’epoca. Con viaggi e mediante una fitta corrispondenza epistolare, Ildegarda fornì consigli a papi (Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV) e sovrani (Corrado III, Federico Barbarossa, Enrico II d’Inghilterra, Eleonora d’Aquitania e Irene, imperatrice bizantina), non lesinando rimproveri e ammonimenti, quando lo riteneva opportuno. In una lettera a Federico Barbarossa, ad esempio, Ildegarda richiamò l’imperatore a comportarsi in modo principesco e ad assumersi le proprie responsabilità, non come chi viva assuefatto agli agi di palazzo.

Nonostante la reputazione di cui Ildegarda godeva presso i contemporanei, per due volte i suoi messaggi divini hanno trovato una forte opposizione terrena. Nel 1150 Ildegarda volle spostare il convento femminile da Disibodenberg a Rupertsberg, provocando l’opposizione della comunità monastica maschile, timorosa di perdere rendite e prestigio. Più tardi, l’allieva prediletta, Richardis, decise di abbandonare Rupertsberg, contro la volontà di Ildegarda, per assumere l’incarico di badessa presso un altro convento. In entrambi i casi, Ildegarda cercò di imporre l’autorità del suo volere, che trascende la sua persona: è Dio che parla attraverso di lei. Soltanto nel primo episodio la visionaria riuscì nel suo intento, fondando, infatti, il nuovo complesso monastico femminile di Rupertsberg, sul Reno. Mentre, nonostante gli accorati appelli ad arcivescovi, nobili locali e persino al papa, non sarebbe riuscita a tenere con sé l’mata Richardis.

La produzione letteraria di Ildegarda è piuttosto vasta ed abbraccia temi molto diversi tra loro, dalla medicina all’astronomia, dalla teologia alla filosofia, fino a

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comprendere composizioni poetiche e musicali. Le tre opere a carattere visionario sono quelle che hanno suscitato maggiore interesse presso i contemporanei, testimoniato ancora oggi dall’esistenza di alcune copie manoscritte prodotte quando Ildegarda era in vita o poco dopo la sua morte. Esse sono il Liber Scivias (1141-51), il Liber Vitae Meritorum (1158-63), il Liber Divinorum Operum (1163-73). Nel Liber Scivias le visioni riguardano l’ambito teologico-didascalico, incentrandosi su alcuni temi: la creazione, il peccato, la redenzione, la salvezza eterna. Il Liber Vitae Meritorum appartiene al genere delle psicomachie, mettendo in scena una lotta tra Vizio e Virtù, Dio e Satana. Il Liber Divinorum Operum affronta il tema cosmologico delle leggi che regolano il rapporto tra l’uomo e l’universo, tra il microcosmo e il macrocosmo.

Oltre alle opere visionarie, gli scritti di Ildegarda comprendono una copiosa corrispondenza ed opere minori sulla medicina, la farmacologia, le scienze naturali. E’ evidente che, nonostante le professioni di modestia, Ildegarda fosse una donna colta, conoscitrice degli autori antichi e di quelli contemporanei, in grado di padroneggiare il latino scritto alla pari degli uomini di lettere del XII secolo. La sua posizione di badessa, unita all’autorevolezza che ha saputo ritagliare attorno al propria persona e alle proprie opere, hanno reso Ildegarda uno dei personaggi femminili più conosciuti e studiati dell’epoca medievale.

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Opere principali.

 S. Hildegardis abbatissae Opera omnia, Patrologiae Cursus Completus, Series Latina, vol. 197, ed. a cura di J.-P. Migne, Paris,

Garnier, 1882.

 Scivias, CCCM, 43, 43°, ed. a cura di A. Fuhrkotter, Brepols,

Turnhout, 1978.

 Hildegardis Bingensis epistolarium, CCCM, 91, 91A, 91B, ed. a cura

di L. van Acker, in, Brepols, Turnhout, 1991.

 Vita Sanctae Hildegardis, CCCM, 126, ed. a cura di M. Klaes,

Brepols, Turnhout, 1993.

 Hildegardis liber vitae meritorum, CCCM, 90, ed. a cura di A.

Carlevaris, Brepols, Turnhout,1995.

 Hildegardis Bingensis liber divinorum operum, Corpus Christianorum. Continuatio mediaevalis, 92, ed. a cura di A. Derolez

e P. Dronke, Brepols, Turnhoult, 1996.

Bibliografia essenziale

 AR. CALDERONI MASETTI, e G.DALLI REGOLI, Sanctae Hildegardis

revelationes: manoscritto 1942, Cassa di risparmio, Lucca, 1973.

 K. M. WILSON (a cura di), Medieval women writers, Manchester

University Press, Manchester, 1984.

 P.DROKE, Donne e cultura nel Medioevo. Scrittrici medievali dal II al

XIV secolo, il Saggiatore, Milano, 1986 (ed. or.: Women Writers of the Middle Ages, Cambridge University Press, 1984).

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 S.FLANAGAN, Ildegarda di Bingen, vita di una profetessa, Firenze, Le

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Marie de France

(XII secolo, seconda metà)

Marie de France è la prima narratrice in volgare dell’Europa medievale. Su di lei abbiamo poche informazioni biografiche; non conosciamo, ad esempio, né la data, né il luogo della sua nascita, così come sono possibili soltanto delle ipotesi sulla sua formazione culturale. Alcuni studiosi hanno tentato di identificarla, senza riscuotere molti consensi, con alcune “Marie” presenti nella corte inglese all’epoca di Enrico II e Eleonora d’Aquitania, dove l’autrice ha, con molta probabilità, soggiornato. Le proposte hanno chiamato in causa alcune religiose: Mary di Shaftesbury, badessa alla quale è stata anche attribuita una parentela illegittima con Enrico II; Mary di Reading, nome assente nei documenti, ma che collegherebbe uno dei codici più completi dei Lais e delle Fables, l’Harley 978, prodotto appunto nel monastero di Reading, con l’autrice. Non mancano poi identificazioni con aristocratiche: Marie de Boulogne, morta nel 1182 (data che crea alcuni problemi con l’attribuzione dell’ultima opera di Marie, l’Espurgatoire, composta alcuni anni più tardi); Marie de Beaumont Meulan, presunta figlia di Galeran IV de Meulan († 1166), ricco e colto mecenate della corte

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anglo-normanna. Quest’ultima ipotesi ha riscosso i consensi maggiori presso la critica, tanto da arrivare al nome di un possibile marito di Marie, Ugo Talbot, barone di Cleuville. Carla Rossi, in un recente articolo, ha dimostrato come anche quest’ultima ipotesi interpretativa crei delle difficoltà, dal momento che negli archivi, nelle carte datate tra il 1150-1200, c’è un sostanziale silenzio attorno ai nomi di Marie de Beaumont Meulan e Ugo Talbot: la confusione, in questo caso, potrebbe derivare dall’esistenza documentata di un’altra Marie de Meulan, nata in Francia attorno al Mille (vissuta, quindi, più di un secolo prima rispetto alla nostra autrice e mai arrivata in Inghilterra) e figlia di un omonimo avo di Galeran IV.2

Lasciando da parte la questione dell’identità storica di Marie e limitandoci a ciò che si può evincere dai suoi scritti, l’autrice doveva essere di nazionalità francese, pur soggiornando e lavorando in Inghilterra. Oltre al francese, Marie doveva conosceva piuttosto bene il latino (dal quale traduce in volgare) e il medio inglese, aveva letto i classici e alcuni autori a lei contemporanei.

Sotto il suo nome ci sono state tramandate tre opere, molto diverse tra loro per argomento e stile, tutte composte in un arco di tempo che va dal 1160 al 1190. Si tratta di una raccolta di dodici racconti brevi (Lais), una collezione di favole esopiche (Fables) e la volgarizzazione di una leggenda (Espurgatoire Saint

Patrice). Più dubbia l’attribuzione a Marie di un’altra opera, la Vie de sainte Audrée.

I Lais sono una raccolta di dodici racconti, composti da più di seimila versi. Al prologo seguono le storie: Guigemar, Equitan, Le Fresne, Bisclavret, Lanval, Les Deux Amanz, Yonec, Laüstic, Milun, Chaitivel, Chevrefoil, Eliduc.

Marie sostiene nel prologo di aver liberamente trascritto i racconti orali che aveva udito, per non lasciarli cadere nell’oblio: questo concetto è ribadito più

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volte anche nelle singole storie, in cui l’autrice cita un anziano bretone come fonte (ad esempio nel primo racconto scrive: “les contes ke jo sai verrais / dunt li Bretun unt fait les lais /vos conterai assez briefment”).3 L’autrice è consapevole di agire in modo nuovo rispetto alla consuetudine di tradurre dal latino al volgare le opere del passato. La parola lai sottolinea l’appartenenza alla tradizione orale, questo nome, infatti, viene normalmente associato ai canti o ai racconti accompagnati da una base musicale di origine celtica, poi diffusi in tutta Europa. I

Lais di Marie ruotano spesso attorno ad un amore infelice, incentrandosi su alcune

tematiche ricorrenti: la gelosia dei mariti, le giovani malmaritate, le alleanze femminili contro la crudeltà e le debolezze maschili. Per l’abilità con cui Marie tratteggia le scene, creando immagini nitide e suggestive, i suoi Lais sono stati definiti una sequenza di preziose e smaltate miniature gotiche.

La genesi delle Fables è descritta da Marie nell’epilogo: “Al finement de cest escrit

Que en romanz ai tretié e dit, Me numerai pur remembrance : Marie ai nun, si sui de France. Put cel estre que clerc plusur Prendereient sur eus mun labur, Ne voil que nul sur li le die ; Cil fet que fol ki sei ublie. Pur amur le cunte Willame, Le plus vaillant de nul realme, M'entremis de cest livre feire 3

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E de l'engleis en romanz treire. Esopё apel’um cest livre, Qu’il translata e fist escrire, Del griu en latin le turna; Li reis Alvrez, que mut l’ama, Le traslata puis en engleis, E jeo l’ai rimee en francesi, Si cum jeo poi plus proprement. Ore pri a Deu imnipotent Kё a tel ovre puisse entendre Quё a lui pusse m’alme rendre”4

Dunque, l’autrice scrive su invito di un certo “cunte Willame” centodue storie, derivandole, almeno in parte, da una traduzione in medio inglese di favole latine, conosciuta sotto il nome di Romulus Nilantii. In realtà, le fonti delle Fables sono più varie: le prime quaranta derivano effettivamente dal Romulus Nilantii, le altre sessantadue sono divise tra una parte che rimonta a una diversa tradizione antica e un’interessante minoranza di origine popolare di età medievale. Il merito di Marie è quello di saper inserire all’interno di un genere piuttosto rigido, come le favole esopiche, inserti di carattere più narrativo, aggiungendo ai protagonisti animali esseri umani e personaggi fantastici. Gli elementi che costituiscono le favole (le descrizioni, i dialoghi, le parti narrative) concorrono a creare un’unità logica ben strutturata e nuova rispetto alla tradizione antica, con lo scopo di saldare il racconto con la morale finale (spesso rimaneggiata, a favore di un’interpretazione cristiana e cortese, adatta alle aspettative della società

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medievale). Altre peculiarità, che rendono uniche e nuove le Fables di Marie, sono la drammatizzazione del racconto, l’inserimento di elementi meravigliosi, assenti nei prototipi latini e l’alto livello di umanizzazione dei protagonisti animali, considerati come esseri pensanti.

L’ Espurgatoire Saint Patrice, ultimo testo attribuito a Marie, è la traduzione in volgare del Tractatus de Purgatorio sancti Patricidi (scritto dopo il 1185) del monaco inglese Henri de Saltrey. Una leggenda vuole che san Patrizio, per convertire gli irlandesi, abbia scavato un pozzo dal quale era possibile accedere al regno dei cieli. La storia, che circolava in tutta Europa, narra di un cavaliere di nome Owein che, più tardi, volle tentare l’impresa e discese nel pozzo. Trovò sul fondo un monastero e qui gli spiegarono come raggiungere il Paradiso, attraversando i tormenti dell’Inferno e del Purgatorio.

Le opere di Marie de France, arrivate fino a noi in numerose copie manoscritte, incontrarono grande successo presso la corte anglo-normanna e in altri ambienti aristocratici (e non solo, il codice Harley 978, infatti, è stato probabilmente compilato nel monastero di Reading per un tale Guglielmo di Winchester, monaco in seguito condannato per condotta scandalosa) e europei, in particolare furono apprezzate dalle donne sia per il genere (i lais, le favole moraleggianti, il racconto edificante), sia per la scelta linguistica, che ne permetteva la lettura anche a chi, come le donne, era privo di un’istruzione completa.

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Opere.

 Lais de Marie de France, ed. a cura di L. Harf-Lancner, Librairie générale

française, Paris, 1990.

 L’espurgatoire Seint Patriz, ed. a cura di Y. de Pontfarcy Peeters, Paris,

1995.

 Les Fables, ed. a cura di C. Brucker, Peeters, Paris, 1998.

Edizioni italiane:

 Lais, ed. a cura di G. Angeli, Carocci, Roma, 2003.

 Il Purgatorio di san Patrizio, ed. a cura di G. Lachin, Carocci, Roma,

2003.

 Favole, ed. a cura di R. Morosini, Carocci, Roma, 2006.

Bibliografia essenziale:

 K. M. WILSON, (a cura di), Medieval women writers, Manchester

University Press, Manchester, 1984.

 G. S. BURGESS, Marie de France: an analytical bibliography, Grant &

Cutler, London, 1997.

 M. MANCINI (a cura di), La letteratura francese medievale, il Mulino, Bologna, 1997.

 A. SAHAR, Ésope au féminin: Marie de France et la politique de

l’interculturalité, Rodopi, Amsterdam, 1999.

 C.ROSSI, Brevi note su Marie de Meulan, in ‹‹Critica del testo››, VII/3

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Risorse in rete.

 International Marie de France Society:

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Santa Brigida di Svezia

(Finsta 1302/3- Roma 1373)

Dopo la morte di santa Brigida, la figlia, Caterina di Svezia, i confessori e gli altri uomini di Chiesa, che avevano seguito la sua straordinaria esperienza, si impegnarono in un processo di raccolta e diffusione delle notizie biografiche. L’intento era quello di appoggiare il processo di beatificazione e assicurarne la canonizzazione, effettivamente avvenuta nel 1391 ad opera del papa Bonifacio IX. Questo comporta, però, un certo grado di difficoltà nello scindere oggi i fatti storici dalle aggiunte agiografiche, volte a comprovarne la santità.

Brigida nacque tra il 1302 e il 1303 nella provincia di Uppland, in Svezia. La Scandinavia, seppur aderente al credo cattolico, era, allora, poco conosciuta in Europa, dove veniva considerata di scarso interesse politico e culturale. La famiglia da cui la santa proveniva apparteneva all’alta aristocrazia svedese: il padre, Birger Persson, era membro del consiglio del re e uno degli zii ricopriva la carica di vescovo di Uppsala.

Nel 1316, Birger combinò il matrimonio della figlia con Ulf Gunmarsson, anch’egli appartenente all’aristocrazia, che ruotava attorno alla corte reale. Al

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contrario di altre sante, costrette a sposarsi contro la propria volontà, Brigida accettò i doveri coniugali e assunse il ruolo di perfetta moglie cristiana, dando al marito otto figli e imponendo alla famiglia una condotta di vita basata sulla devozione e la crescita spirituale. Il punto di svolta, per Brigida, fu segnato dalla decisione di intraprendere, insieme al marito, un pellegrinaggio dalla Svezia a Santiago di Compostela. Ad Arras, sulla via del ritorno, Ulf si ammalò e Brigida ebbe una visione: la voce di un santo le rivelava che Dio l’aveva scelta e che doveva diffondere la sua parola tra gli uomini. Tornati in Svezia, Brigida e Ulf decisero di fare voto di castità e di abbracciare la vita monastica. Presso il monastero maschile cistercense di Alvastra, Brigida soggiornò in una cella a sé, unendosi ai monaci (tra i quali anche il marito) durante le celebrazioni liturgiche.

Nel 1344 (o 1346), Ulf morì e per Brigida cominciarono gli anni più intensi fatti di viaggi e di continue visioni. I messaggi che riceveva dall’alto avevano spesso una connotazione politica, come l’invocazione della fine della guerra tra Francia ed Inghilterra, chiamata poi “Guerra dei Cent’anni” (1337-1453) e il ritorno a Roma del papa da Avignone. Durante le visioni, Cristo la spingeva ad operare per il bene del Paese, dell’Europa e della Chiesa. Brigida intraprendeva viaggi alla corte di Stoccolma per portare di persona al re e alla regina le parole che Dio le affidava e inviava lettere e messaggi ai sovrani europei e al papa.

Tra il 1346 e il 1349 Brigida ricevette delle visioni concernenti la fondazione di un nuovo ordine religioso, dedicato alla Vergine Maria e rivolto prevalentemente alle donne. Le religiose avrebbero dovuto essere seguite da alcuni monaci, per espletare le funzioni religiose, le confessioni ed i lavori più duri, ma sarebbero state soggette all’autorità femminile di una badessa. Il re Eriksson e la regina Bianca di Svezia donarono a Brigida una vasta proprietà, presso Vadstena, per far sorgere il primo convento del nuovo ordine, chiamato

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Ordo Sanctissimi Salvatoris, meglio conosciuto in seguito come Ordine delle

Brigidine. La Regola fu ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa nel 1370, mentre l’Ordine soltanto quattro anni dopo la morte della santa, nel 1378.

Nel 1349 Brigida si rese conto della necessità di lasciare la Svezia per far sentire la propria voce in Europa, ottenere l’approvazione della sua Regola e convincere il papa a rientrare a Roma, città verso cui si diresse insieme alla figlia Caterina e due confessori-collaboratori, Pietro di Alvastra e Pietro di Skänninge. Verso la fine della sua vita, nel 1371 Brigida intraprese un altro lungo pellegrinaggio, questa volta verso la Terra Santa, durante il quale ricevette una serie di vivide visioni su Cristo e la Vergine. Alla morte, sopraggiunta a Roma nel 1373, seguì un’immediata e spontanea venerazione, le spoglie di quella che ormai da tutti era considerata santa (anche se la canonizzazione risale al 1391) vennero portare fino in Svezia e sepolte nel convento da lei fondato a Vadstena.

Le Revelationes (tramandate anche con il titolo più esteso di Liber celestium

revelationum), l’opera che Brigida ci ha lasciato, sono una raccolta delle visioni

avute durante l’arco della sua vita. La genesi di questo lavoro costringe ad alcune precisazioni: la santa, infatti, prendeva appunti nella sua lingua madre, lo svedese, oppure li dettava ad un aiutante e solo in un secondo tempo le descrizioni delle visione prendevano una forma compiuta in lingua latina, grazie ai due aiutanti di Brigida, Pietro di Alvastra e Pietro di Skänninge. Poco prima di morire, inoltre, Brigida affida il suo scritto ad un eremita spagnolo, Alfonso da Vadaterra, il compito di preparare le Revelationes per la diffusione in tutto il mondo cattolico, accordandogli il permesso di correggerle, se necessario. Questo processo complicato (da Dio alla santa, dalla santa ai traduttori-correttori) sembra allontanare la possibilità di riscontrare nelle Revelationes l’autentica voce di santa Brigida e ha fatto avanzare dei dubbi sull’attendibilità delle sue visioni.

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Nonostante ciò, la Chiesa ha difeso l’operato della santa venuta dal nord, affidandole recentemente anche il titolo di compatrona d’Europa, voluto da Giovanni Paolo II nel 1999.

Opere.

 Revelationes, ed. apud Stephanum Paulinum, Roma, 1606.

 Rivelazioni, ed. Gribaudi, Milano, 2000.

Bibliografia essenziale.

 K. M. WILSON, (a cura di), Medieval women writers, Manchester University Press, Manchester, 1984.

 C.L.SAHLIN,Birgitta of Sweden and the voice of prophecy, Boydell Press,

Woodbridge, 2001.

 El mundo escandinavo, santa Brigida y el camino de Santiago, Actas del

VIII Encuentro Histórico España-Suecia, Santiago del Compostela, 18-20 de octubre de 2000, Imprenta Universitaria, Santiago de Compostela, 2002.

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Christine de Pizan

(Venezia 1365ca.- Abbaye de Poissy(?) 1430ca.)

La vita e le opere di Christine de Pizan rappresentano all’interno della storia della letteratura femminile di età medievale un punto di rottura. Christine è la prima scrittrice di professione, ben consapevole dei pregiudizi normalmente legati all’attività intellettuale delle donne ed intenzionata a riscrivere la tradizione per fondare una nuova autorità femminile nel campo delle lettere.

Nata a Venezia attorno al 1365, Christine giunse a Parigi ancora bambina, a seguito del padre, Tommaso da Pizzano (da cui il francese “de Pizan”), medico ed astrologo laureato all’università di Bologna, chiamato alla corte francese da Carlo V. L’educazione di Christine, favorita dal padre ed ostacolata dalla madre (che avrebbe voluto la figlia dedita alle consuete attività femminili) si svolse in un ambiente privilegiato, anche se l’autrice avvertì la discriminazione nell’educazione delle bambine rispetto a quella dei figli maschi, come scrive nel

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Livre de Mutacion de Fortune:

“Mais, pour ce que fille fu nee, Ce n’estoit pas chose ordenee Que en riens deusse amander De biens mon pere, et succeder Ne poz a l’avoir qui est pris En la fonteine de grant pris, Plus par costume que par droit.”5

Christine sta alludendo non tanto ai beni materiali, quanto a quelli dell’intelletto e dello studio e si capisce meglio quando, nello stesso testo, riferendosi alla saggezza del padre, continua:

“Ne me poz je tenir d’embler Des racleures et des paillettes, Des petis deniers, des mailletes Choites de la tres grant richesce, Dont il avoit a gran largece, Et, combien qu’en aye petit, Selon mon tres grant appetit, Je n’en ay riens que par emblé, Si ay povre avoir assemblé, Il en pert bien a mon ouvrage.”6

5

“Ma poiché ero nata donna, / non era opportuno / che io godessi di qualcuno / dei beni di mio padre e non potei / accedere alle ricchezze / della fontana di grande pregio / per seguire un’usanza piuttosto che giustizia”. Livre de Mutacion de Fortune, vv. 413-419.

6

“Non potei trattenermi dal rubare / delle briciole e delle pagliuzze, / delle monetine e pochi denari / caduti dall’enorme ricchezza, / di cui disponeva in grande abbondanza / e, per quanto io ne

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Quello che Christine aveva appreso dal padre e il frutto degli studi che aveva potuto seguire, le sarebbero stati utili nel momento di difficoltà. Sposata, infatti, dal 1379 con Étienne de Castel, segretario e notaio della cancelleria regia, Christine rimase vedova a soli venticinque anni con tre bambini da accudire ed una madre anziana cui pensare, dopo morte del padre. Proprio allora Christine decise di cominciare a scrivere, spinta dalla necessità materiale di guadagnare soldi per il sostentamento della famiglia. La bravura che dimostrò fu tale da garantirle la protezione della casa reale e l’interesse di committenti illustri come Jean duca di Berry e Filippo di Borgogna.

L’elenco delle opere di Christine de Pizan comprende almeno venti titoli, alcuni dei quali tramandati attraverso manoscritti autografi. Ad una prima produzione prevalentemente in versi, seguono altre in cui la poesia si mescola con la prosa, oppure scompare a favore di un ritmo più narrativo.

Tra le liriche composte tra il 1389 e il 1405 (Cent ballades, Ballades de

divers propos, Cent Ballades d'amant et de dame), emerge soprattutto il tema

della solitudine, legato al suo stato di vedova e alle difficoltà personali. Altri componimenti, invece, si distinguono per la ricerca dell’autrice della giusta combinazione tra ritmo e rime, alternando temi cortesi ad altri più moraleggianti.

Partecipe della vita politica dell’epoca, Christine non esita a rivolgere le proprie opere ai potenti, pronunciandosi sempre a favore della conciliazione tra i principi e invocando la pace civile, ne sono esempi l'Épître à Isabeau de Bavière (1405) e la Lamentation sur les maux de la France (1410). Ma le opere di Christine arrivano a toccare tutti i campi del sapere: dalla politica (Livre du corps

de policie, 1404-1407), alla morale (Livre de Preudhommie, 1405-1406; Livre de la Paix, 1412-1414), fino alla religione (Sept Psaumes allégorisés, 1409-1410).

abbia avuta poca / rispetto al mio grande desiderio, / tutta quella che ho è rubata, / così ho potuto mettere insieme un piccolo avere, / nella mio opera si vede bene”. Ibidem, vv. 452-461.

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Tra i suoi testi si annovera persino un trattato di arte militare (Livre des faits

d'armes et de chevalerie, 1410).

Fedele alla tradizione medievale, Christine esplora anche il campo allegorico con Le Livre du chemin de longue estude (1402-1403), viaggio onirico nel paese di Saggezza e Ragione, e il Livre de Mutacion de Fortune (1403), in cui l’allegoria si combina con l’autobiografia e Christine racconta di come il destino, nel farla diventare scrittrice, l’ha cambiata di sesso, da donna a uomo.

La parte più interessante degli scritti di Christine è, tuttavia, quella in cui l’autrice porta la femminilità al centro dell’opera e ne fa una causa da difendere (Épître au dieu d'Amours, 1399; Epistre Othea, 1400-1401; Épistres du Débat sur

le Roman de la Rose, 1401-1402; Livre de la Cité des dames, 1404-1405), contro i

pregiudizi dell’epoca e le prese di posizione fortemente misogine, come quelle che emergono nella seconda parte del Roman de la Rose di Jean de Meun.

Il Livre de la Cité des dames è la costruzione ideale di una città composta, dalle fondamenta fino alle torri, dalle biografie di donne illustri, nobili d’animo e non necessariamente per stato sociale. Christine si ispira al De mulieribus claris di Boccaccio, che circolava in francese con il titolo di De Cleres et Nobles Femmes, ma dimostra una grande libertà nel riadattare le biografie con lo scopo di dare un’immagine di femminilità completamente positiva, considerando le donne illustri non come eccezioni alla regola che vede il genere femminile debole o insidioso.

Christine scrisse ad un ritmo sostenuto fino al 1418, data in cui si ritirò in un convento, forse quello dell’abbazia di Poissy (Yvelines), dove morì attorno al 1430. Negli ultimi anni, l’autrice sembra prediligere la meditazione alla scrittura, ma, colpita dagli eventi della guerra, non esitò ad intervenire sull’attualità, con

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un’opera dedicata a Giovanna d’Arco (Ditié de Jehanne D'Arc, 1429), la cui biografia non avrebbe sfigurato accanto a quelle delle donne illustri del passato.

Opere principali.

 Le Livre de la Cité des Dames, ed. a cura di T. Moreau et E. Hicks, Stock,

Paris, 1986.

 Epistre Othea, ed. a cura di G. Parussa, Droz, Genève, 1999.

Edizioni italiane.

 La città delle dame, a cura di P. Caraffi, edizione di E. J. Richardis, Luni,

Milano, 1998.

Bibliografia essenziale.

 K. M. WILSON, (a cura di), Medieval women writers, Manchester

University Press, Manchester, 1984.

 A.J.KENNEDY, , Christine de Pizan: a bibliographical guide. Supplement

1, Grant & Cutler, London, 1994.Cutler, London, 1994.

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