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Discrimen » Il delitto di frode in processo penale e depistaggio

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I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

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sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

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IL DELITTO DI FRODE IN PROCESSO PENALE

E DEPISTAGGIO

TRA FUNZIONE SIMBOLICA E GIUSTO PROCESSO

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

(5)

VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-921-3534-5

ISBN/EAN 978-88-921-8948-5 (ebook - pdf)

I volumi pubblicati nella presente Collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

Il presente volume è stato realizzato con il contributo straordinario del Consiglio di ammini- strazione dell’ Università degli Studi di Bari Aldo Moro e con i fondi di ricerca FFABR 2017.

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

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Se agissimo soltanto per il certo, dovremmo ignorare tutto ciò che non dà certezze.

«Ma quante cose si fanno per l’incerto, dai viaggi per mare alle battaglie!»

B. Pascal, Frammento 234

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INDICE

pag.

PARTE PRIMA

ΠΑΡΑΓΩΓΉ. IL DEPISTAGGIO COME SISTEMA NEL SISTEMA

CAPITOLO I

PRESUPPOSTIERAGIONICRIMINALI

1. Premesse al lavoro di ricerca 3

2. La frode in processo penale e depistaggio come delitto neces-

sario. Il contesto storico della strategia della tensione 7 3. La portata estensiva del depistaggio tra funzione e azione giu-

diziaria 15

4. Segue. L’approccio empirico. Il depistaggio Ustica 22 5. I lavori parlamentari. La proposta di legge A.C. n. 559, Bolo-

gnesi et al. del 27 marzo 2013. Introduzione dell’art. 372 bis

c.p. concernente il reato di depistaggio 25

6. Segue. I lavori parlamentari. La proposta di legge A.C. n. 559, Introduzione nel codice penale del reato di inquinamento pro-

cessuale e depistaggio 35

7. Il disegno di legge unificato A.S. n. 1627 nella discussione al Senato. Gli emendamenti e la stesura del testo finale A.C. 559, Introduzione nel codice penale del reato di frode in processo pe-

nale e depistaggio del 5 luglio 2016 40

CAPITOLO II

LETTURESIMBOLICHE EDIRITTOPENALED’AUTORE

1. Premessa pre-simbolista. Quale funzione per la frode in pro-

cesso penale e depistaggio? 49

2. Sulle scelte di politica criminale simil-populiste ex art. 375

c.p. 53

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pag.

2.1. Segue. Il diritto penale dei nemici. Il ‘depistatore’ come

suitable enemy 59

3. Orientamenti ‘pro e contro’ una visione simbolica del diritto pe-

nale nella lettura provvisoriamente propositiva dell’art. 375 c.p. 65 3.1. Segue. Altre variabili del simbolismo. La motivazione

complottista “per tipo d’autore”: il depistatore, il complot-

to, le vittime 74

4. Al di qua del simbolismo. La trattativa Stato-mafia tra ‘tipi

d’autore’ e ‘depistaggi’ 87

5. Un approccio alternativo: la frode in processo penale e depi- staggio come delitto politico/caratterizzato da motivo politico,

avente natura propria 94

CAPITOLO III

BENEGIURIDICOESCHEMIDISERIAZIONE

1. Premessa post-simbolista. La funzione strumentale prevalente 99 2. “Vivo e morto” del principio di offensività nel diritto penale

‘post-moderno’. Modelli forti, deboli, sopravvissuti 101 3. L’amministrazione della giustizia come categoria generale di

bene giuridico 109

4. Segue. Bene giuridico, funzioni e anticipazioni della tutela nei

delitti contro l’amministrazione della giustizia 115 5. “Seriazione dei beni giuridici” e depistaggio. Un’opzione stru-

mentale possibile 122

6. La categoria dei delitti contro l’amministrazione della giusti- zia come reati vaghi verso la ricerca del bene giuridico. Il con-

cetto di fede pubblica 130

CAPITOLO IV

LATUTELADEGLIINTERESSIPROCESSUALI 1. Premesse processuali. La tutela della verità come interpreta-

zione speciale di bene giuridico 139

2. Verità storica versus verità rappresentativa. Limiti e condizio-

ni di validità 143

3. Il processo come verità nel depistaggio. Un primo ritorno al

simbolismo 146 4. La tutela della prova nel suo momento formativo e performa-

tivo tra modello accusatorio e giusto processo 154 5. Variabili della tutela probatoria. Il concetto di apparenza 161 6. Valutazioni plurioffensive del bene giuridico nel depistaggio.

Un secondo ritorno al simbolismo 163

(10)

pag.

PARTE SECONDA

IPOTESICOSTRUTTIVA/DECOSTRUTTIVA DIFATTISPECIE

CAPITOLO I ISOGGETTI

1. Reato comune versus reato proprio ex art. 375 c.p. 171 2. Segue. Il reato proprio. Linee di sviluppo e di indagine 176 3. Pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio tra qualifi-

che personali e pluralità funzionale 184

4. La scelta della soggettività ristretta in funzione della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell’ese-

gesi dell’art. 375 c.p. 188

5. Segue. Cessazione delle qualifiche soggettive. Indicazioni in

tema sul rapporto tra art. 360 c.p. e art. 375 c.p. (comma 7) 193 6. Le qualifiche soggettive derivate ex art. 371 bis, 372, 373, 377

c.p. Le qualifiche soggettive occasionali ex art. 210 c.p.p. Il

‘depistaggio’ tra diritto e processo penale 198 7. Segue. Estensione della responsabilità penale nel ‘depistag-

gio’. Il concorso dell’extraneus 204

CAPITOLO II ILFATTOTIPICO

1. La condotta criminosa nel sintagma dogmatico a consuma- zione alternativa. Soluzione “pluralistica” versus matrice uni-

taria di fattispecie 213

2. Le condotte di immutazione artificiosa. Estensibilità della formula normativa ex art. 375, comma 1, lett. a). La sovrappo-

sizione facilitata con la frode processuale 222 3. Le condotte di falsità dichiarative ex art. 375, comma 1, lett.

b). Estensibilità della formula normativa agli altri delitti con-

tro l’amministrazione della giustizia 227

4. Il depistaggio come reato di pericolo concreto 232

5. Segue. La configurabilità del tentativo 238

6. L’elemento soggettivo della tipicità. Note tecniche sul dolo

specifico 243

7. Ipotesi de-costruttiva di dolo (quasi) in re ipsa: il fine specifico di impedire, ostacolare, sviare un’indagine o un processo pe-

nale 247

(11)

pag.

CAPITOLO III LAPUNIBILITÀ

1. Innalzamento dei limiti edittali ed efficacia deterrente ad im-

printing repressivo 253 2. Circostanze aggravanti ad effetto speciale e modalità di rea-

lizzazione del reato ex art. 375, comma 2, c.p. 254 3. Circostanze aggravanti ad effetto speciale e tipologia dei reati

presupposto 260

4. Le altre aggravanti 262

5. Circostanza attenuante ad effetto speciale: il ravvedimento

operoso e la collaborazione ex art. 375, comma 4, c.p. 263 6. Limiti al giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato 265 7. Le cause di esclusione della punibilità: la mancanza della ne-

cessaria condizione di procedibilità del reato presupposto 267 8. La ritrattazione ammissibile. I casi di non punibilità ex art.

384 c.p. esclusi dalla fattispecie. Considerazioni 269

CAPITOLO IV

RAPPORTOCONALTRIREATI

1. Una determinante indicazione legislativa: la clausola di sussi-

diarietà espressa. Le indicazioni della giurisprudenza 279 2. Concorso apparente di norme e rischio di bis in idem sostan-

ziale 285

2.1. Segue. Necessità di “codificare” il principio di ne bis in

idem sostanziale 289

3. Unità o pluralità di reati tra depistaggio materiale e depistag-

gio dichiarativo 295

4. Depistaggio e calunnia 298

5. Depistaggio e crimini internazionali 302

6. Conclusioni. La frode in processo penale e depistaggio come

delitto necessario 302

BIBLIOGRAFIA 305

 

(12)

ΠΑΡΑΓΩΓΉ. IL DEPISTAGGIO

COME SISTEMA NEL SISTEMA

(13)
(14)

C

APITOLO

I

PRESUPPOSTI E RAGIONI CRIMINALI

SOMMARIO: 1. Premesse al lavoro di ricerca. – 2. La frode in processo penale e de- pistaggio come delitto necessario. Il contesto storico della strategia della ten- sione. – 3. La portata estensiva del depistaggio tra funzione e azione giudizia- ria. – 4. Segue. L’approccio empirico. Il depistaggio Ustica. – 5. I lavori parla- mentari. La proposta di legge A.C. n. 559, Bolognesi et al. del 27 marzo 2013, Introduzione dell’art. 372 bis c.p. concernente il reato di depistaggio. – 6. Segue.

I lavori parlamentari. La proposta di legge A.C. n. 559, Introduzione nel codice penale del reato di inquinamento processuale e depistaggio. – 7. Il disegno di legge unificato A.S. n. 1627 nella discussione al Senato. Gli emendamenti e la stesura del testo finale A.C. 559, Introduzione nel codice penale del reato di fro- de in processo penale e depistaggio del 5 luglio 2016.

1. Premesse al lavoro di ricerca

Un’analisi sistematica si propone in primis di studiare la figura di un delitto – quello di frode in processo penale e depistaggio ex art.

375 c.p. – sotto il profilo dogmatico della teoria generale del reato,

«quale momento conoscitivo del fenomeno giuridico, capace di fun- gere da autocoscienza storica che guida» 1. L’assetto formante la di- sciplina ex art. 375 c.p. designa nuovi limiti cronologici e funzionali dell’attività giudiziaria senza esclusiva destinazione al processo. I pa- rametri utilizzati in chiave dogmatica sono individuati nell’effetto pe- ricolosamente lesivo della condotta multi-criminosa ex art. 375 c.p., corrispondente al/ai bene/i tutelato/i, nell’identità strutturale di fatti- specie, visibile nel sintagma complessivo “frode in processo penale e depistaggio”, nell’ampliamento di una visione soggettivistica del dolo, con contrappassi sanzionatori rilevanti sotto molteplici aspetti.

1 G. Insolera, Dogmatica e orientamento della giurisprudenza, in DPC online, 2013, p. 3.

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L’ambito della ricerca mira nella logica al massimo della omoge- neità strutturale della fattispecie e, nel contempo, al massimo di spe- cificità dell’oggetto giuridico della stessa, in modo da assicurare uni- formità dell’analisi anche teleologica e di pervenire ad un oggetto so- stanziale di categoria, dotato di certa funzionalità anche sul piano esegetico.

La ricostruzione de qua, tuttavia, esige una visione unitaria più complessa della trattazione. Non coincidendo la fattispecie con nes- suno dei fatti tipici di reato già classificati nel codice penale, si corre il rischio di utilizzare criteri di pura logica formale nell’analisi esege- tica, che, pur possedendo un valore razionale assoluto, di fatto po- trebbero apparire astratti – per non dire arbitrari – nell’ambito del- l’indagine scientifica.

La scienza penale, infatti, cerca sì di ricostruire la struttura e i principi di un delitto, tuttavia senza cogliere talvolta i significati che la stessa norma produce nella realtà circostante. Lo scopo primario, dunque, dell’analisi del delitto ex art. 375 c.p. è di comprendere i problemi pregressi e il substrato performativo alla formazione nor- mativa del fenomeno “depistaggio” e di valutarne la ratio ideologico- sostanziale – straordinariamente attuale – fino a giungere alla sua reale applicazione.

Fine ultimo è quello di creare un “ponte” dottrinale-assertivo di cooperazione con il potere giudiziario nella sfera interpretativa della norma, finora disattesa nelle sue politiche aspettative di sottofondo 2. Mai come nel delitto in questione il carattere di unitarietà della trat- tazione dogmatica fonde l’aspetto ontologico e teleologico della ma- teria con i significati/nti politico-criminali da trattare.

Lungi, pertanto, dall’avallare il modello debole dell’apporto dottri- nario, mortificato oltremodo dalla realtà moderna, post-moderna, li- quida anzi liquidissima in atto ormai da tempo, il personale approc- cio di ricerca della “frode in processo penale e depistaggio” vuole es- sere in tal senso dogmatico ed antidogmatico. Una spinta scientifica che sia d’avanguardia, pur non contraria ai modelli generali, deve manifestarsi come chiave di analisi funzionale ai problemi da risolve-

2 Allo stato si rileva una sola pronuncia della Cassazione sul delitto ex art. 375 c.p., nonostante siano decorsi diversi anni dall’introduzione della norma di frode in processo penale e depistaggio. Cfr. Cass. pen., sez. VI, 17 maggio 2017, n.

24557, in Giur. it., 2018, pp. 196 ss., con nota di A. Alberico, Connessione funzio- nale tra qualifica e illecito nel delitto di depistaggio. Ai fini dell’analisi si veda anche la sentenza Ass. Caltanissetta, 20 aprile 2017, n. 1, riportata integralmente in DPC online, 2018, cui al § 2 del presente capitolo.

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re, rendendosi malleabile al linguaggio corrente dei fatti storici e for- nendo soluzioni possibili alle questioni politiche, sociali, economi- che, giuridiche della società vivente.

L’impostazione teorica adottata si apre alla più ampia dimensione simbolica del “depistaggio”. La tipicità del reato va poi incorporata nei confini della matrice ermeneutica ancora in corso di definizione.

Possiamo individuare nello studio dell’art. 375 c.p. il contenuto del divieto, la materia del precetto, chiarendo cosa è vietato e cosa no;

possiamo collegare il fatto tipico penalmente rilevante alla sanzione e, quindi, individuare la formale contraddizione tra comportamento individuale e legge penale, la sua conformità al “tipo” formale e l’as- senza di scriminanti, ma non è «il verbo astratto della legge a far ca- pire i confini tra lecito e illecito» 3. Questa lettura è solo «un segnale d’allarme» 4. Occorre conferire significato istituzionale al rapporto tra

«proposizione legislativa e norma reale», nella ricerca da parte del- l’interprete (chiunque egli sia) di un bene giuridico che spesso la leg- ge non indica compiutamente 5.

E poi andare oltre, oltre l’essenza ideologica presente nel codice penale, in una dimensione “ultra” ideologica, anti ideologica ultra si- stema, dove prima dell’art. 375 c.p. autore del reato e “autore” della sanzione sono la stessa entità astratta e concreta, dove i comporta- menti tipizzati come vietati, illegittimi ed antigiuridici sono posti in

3 M. Donini, Teoria del reato, in Dig. disc. pen., vol. XIV, Torino, 1999, pp. 221 ss., in specie p. 261; Id., Tecnicismo giuridico e scienza penale cent’anni dopo. La prolusione di Arturo Rocco (1910) nell’età dell’europeismo giudiziario, in Crimina- lia, 2010, pp. 127 ss.

4 M. Donini, Tecnicismo giuridico, cit., pp. 159-61, sul disincanto alla perdita di ruolo del sapere accademico, mostra come 1) «la dogmatica classica, e anche quel- la moderna a orientamento politico-criminale, di matrice accademica, non è più il sinonimo della scienza giuridico penale, ma rappresenta solo un linguaggio, una componente del sapere scientifico, che vive di attori non accademici, di de- stinatari che devono motivare decisioni per il cittadino e per l’opinione pubblica, di fonti molteplici anche non nazionali, di saperi non giuridici»; 2) «che quando si parla di “dogma”, nessuno più può permettersi di pensare a un dato indiscuti- bile»; 3) che dagli anni 70 ha avuto luogo una sorta di emancipazione della scien- za penale, che implichi «lo sviluppo di linguaggi diversi: la comparazione, l’uso critico dei principi, e l’impiego di saperi empirici “dentro al discorso scientifico”, e poi dentro a quello legislativo, e infine anche dentro al momento giurisdiziona- le», chiudendo così «il cerchio degli attori professionali più rilevanti dei soggetti che “fanno diritto”, allargando il discorso della scienza a forme di pluralismo in- compatibili con il modello aristocratico della vecchia dogmatica di matrice teolo- gica».

5 Vedi ultra Parte I, capitolo III.

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essere da chi ha disciplinato gli stessi acta criminis. Per scelta parla- mentare lo Stato variamente definito, dunque, è tipizzato come auto- re del reato e il delitto di frode in processo penale e depistaggio si at- teggia a risposta legale contro l’illegalità istituzionale.

L’ipotesi – estremo/dogmatica di ricerca ex art. 375 c.p. – potrebbe sembrare all’apparenza passibile di critiche logico/formali all’impian- to normativo sic et simpliciter. Non si tratta del primo delitto che ha come artefice un pubblico ufficiale. Non si tratta della prima fatti- specie in contrasto con gli scopi primari e secondari della giustizia, né del primo caso di divenire legge nel nostro sistema penale di realtà criminali già ampiamente stratificate.

Il presente lavoro, tuttavia, si interroga sulla funzione e sul valore della giustizia penale reale e allo stesso tempo “simbolica”, che per- mane ancora silente sotto coltri di segreti, omissioni, trasformazioni del corso della storia politica di un intero paese democratico. Viene analizzata la ratio di un concetto – quello di depistaggio – ben più profondo del suo simbolo semantico-giuridico, in cui la “deviazione”

del/dal sistema penale si spiega nella radice dello stesso sistema, per

“proteggerlo”, assicurarne il “controllo sociale”, de-catalizzarne l’at- tenzione su schemi fittizi di criminalità e non, sulla costruzione di un modello di verità, che non possa essere negato dai dati empirici dei processi di mafia, dalle sentenze di assoluzione dei responsabili di stragi, con prove a “scomparsa”, dalle sentenze di condanna basate su prove precostituite.

Questo postulato metodologico tra simbolismo e politica crimina- le solleva diversi problemi. Nella molteplicità di fattispecie a tutela dell’amministrazione della giustizia quale posizione riveste il delitto ex art. 375 c.p.? Il “depistaggio” è delitto necessario al sistema penale e a quali condizioni?

Nel nostro caso il modello normativo del delitto di frode in pro- cesso penale e depistaggio non è sorretto da dati empirici verificabili e, dunque, difetterebbe delle condizioni basilari di validità di un ap- proccio teorico-scientifico soddisfacente. Tuttavia, la scienza penale non consiste, né può consistere, solamente in enunciati verificabili, altrimenti non avrebbero avuto luogo rivoluzioni radicali dei nostri sistemi di conoscenza.

L’evoluzione della conoscenza non è un processo solamente ra- zionale. Il depistaggio è norma penale valida, solo se è logicamente giustificata, senza che tale processo di giustificazione si dilunghi al- l’infinito. La verifica scientifica di un antecedente nei sistemi com- plessi, come il diritto penale, porta in genere a stabilire una condi-

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zione soltanto sufficiente di un evento e anche non necessaria 6. Gali- leo sosteneva che per mezzo del telescopio era in grado di scoprire montagne sulla Luna e macchie sul Sole, anche se tali affermazioni non potevano essere conciliate con la cosmologia aristotelica 7. Il punto in quel caso non era – come i suoi avversari sostenevano – la non sussumibilità dei dati empirici alle teorie esistenti, quanto la teo- ria ottica dello strumento in grado di vedere realtà non viste prima e di cui costituivano la base non – ancora – verificata di un nuovo mo- dello di teoria scientifica.

La norma dell’art. 375 c.p. è lo strumento ottico per osservare i da- ti empirici (nascosti) di frodi e depistaggi presenti nel processo pena- le. Potrà costituire o meno un modello scientifico di giustizia, di ac- certamento della verità, di tutela delle vittime. Oppure potrà atteg- giarsi solo come simbolo di questa giustizia, di questa verità, di que- sta apparenza protettivo-vittimocentrica. Le risposte a tali interroga- tivi determinano il modello di conoscenza prescelto e le regole meto- dologiche della presente ricerca.

2. La frode in processo penale e depistaggio come delitto ne- cessario. Il contesto storico della strategia della tensione

I giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta nelle motivazioni del- la sentenza del processo Borsellino Quater, depositata il 30 giugno 2018, definiscono «uno dei più grandi depistaggi della storia giudi- ziaria italiana» le condotte di sviamento della verità afferenti la posi- zione di un determinato collaboratore di giustizia 8. Più specificata-

6 Cfr. A. Incampo, Metafisica del processo. Idee per una critica della ragione giu- ridica, Bari, 2010, p. 207, con riferimenti in nota 219 a Cass. Sez. un., 10 luglio 2002.

7 L’esempio è ripreso da S. Amsterdamski, Verificabilità/falsificabilità, in Enc.

Einaudi, Torino, 1981, vol. 14, pp. 1011 ss., in specie p. 1015.

8 Il termine depistaggio è utilizzato dalla Corte d’Assise di Caltanissetta nella sentenza n. 1/2017, cit., p. 1735, in senso generale, non essendoci – nel caso di specie – nessun imputato ai sensi dell’art. 375 c.p. per ovvie ragioni di irretroatti- vità della legge penale. «Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, che ha con- dotto alla condanna e alla pena detentiva perpetua di Profeta Salvatore, Scotto Gaetano, Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gae- tano ed Urso Giuseppe, per il loro ritenuto concorso nella strage di via D’Amelio».

Lo stesso “collaboratore di giustizia” Vincenzo Scarantino è stato condannato per

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mente, quasi parallelamente all’attività giurisdizionale, la Relazione conclusiva sul depistaggio di Via D’Amelio, prodotta dalla Commis- sione Antimafia e Anticorruzione della Regione Sicilia, in data 19 di- cembre 2018, definisce la natura sottile delle manovre mistificatorie intorno alla strage del 19 luglio 1992 come opera delle organizzazioni non mafiose, ma istituzionali, quali «soggetti inseriti negli apparati dello Stato» ad effetto immediato e coerente 9.

I lavori svolti dalla Commissione dimostrano «certe e circostanziate responsabilità istituzionali, investigative e processuali», cui va attribui- ta «la responsabilità morale di questo depistaggio». I distinti processi, condotti per l’accertamento della verità sulla strage di via D’Amelio, presentano esiti parzialmente conformi alle risultanze dell’inchiesta ministeriale. Nel primo processo – Borsellino 10 – sono identificati e ri- conosciuti colpevoli di strage determinati imputati a seguito di dichia- razioni rese da collaboratori di giustizia. Nel secondo processo – Bor- sellino Bis 11 – sono state riconfermate le posizioni di colpevolezza dei soggetti imputati, con stralcio delle attribuzioni di validità probatorie ad alcune dichiarazioni di correità. Successivamente la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, con sentenza del 18 marzo 2002 12, relativa- mente agli imputati del caso, ha ribaltato le conclusioni del giudice di primo grado, includendo integralmente le dichiarazioni accusatorie – prima escluse – di collaboratori e condannando gli stessi imputati per il delitto di strage. Nel 1996 le indagini sulla strage di via D’Amelio, mai cessate nonostante la celebrazione dei due giudizi di cui sopra,

calunnia aggravata ed in sede di applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 112, comma 3, c.p., gli stessi giudici hanno riconosciuto, in base agli ele- menti di convincimento raccolti, «l’applicabilità della circostanza attenuante de qua. Deve, infatti, ritenersi che lo Scarantino sia stato determinato a rendere le false dichiarazioni sopra descritte da altri soggetti, i quali hanno fatto sorgere tale proposito criminoso abusando della propria posizione di potere e sfruttando il suo correlativo stato di soggezione» (p. 1772).

9 Cfr. Relazione conclusiva sul depistaggio di via D’Amelio, approvata nella se- duta n. 55 del 19 dicembre 2018, e redatta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia isti- tuita con la legge regionale 14 gennaio 1991, n. 4, presieduta da Claudio Fava.

«La stessa mano non mafiosa che accompagnò Cosa Nostra nell’organizzazione della strage potrebbe essersi mossa, subito dopo, per determinare il depistaggio ed allontanare le indagini dall’accertamento della verità» (p. 4).

10 Ass. Caltanissetta, 27 gennaio 1996, n. 1, Scarantino + 3.

11 Ass. Caltanissetta, 13 febbraio 1999, n. 2, Riina + 17.

12 Ass. Caltanissetta, 18 marzo 2002, n. 5, Riina + 16, confermata da Cass.

pen., sez. VI, 17 gennaio 2003, n. 85.

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subivano un’ulteriore svolta a seguito della cattura e della decisione di collaborare di alcuni mafiosi direttamente implicati negli avvenimenti (Borsellino Ter) 13. Nel processo Borsellino Quater, inoltre, il Procura- tore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, in data 13 ot- tobre 2011, ha chiesto alla Corte d’Appello di Catania la revisione delle sentenze di condanna inflitte in esito dei processi cosiddetti Borsellino e Borsellino Bis, con le conclusioni di cui alla corposa sentenza n.

1/2017. Giova sottolineare che in data 28 settembre 2018, il GIP di Cal- tanissetta ha disposto il rinvio a giudizio di tre dei componenti del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino” guidato, all’epoca delle in- dagini, dal dottor Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002) per calun- nia aggravata dall’aver favorito l’associazione di tipo mafioso, diretta- mente coinvolta nella strage di via D’Amelio.

Le interrogazioni sono rivolte a comprendere se vi sia stato depi- staggio in via D’Amelio. A detta dell’inchiesta ministeriale si sono ve- rificati ab initio almeno «tre diversi episodi di azione coordinata, de- stinati a manipolare la scena della strage, a trafugare documenti, a sottrarre prove» (azioni di depistaggio): la sparizione dell’agenda ros- sa del giudice dal luogo del delitto 14; la manomissione e sottrazione di documenti presso la sua casa di campagna; la “perquisizione e ri- pulitura” del suo ufficio presso la Procura di Palermo 15. A seguire

13 Ass. Caltanissetta, 7 febbraio 2002, n. 1. Agate + 26. Tutte le sentenze citate sono richiamate da Ass. Caltanissetta, 20 aprile 2017, n. 1.

14 «Un vigile del fuoco, non meglio identificato (dell’età di circa quarant’anni), seguendo le disposizioni di Maggi, spegneva il focolaio d’incendio che interessava la Fiat Croma blindata, che aveva già lo sportello posteriore sinistro aperto. Il fuoco cominciava ad attingere anche la borsa che era all’interno dell’abitacolo, in posizio- ne inclinata, fra il sedile anteriore del passeggero e quello posteriore. La borsa, bru- ciacchiata ma integra, veniva prelevata (quasi sicuramente) dal predetto vigile del fuoco, che la passava a Maggi. Nei pressi non vi era il dottor Giuseppe Ayala (pure notato e riconosciuto dal teste, prima di allontanarsi dalla via D’Amelio). Il poliziot- to poteva constatare che la borsa era piena, anche se non ne controllava il contenu- to all’interno. Maggi consegnava la borsa al proprio superiore gerarchico, rimasto all’inizio della Via D’Amelio (lato via Dell’Autonomia Siciliana) a comunicare, via radio, con gli altri funzionari. Quest’ultimo funzionario (trattasi del menzionato dottor Fassari della Sezione Omicidi) teneva la borsa del magistrato fino a quando, ad un certo punto, rivedendo il sottoposto, gli ordinava di portarla subito negli uffi- ci della Squadra Mobile (“Ancora qua sei? – dice – Piglia ‘sta borsa e portala alla Mobile”). Così faceva il Maggi, che la portava dentro l’ufficio del dottor Arnaldo La Barbera (dove entrava con l’aiuto dell’autista del dirigente), lasciandola sul divano dell’ufficio». Così Ass. Caltanissetta, Sentenza n. 1/2017, pp. 909-10.

15 Cfr. Relazione conclusiva sul depistaggio, cit., pp. 14-15. In Commissione il pm Gozzo dichiara «La cosiddetta sparizione dell’agenda rossa, sul teatro della

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sempre sul locus commissi delicti e nell’immediatezza dei fatti si rile- vano ulteriori coincidenze poco chiare sul piano investigativo e pro- cessuale, come la reticenza di taluni testimoni, la presenza non giu- stificata dei servizi di sicurezza sul luogo della strage, incomprensibi- li omissioni, ingiustificati ritardi d’indagine. Depistaggio è la parola chiave delle condotte manifestatesi, concetto tutt’altro che nuovo nel- le cosiddette indagini di Stato 16.

Il delitto di “depistaggio” non esisteva, ma la Storia politico-giu- diziaria italiana è piena di depistaggi. Senza retorica alcuna, ma so- lo soffermandosi nella lettura delle Relazioni parlamentari e delle sentenze di processi cardine, appare chiaro che la stessa Repubblica italiana “si fondi” sul depistaggio. Sul perché la storia politica del- l’Italia, a partire dal secondo dopoguerra, si tinga del fosco e segreto vincolo stragista trova logica spiegazione nelle scelte imposte di su- bordinazione internazionale della stessa 17. La strategia della ten-

strage di via D’Amelio, non può averla compiuta la mafia. Questa è un’ovvietà che dicono tutti, ma è un’ovvietà vera. E, quindi, è chiaro ed evidente che se questa cosa è successa, ed è successa, deve essere stata compiuta da qualcun altro». Ep- pure per molto tempo (almeno fino alla primavera 2005, data in cui ha avvio l’in- chiesta della procura di Caltanissetta sulla sottrazione dell’agenda, conclusasi poi con il proscioglimento in udienza preliminare del colonnello dei Carabinieri Gio- vanni Arcangioli, questa “ovvietà” viene negata da tutti: dai pubblici ministeri di Caltanissetta che indagano sulla strage, dagli investigatori del cosiddetto gruppo

“Falcone-Borsellino” che detengono la cabina di regia di quelle prime indagini, dai loro referenti e protettori politici. La sparizione dell’agenda rossa di Borselli- no non sarà mai motivo di indagine. Solo in occasione del Borsellino Quater si coglie l’urgenza di investigare su questo episodio e su chi materialmente fece scomparire (o ordinò di far scomparire) l’agenda del giudice».

16 In sede di ‘Indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge c.

559 Bolognesi’, recante «Introduzione dell’articolo 372-bis del codice penale, concer- nente il reato di depistaggio», nella seduta del 25 giugno 2014, in Commissione II Giu- stizia, Resoconto Stenografico, pp. 9-10, in specie, particolare valore assume l’audi- zione del dott. Roberto Scarpinato, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, che, a fondata ragione, dichiara come la condotta di depistaggio, addirittu- ra programmata prima delle soluzioni al reato o, comunque, posta in essere imme- diatamente dopo la consumazione del reato, si consuma attraverso una molteplicità di comportamenti che vanno dal furto alla soppressione dei documenti, alla simula- zione di reato, alla calunnia, all’autocalunnia. «Ho fatto un catalogo di 39 compor- tamenti diversi che sfuggono attualmente a un’adeguata sanzione penale. Pensiamo, per esempio, all’agenda rossa di Paolo Borsellino. Il reato contestato è stato il furto:

che altro dovevamo contestare? È un reato punito da 1 a 3 anni. Pensiamo alla can- cellazione della memoria del computer di Falcone: attualmente, è previsto all’articolo 635-bis, distruzione dei file informatici, punibile a querela».

17 A. Giannuli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, ter- rore fascista, politica internazionale: un bilancio definitivo, Milano, 2018; F. Impo-

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sione 18 nasce ufficialmente per effetto della I Direttiva del generale Westmoreland del 1963 – cui segue nel 1970 un “manuale d’azione”

– dove si dichiara espressamente di voler fermare “ad ogni costo” il comunismo in Italia 19, al fine di destabilizzare per stabilizzare.

La dottrina ufficiale, distinta in momenti spazio-temporali defini- ti, si articola formalmente in regole generali, protocolli operativi ben dettagliati, indicazioni non scritte. Nel merito, essa prevede il «sov- vertimento della vita politica di una nazione attraverso episodi vio- lenti, atti stragisti falliti o realizzati, seguiti da pianificate modalità di racconto» 20 e/o mendaci rappresentazioni probatorie, la cui riuscita si manifesta attraverso elementi, tra i più distorsivi della democrazia, incluso il golpe, proiettato come minaccia inconscia e costante, e un radicato pilotaggio dei riconosciuti sistemi d’informazione.

La protezione della dottrina è garantita dalle forze militari e dai servizi di sicurezza dello Stato, che si avvalgono, almeno per le ope- razioni di “manovalanza”, di uomini appartenenti all’estrema destra.

Gli effetti politici derivanti innescano reazioni a catena, quali, in primis, un forte spostamento dei consensi verso i partiti fautori del-

simato, La Repubblica delle Stragi impunite. I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia, e-book, Roma, 2013; N. Tranfaglia, La strategia della tensione e i due terro- rismi, in Studi storici, 1998, n. 4, pp. 989 ss.; Id., Un capitolo del doppio stato. La stagione delle stragi e dei terrorismi (1969-1984), in Storia dell’Italia repubblicana, vol. III, Torino, 1997, pp. 11 ss. Con riferimento specifico al delitto di frode in processo penale e depistaggio ex art. 375 c.p. cfr. P. Pisa, Il “nuovo” reato di depi- staggio, in Dir. pen. proc., 2016, pp. 1275 ss., in specie p. 1275.

18 Il termine compare per la prima volta sui quotidiani inglesi The Observer e The Guardian il 7 dicembre 1969 ad opera del giornalista Leslie Finer.

19 Cfr. Direttiva del generale Westmoreland del 18.3.1970 (int. 14.12.1996, f. 3), tecnicamente il Field Manual 30-31, documento riservato agli ufficiali dell’Eser- cito USA e dedicato, con progressivi aggiornamenti, alle linee di azione dei servizi segreti americani e all’esecuzione di “operazioni speciali”. Nella Relazione sul ter- rorismo in Italia e sulla causa della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, cit., p. 232, si legge come la strategia della tensione rappresenti «la strate- gia atlantica della “guerra rivoluzionaria” attraverso la quale combattere il comu- nismo». Quella dottrina che è la base concettuale della strategia della tensione.

“Strage atlantica di Stato”, inoltre, sta a significare che le responsabilità politico- istituzionali di ciò che è accaduto non vanno attribuite indistintamente allo Stato democratico. Ma a quei settori dell’oltranzismo atlantico ben annidati dentro le istituzioni e forse, come ha ricordato Aldo Moro nel suo memoriale, non suffi- cientemente contrastati da quei settori politici, i quali, sapendo e non intervenen- do, finirono con il diventare nello stesso tempo vittime e complici di una strategia da altri pensata e da altri gestita».

20 M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1969-1974, e- book, Roma-Bari, 2015.

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l’ordine e verso nuove forme istituzionali, percepiti come estranei alla logica del potere e, quindi, degni di fiducia popolare; a seguire, forme multiple di destabilizzazioni economiche, sociali, culturali, istituzio- nali, ormai endemiche. Elementi probanti, ideologici e materiali del- la strategy of tension sono stati individuati da tempo nel “carattere particolarmente segreto” delle attività condotte da alcuni “personag- gi” dei servizi segreti italiani. Da ultimo nello stesso processo Borsel- lino Quater risulta provata la presenza, non giustificabile, di almeno due agenti del SISDE in via D’Amelio nell’immediatezza dello scop- pio della bomba 21.

Nella Relazione sull’inchiesta condotta sulle vicende connesse all’Operazione «Gladio», prodotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla causa della mancata indivi- duazione dei responsabili delle stragi del 15 aprile 1992, si legge co- me «il ruolo svolto dall’organizzazione Gladio sia stato essenziale strumento per operare depistaggi» 22. La trattazione sulla presenza radicata e tentacolare di strategie organizzate di depistaggio diventa sintomatica nell’analisi della Relazione svolta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla causa della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, presentata nel- l’aprile 2001, previa approvazione parlamentare di pubblicazione 23.

L’operazione «Gladio» emerse per la prima volta con questo nome nell’incontro del 18 ottobre 1956 tra i rappresentanti del SIFAR 24. Sin da questa prima riunione furono adottate particolari procedure rela- tive alla elaborazione e trasmissione della documentazione riguar- dante l’organizzazione Gladio. Di ogni documento ufficiale (registra- zione di accordi, verbali di riunioni, memorandum) venne disposta la redazione in duplice versione, italiana ed inglese, in un numero assai limitato di copie.

Gli atti in tal modo prodotti vennero classificati con la dicitura

«Gladio», seguita da un numero progressivo. L’intestazione «Gla-

21 Cfr. Relazione conclusiva sul depistaggio di via D’Amelio, cit., pp. 30 ss.

22 Cfr. Relazione sull’inchiesta condotta sulle vicende connesse all’Operazione Gladio, Doc. XXIII, n. 51, X Leg., 22 aprile 1992 (Nota dell’onorevole Cicciomes- sere) p. 65 sul caso della scoperta, nel 1972, del deposito di armi di Aurisina.

23 Cfr. Relazione sul terrorismo in Italia e sulla causa della mancata individua- zione dei responsabili delle stragi, Doc. XXIII, n. 64, vol. I, tomo II, 26 aprile 2001, pp. 243, 286, 296 ad abundantiam. Vedi, inoltre, ultra §§ 3, 4.

24 Il SIFAR, Servizio informativo forze armate, in tale frangente era formato dai colonnello Giulio Fettarappa Sandrie, dal maggiore Mario Accasto, nonché dai rappresentanti della CIA Bob Porter, John Edwards.

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dio/1» fu riservata al documento datato 28 novembre 1956 dal titolo

«Una rielaborazione degli accordi fra il servizio informazioni italiano ed il servizio informazioni americano relativi all’organizzazione e al- l’attuazione della rete clandestina post-occupazione italo-statuni- tense». L’approvazione italiana del testo redatto dal servizio ameri- cano fu comunicata dal rappresentante SIFAR nella riunione del 29 novembre 1956, nel corso della quale fu anche stabilito di fissare l’en- trata in vigore dell’accordo a partire dal giorno precedente, 28 no- vembre 1956 25. Il 2 agosto 1990, nel corso di una seduta della Came- ra dei deputati dedicata alla strage della stazione di Bologna, il Presi- dente del Consiglio Andreotti impegnava il Governo a informare il Parlamento entro 60 giorni in ordine «alla esistenza, alle caratteristi- che e alle finalità di una struttura parallela e occulta che avrebbe operato all’interno del nostro servizio segreto militare con finalità di condizionamento della vita politica del Paese» 26. Si tratta a ragione di un arco temporale piuttosto ampio, che copre tre decenni fonda- mentali della politica italiana.

Cosa significa Gladio, come funziona e quali agganci presenta con il fenomeno depistaggio, non ancora norma? Le azioni e finalità di tale organizzazione sono difficili da sintetizzare ed anche da com- prendere per certi versi 27. Si parla di un’organizzazione segreta para- militare, alla dipendenza della Nato per operazioni di spionaggio nell’ottica stay behind, con uomini al vertice di certo calibro e soldati pronti ad eseguire ordini, manomissioni, attentati, stragi, sparizioni, mistificando luoghi, prove, funzioni con azioni di vario genere.

La scoperta reale della struttura segreta avviene attraverso il «Na- sco 203». «Il Nasco è un complesso variabile che ha una sua omoge- neità operativa, nel senso che per i sabotatori ci sono sette contenito- ri, ciascuno dei quali riempiti di un materiale che gli consente di fare l’azione di sabotaggio. Ma il Nasco di per sé è un concetto astratto» 28.

25 Cfr. Relazione sull’inchiesta condotta sulle vicende connesse all’Operazione Gladio, cit., pp. 16-17.

26 Cfr. Relazione sull’inchiesta condotta sulle vicende connesse all’Operazione Gladio, cit., pp. 29-30.

27 Vedi, ex pluris, L. Palestrini, I NASCO di Gladio (Ri)maneggiare con cautela, in L. Beggi et al., Depistaggi. Da piazza Fontana alla stazione di Bologna, Roma, 2018, pp. 95 ss., in specie pp. 105-106, con note relative a piè pagina.

28 Così l’audizione del generale Gerardo Serravalle, nei Resoconti stenografici delle sedute della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Terrorismo e sulle cau- se della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, vol. I (dalla 1a alla 18a seduta 28 luglio 1988-23 maggio 1989), p. 600.

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In uno di tali contenitori si rinviene la matrice della strage di Petea- no 29. In una grotta naturale scoperta per caso nell’estate 1971 nei pressi di Aurisina si rinvengono bidoni e scatole contenenti esplosivi, armi, munizioni ed inneschi in gran quantità. Vengono coinvolti im- mediatamente i vertici delle forze militari italiane, leggi SID il servi- zio d’informazioni della Difesa, ma il “magazzino” così importante e pericoloso è sottoposto a sequestro soltanto nel febbraio 1972. Il ma- gistrato del luogo indaga e scopre la “straordinaria” somiglianza degli ordigni ritrovati con le bombe utilizzate nei gravi attentati del luglio e agosto 1969, in cui sono imputati esponenti dell’estrema destra eversiva 30. «Ed è proprio in questa fase che si mette in moto la mac- china del depistaggio» 31. La magistratura deve essere sviata, ostaco-

29 Il 31 maggio 1972 a Peteano, in provincia di Gorizia, morirono, a seguito di un attentato terroristico di matrice fascista, il brigadiere Antonio Ferraro e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni. Durante questo attacco vennero grave- mente feriti anche altri due carabinieri: il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giu- seppe Zazzaro. Nel 1984 Vincenzo Vinciguerra, terrorista appartenente a Ordine Nuovo, latitante da anni, rientrò in Italia, assumendosi la responsabilità morale e penale della Strage di Peteano, senza mai pentirsi. In seno alle deposizioni – Interro- gatorio al giudice istruttore 26 giugno 1980, citato nella sentenza-ordinanza del giu- dice istruttore di Bologna del 14 giugno 1986 – egli descrive dettagliatamente la stra- tegia della tensione. «Il fine ultimo delle stragi è quello di pervenire alla promulga- zione di leggi eccezionali; nell’ottobre 1972, dopo il dirottamento aereo di Ronchi dei Legionari, ebbi coscienza dell’esistenza di una vera e propria strategia, ispirata, diret- ta e condotta da persone inserite in apparati pubblici che, per raggiungere i propri fini politici, prevedeva anche di servirsi di attentati facendoli eseguire da persone in- consapevoli o eseguendoli direttamente o comunque istigando e dando di fatto co- pertura a coloro che li eseguivano, quando ciò fosse funzionale al perseguimento dei fini strategici da loro individuati. Con l’attentato di Peteano e con tutto quanto ne derivò, ebbi chiara consapevolezza che esisteva una vera e propria struttura occulta capace di porsi come direzione strategica degli attentati e non, come in precedenza avevo pensato, una serie di rapporti umani, un’affinità politica tra persone operanti all’interno degli apparati statali e persone operanti nel nostro ambiente. Ritengo che per fare effettivamente chiarezza su certi fenomeni sia necessaria (...) che da parte della magistratura si accetti fondamentalmente l’idea che (le) responsabilità vanno cercate in quegli apparati istituzionali che, non per casuali deviazioni, ma sistemati- camente ed in adempimento del vero compito loro attribuito in quanto strutture pa- rallele, si sono resi responsabili di tutta una serie di eventi il cui fine ultimo è sempre quello della conservazione e del rafforzamento del potere». Cfr. Relazione Commis- sione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata indi- viduazione dei responsabili delle stragi, cit., p. 145.

30 Resoconti stenografici delle sedute della Commissione parlamentare d’inchie- sta sul Terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, cit., p. 582.

31 L. Palestrini, I NASCO di Gladio (Ri)maneggiare con cautela, cit., p. 102.

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lata, fermata. Nella sentenza redatta dal giudice Casson, tra i firma- tari della proposta di legge per l’introduzione del delitto di depistag- gio, nonché relatore della proposta in Senato, si legge come «il SID fece di tutto per depistare l’Autorità giudiziaria, fornendo false in- formazioni, negando il vero, facendo in modo che i vertici dell’Arma intervenissero al fine di interrompere indagini e rastrellamenti e, ad- dirittura, fornendo ai giudici di Trieste tre possibili piste (che sape- vano essere tutte e tre false)» 32.

L’onda lunga della strategia per fermare la democrazia in Italia 33 ha radici lontane che affondano nel secondo dopoguerra per prose- guire fino ai giorni nostri, quando la paura del nuovo, del diverso prende il sopravvento e si innalzano muri contro “il nemico”, chiun- que esso sia, creando barriere di leggi pregiudizievoli per un sistema penale garantista, legale e conforme ai principi supremi della Costi- tuzione. La situazione era già «disperata e seria» 34.

3. La portata estensiva del depistaggio tra funzione e azione giudiziaria

Prima della norma, i fatti. Il (delitto di) depistaggio esisteva ancor prima (della norma) del depistaggio 35. La strage di Piazza Fontana come inizio della fine 36. Lungi dal voler effettuare una (impossibile) ricostruzione storica per la sua gravità e la sua rilevanza politica, la

32 Sentenza emessa dal Tribunale civile e penale di Venezia, il 3 gennaio 1989, nel procedimento penale contro Marco Morin + 29.

33 N. Chomsky, Capire il potere, Milano, 2008, pp. 216-17.

34 Cfr. Insolera, Punire il depistaggio. Prime incomplete riflessioni: la situazione è disperata e seria, in Parola alla difesa, 2016, pp. 57 ss., dove si sottolinea con acu- tezza il rapporto stringente tra scelte di incriminazione e valore simbolico del di- ritto penale nel caso della norma sul depistaggio, con evidenti derive complottiste di cui ultra Parte I, Capitolo II, § 3.1.

35 Cfr. Alberico, nella sua Introduzione a Frode in processo penale e depistaggio, cit., p.11, conferma come «digitando la parola depistaggio nel motore di ricerca della banca dati delle sentenze del Centro Elettronico di Documentazione della Suprema Corte si apprende che i giudici di legittimità hanno fatto uso del voca- bolo in ben 239 sentenze a partire dal 1990 sino all’entrata in vigore della nuova fattispecie incriminatrice».

36 Cfr. ex pluris A. Vergari, «L’è lu’»: di anarchici, ballerini e servizi segreti. Come Valpreda è diventato il mostro di Piazza Fontana, in Depistaggi, cit., pp. 29 ss., in specie pp. 43-44.

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strage di Piazza Fontana ha rappresentato il culmine di un progetto eversivo preparato attraverso gli altri attentati di quello stesso anno 37 e diretto – come ampiamente descritto in alcuni passi di sentenze istruttorie del Tribunale di Milano 38 – a utilizzare il disordine e la paura per sbocchi di tipo autoritario, in ciò sostenuti – come è scritto nella Relazione della Commissione Stragi – da «accordi collusivi con apparati istituzionali» 39.

Dopo aver inizialmente sostenuto l’impostazione anarchica della strage, le indagini furono rivolte verso alcuni esponenti della orga- nizzazione di estrema destra “Ordine Nuovo” e coinvolsero espo- nenti di spicco dei servizi segreti 40. Il processo a carico dei respon- sabili della strage si svolse tra violente polemiche per effetto della

37 Cfr. gli attentati del 25 aprile 1969 a Padova presso il Padiglione Fiat della Fiera e presso l’ufficio Cambi della Banca Nazionale delle Telecomunicazioni.

38 Cfr. Sentenza G.I., Trib. Milano, 3 febbraio 1998, dott. Guido Salvini.

39 La Presidenza della Commissione riferiva, con la terza relazione semestrale (Doc. XXIII, n. 7), sulle prime risultanze di quell’inchiesta giudiziaria sull’ever- sione di destra, approfondendo importanti «aspetti connessi con il merito di al- cune acquisizioni dell’istruttoria Salvini di diretto interesse per l’inchiesta parla- mentare su stragi e depistaggi». Inoltre, lo scenario descritto dal magistrato di Milano apparve meritevole di attenzione, ma anche di approfondimenti e verifi- che ulteriori per gli elementi di novità relativi al panorama dell’eversione di de- stra (p. 261). I corposi lavori svolti dalla Commissione Stragi, Relazione sul terro- rismo in Italia e sulla causa della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Doc. XXIII, n. 64, vol. I, tomo II, 26 aprile 2001, pp. 305 ss., hanno parzial- mente concluso che «È cosa nota, nel campo degli studi storici, che l’inevitabile frammentazione dell’azione penale per competenze territoriali e responsabilità individuali e la sua diluizione temporale (in rapporto ai gradi di giudizio e al pro- trarsi dei reati connessi) complica notevolmente la ricostruzione complessiva e soprattutto l’interpretazione dei fenomeni eversivi di lunga durata. Pressati dal- l’esigenza di pervenire ad un giudicato, e sommersi da valanghe di dettagli che occorre verificare, di cui non è minimamente possibile prevedere a priori la rile- vanza e le cui apparenti connessioni conducono spesso in deludenti vicoli ciechi, non di rado gli stessi inquirenti possono infatti essere tentati di dare una vana caccia (nei limiti in cui sia loro consentito) a chimerici documenti supersegreti o ad accreditare come testimonianze giudiziarie quelle che nel migliore dei casi re- stano mere interpretazioni soggettive. Ciò moltiplica il rischio di depistaggio e di autodepistaggio, nonché di stabilire evanescenti «verità giudiziarie» incapaci di sopravvivere fuori dell’incartamento processuale, portando a pseudo-verità, accet- tate soltanto per forza di legge e timor di querela; pseudo-verità che, a loro volta, ostacolano la libera ricerca storica, e potendo perfino generare inquinamenti probatori e irreversibili distorsioni interpretative, possono condizionare anche indagini collaterali e future».

40 Vergari, «L’è lu’»: di anarchici, ballerini e servizi segreti. Come Valpreda è di- ventato il mostro di Piazza Fontana, cit., pp. 57-9.

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decisione della Corte di Cassazione di trasferirne la trattazione dei fatti del giudizio da Milano a Catanzaro. Su questa strage sono stati celebrati molteplici processi, con depistaggi, fughe all’estero di im- putati, latitanze più che decennali, condanne, assoluzioni 41, fino al- la definitiva assoluzione dei presunti esecutori Delfo Zorzi, Giancar- lo Rognoni e Carlo Maria Maggi 42. L’assoluzione definitiva è stata pronunciata con una formula legata all’insufficienza probatoria, tuttavia, l’insieme delle prove raccolte consente la valutazione di fatti storico-processuali accertati, a sostegno di matrici depistatorie da parte del mondo politico e dei servizi segreti del tempo e non so- lo. In primis, almeno un colpevole è accertato nella sentenza defini- tiva della Corte di Cassazione 43. Si tratta di Carlo Digilio, l’esperto in armi e in esplosivi del gruppo veneto di Ordine Nuovo, reo con- fesso di aver fornito l’esplosivo per la strage e di essere in collega- mento con i servizi segreti americani 44. L’imputato in questione, in- fatti, era uno degli informatori italiani a servizio delle basi NATO in Veneto, nell’ambito dei programmi di arruolamento di fascisti e an- ticomunisti, promosso dalla CIA e dai servizi segreti italiani 45.

41 Cfr. Sentenza istruttoria del Tribunale di Roma, 20 marzo 1971; Sentenza istruttoria del Tribunale di Milano, 18 marzo 1974; Sentenza istruttoria del Tri- bunale di Catanzaro, 31 luglio 1976; Sentenza Corte d’Assise di Catanzaro, 1 di- cembre 1977; Sentenza Corte d’Assise di Catanzaro, 23 Febbraio 197; Sentenza Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, 10 giugno 1982; Sentenza Corte d’Assise d’Appello di Bari, 1 agosto 1985; Sentenza G.I. processo “Catanzaro Bis”, Tribu- nale di Catanzaro, 30 luglio 1986; Sentenza Corte di Cassazione, 27 gennaio 1987;

Sentenza “Catanzaro Bis”, Corte d’Assise di Catanzaro, 20 febbraio 1989; Senten- za “Catanzaro Bis”, Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, 5 luglio 1991; Sentenza G.I. Tribunale di Milano, 18 marzo 1995; Sentenza G.I. Tribunale di Milano, 3 febbraio 1998; Sentenza Corte d’Assise di Milano, 30 giugno 2001; Sentenza Corte d’Assise d’Appello di Milano, 12 marzo 2004; Sentenza Corte di Cassazione 3 maggio 2005. Tutte le sentenze sono riprodotte integralmente in formato digitale in Rete degli archivi. Per non dimenticare, fontitaliarepubblicana.it.

42 Maggi è stato condannato in via definitiva per la Strage di Piazza della Loggia nel giugno 2017, insieme all’informatore dei servizi segreti, Maurizio Tramonte.

43 Cfr. Sentenza Cass. 3 maggio 2005.

44 Sentenza G.I., Trib. Milano, 3 febbraio 1998, dott. Guido Salvini, p. 249.

45Vergari, «L’è lu’»: di anarchici, ballerini e servizi segreti. Come Valpreda è di- ventato il mostro di Piazza Fontana, cit., pp. 38-39. Digilio ha parlato a lungo delle attività eversive e della disponibilità di esplosivo del gruppo ordinovista di Vene- zia, di cui faceva parte Delfo Zorzi, assolto poi per la strage in pratica per incom- pletezza delle prove nei suoi confronti, in quanto la Corte non ha ritenuto suffi- cienti i riscontri di colpevolezza raggiunti. Né sono bastate le rivelazioni di Mar-

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Nei processi per strage vi sono stati, costantemente, tentativi di sviamento delle indagini, tecnicamente definiti/bili depistaggi, stret- tamente funzionali alla strategia della tensione, in quanto tendenti ad attribuire la strage a soggetti, pur coinvolti nell’esecuzione mandato- ria dei delitti, da apparire anche in sede processuale come responsa- bili del fatto – e, dunque, estremamente pericolosi –, solo al fine di sollecitare forme di repressione interventista ed autoritaria da parte dello Stato, al fine di salvaguardare i veri responsabili 46. Nelle inda- gini per la strage di Piazza Fontana tale impostazione depistatoria ha coinvolto gli anarchici 47, in quella di Peteano un gruppo di delin-

tino Siciliano che aveva partecipato agli attentati preparatori del 12 dicembre in- sieme a quel gruppo, con lo scopo di creare disordine e far ricadere le accuse su elementi di sinistra. Ma, in tutte le tre ultime sentenze risultano confermate le responsabilità degli imputati storici di Piazza Fontana, pure loro di Ordine Nuo- vo: i padovani Franco Freda e Giovanni Ventura. Essi però, già condannati in primo grado nel processo di Catanzaro all’ergastolo, e poi assolti per insufficienza di prove nei gradi successivi, non erano più processabili. Perché in Italia, come in tutti i paesi civili, le sentenze definitive di assoluzione non sono più soggette a revisione. L’elemento nuovo, storicamente determinante, sono state le testimo- nianze di Tullio Fabris, l’elettricista di Freda che fu coinvolto nell’acquisto dei timer usati il 12 dicembre per fare esplodere le bombe. La sua testimonianza ven- ne acquisita solo nel 1995. Un ritardo decisivo e “provvidenziale”. Perché Fabris nel 1995 descrisse minuziosamente come nello studio legale di Freda, presente Ventura, furono effettuate le prove di funzionamento dei timers poi usati come innesco per le bombe del 12 dicembre.

46 Cfr. in tema L. Grassi, Dalla strage dell’Italicus alla strage di Bologna: la strategia eversiva interna e internazionale di apparati istituzionali, massoneria e destra neofascista, 2017, Intervento al convegno internazionale La rete eversiva di estrema destra in Italia e in Europa (1964-1980), Padova, 11-12 novembre 2016, in www.memoria.san.beniculturali.it.«Sono stati condannati per attività̀

di favoreggiamento e depistaggio degli stragisti uomini dei Servizi segreti, il capitano Antonio La Bruna e il generale Gian Adelio Maletti, in relazione alla strage di piazza Fontana; il colonnello Federigo Mannucci Benincasa, all’epoca capo centro CS di Firenze, è stato ritenuto responsabile, peraltro con declarato- ria di prescrizione, del favoreggiamento del noto eversore toscano Augusto Cauchi, già condannato a sua volta per vari attentati. Nel contesto del processo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 sono stati condannati per associazio- ne sovversiva ed attività di sviamento delle indagini Licio Gelli, capo della nota loggia massonica P2, il Generale Pietro Musumeci e il generale Giuseppe Bel- monte, entrambi del SISMI, nonché infine tale Francesco Pazienza, uomo in- terno al SISMI dell’epoca» (p.5).

47 Cfr. Sentenza Corte d’Assise d’Appello di Bari, 1 agosto 1985, p. 34, in ordine al riconoscimento forzato di Pietro Valpreda da parte di Cornelio Rolandi, autista del taxi 3444 del comune di Milano nella ricognizione visiva del presunto attenta- tore, “dal cappotto scuro” dallo stesso accompagnato alle ore 16 del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana.

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