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Back to Venice

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Academic year: 2021

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UNA MOSTRA

Obraz a cura di

Silvia Burini, Giuseppe Barbieri

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Con il sostegno di In collaborazione con Media Partner Supporto tecnico Università Ca’ Foscari Venezia

Rettore Michele Bugliesi Segreteria del Rettore Veronica Giove Prorettore Attività e rapporti culturali di Ateneo Flavio Gregori Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali Direttore Giuseppe Barbieri Segretario generale Esterita Vanin Centro Studi sulle Arti della Russia (CSAR) Direttori Silvia Burini Giuseppe Barbieri Segreteria scientifica Alessia Cavallaro Fondazione Università Ca’ Foscari Venezia

Tommaso Santini Consuelo Puricelli Stefania Amerighi Martina Collauto

Galleria di Stato Tretyakov

Direttore generale Zelfira Tregulova Capo Conservatore Tatiana Gorodkova Coordinamento Elena Charkseliani Conservatori Natalia Aleksandrova Svetlana Kotkina Elizaveta Smirnova Restauratori Irina Biryukova Iuliia Khomiakova Comunicazione Anna Kotliar

Fondazione a sostegno della State Tretyakov Gallery Olga Dranichkina Oxana Bulanchikova Mostra Direzione scientifica Silvia Burini Giuseppe Barbieri Zelfira Tregulova Curatela Faina Balachovskaja Giuseppe Barbieri Silvia Burini Nadezhda Stepanova Segreteria scientifica Alessia Cavallaro Alexandra Luzan Maria Redaelli Alexandra Timonina Prestatori

Galleria di Stato Tret’jakov, Mosca

Istituto di Arte Realistica Russa (IRRI), Mosca Museo Russo di Stato, San Pietroburgo Progetto grafico e Piano di comunicazione

DM+B&Associati, Pordenone Ufficio Stampa e

comunicazione Studio Esseci, Padova Ufficio Comunicazione, Ca’ Foscari

Media partner

The Art Newspaper Russia The Art Newspaper, London, New York Progetto espositivo Massimiliano Bigarello Installazioni Multimediali NeoTech srl, Milano Contenuti Multimediali camerAnebbia, Milano Allestimento ANPAL sas, Brugine (PD) Trasporti APICE, Venezia Khepri, Mosca Condition Reports Angela Bianco Educational Angela Bianco Mediatori culturali Angela Bianco Catalogo Curatori Giuseppe Barbieri Silvia Burini Saggi Natalia Aleksandrova Faina Balachovskaja Giuseppe Barbieri Aleksandr Borovskij Silvia Burini Ksenia Karpova Traduzioni Matteo Bertelé Alessia Cavallaro Alexandra Luzan Maria Redaelli Alexandra Timonina Fotografie

Alexey Sergeev, Galleria di Stato Tret’jakov, Mosca

Mark Skomorokh, Museo Russo di Stato, San Pietroburgo Vladislav Karukin, IRRI, Mosca Realizzazione editoriale Antiga Edizioni, Crocetta del Montello (TV) Coordinamento editoriale Alessandra Crosato Impaginazione Cinzia Mozer Progetto grafico Patrizio De Mattio Ringraziamenti Maria Grazia Benini Nadia Cazziolati Giulia De Fazio Lucia Gavelli Lisa Grassato Federica Iozzia Julija Kajurov Azzurra La Rosa Beatrice Vincenzi

© 2019 Università Ca’ Foscari Venezia, Centro Studi sulle Arti della Russia © 2019 Antiga Edizioni, Crocetta del Montello (TV) © 2019 State Tretyakov Gallery, Moscow

© 2019 State Russian Museum, St. Petersburg

© 2019 The Institute of Russian Realist Art, Moscow © 2019 Gely Korzhev Foundation, Moscow

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a cura di

Giuseppe Barbieri e Silvia Burini

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A cinque anni di distanza da quella dedicata alla figura e all’opera di Viktor Popkov, la mostra “Gely Korzhev. Back to Venice” rinnova l’attenzione sul cosiddetto “stile severo” che scandisce, nell’arte russa della seconda metà del XX secolo, un periodo di decisivo trapasso dal canone del Realismo Socialista alle nuove forme di espressione che caratterizzano ancor oggi l’arte contemporanea di quel Paese.

La mostra, senza trascurare gli importanti prestiti del Museo Russo di Stato di San Pietroburgo, segna la feconda collaborazione tra alcune importanti istituzioni museali moscovite, segnatamente la Galleria di Stato Tret’jakov e The Institute of Russian Realist Art (IRRA), e il Centro Studi sulle Arti della Russia di Ca’ Foscari (CSAR), che da quasi dieci anni si è distinto come uno dei più importanti centri di ricerca occidentali sulla produzione artistica che quel grande Paese ha espresso dalle arti visive al cinema, dalla musica alle arti performative. “Gely Korzhev. Back to Venice” non si limita a presentare i tratti salienti di un grande maestro del secondo Novecento, ma approfondisce, com’è ormai tradizione negli eventi espositivi dello CSAR, l’impiego delle tecnologie ICT nelle strategie di fruizione delle opere d’arte. Con esse viene restituito con efficacia il Padiglione dell’URSS alla XXXI Biennale veneziana del 1962, a ribadire i diversi registri di indagine con cui Ca’ Foscari si misura con le culture e le civiltà che studia e che insegna. In questi ultimi anni la Federazione Russa è una delle realtà a cui il nostro Ateneo guarda con sempre crescente interesse, come conferma l’apertura di una nostra sede operativa nella città di Mosca.

Ai colleghi Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, ai loro allievi e collaboratori, la riconoscenza mia e dell’Ateneo per questa tappa ulteriore di un fittissimo percorso di collaborazioni con musei, fondazioni, università, centri di eccellenza nella formazione avanzata, che ha tra l’altro consentito, tre anni or sono, l’avvio di un dottorato internazionale congiunto tra il nostro Dipartimento di Filosofia e Beni culturali e l’Istituto Centrale Statale di Storia dell’Arte di Mosca.

Prof. Michele Bugliesi

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Sono passati 57 anni da quando Gelij Koržev ha esposto i suoi lavori alla XXXI Biennale di Venezia. Al padiglione sovietico erano stati esposti i primi lavori dell’artista, che all’epoca aveva 37 anni, quali il trittico I comunisti e L’artista. Queste opere, che lo hanno reso famoso in URSS, furono esposte insieme ai dipinti di un gruppo di giovani riformatori del realismo socialista, artisti che offrivano nuovi temi, una nuova comprensione della pittura figurativa.

Negli anni passati, le opere di Koržev sono state esposte in varie mostre, e senza il trittico I comunisti e le opere del ciclo

Bruciati dalla guerra è quasi impossibile immaginare una storia completa dell’arte sovietica, dei processi che hanno avuto

luogo nella cultura russa durante il XX secolo. Tuttavia, i tentativi di presentare per intero il lavoro di Koržev, dai primi lavori ai cicli più recenti, sono fatti relativamente recenti. In larga misura perché l’artista stesso non si è battuto per questo. La sua prima retrospettiva, che ebbe luogo tre anni fa alla Galleria Tret’jakov, comprendeva sia opere famose che poco conosciute. E ha causato una reazione complessa e controversa. In Koržev è stato visto sia il baluardo del realismo socialista che la critica del cambiamento, ma soprattutto un maestro incredibile, che ha vissuto profondamente e con difficoltà il cambio di epoche. Le sue opere successive sono i Tjurliki e gli scheletri aforistici, che non sono stati accettati dai suoi vecchi ammiratori, che sentivano più vicino l’alto pathos del trittico I comunisti e la terribile verità di Bruciati

dal fuoco della guerra.

L’artista rimane una figura troppo complessa e controversa e il suo lavoro deve ancora essere studiato e interpretato. L’anno scorso, dopo che il museo ha ricevuto in dono una notevole collezione di opere di Gelij Koržev, tra cui i cicli più tardivi, come quello biblico, il Don Chisciotte e i Tjurliki, le nostre possibilità di studiare ed esporre le opere di Gelij Koržev si sono ampliate. La mostra dell’artista a Ca’ Foscari, un luogo dove l’arte russa e sovietica sono studiati seriamente e dove si è tenuta nel 2014 la mostra di Viktor Popkov, un contemporaneo e in una certa misura un antagonista di Koržev, è molto importante per noi.

La mostra comprende quattro delle cinque opere che sono state esposte alla Biennale di Venezia nel 1962, dipinti della serie Bruciati dal fuoco della guerra della collezione del Museo Russo e della nostra collezione, una selezione rilevante delle opere dell’Istituto di arte realistica russa di Mosca. Tra i temi sarà dato inoltre spazio all’immagine del corpo nudo e alle sue tragiche trasformazioni e, naturalmente, alle nature morte, in cui l’artista ha portato alla perfezione la sua comprensione del dipinto. Le sue opere non hanno mai seguito le tendenze della moda e le aspettative del pubblico, ma esclusivamente la missione più importante di ogni artista: dire la verità.

Zelfira Tregulova

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Sommario

BACK TO VENICE

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Silvia Burini, Giuseppe Barbieri

Gely Korzhev. Back to Venice

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Silvia Burini

I corpi di Gelij Koržev

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GELIJ KORŽEV

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Faina Balachovskaja, Natal’ja Aleksandrova

Nel Museo delle sofferenze umane di Gelij Koržev

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Aleksandr Borovskij

Koržev: un realista nell’epoca del cambiamento

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Ksenija Karpova

La quotidianità della vita semplice: il realismo di Koržev

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APPARATI

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retrospettive, collocate nel Padiglione Centrale, delle opere di Arshile Gorky5 e di Alberto Giacometti. Proprio a quest’ultimo fu

assegnato uno dei due Gran Premi della XXXI Biennale, mentre l’altro era stato destinato ad Alfred Monessier: una stralunata figuratività per il primo, in qualche modo raccordabile all’emer-gente tendenza alla Nuova Figurazione, che l’anno successivo avrebbe connotato la vasta rassegna a La Strozzina di Firenze, un codice ancora legato all’Astrattismo per il secondo.

Il Padiglione dell’URSS e le reazioni di critica e pubblico

Il Padiglione dell’URSS risente naturalmente di questa generale atmosfera, sia pur con specifiche occorrenze, su cui indugere-mo. Come abbiamo appena accennato, l’arte sovietica non fu ascritta a bilancio dell’arte contemporanea più aggiornata: di certo le origini russe di Chagall e quelle armene di Gorky non potevano essere rivendicate. Quanto alla transizione, quella in atto nel mondo sovietico (che caratterizzò davvero, ma quasi casualmente e senza lasciare tracce immediate, la partecipa-zione dell’URSS alla XXXI Biennale) non corrispondeva in alcun modo al passaggio cruciale dall’Astrattismo (sia pure nelle sue conformazioni espressionistiche e “politiche”, che caratterizza-no in particolare, con l’Action Painting, il pacaratterizza-norama statuniten-se del statuniten-sesto decennio6) alla Pop Art. Nella primavera del 2014,

in occasione dell’apprezzata tappa veneziana della mostra dedicata a Viktor Popkov7, Matteo Bertelé ha pertinentemente

indagato la vicenda del Padiglione dell’URSS del 19628. Vale la

pena di riportare almeno un passo del suo saggio, in cui si cer-cano di cogliere le modalità di ricezione, anche di critica e sulla

La XXXI Biennale

Con le inevitabili interruzioni legate ai due conflitti mondiali, la Biennale veneziana del 1962 corrisponde alla XXXI edizione. Negli intenti del segretario generale dell’ente, Gian Alberto Dell’Acqua, l’esposizione doveva in qualche modo fissare i ter-mini generali di un bilancio critico: alla Galleria Internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro fu allestita pertanto l’imponente “Mostra dei Grandi Premi della Biennale dal 1948 al 1960”, con 121 opere, spettanti, tra molti altri e dunque citando per difet-to, a Chagall, Zadkine, Braque, Morandi, Moore, Matisse, Carrà, Dufy, Calder, Nolde, Max Ernst, Mirò, Santomaso, Afro, Music, Licini, Tobey, Vedova. In termini critici, come hanno osserva-to alcuni studiosi1, la mostra di Ca’ Pesaro decretava anzitutto,

con le inclusioni dei segni di Fautrier e di Hartung, il passaggio dell’Informale a una prospettiva compiutamente storicizzata. Ma le ambizioni di Dell’Acqua erano più ampie, ed esplicite: è lui stesso infatti ad affermare, nel catalogo di quell’anno, che la sua era l’intenzione di realizzare, malrauxianamente, un «“Mu-seo immaginario” delle ultime Biennali»2, intento più

oppor-tunamente declinato dall’Ufficio Stampa della Biennale a una sorta di «bilancio ad alte cifre del contributo da essa portato alla storia dell’arte contemporanea»3. Un bilancio, dunque, in cui –

come vedremo meglio tra un momento – non risultava rubri-cato alcun artista sovietico, ma insieme anche una Biennale di transizione, che probabilmente per questo non suscitò vasti entusiasmi: una transizione dalle tendenze informali e astrat-tiste che avevano dominato nel complesso le ultime edizioni all’imminente trionfo, nel 1964, della Pop-Art statunitense4.

Anche in questo duplice senso vanno lette, a nostro avviso, le

Silvia Burini, Giuseppe Barbieri

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Alcuni dipinti di Martiros Sar’jan esposti nel Padiglione dell’URSS alla XXXI Biennale (Venezia, 1962)

in alto a sinistra Natura morta con uva,

tempera su cartone, 51 х 71 cm, 1911

in alto a destra Bancarella della frutta. Costantinopoli, tempera su

cartone, 60,5 х 71,5 cm, 1910

sotto

Fiori e frutta, olio su tela,

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Tair Salachov, Gladioli, olio su tela, 100 х 65 cm, 1959, Mosca, Galleria Tret’jakov

Sergej Konenkov, Ritratto di

Vladimir Majakovskij, gesso

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scandiscono le origini. Innanzitutto, nella ufficialissima Sojuz

chudožnikov [Unione degli Artisti] fa allora la sua comparsa la

cosiddetta “ala sinistra”, che si era creata all’interno del MOSCh [Unione degli Artisti di Mosca] alla metà degli anni ’50: si tratta di un gruppo di giovani artisti, provenienti dagli istituti d’arte ufficiali, per i quali il compito del Realismo era divenuto ormai quello di rappresentare la realtà socialista in tutti i suoi aspetti, negativi e positivi, tragici e festosi, avvicinandosi così al concet-to di “verità della vita” cui si erano ispirati nelle loro opere, alla fine del XIX secolo, anche i Peredvižniki [pittori ambulanti]. Il lavoro dei pittori dell’“ala sinistra” prevedeva altresì un nuo-vo approccio all’arte dal punto di vista tecnico, con l’utilizzo di colori e di forme in parte recuperate dalle Avanguardie russe e in parte assunti dalle correnti contemporanee occidentali. Senza sfidare il dogma, questi giovani interpreti si sforzavano insomma di riprodurre nei loro segni una verità che coinci-desse con la loro stessa quotidiana esperienza, ampliando la nozione di realismo, con metodi e mezzi d’espressione nuovi. I rappresentanti più rilevanti di questa corrente sono appunto Popkov, Koržev e Salachov, e con loro Dmitrij Žilinskij, Nikolaj Andronov, Pavel Nikonov e lo scultore Vadim Sidur. La critica sovietica, a cominciare da Aleksandr Kamenskij13, coniò per loro

il termine di “stile severo” a sottolineare la serietà, spesso ma-linconica e romantica, che sprigionano in particolare, in questi artisti, i ritratti di colcosiani, operai e manovali. Metabolizzati e fatti propri i linguaggi della pittura moderna, dal neorealismo all’astrazione, questi pittori conseguirono un grande successo di pubblico e furono definiti dalla stampa sovietica come i rap-presentanti più dotati della loro generazione.

Il secondo fattore di opposizione proviene invece da coloro che si pongono più recisamente contro il dogma del Realismo: da questi avrebbe preso avvio, alla fine degli anni ’50, la storia del-la pittura underground. Potremmo pertanto considerare i primi come i “riformatori” dell’arte sovietica e i secondi come i “rivo-luzionari” anche se, in realtà, le cose sono più sfumate e intrica-te. Dato infatti che per i non conformisti si è spesso parlato di una sorta di “dissenso linguistico” più che ideologico o politico, stampa, delle opere selezionate nel Padiglione per la Biennale

veneziana:

In un contesto del genere, l’arte sovietica, di principio figurativa, non riuscì a offrire un’alternativa valida e visibile al punto tale da essere recepita e apprezzata dalla stampa italiana, ancora accecata dalla faziosità ideologi-ca. È probabile che nel 1962 l’orizzonte delle aspettative, così come lo era stato nel 19569, fosse troppo alto per scorgere i seppur flebili segnali di un

“disgelo” nelle arti figurative, proveniente soprattutto dalle giovani leve artistiche. Il concetto di Nuovo figurativismo, tanto in voga in quell’edi-zione della Biennale, fu introdotto e accompagnato da un vivace dibattito internazionale, approdato anche sulle pagine della rivista ufficiale dell’en-te veneziano. Tra i precursori della tradizione realista europea della prima metà del Novecento, l’apporto russo-sovietico veniva limitato al Realismo Socialista, «vittima dell’opportunismo accademico», e quindi corrotto in un «formalismo anacronistico e semplicemente descrittivo»10. La critica

era talmente concentrata nel denunciare l’inganno del Realismo socialista da rievocare il fantasma di una delle sue eminenze grigie, Sergej Gerasi-mov, assiduo espositore del padiglione sovietico a partire dalle edizioni staliniane, e giunto con il 1958 alla sua ultima partecipazione11. Proprio la

vituperata figura di Gerasimov introduceva un altro leit-motiv della critica italiana, ossia l’incomprensibile discrepanza tra l’arretramento artistico e il progresso tecnologico raggiunto in URSS, per cui Gerasimov, strenuo difensore della linea accademica, avrebbe «ostacolato decisamente lo “sputnik” o la grandiosa impresa di Gagarin»12.

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20

Tair Salachov, Ritratto del

compositore Kara Karaev,

olio su tela, 121 x 203 cm, 1960, Mosca, Galleria Tret’jakov

a fianco

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pagina seguente, in alto

Tair Salachov, Addetti alla

manutenzione, olio su tela,

200 x 320 cm, 1960, Baku, Museo Statale di Arte dell’Azerbaigian

sotto

Viktor Popkov, I costruttori di

Bratsk, olio su tela, 183 x 302

cm, 1960-61, Mosca, Galleria Tret’jakov

pagine 26-27

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elemento insieme di transizione e di discontinuità. Questo ele-mento non poteva essere esplicitamente comunicato (e vedre-mo in questo senso le affermazioni della Commissaria, Larissa Salmina, nel Catalogo generale dell’esposizione) e non fu cer-tamente intesa dagli addetti ai lavori.

A giudicare dalle sporadiche e tiepide recensioni al padiglione sovietico apparse sulla stampa italiana, la critica non fu in grado di captare la por-tata relativamente innovativa dell’arte qui esposta […]. Il quotidiano “La Stampa” liquidò il padiglione come oleografico e colmo di «pittura tipo tavole illustrate della Domenica del Corriere»14. Il giudizio più impietoso

arrivava tuttavia dalle colonne dell’“Unità”, dove Dario Micacchi lo stron-cava per il «grigiore» di cui gli artisti sovietici «fanno uso ed abuso»15. Nel

fare ciò, il critico illustrava l’opera di Salachov e Korzhev, ignorando, tanto nelle parole quanto nelle immagini, l’opera di Popkov16.

In effetti Micacchi aveva saputo cogliere l’intonazione malinco-nica, lo sguardo asciutto, il registro amaro dei dipinti degli ar-tisti più giovani del Padiglione, ma senza intenderne l’impatto, che si sarebbe rivelato tanto proficuo, per la progressiva disso-luzione del canone del Realismo socialista. Quei pittori, sotto-lineava il critico del quotidiano del PCI, «offrono un panorama che deliberatamente si vuole discreto, di gusto quotidiano, quietamente descrittivo: una pittura più di occhio che di idee, non disprezzabile per la sua sobrietà ma che manca di gran-di ambizioni poetiche e che si conferma malinconicamente in una zona culturale subordinata di illustrazione e di racconto minuto»17. Una subordinazione culturale, effetto di un «gusto

“piccolo-proletario”», incapace di stare al passo con i tempi e le dinamiche che la Biennale veneziana ormai rivendicava e che il Segretario generale, Dell’Acqua, esplicitamente sosteneva, contrapponendo velatamente i paesi virtuosi, presenti ai Giar-dini con un solo artista o «con una struttura assai chiara, accen-trata in poche personalità dominanti», ai padiglioni, come quel-lo sovietico, in cui si imponeva «col ricorso a scelte più varie e frazionate, l’esigenza dell’informazione»18.

un analogo non conformismo espressivo può essere registrato anche per lo “stile severo” e le omologie tra queste due tenden-ze sembrano prevalenti rispetto a una contrapposizione su cui è stata costruita un’artificiosa successione di contesti e vicen-de. Ciò che invece si osserva nei segni dello “stile severo” è la raffigurazione di una personalità adulta, responsabile, con una propria, irriducibile e individuale esperienza (che non è solo un concetto o un simbolo), che trasmette una fede privata e una motivazione personale ben sviluppata e che perciò non neces-sita più di una continua “stimolazione” ideologica, anche se si muove e agisce ancora all’interno di un progetto trasfigurante. Di certo viene presentata una visione più amara, meno edulco-rata della vita sovietica rispetto a quanto si era visto fino a quel momento. Le opere esemplari dello stile severo presentano la-voratori, quasi sempre uomini, in circostanze difficili. L’accento è posto sulle fatiche e sulle sofferenze, fisiche e morali, e gli artisti offrono una visione ben più ruvida rispetto agli eroi con-venzionali del Realismo socialista. L’elemento più innovativo consiste nell’evocazione di una sorta di vita interiore dei prota-gonisti, distinta dalle aspirazioni del comunismo. È un aspetto esplicito nelle figure de Stroiteli Bratska [I costruttori di Bratsk] di Popkov, descritti dalla critica come incapaci di sorridere, di amare, di gioire. Salachov, Popkov e Petr Ossovskij erano stati influenzati dai lavori giovanili di Aleksandr Dejneka, esposti a Mosca in una retrospettiva del 1957 e dagli artisti dell’OSt (As-sociazione degli artisti della pittura da cavalletto). Inoltre nel confronto con l’arte dell’Europa orientale e dei Paesi baltici, le opere di neorealisti italiani come Renato Guttuso, il movimento britannico Kitchen Sink (a cui nel 1960 era stata dedicata una mostra a Mosca), i muralisti messicani e l’americano Rockwell Kent, gli artisti e i critici sovietici trovarono almeno l’illusione di uno stile unitario internazionale.

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to. Risultano particolarmente interessanti nel suo racconto (e insieme comici e inquietanti) i particolari sul viaggio in treno (della Salmina, del suo assistente e delle opere), il forzato scalo a Praga, l’arrivo dello staff a Venezia in anticipo di tre giorni su quello delle opere, la scoperta dei danni alla struttura del Pa-diglione (che Salmina attribuisce a un terremoto, in realtà non registrato e comunque improbabile nella realtà veneziana), la difficoltà di misurarsi – per un istantaneo ripristino, almeno del tetto – con la burocrazia lagunare.

A cinquant’anni di distanza da quella avventura i ricordi di Larissa Salmina non appaiono, comprensibilmente per al-tro, del tutto a fuoco. Per esempio per quello che riguarda il display dei padiglioni più contigui: nella sua testimonianza quello tedesco esibiva sostanzialmente delle macerie (presu-mibilmente causate, come in quello sovietico, dal maltempo), che dovevano significare però, a suo avviso, la situazione del Paese dopo le distruzioni, prima morali che materiali, della guerra. In realtà la Germania federale presentava quell’anno, tra gli altri, Erich Heckel (uno dei fondatori di “Die Brücke”) e i delicati acquarelli di Werner Gilles, mentre una sala intera era dedicata a Emil Schumacher, a segnare nel presente il passag-gio dal “tachisme” del sesto decennio alla più attuale Nuova Figurazione; vi si aggiungevano le sculture di Alfred Lörcher e di una giovane Brigitte Meier-Denninghoff, già assistente di Henry Moore e di Antoine Pevsner. Per quello della Gran Bretagna Larissa Salmina allude a silenziosi sentieri di pietra sul pavimento: vi si esponevano invece l’armonia dinamica e angolare dei bronzi e degli acciai di Robert Adams, i rilievi in alluminio di Hubert Dalwood (il più giovane artista convo-cato), altri rilievi e olii di un più anziano maestro come Ceri Richards, i cui collage degli anni ’30, assieme alle sculture gio-vanili di Moore e ai bianchi rilievi di Ben Nicholson, avevano contribuito a «costituire il più durevole e originale contributo britannico all’arte europea del decennio 1930/40»25,

spendi-bile, evidentemente, anche vent’anni più tardi.

Per quanto concerne il Padiglione dell’URSS i ricordi sono for-tunatamente più precisi e possono essere incrociati con altre

La Commissaria del Padiglione, Larissa Salmina

In buona parte ciò non era dovuto a una strategia cosciente-mente deliberata ma piuttosto a una certa dose di approssima-zione. È noto infatti lo scarso interesse che le autorità sovieti-che, tanto più dopo la prolungata mancata presenza a Venezia dall’inizio degli anni ‘30, dimostravano allora nei confronti della Biennale: un’indifferenza che si traduceva poi, concretamente, nel cronico ritardo della macchina organizzativa, un costante punto dolente, per altro, come ha notato Goryainov, della par-tecipazione russa fin dall’epoca zarista19. Per la XXXI Biennale ci

furono però, in qualche modo, anche ulteriori circostanze ag-gravanti. In questo senso, nel corso del 2013, Larissa Salmina ha rilasciato, a Oxford, un’ampia intervista20 a Geraldine Norman,

direttrice della Hermitage Foundation UK nonché autrice, nel 1998, di un denso volume sul grande museo di San Pietrobur-go21: in essa la studiosa ha raccontato nei dettagli la sua nomina

avventurosa22 a Commissaria del Padiglione per il 1962. Poche

settimane prima dell’inaugurazione della rassegna veneziana, in Svezia era improvvisamente deceduto, a 70 anni, il respon-sabile delle mostre di arte sovietica all’estero. Il nuovo Com-missario del Padiglione sarebbe dovuto essere il sessantenne Andrej Guber, un noto accademico, capo curatore del Museo Pushkin. Inopinatamente, il segretario generale del PCUS, Nikita Chruščëv – solo qualche mese prima di mostrare, come avverrà durante la celebre visita al Manež di Mosca, la sua profonda ir-ritazione per l’arte contemporanea23 – decise invece di affidare

incarico e ruolo a una persona molto più giovane, che dimo-strasse anche solo con la sua presenza il rinnovamento artistico in atto nella realtà sovietica. Larissa Salmina aveva presentato la domanda per l’incarico, pur cosciente di non avere alcuna possibilità di successo, e invece fu prescelta. Era in realtà la conservatrice dei disegni italiani all’Ermitage di Leningrado – dove aveva curato una mostra nel 195924 – e non aveva alcuna

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tocca-But what Lazarev [Mikhail, che organizzava le mostre dell’Unione degli Artisti] describes was only the final stage of a truly Kafkaesque process. In order to feature in an All-Union exhibition works had to come through the sieve of several exhibition committees. […] Vladimir Goryainov, the per-manent Commissioner of the Soviet pavillon from the start of the 1960s, notes that most of the art pieces sent to the Biennale would be taken from the stores of the Ministry of Culture and the Union of Artists. So the works had to pass through one more filter in the struggle between groups of artists and boureaucrats, with the issue decided this time less by aesthetic values than by financial issues and the interests of corrupt groups31. L’amara e successiva conclusione di Kovalev sostiene che, mentre negli anni ’20 e ’30 il Padiglione dell’URSS aveva sa-puto suscitare un forte dibattito in sede internazionale, negli anni ’50 e all’inizio del decennio successivo aveva determi-nato soltanto risate di scherno. Dobbiamo prendere atto e quindi possiamo sottolineare che tuttavia, almeno in quella circostanza, i dipinti di Koržev, Salachov e Popkov avevano saputo superare i filtri combinati del Ministero della Cultura e dell’Unione degli Artisti (e potrebbe risultare interessante ricostruire nei dettagli il processo).

Che non si trattasse tuttavia di un indirizzo particolarmente cosciente è sufficientemente dimostrato dalla sezione del catalogo generale della Biennale dedicato all’URSS e firmato dalla Salmina. Le illustrazioni che corredano le pagine della Commissaria annoverano infatti un dipinto del 1911 di gusto neo-primitivo – ancora meglio, nei pressi del gruppo Rosa Az-zurra32 – come la Natura morta con uva di Sar'jan e due

scultu-re, sbozzate in non finito: Il pescatoscultu-re, la figlia del pescatore e io, del 1961, di Mikenas, in legno, e Il pensatore di Konenkov, risa-lente addirittura al 1898, in marmo. Non compaiono né il

Trit-tico dei comunisti di Koržev, né I costruttori di Bratsk di Popkov.

Ad alludere allo stile “severo” solo un’immagine, quella di un dipinto, e non il più convincente, di Tair Salachov, Il convoglio

del mattino del 1958.

Anche il breve testo di Larissa Salmina non ci appare in grado di evidenziare con precisione le tendenze in atto nella pittura sovietica all’inizio degli anni ’60, sebbene la studiosa avesse sa-fonti documentarie, a partire dalle pagine che la stessa Salmina

redigerà per il Catalogo dell’esposizione26 (ma si vedano inoltre

i documenti convocati nel suo saggio, in questo catalogo, da Ksenija Karpova). A tre settimane dall’apertura della mostra, la Biennale non conosceva ancora il nome del commissario, quel-lo degli artisti espositori e l’elenco delle opere27.

All’inaugura-zione per la stampa, il padiglione risultava ancora vuoto; l’unica notizia diffusa ai giornalisti era il numero di espositori previsti, che pure fu raccolto con qualche imprecisione, visto che su “La Stampa” Dragone parla di 12 presenze, mentre l’elenco in ca-talogo ne annovera una in più28. Malgrado questi drammatici

ritardi, una volta aperto il padiglione risultò allestito in modo sin troppo fitto, secondo ben assestati criteri museografici

sa-lonnier, non ancora del tutto scomparsi in terra russa.

La Salmina scrisse a Mosca che l’inaugurazione aveva invece superato ogni attesa: «All’inaugurazione c’era così tanta gente che era impressionante. Tutti poi mi chiedevano ininterrotta-mente di Koržev, di Popkov, di Konenkov e di tutti in generale. L’impressione comune è che la mostra stia avendo successo»29.

Negli stessi giorni riferiva:

Tutti dicono che quest’anno il padiglione è molto più interessante degli anni precedenti e, cosa più importante, che è proprio una mostra diversa. Mi sembra che stia avendo fortuna […]. Nell’ultima sala abbiamo appeso il trittico di Koržev, cosicché entrando il pubblico veda immediatamente la bandiera che sta per essere sollevata e la cangiante macchia rossa che attira tutte le persone che vi accorrono. […] Mi sembra che sia per questo, principalmente, che tutti pensano che qualcosa sia drasticamente cam-biato nel nostro padiglione30.

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suo trittico I comunisti è racchiusa una profonda idea filosofica. La classe operaia, a prezzo di una dura lotta, conquista i propri diritti e diventa la vera erede dei tesori della cultura mondiale. Korjev ottiene dalle sue opere un’immensa espressività e una vera monumentalità senza perdere la concretezza delle imma-gini». Non tocca certo a noi presentare in questa circostanza la figura, il percorso, la ricerca di Gelij Koržev, compito che spetta alle colleghe russe che hanno con noi curato l’esposizione e alle lucide notazioni di Aleksandr Borovskij che proponiamo in catalogo. Vogliamo limitarci ad accompagnare con qualche osservazione il trittico I comunisti (l’unica opera elencata in ca-talogo, realizzata tra il 1957 e il 1960) e un altro dipinto di mano dell’Artista, proprio così eponimamente intitolato, del 1961, non inserito in catalogo ma comunque attestato35.

Come abbiamo appena letto, la Salmina aveva voluto rimarcare la profonda “filosofia” del Trittico: se non abbiamo alcun dub-bio sul «profondo contenuto ideologico» dei suoi segni, che il pittore manterrà pressoché inalterato anche dopo la dissolu-zione dell’URSS, la “filosofia” è prima di tutto ed evidentemente marxiana, origina dalla lotta della classe operaia e ha stavolta come obiettivo «i tesori della cultura mondiale». Il che rende sufficientemente pertinente il soggetto del pannello di sinistra,

Omero, ma non ci dice invece abbastanza sul senso

comples-sivo del Trittico, che è davvero strano come Trittico, soprattutto nei collegamenti tra Omero (studio) e i due altri scomparti, Alza la

bandiera, al centro della composizione, e L’internazionale.

Molti anni dopo la mostra della Biennale, nel 2000, Korzhev ci avrebbe fornito almeno qualche sommaria indicazione sulla genesi del motif del pannello centrale, destinato alla maggio-re risonanza nel pubblico e tra i critici (non casualmente l’im-magine compare come quarta di copertina nel catalogo della mostra “Russia!” del Guggenheim di New York del 200536): Gelij

riconobbe di essere stato profondamente influenzato in merito da una remota idea dello scultore Ivan Šadr (1887-1941), quella di costituire un museo della sofferenza umana, e rimarcò nel contempo l’importanza del fattore plastico della sua pittura, in analogia con la scultura di Shadr. Originalmente, aveva aggiun-puto indicare con un certo acume critico l’emergente

esigen-za di nuove soluzioni compositive e pittoriche nelle opere dei più giovani artisti convocati nell’esposizione. Il dato generale non si trasferisce alla concretezza degli artisti e delle opere. Per Popkov la Salmina sottolinea appena la sua capacità di fissare «il ritmo intenso della vita nei cantieri edili e nelle regioni delle terre dissodate, l’entusiasmo lavorativo della gioventù sovieti-ca», il che «conferisce alle sue opere un dinamismo particolare e un ardore giovanile…»33: sono espressioni evidentemente

del tutto inadeguate per il grande capolavoro del pittore, I

costruttori di Bratsk, ma non si tratta proprio di farina del suo

sacco. In realtà la Salmina, nell’intervista a Geraldine Norman del 2013, sostiene di aver scritto quasi sotto dettatura che l’arte sovietica rifletteva ottimisticamente la vita sovietica: glielo ave-va rimarcato, nel brevissimo periodo di formazione al nuovo incarico, Aleksandr Khalturin, il vice direttore della sezione Belle Arti del Ministero della Cultura.

Anche Salachov risultava ai suoi occhi soprattutto impegnato nell’esaltare «il lavoro creativo del popolo azerbaigiano. Il ro-manticismo austero del lavoro dei petrolieri del Caspio si riflette nella sua arte». La sua cifra di fondo – e almeno in questo caso Salmina la coglie con esattezza – è «l’impressione di monu-mentalità»: che non gli impedisce tuttavia «di rendere a perfe-zione le sfumature dello stato d’animo dei suoi protagonisti: nel ritratto del compositore Kara-Karaiev [l’opera più efficace tra le sue sei esposte, oggi alla Galleria Tret’jakov di Mosca] è riuscito a rendere la bellezza, la tensione dell’attività creativa»34.

Gelij Koržev a Venezia e il Trittico dei comunisti

(29)

stiva, probabilmente impossibile. Nel suo saggio in catalogo, Aleksandr Borovskij ha suggerito, per l’assetto della composi-zione, alcuni opportuni richiami alla tradizione del Realismo socialista; Faina Balachovskaja e Natal’ja Aleksandrova, nel loro contributo, hanno segnalato la mancanza di organicità del Trit-tico, realizzato nel corso di almeno tre anni. Ciononostante un indizio sul perché il Trittico possa essere considerato come tale compare in un saggio di Anna Dyakonitsyna39: in esso la

stu-diosa ha sottolineato un’affermazione in cui Koržev ricorda di essere stato ammesso alla Scuola d’Arte nell’agosto del 1939, un mese prima dello scoppio della guerra. A questo apprendi-stato di formazione potrebbe dunque fare riferimento in qual-che modo il pannello di sinistra del Trittico [Omero (studio)]. Il giovane artista che vi viene fissato è in abiti militari, e sembra alla vigilia della sua chiamata alle armi. Dyakonitsyna sembra pertanto suggerirci che l’opera nel suo insieme fissi in qualche modo, con gli evidenti ricorsi a un codice cinematografico ri-marcati da Borovskij, il film della vicenda personale dell’artista, prima che l’ideologia del comunismo, della lotta di classe per la conquista del Cultural Heritage dell’umanità. Questa capacità di individualizzazione della macrostoria in una personale con-tingenza è del resto, come sappiamo, una delle caratteristiche salienti del percorso di Gelij Koržev.

Affacciamo infine anche l’ipotesi che il pittore abbia voluto ri-prendere, con accenti per altro molto diversi, l’assetto e il senso di questa prima porzione del Trittico in un’opera molto succes-siva: La conversazione del 1980-85. Si notino in questo senso le somiglianze formali tra il busto di Omero e quello del vecchio muzik, cieco come l’antico poeta greco, e quelle semantiche tra la dichiarata ideologia del dipinto, riferita da Larissa Salmina, e la figura di Lenin come guida della lotta proletaria. È quasi inutile aggiungere – e si vedano soprattutto le considerazioni di Borovskij in questo stesso catalogo – come nel frattempo fosse mutata la percezione di Korzev nei confronti della storia: allora di fiduciosa conquista, qui di per altro non doma rasse-gnazione, ma insieme di presa d’atto di un fallimento, sociale e culturale.

to, la sua idea era stata quella di dipingere un uomo che rialza la bandiera caduta a terra dalle mani di un compagno colpito e ucciso; un gesto per molti aspetti simile a quello che compare nel celebre bronzo di Šadr del 1927 (Il ciottolo è l’arma del

pro-letariato), il che dovrebbe condurci a considerare la bandiera

come una specie di arma: «per un bel po’ di tempo ho cercato l’immagine giusta: gli abiti, la posa, lo stato d’animo del mio personaggio e la situazione generale. Solo più tardi sono tor-nato alla forma plastica di Šadr. Questo è quanto è veramente successo»37. Qualcosa di più sul senso complessivo del Trittico

compare in corrispondenza dell’opera sul recente catalogo ge-nerale e ragionato del pittore38:

Il tema della mia pittura – vi leggiamo – non è la guerra, sebbene essa sia entrata nella mia vita negli anni che vedono formarsi la personalità, e quindi non poteva non lasciare una traccia indelebile sia sul piano meramente biografico che artistico. Sono morti uomini, a milioni, senza aver potuto dispiegare le loro potenzialità e le loro forze, o addirittura senza aver cominciato propriamente a vivere. Sono cose, queste, troppo serie perché io ne possa parlare a lungo. Ma nei quadri “bellici” avevo un intendimento più vasto: trasmettere le qualità elevate, eroiche dell’uomo, il loro severo, e finanche tragico, trionfo, il grado di disillusione a cui giunge l’uomo scontrandosi con il risvolto capitalistico della vita, il quale calpesta le imprese spirituali… Non saprei dire, qui, di nuovo, quanto io sia riuscito a esprimere tutto ciò, e molto altro, nelle mie immagini. Ritengo, comunque, di non essermi espresso fino in fondo, poiché mi manca quel senso interiore di finitezza del lavoro. E continuo a lavorare su quell’intendimento. E la cosa, evidentemente, non si limiterà a un trittico.

Anche in questo caso, come si può notare, Larissa Salmina non aveva travisato quelle che potremmo definire, baxandalliana-mente parlando, i patterns of intention dell’artista, dall’ideologia che combatte l’antispiritualità del capitalismo alla concretezza del segno, alla prorompente espressività del Trittico, la cui mo-numentalità – lo comprendiamo meglio dalle parole dell’au-tore – si incarna nei milioni di lutti e nella drammaticità della storia e del tempo.

(30)

esau-30

Gelij Koržev, I comunisti, trittico (San Pietroburgo, Museo Russo di Stato): tre olii su tela. A sinistra, Omero (studio), 290 x 140 cm, 1958-60; al centro, Alza la bandiera, 156

x 290 cm, 1959-60; a destra, L’Internazionale, 285 x 128 cm, 1957-58. Alle pagine successive, Alza

la bandiera, 156 x 290 cm,

(31)

alle pagine 34-35: a sinistra,

Omero (studio), 290 x 140 cm,

(32)
(33)
(34)
(35)
(36)

36

Back to Venice

È ben nota, almeno da una certa data in avanti, la diffiden-za di Koržev nei confronti delle mostre: questa invece segna addirittura un ritorno, il suo ritorno tra le acque della Lagu-na. Abbiamo provato a restituire in qualche misura lo storico precedente del suo passaggio in Biennale. Abbiamo provato a farlo ricorrendo a quella capacità di ricreazione di un conte-sto conte-storico e visivo che appartiene alle Information and Com-munication Technologies, quando siano bene utilizzate: per dare allo spettatore un anche pallido riscontro dello spazio del Padiglione dell’URSS del 1962, in cui compariva, come ci ha detto Larissa Salmina, «la cangiante macchia rossa che attira tutte le persone» della bandiera sollevata. E se, come scrive in questo stesso catalogo Silvia Burini, “Back to Venice” è una mostra sul corpo, l’antologica di Koržev a Ca’ Foscari Esposizioni, cinque anni dopo quella di Popkov, è anche, allo stesso tempo, una mostra sulla memoria: sulle memorie, me-glio, quelle laceranti della storia e quelle meno problematiche (per quanto ricche di spunti) di un’esposizione. Che non si limita stavolta, tuttavia, alle quattro tele del 1962. Per questo, in un’altra installazione e in forme più interattive, abbiamo cercato di mettere a disposizione del pubblico una sorta di grammatica visiva del linguaggio del pittore, i lemmi fonda-mentali del suo discorso sull’arte e sulla vita.

Appena più agevole è intendere il senso dell’altra opera del pittore, per altro anch’essa molto discussa da storici dell’arte e critici, esposta a Venezia nel 1962, L’Artista. In un’altra del-le sue molte dichiarazioni Koržev40 ricorda Cesare Zavattini e

l’influenza profonda esercitata sulla sua pittura dal neorealismo italiano. Il dato è sin troppo risaputo, ma serve al pittore russo per affermare, meno banalmente, che cosa rappresenti per lui l’essenza del realismo: è – sostiene – la quotidiana lotta, per quanto sovente nascosta, contro le bugie. Combattere le bu-gie, continua Koržev, è un atteggiamento assai più esigente di quello che combatte per la verità; non prevede interruzioni o riposi, diviene una responsabilità personale. «È la lotta contro le bugie che conferisce all’opera di un artista un alto signifi-cato morale». Proviamo a interrogare da questo punto di vista il dipinto di Koržev: quante finzioni, quanta assenza di verità, quante piccole bugie si affacciano sulla scena? Tra una modella e un pittore (di strada) che non si guardano (anche se sembra davvero lei quella ritratta sul selciato); tra il ruolo dell’artista e il basco con qualche moneta accanto a lui, che lo riduce a un ac-cattone sui generis; tra le informazioni emblematizzate da gior-nali e riviste che qui compaiono solo come supporto di fortuna per non rovinare degli abiti; tra le scarpe di persone insieme presenti e assenti, invisibili e percepibili. Sono tutti questi que-siti che collocano senza dubbio Gelij Koržev nel cuore dell’arte contemporanea, e addirittura in anticipo sull’imminente codi-ce della Pop Art. L’Artista è un’opera interamente intessuta di

aboutness, nel senso di Danto, e contribuisce a conferire alla

presenza di Koržev in Biennale un alone di incertezza difficil-mente dissipabile.

tore, alla fine del 1959, era diventato ministro nel governo De Gaulle.

3 Inaugurata dal Presidente della Repubblica la XXXI Biennale di Venezia, in

“La Biennale di Venezia”, nn. 46-47 (XII), dicembre 1962, p. 93.

4 Cfr. Pascale Budillon Puma, La Biennale di Venezia dalla guerra alla crisi 1948-1968, Bari, Palomar, 1995, p. 113.

5 Che torna proprio quest’anno a Ca’ Pesaro, nella mostra curata da

Ga-briella Belli ed Edith Devaney, 27 anni dopo l’altra straordinaria rassegna ve-neziana, limitata tuttavia alle opere su carta, alla Fondazione Guggenheim. Note

* Nel testo italiano seguiremo la traslitterazione scientifica, usando la va-riante Gelij Koržev.

1 Cfr. per esempio nancy Jachec, Politics and painting at the Venice Biennale, 1948-64, Manchester, Manchester University Press, 2007, pp. 124-125.

2 Gian alBerto dell’acqua, in Catalogo della XXXI Esposizione Biennale

(37)

scrit-a sinistrscrit-a

Ivan Šadr, Il ciottolo è l’arma

del proletariato, bronzo,

h. 125 cm, 1927, particolare, Mosca, Galleria Tret’jakov

a destra

Gelij Koržev, Alza la

bandiera, 156 x 290 cm,

(38)

38

6 L’esposizione degli Espressionisti astratti a Mosca (1959), assieme al VI

Festival internazionale della gioventù e degli studenti al Parco Gor’kij di Mosca, nell’estate del 1957, a un anno dalla denuncia del «culto della per-sonalità» staliniano durante il XX Congresso del PCUS, aveva comunque contribuito in modo non irrilevante al costituirsi di quel fenomeno culturale complesso, sviluppatosi in URSS fra la metà degli anni ‘50 e la metà degli anni ‘70 e indicato con molti nomi, podpol’e [sottosuolo], underground,

cultura non-ufficiale, nonconformismo: sulla questione si veda Margarita

Tu-pitsyn [Tupicyna], Margins of Soviet Art. Socialist Realism to the Present, Mila-no, Distributed Art Pub inc, 1989; Leonid Taločkin, Irina Antonova (a cura di), “Drugoe iskusstvo”: Moskva 1956-76. K chronike chudožestvennoj žizni, Moskva, Chudožestvennaja galereja “Moskovskaja Kollekcija” - Interbuk, 1991.

7 Cfr. “Dream Reality/Sogno Realtà Viktor Popkov 1932-1974”, a cura di

Natal’ja Aleksandrova e Faina Balachovskaja, con la direzione scientifica di Giuseppe Barbieri, Silvia Burini e Zelfira Tregulova, Ca’ Foscari Esposizioni, 19 febbraio–27 aprile 2014. In precedenza la rassegna era stata ospitata a Mosca (Centro museale-espositivo Rosizo, 13 dicembre 2013 - 26 gennaio 2014) e sarebbe poi passata a Londra, nella West Wing di Somerset House (22 maggio - 24 giugno).

8 Cfr. matteo Bertelé, Dall’”ardore giovanile” all’omaggio postumo. Viktor Popkov alla Biennale di Venezia (1962, 1982), in Dream Reality/Sogno Realtà Viktor Popkov 1932-1974, catalogo della mostra a cura di Giuseppe Barbieri,

Matteo Bertelé, Silvia Burini, Crocetta del Montello (TV), Terra Ferma, 2014, pp. 107-117.

9 Il 1956 aveva segnato, pur tra accoglienze sconcertate, il ritorno dell’URSS

alla Biennale di Venezia, dopo 22 anni dal boicottaggio dell’Italia fascista.

10 Vicente aGuilera cerni, Aspetti del realismo internazionale, in “La Biennale di

Venezia”, nn. 46-47 (XII), dicembre 1962, p. 32.

11 Ibidem. Nell’articolo, ricco di illustrazioni di opere di artisti europei, l’unico

contributo russo è costituito dal pathos della tela Il giuramento dei partigiani

siberiani, realizzato da Gerasimov nel 1933 ed esposto l’anno successivo a

Venezia come Il seppellimento di un camerata, all’interno dell’ultimo padi-glione allestito sotto Stalin.

12 Ibidem. Si veda anche luiGi mattei, La Biennale di mezzo, Roma, Privitera

editore, 1972, p. 50.

13 Cfr. aleksandr kamenskiJ, Real’nast’ metafory in “Tvorčestvo”, n. 8, 1969,

pp. 13-15.

14 marziano Bernardi, Scarso e freddo il pubblico nella Biennale di Venezia, “La

Stampa”, 27 giugno 1962, p. 5.

15 dario micacchi, Il Padiglione sovietico, “L’Unità”, 29 settembre 1962, p. 6.

16 Bertelé, Dall’”ardore giovanile”… cit., p. 110.

17 micacchi, Il Padiglione…, p. 6.

18 dell’acqua, in Catalogo della 31… cit., p. XX.

19 Si veda a tale proposito anche Vladimir GoryainoV, The choice of works was an affair of State, in 1895-2013 Russian Artists at the Venice Biennale, a cura di

Nikolai Molok, Moscow, Stella Art Foundation, 2013, p. 402.

20 Vedila ivi, pp. 389-391.

21 Cfr. The Hermitage: The Biography of a Great Museum, New York, Fromm

International, 1998

22 Anche in termini personali: nell’agosto di quell’anno Larissa

conosce-rà a Venezia il grande storico dell’arte inglese Francis Haskell e ne diven-terà la moglie. Trasferitasi in Gran Bretagna, sarà assunta all’Ashmolean Museum come conservatrice per l’arte russa e continuerà a occuparsi, con celebri volumi (come Russian Paintings and Drawings in the

Ashmo-lean Museum, prima ed. 1970), della tradizione grafica e pittorica del suo

Paese di origine.

23 Nel dicembre di quell’anno Chruščëv avrebbe visitato il cosiddetto

Manež (Maneggio) di Mosca, dove era in corso una mostra che doveva cele-brare i trent’anni della più prestigiosa istituzione artistica sovietica, la Sezio-ne moscovita dell’UnioSezio-ne degli Artisti. La visita si concluse invece con una terribile sfuriata di Chruščëv contro l’arte contemporanea ivi rappresentata, dove spiccavano le opere di alcuni artisti – Elij Beljutin, Jurij Sobolev, Jurij Sooster, Vladimir Jankilevskij, Ernst Neizvestnyj – non allineate ai canoni del Realismo socialista.

24 Cfr. Vystavka ital’janskich risunkov XVV-XVIII vekov, a cura di Larissa

Salmi-na, Leningrad, Izdatel’stvo Gosudarstvennogo Ermitaža, 1959.

25 John russell, in Catalogo della 31… cit., p. 183.

26 Cfr. ivi, pp. 237-241.

27 Telegramma di Italo Siciliano, Presidente della Biennale, al Ministero

del-la Cultura dell’URSS, 21 maggio 1962, ASAC, Fondo storico, serie Paesi, b. 31, fasc. XXXI, Biennale 1962, U.R.S.S.

28 anGelo draGone, Si dice che superi i 12 miliardi il valore delle tremila opere

esposte, “La Stampa”, 15-16 giugno 1962, p. 5.

29 RGALI [Rossijskij gosudarstvenny archiv literatury i iskusstva (Achivio di

Stato Russo di Letteratura e Arte)] F. 2329. Op. 4. Ed. chr. 1650. L. 62.

30 RGALI F. 2329. Op. 4. Ed. chr. 1650. L. 61.

31 andrei koValeV, Empty Space? The Soviet Pavillon During the Cold War, in

1895-2013 Russian Artists… cit., pp. 70-78, qui p. 75.

32 Su questa diramazione della tendenza neo-primitivista della pittura russa

del secondo decennio del XX secolo si veda il recente intervento di John e.

Bowlt, 1905 – La musica del colore e della linea, in La rivoluzione russa. L’arte da

Djagilev all’Astrattismo 1898-1922, catalogo della mostra a cura di Silvia Burini

e Giuseppe Barbieri (Gorizia, Musei Provinciali, 21 dicembre 2017 - 25 marzo 2018), Crocetta del Montello (TV), Antiga Edizioni, 2017, pp. 79-81.

33 salmina in Catalogo della 31… cit., p. 237.

34 Ibidem.

35 La Biennale di Venezia, Archivio Storico delle Arti Contemporaneo

[ASAC], 19 ottobre 1962, Serie ufficio trasporti n° 121 busta URSS.

36 Cfr. Russia! None Hundred Years of Masterpieces and Master Collections,

catalogo della mostra (New York, Museo Guggenheim, 16 settembre 2005 - 11 gennaio 2006), New York, Solomon R. Guggenheim Museum, 2005.

37 Cfr. Gely Korzhev, catalogo della mostra (Mosca, State Tretyakov Gallery

at Krymsky Val, 23 marzo - 14 giugno 2016), a cura di Natalya Alexandrova, Moscow, State Tretyakov Gallery, p. 289.

38 Cfr. t.s. zelJukina, l.a. karnauchoVa, m.V. liPatoVa, e.a. ilJuchina, G.s. Čurak,

a.V. sVoks, a.m. terent’eVa, m.a. konČatoVa, Ju.m. kudinoV, a cura di, Gelij

Koržev, Moskva, Fond kul’turnogo i istoričeskogo nasledija Gelija Korževa,

2015, p. 52.

(39)

Gelij Koržev, L’artista,

(40)
(41)

Finito di stampare da Grafiche Antiga spa Crocetta del Montello (TV)

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