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Giorni rubati D10, D11

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Academic year: 2022

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R

OSSOLEVANTE SERIE

S

Giorni rubati

D10, D11

Uno spettacolo sugli infortuni sul lavoro

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Giorni rubati D10, D11

è una pubblicazione a cura di Juri Piroddi

si ringraziano per la collaborazione

Pietro Basoccu, Franco Carta, Lara Depau, Caterina Romeo Un ringraziamento particolare alla dott.ssa Severina Mascia per la concessione del Teatro San Francesco di Tortolì in copertina una radiografia di Giammarco Mereu rielaborata da Valerio Pisano

Associazione Rossolevante via Bellavista n. 4, RRR 35 08048 – Arbatax (OG) 333 3346667 ● 333 7963711

info@rossolevante.it ● www.rossolevante.it Lo spettacolo ha ricevuto la

“Medaglia di Rappresentanza”

del Presidente della Repubblica

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Giorni rubati

D10, D11 quarta edizione aggiornata

una pubblicazione a cura di Juri Piroddi

testi e poesie di Giammarco Mereu

con scritti di Cesare Biasol Gianfranco Capitta

Silvia Cattoi Carmelo Faliti Marino Fiasella Salvatore Garrasi

foto di Pietro Basoccu

Franco Carta Lara Depau

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Giammarco Mereu e Juri Piroddi. Foto di Lara Depau.

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Sicurezza sul lavoro: una cultura nuova che parte dai giovani Carmelo Faliti, Direttore della Sede INAIL della Spezia

Nel 2010 gli infortuni sul lavoro denunciati in Italia sono stati oltre 775.000 e 980 sono stati gli infortuni mortali. Ogni volta che accade un infortunio grave ci si chiede: se la legge e i controlli funzionassero al meglio, quanti incidenti in meno potremmo realisticamente contare? La sicurezza sul lavoro è un tema di natura principalmente legislativa? O forse è fondamentale considerarla anche in un’ottica culturale?

La normativa italiana in tema di salute e sicurezza sul lavoro è all’avanguardia nel panorama europeo, esplicazione di un modello che trova i suoi capisaldi nella prevenzione del rischio da realizzare tramite la programmazione e la partecipazione di tutti i soggetti delle comunità di lavoro, la formazione, le

“buone prassi”, la responsabilità sociale delle imprese.

Ma il percorso verso un modello legale della sicurezza non è privo di insidie e richiede contesti culturali idonei per essere applicato in modo ottimale.

La stessa formazione sulla sicurezza, troppo spesso, rimane “schiacciata” dagli obblighi del mero adempimento di legge, limitandosi alla – pur necessaria – informazione tecnica su procedure, dispositivi, processi lavorativi, anziché tradursi in occasione di sensibilizzazione e di responsabilizzazione dell’azienda e dei lavoratori alla sicurezza come valore in se. Anche laddove l’impresa assuma una forte e consapevole responsabilità sociale rispetto al tema della sicurezza, finisce per limitarne la percezione e la gestione ad aspetti esclusivamente ambientali, anziché far leva sugli aspetti culturali del fenomeno.

L’INAIL, in quest’ottica, oltre a promuovere indispensabili azioni di formazione ed informazione, vuole mettere in campo iniziative di sensibilizzazione sociale che, attraverso una pluralità di linguaggi (dal cinema al teatro, dalla satira alla poesia, dalla fotografia alle arti visive sino alle campagne sociali), si prefiggono uno scopo ben preciso: far riflettere il cittadino – prima ancora che il lavoratore – sull’importanza della prevenzione nei luoghi di vita e di lavoro, e promuovere una cultura della sicurezza come stile di vita che implichi l’adozione di comportamenti responsabili e sicuri nel rispetto della vita propria e altrui.

E’ per questi motivi che, in occasione della Settimana Europea per la Sicurezza sul Lavoro, l’INAIL della Spezia si rivolge innanzitutto alle giovani

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Giancarlo Brioni, Juri Piroddi e Giammarco Mereu. Foto di Lara Depau.

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generazioni, agli studenti della Spezia e di Sarzana, con uno “spettacolo” che vuole lasciare un segno forte nella memoria di ciascuno, contro il fatalismo, il conformismo e l’accettazione passiva di schemi – mentali ed operativi – consolidati e difficili da scalfire.

Giorni rubati è la rappresentazione di una storia che accomuna tutti quei lavoratori che vedono, in un attimo, la loro vita stravolta a causa di un infortunio. Ma non solo: Giorni rubati è anche la testimonianza di un uomo, Giammarco Mereu, che affronta la sua disabilità con tutta l`energia possibile, che non rinuncia ai progetti, agli affetti, alle amicizie, sempre pronto a tirar fuori tutto quello che ha dentro. Un uomo che vuole rimanere, innanzitutto, al centro del palcoscenico della propria vita.

Sicurezza sul lavoro: una battaglia di civiltà Marino Fiasella, Presidente della Provincia della Spezia

Ogni volta che ci troviamo attoniti ad osservare le conseguenze tragiche di un incidente sul luogo di lavoro, un coro di voci unanime grida che non è giusto, non è possibile, non è accettabile. Morire sul logo di lavoro è un fatto che una società civile ed evoluta non può rassegnarsi ad accettare. Il nostro tempo, spesso distratto ed assorbito da una quotidianità frenetica, corre veloce e non pone la giusta attenzione alle regole del lavorare in sicurezza che sono invece diritto imprescindibile dell’uomo.

Per questo motivo le Istituzioni hanno il dovere di mettere in campo tutti gli strumenti possibili per diffondere la cultura della sicurezza, affinché essa divenga sostrato profondo del nostro modo di affrontare il mondo del lavoro.

Istituzioni, imprese, lavoratori, sindacati tutti insieme devono necessariamente condividere una battaglia che ricordi ad ognuno che il mestiere che svolgiamo è ciò ci consente di costruire il futuro per noi e per i nostri cari ma non può essere ciò che pone fine alla nostra esistenza. La battaglia della sicurezza sul luogo di lavoro è una battaglia di civiltà che la nostra società deve affrontare e combattere con fermezza perché non si può e non si deve morire di lavoro.

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Giammarco Mereu, Juri Piroddi e Silvia Cattoi. Foto di Franco Carta e Pietro Basoccu.

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Una guerra che vogliamo vincere Cesare Biasol, ANMIL La Spezia

Portare in scena una storia vera come quella dello spettacolo Giorni rubati significa voler far entrare immediatamente in contatto con chi non conosce il tema o ne sa poco con chi, invece, per esperienza diretta - come il protagonista dello spettacolo - sa cosa significa rimanere vittima di un incidente sul lavoro a causa della mancata applicazione delle norme di sicurezza. Giorni rubati è la storia di Giammarco Mereu, autore e interprete di se stesso, che parla del proprio infortunio e della invalidità che ne ha riportato, raccontando una storia uguale a quella di tanti altri. Troppi. Come le storie di tutti noi che siamo l’ANMIL e abbiamo vissuto sulla nostra pelle un dramma che non avremmo voluto vivere e di cui pagano lo scotto anche le famiglie. Quella di Giammarco è la storia di chi ha dovuto re-imparare tutto, rivedere tutto, riscoprire tutto dopo che la sua vita è cambiata drammaticamente una sera di novembre del 2006 - a soli 37 anni - rimasto schiacciato sotto un cancello di 600 chili. Ed è per questa ragione che l’ANMIL ha creduto, sin dall’inizio, nella forza e nel valore di questa iniziativa che ha deciso di abbracciare e sostenere insieme all’INAIL per stupire, emozionare, far riflettere, sconvolgere, impressionare e, soprattutto, per avvicinare i giovani a queste tematiche così lontane dal loro mondo e dal loro vissuto con un linguaggio che ha un forte potere evocativo.

La rappresentazione affronta, nella sua complessità, due realtà profonde e complesse: quella più evidente dell’emergenza tragica delle morti bianche e dell’insicurezza sui luoghi di lavoro. Ma nell’assurda fenomenologia del lavoro rischioso c’è anche l’invalidità del corpo, dei movimenti e a volte persino dell’anima: improvvisamente ci si ritrova costretti a rispondere a nuove logiche che sconvolgono il proprio futuro e quello dei propri cari. E tutto a causa di un incidente sul lavoro di cui la vittima non ha alcuna responsabilità.

Senza contare che, in certi casi, la menomazione crea impotenza, dilania i rapporti amorosi, rompe le coppie. Giorni rubati è tutto questo ma anche molto altro. È speranza, è denuncia, è lotta pacifica, è disperazione, è dolore, sacrificio, coraggio e amore.

Anche noi dell’ANMIL siamo su quel palco insieme a Giammarco e vorremmo uscire per sempre da questa guerra che non ha né vinti e né vincitori, vorremmo che aziende e lavoratori rispettassero le norme di sicurezza. Ecco perché appoggiamo iniziative di questo tipo e ci sentiamo chiamati a combattere una

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guerra che svilisce, distrugge, come tutte le guerre. Questa guerra la vogliamo vincere. Ma ci piace pensare che per vincerla non servono armi ma gesti, parole, atteggiamenti e linguaggi nuovi. Serve un esercito di volontari che si unisca pacificamente a noi dell’ANMIL e che invochi a voce alta il diritto alla sicurezza, alla salute, alla dignità e alla vita.

Giammarco Mereu e Giancarlo Brioni. Foto di Pietro Basoccu.

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Non mollare mai Salvatore Garrasi

Il 20 Novembre 2008 è la data del mio incidente di lavoro che in un certo senso mi ha cambiato la vita, mi ha reso invalido. È successo alla Spezia.

La sera prima avevo festeggiato il compleanno di mia moglie con i miei due figli Giuseppe e Stefano, 16 anni il primo, 13 anni il secondo. Felice della mia famiglia, ero molto contento anche la mattina dopo quando sono tornato a lavorare, giorno in cui è avvenuto l’incidente.

Quel giorno sono andato a lavorare tranquillamente, ricordo di aver sentito mia moglie al telefono. Poi un’immagine nitida: l’elevatore per lavori edili, io mi trovavo sopra… dopo: il buio.

Mi sono risvegliato dopo 15 giorni all’ospedale San Martino di Genova, non mi rendevo ancora conto di quello che era successo. Dopo qualche giorno in cui riprendevo conoscenza, ho chiesto a mia moglie di farmi leggere il referto medico del ricovero.

Sono caduto da un’altezza di circa 10 metri, circa 4 quintali di materiale mi sono venuti addosso. Abrasioni alla testa, frattura del setto nasale, lesione allo sterno. Due costole, bacino, vertebre fratturate, lacerazione del gluteo destro, recisione dell’arteria femorale. Quindi emorragie e trasfusioni. Praticamente un’amputazione parziale della tibia destra.

Quando succedono incidenti simili e stai fermo a casa per due anni e mezzo si ha tanto tempo per pensare. Sai che la tua vita non sarà mai più quella di prima. Anche se i medici ti incoraggiano e ti motivano, le sofferenze le senti tu, non gli altri.

Oltre le sofferenze fisiche subentra anche la parte economica, che non è poca cosa…

Come ho vissuto questo brutto periodo della mia vita? Vivendo, innanzitutto, giorno per giorno con un solo pensiero fisso: com’è iniziata questa storia, dovrà anche finire. Verrà il giorno in cui questa triste vicenda sarà conclusa.

I casi non sono tutti uguali, riconosco che sono stato abbastanza fortunato. C’è anche chi è più sfortunato di me. Mi ha aiutato tanto avere vicino mia moglie, i miei figli e pensare che ho soltanto 40 anni. Ancora una vita davanti… Perché la vita è un dono e ti viene offerto una volta sola.

Personalmente sono convinto che la vita, nel bene e nel male, deve essere vissuta non chiudendosi in se stessi.

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Piangere quando c’è da piangere e pensare sempre in positivo perché credo che pensare positivo aiuti a vivere meglio. E poi considerare il fatto che ci sono persone più fortunate ma anche quelli più sfortunati di noi. L’ottimismo ci aiuta a star bene con gli altri e con noi stessi. Fidiamoci di chi ci ama e – soprattutto - non molliamo: la vita è bella.

Certo, ci sono tante avversità e lo possiamo capire solo noi e chi soffre come noi.

Non mollare mai. Questo è stato il mio primo obiettivo. Non sarò quello di prima ma sono vivo e posso raccontare quanto mi è successo.

Infine, come amo dire sempre, “volere è potere”. Non potrò fare quello che facevo prima ma qualcosa da fare si trova sempre.

Occorre tener viva la mente, trovare sempre nuove motivazioni. Insomma, darsi da fare per quel che si può. Giustamente non guardarsi indietro e pensare al futuro, perché c’è un futuro per tutti.

Cantieri Saipem di Arbatax (OG) per la “Giornata Mondiale della Sicurezza 2011”.

Foto di Franco Carta

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Quei giorni rubati alla mia vita

Gianfranco Capitta, il manifesto, 1° maggio 2011

Un gruppo di artisti, la compagnia Rossolevante di Arbatax sulla costa orientale della Sardegna, che si mette a disposizione di una storia straordinaria per farne uno spettacolo. Uno spettacolo politico certo, un tempo si sarebbe detto quasi

«agit prop», e che invece ha una potenza poetica impressionante, anche se la storia che narra è quella di un dramma. In meno di un’ora, scorre sulla scena non solo il racconto della tragedia, ma anche tutto il flusso di sentimenti, reazioni, strumenti e ammonizioni che da quella esperienza nascono. E che possono avere un senso civile ed esistenziale per tutti gli spettatori, non solo per quelli che abitualmente devono fare i conti con la sicurezza sul proprio posto di lavoro. Ma non c’è facile spirito consolatorio in quel racconto (…) fuori da ogni retorica e ipocrisia il tema viene affrontato in positivo, tra le parole e i versi dello stesso Mereu, e l’accompagnamento suadente delle musiche di Brioni su fisarmonica, chitarra e armonica. Ci sono momenti sconvolgenti, ed altri dolcissimi, come quella piuma che volando dà peso specifico solidissimo a emozioni e dolori che il caso insinua nella vita quotidiana. E che alla fine, in uno swing cantato a quattro voci, apre uno squarcio di struggente speranza per il futuro.

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Giammarco Mereu con altri operai all’Intermare di Arbatax.

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L’incidente Giammarco Mereu

È un giorno di novembre, di quegli strani novembre caldi che nascondono l’inverno. Lavoro nella zona industriale di Tortolì. Oggi mi è stato chiesto di andare via soltanto quando ho finito e così ho fatto 11 ore di lavoro. Stiamo costruendo i tetraprodi per il nuovo molo di Arbatax. Noi operai siamo costretti a orari massacranti per rispettare tabelle irraggiungibili predisposte da chi sicuramente non si è mai sputato le mani.

Sono circa le 20.30, vado da Alessandro e gli dico che il cemento è bastato, che sto per lavare la betoniera e che lui, se vuole, se ne può andare via. Lui mi dice di chiudere bene il cancello quando ho finito. “Il cancello? Ma se io non l’ho mai chiuso, come devo fare?” Mi risponde: ”Non preoccuparti, l’importante è che non lasci spazi vuoti, tanto fra poco arriva il guardiano notturno e si arrangia lui”. “Sì, va bene, chiudo io. Ciao, ci vediamo domani.” Dopo aver pulito la betoniera, nel buio più assoluto, mi tolgo il casco, mi lavo le mani e snodo la bandana dalla testa. Vado verso il cancello, attraverso l’uscita, lo afferro e lo spingo a fatica per non lasciare spazi vuoti, mi giro lentamente per avviarmi alla macchina ma mi sento colpire in modo fortissimo da qualcosa più possente di me, più grande e penso “ma sto morendo adesso?”. Il cancello mi fa girare su me stesso e mi ricade nuovamente addosso, lasciandomi spalle a terra. Non mi posso muovere, il dolore è snervante, acuto e comincio a lamentarmi, a chiamare aiuto. Mi rendo subito conto che non riesco a togliermelo di dosso, questo cancello, e non ci provo nemmeno. A un certo punto si avvicinano i cani da guardia del cantiere che non mi sono mai stati simpatici, quei cani che sono sempre incazzati, che rispecchiano in pieno il carattere degli operai.

Mi abbaiano in modo strano, come non li ho mai sentiti, in un modo diverso, compassionevole, forse hanno già capito la gravità della situazione... A un certo punto mi tocco addosso e vedo che non ho sangue, muovo le braccia e sfiorandomi il petto sulla destra, in quei benedetti giubbotti multi-tasche, trovo il telefonino da lavoro e così chiamo subito il 118. Mi risponde il call- center di Sassari, mi dice che arrivano subito e mi chiede come sto e la via dove mi trovo. La via? Ma quale via d’Egitto! In una zona industriale che ha fretta di crescere per produrre, non certo per essere bella e funzionale, le vie non hanno ancora un nome. Aspetto, aspetto e aspetto ancora. Basta, richiamo e gli dico che sono al limite, che non ce la faccio più. Ad un certo

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punto sento le sirene squarciare il buio, avvicinarsi e poi allontanarsi di nuovo.

Non mi trovano, sono schiacciato a terra. Sono in difficoltà. All’improvviso scorgo sulla mia sinistra due fari quadrati, con la luce del telefonino li guido verso di me, quasi in contemporanea arrivano i Vigili del fuoco. Adesso la zona è illuminata anche troppo, in modo fastidioso. I pompieri per prima cosa mi sollevano il cancello di dosso. Il personale del 118 mi avverte che non possono caricarmi sull’ambulanza finché non arriva il medico da Lanusei.

Cominciano a farmi tutta quella trafila di domande che si fa per scoprire se sono vigile e cosciente, ma io riesco sempre a dare delle risposte plausibili.

Rifiuto l’ossigeno per l’ennesima volta. Dal nulla vedo apparire la faccia della segretaria e del mio datore di lavoro che mi chiede: “Ma cosa ci fai ancora qui a quest’ora e da solo?” Beh, la risposta del mio sguardo è piuttosto esauriente visto che lui parte a razzo per telefonare a casa mia. Io gli dico di non chiamare mia moglie ma a casa di mia suocera e di parlare solo se sente una voce maschile adulta. Nel mentre mi spogliano. Senza accorgermi di nulla, mi tagliano i pantaloni e tolgono le scarpe, mi tagliano anche il giubbotto e sono a petto nudo. Così mi incartano con quella sorta di stagnola oro-argento che mi ricorda tanto le caramelle natalizie e che non avrei mai creduto fosse così utile per combattere il freddo che mi assale. Arriva il dottore, con tutte le precauzioni mi mettono sull’ambulanza e comincia così il viaggio verso casa – si fa per dire. Conoscendo la strada – visto che la faccio tutti i giorni – chiedo al personale dell’ambulanza se cortesemente possono rallentare a ogni passaggio a livello, ogni minimo sobbalzo è una sofferenza. Uscendo dall’ambulanza intravedo mia moglie, già segnata dal dolore, che avverto anch’io in forma lancinante grazie al gradino dell’ascensore dell’ospedale che mi ricorda che non bisogna mai abbassare la guardia. Mi visitano e mi portano subito in radiologia. Lì incontro Mariano, compagno di tante partite di calcio amatoriale. Lo vedo scuro in viso, serio. Gli chiedo: “Mariano camminerò ancora?” Non mi risponde. “Mariano camminerò ancora?” Lui si gira, non risponde, gli occhi si fanno lucidi, non mi vuole mortificare. Non mi rendo subito conto. Dopo tutte le visite decidono di trasferirmi all’ospedale Marino di Cagliari. Mi ricaricano in ambulanza, mi portano all’eliporto dei pompieri – segue un piccolo corteo con mia moglie e i mie cognati. Sento l’odore forte del kerosene, il frastuono… e penso che mi hanno drogato, perché io entro nell’elicottero, saluto mia moglie e poi apro gli occhi a Cagliari, nella sala operatoria, dove vedo le facce di chi mi dice: “Non preoccuparti, ci siamo qui

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noi che adesso mettiamo tutto a posto”. Sono facce rassicuranti.

Mi fanno l’intervento di notte.

L’indomani mi sveglio in un letto con a fianco due infermiere, una grassa e una meno grassa. Ho un’erezione, sono mezzo spogliato, non so che cosa dire, ho una vergogna atroce e me ne esco con una delle mie solite sparate: ”Tranquille ragazze, questo non è per voi”. Sorridono fra loro con complicità. Beh, adesso mi voglio alzare, mettere meglio ma noto subito che qualche cosa è cambiato, il mio corpo è per metà in sciopero – è sordo – ma il messaggio che manda è chiaro, è limpido, è atroce: non si cammina più, non si cammina più.

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Riflessioni di un combattente [frammenti]

Giammarco Mereu

Cosa fare adesso?

Come riciclarsi?

Avevi una strada dritta e ben delineata adesso ne hai una dissestata

e con svincoli per te inaccessibili.

Come rendersi utili in questa nuova identità?

Cosa hai perso cosa hai guadagnato?

Sembrano attimi

ma ti conducono a lunghe domande che non trovano risposte

se non nella rabbiosa coscienza di un condannato a morte che non sa a chi dare la colpa.

Già, la colpa…

a chi destinare

questo fagotto ingombrante

se non al destino che lo ha confezionato?

La domanda più diretta è:

perché io?

La risposta non c’è.

Non un attimo ma giorni, mesi, anni una vita intera

accompagnati da una rabbia che si accumula

e ti costringe a risorgere.

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Sono entrato in punta di piedi in questo mondo parallelo dove la sofferenza e l’attesa la fanno da padroni.

Il tuo dolore si somma, si confronta con quello di chi

lo conosce almeno quanto te.

C’è come un cappio che si stringe ogni qualvolta abbassi la guardia.

Sono in prima linea,

con dietro un esercito di volontari che mi spingono a non mollare.

In questo mondo si entra senza chiedere il permesso.

Ci sono energie

che prima di toccare il fondo non conoscevamo

e ne ignoravamo l’esistenza.

Ma quando sei solo

con il tuo corpo che è cambiato le devi scovare

e se non le trovi è solamente colpa tua perché vuol dire

che quello che eri prima era di una fragilità devastante.

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Il primo risveglio è indimenticabile anche perché il conto da pagare si presenta subito piuttosto salato.

Mi guardavo intorno

senza avere nessun riferimento ma con lo sgomento e la disperazione di chi ne avrebbe avuto

un estremo bisogno.

Sono diventato ciò che i miei limiti mi hanno permesso.

Cerco disperatamente di sbagliare il meno possibile.

I miei confini sono saltati

la recinzione del mio territorio divelta è caduto il cancello

che divideva il mio mondo.

Mi è oscuro il traguardo

Mi auguro di arrivare stanco al capolinea ma con la consapevolezza

di aver sfruttato al massimo tutte le possibilità

che la vita mi ha offerto.

Sarà sufficiente sapere

che sono stato solo di passaggio.

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Non ti ho sentito.

Sì, non ti ho sentito

con il tuo fare silenzioso e traditore.

Non ho sentito che volevi aggredirmi.

Pensavi di abbattermi con facilità e invece hai trovato un avversario che si è piegato ma non si è spezzato.

Lo so

l’ho capito subito che mi avevi privato della gioia di camminare ma non sei riuscito a fermare le mie idee e i miei pensieri.

Hai bloccato il mio corpo mi hai limitato

e così cambiato il mio orizzonte.

Adesso vedo ciò che prima mi era nascosto sono partecipe al dolore

lo conosco e l’affronto.

Non farò mai un passo indietro.

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Dati e statistiche

Infortuni avvenuti in ciascun anno e denunciati all’INAIL

anno denuncie anno denuncie

n. casi mortali n. casi mortali

1951 728.788 3.511 1978 1.186.684 2.524 1952 853.134 3.871 1979 1.180.912 2.467 1953 937.698 3.763 1980 1.167.903 2.565 1954 1.036.124 3.840 1981 1.082.405 1.919 1955 1.104.455 3.950 1982 1.003.241 1.666 1956 1.150.354 3.900 1983 976.774 1.768 1957 1.196.360 3.948 1984 975.645 1.880 1958 1.205.342 3.980 1985 993.929 1.908 1959 1.269.509 3.883 1986 997.217 2.083 1960 1.366.672 3.978 1987 1.038.742 2.207 1961 1.486.070 4.418 1988 1.089.430 2.416 1962 1.484.361 4.349 1989 1.114.035 2.559 1963 1.577.352 4.644 1990 1.176.491 2.417 1964 1.504.721 4.254 1991 1.177.004 1.941 1965 1.321.166 3.823 1992 1.146.244 1.807 1966 1.382.294 3.744 1993 1.011.951 1.469 1967 1.496.492 3.935 1994 1.041.155 1.328 1968 1.519.164 3.829 1995 1.014.733 1.366 1969 1.565.788 3.863 1996 987.084 1.359 1970 1.601.061 3.675 1997 949.425 1.443 1971 1.562.879 3.594 1998 963.263 1.473 1972 1.522.683 3.462 1999 985.735 1.423 1973 1.547.355 3.774 2000 991.843 1.389 1974 1.433.358 3.057

1975 1.308.213 2.845 1976 1.283.667 2.793 1977 1.256.158 2.678

TOTALE 59.014.361 144.738

Dati e statistiche

Infortuni avvenuti in ciascun anno e denunciati all’INAIL

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Infortuni e malattie professionali 2001-2010

2001 2002 2003

2004 2005 2006

2007 2008

2009 2010 1.546

1.478 1.445

1.328

1.280 1.341

1.207 1.120

1.053 980 -4,4 -6,5

-14,1

-17,2 -13,3 -21,9

-27,6 -31,9

-36,6 2001 2002

2003 2004

2005 2006

2007 2008

2009 2010 1.023.379

992.655 977.192

966.696 940.013

928.140 912.402

875.144 790.112

775.374 -3,0 -4,5

-5,5 -8,1

-9,3 -10,8 -14,5

-22,8 -24,2

2001 2002

2003 2004

2005 2006

2007 2008 2009 2010 +22,5 28.359

26.824

25.237 26.600 26.704

26.752 28.805 29.963 34.753

42.347 -5,4

-11,0 -6,2 -5,8 -5,7 +1,6 +5,7

+49,3

VAR.%

rispetto 2001

MALATTIE CASI MORTALI

INFORTUNI xx

(24)

Infortuni 2009-2010 per rami /settori di attività

SERVIZI

-1,9%

441.066

+0,4%

442.915

INDUSTRIA 296.381

-4,7%

282.338

AGRICOLTURA

52.665 50.121-4,8%

TOTALE TOTALE

790.112 775.374

di cui

di cui 81.487 Costruzioni

38.240 Metallurgia

20.612 Meccanica

71.421 36.868 19.942

61.634 Trasporti e comunicazioni

71.358 Commercio

3.925 Personale domestico

58.797

68.306 4.931

-12,4%

-3,6%

-3,3%

-4,6%

-4,3%

+25,6%

2009 2010 Infortuni 2009-2010 per modalità di evento

IN OCCASIONE DI LAVORO

di cui

IN ITINERE

790.112 775.374-1,9%

-1,5%

50.969 Circolazione stradale 646.106 Ambiente di lavoro ordinario

93.037

Percorso casa-lavoro-casa

+5,3%

53.679 -2,0%

633.066

-4,7%

88.629

697.075 686.745

TOTALE TOTALE

2009 2010

(25)

Casi mortali 2009-2010 per modalità di evento

IN OCCASIONE DI LAVORO

di cui

IN ITINERE

1.053 980 -6,9%

308 Circolazione stradale 471 Ambiente di lavoro ordinario

274

Percorso casa-lavoro-casa

-3,9%

296 -6,6%

440

-10,9%

244

779 -5,5%736

TOTALE 20092010 TOTALE

1.053 980 -6,9%

-9,7%

440

487 128

438

-3,0%

425

TOTALE TOTALE

115 -10,2%

229 74 18

215 46 16

-6,1%

-37,8%

-11,1%

134

4 +9,8%

73-26,3%

0,0%

122 99 4

20092010

SERVIZI INDUSTRIA AGRICOLTURA

di cui

di cui Costruzioni Metallurgia Meccanica

Trasporti e comunicazioni Commercio Personale domestico

Casi mortali 2009-10 per rami /settori di attività

(26)

Come una piuma Silvia Cattoi, attrice

amicizia – tradimento amore – pietà

lavoro – caos futuro – non lo so viaggio – difficoltà caldo – tristezza dormire – soffrire sesso – cambiamento salute – tutto

felicità – ogni giorno

Questo elenco non è mio. In uno dei primi incontri di lavoro per la creazione dello spettacolo abbiamo fatto il gioco delle parole. Juri diceva una parola e Giammarco doveva rispondere con la prima cosa che gli veniva in mente.

Durante questa fase creativa iniziale ci siamo accorti che per Giammarco certe parole hanno assunto un sapore diverso da prima, da quando era in piedi, per usare una sua espressione. La parola mediare, ad esempio, usata spesso da uno dei medici che si sono occupati del suo caso. Giustamente, Giammarco gli ha fatto notare che ora, per lui, non è più tempo di mediare ma di fare.

Io avrei voluto che lo spettacolo si intitolasse Ogni giorno perché è bello pensare alla felicità in questi termini. Ma anche perché ogni giorno, purtroppo, ci sono tanti incidente sul lavoro, spesso mortali.

Certe volte penso che con tutto il materiale che abbiamo raccolto in questi mesi di prove si potrebbero fare altri due o tre spettacoli, e magari il prossimo si intitolerà proprio così: Ogni giorno.

Il momento della creazione di un nuovo spettacolo è sempre qualcosa di magico, un salto nel vuoto, tutto può succedere: si fanno dei tentativi, si selezionano i materiali, si sbaglia, si aggiusta, si scopre, si apprende. È un viaggio che termina nello spettacolo che si offre agli spettatori, una struttura che, per ovvie ragioni, non può contenere tutta la ricchezza dei lunghi mesi di prove.

(27)

Penso che lavorare a Giorni rubati sia stato un momento di crescita grande per tutti noi. Abbiamo attraversato il ponte che ci separa da quel mondo parallelo di cui parla Giammarco nelle sue poesie. Abbiamo imparato a conoscerci, a capire quello di cui ognuno di noi aveva bisogno per liberarsi di ogni pudore.

Mi ha sorpreso la generosità con cui Giammarco ha saputo farsi tramite di qualcosa di più grande di lui, la sua libertà di pensiero, la sua ironia, la sua coscienza del palcoscenico e la forza con cui ha affrontato la mole di lavoro che lo aspettava.

Nonostante la durezza del tema affrontato, quello che mi rimane di tutti i giorni di prove è il ricordo di grandi risate, di una gioia del fare che è stata come un tappeto sul quale ci siamo mossi. Poi, naturalmente, ci sono state anche le difficoltà, i momenti di turbamento, di forti emozioni, di dubbi atroci.

Più di una volta Giammarco si è commosso nel leggere i testi che lui stesso ha scritto.

Più di una volta ha pensato di non potercela fare.

Giorni rubati è uno spettacolo nato dalle poesie che Giammarco ha scritto in una delle sue tante notti insonni, tutte di getto, una dietro l’altra. Noi le abbiamo lette e abbiamo sentito l’urlo, l’urgenza che si nasconde in esse, quella stessa urgenza che viene fuori negli altri testi che sono andati via via componendo il copione dello spettacolo. Il racconto dell’incidente, per esempio, è nato da quello improvvisato direttamente da Giammarco e che noi ci siamo limitati a riprendere in video più volte, per poi fissarlo in una stesura definitiva che raccoglie tutti i particolari e le sfumature delle varie versioni.

Questi testi hanno trovato nella musica di Giancarlo un degno interlocutore, perché la chitarra, la fisarmonica e l’armonica non si limitano ad accompagnare ma dialogano con quello che avviene in scena.

E poi, alla fine di tutto, quando si sono dette tutte le parole, rimane la musica, la danza della carrozzina, la caduta, i tentativi per rialzarsi, gli sguardi e una piuma che vola impalpabile e va dove la porta un soffio leggero.

Bianca e lieve.

Sembra che non debba cadere mai.

(28)

Hanno detto dello spettacolo.

“Uno spettacolo straordinario, commovente, che didatticamente vale più di cento discorsi di esperti, analisti, docenti e autorità a vario titolo. (…) Straordinario.

Si tratta, in poche parole, di una rappresentazione che vale la pena di mettere in scena in tutte le scuole superiori. Vale più di mille discorsi ufficiali.”

Antonio Bassu, giornalista.

Davanti ad uno spettacolo con tale intensità umana e attoriale e grande sensibilità artistica nel tradurre scenicamente uno spaccato di cruda realtà si rischia di essere banali nell’esprimere qualsiasi opinione... posso dirvi semplicemente che alla fine dello spettacolo sono rimasto turbato, coinvolto emotivamente, psicologicamente e artisticamente. Appena sono rientrato a casa, quasi a non voler rinunciare a un rapporto con voi, ho voluto guardare immediatamente il video. Devo dire che raramente riesco a guardare un lavoro teatrale in video ma questo sa catturarti, mantenerti incollato, grazie alla forza comunicativa di Giammarco e all’ottimo lavoro di ripresa e montaggio.

Gianfranco Angei, Compagnia Actores Alidos.

“Uno spettacolo scritto sulla pelle, una testimonianza diretta, intensa e commovente su come l’esistenza può cambiare in un istante ma anche l’eccezionale forza di un uomo che non si arrende.”

Giancarlo Biffi, attore-regista, direttore artistico di Cada Die Teatro.

“Lo spettacolo Giorni rubati nasce da un incontro forte tra arte e vita. (…) Lo spettacolo affronta con coraggio un tema inusuale per i palcoscenici e lo fa con grande passione, professionalità e donando al pubblico intense emozioni. (…) Progetti come questi aiutano a far conoscere alle nuove generazioni il complesso percorso dei loro attuali e futuri diritti in un momento in cui assistiamo ad una rinvigorita offensiva contro la dignità del lavoro e le libertà sindacali e il riemergere di vecchie e nuove forme di sfruttamento.”

Cecilia d’Elia, Assessore alle Politiche Culturali della Provincia di Roma.

(29)

Postfazione Juri Piroddi

Abbiamo pensato di accompagnare Giorni rubati con la pubblicazione di questo libretto concepito come una sorta di promemoria dello spettacolo e del dramma – gli infortuni sul lavoro – di cui esso vuole farsi testimonianza.

In queste poche pagine, oltre alle poesie di Giammarco, hanno trovato spazio gli interventi di alcuni amici che – in vario modo – hanno sostenuto l’intero progetto teatrale. Sono brevi scritti di chi (assistenti sociali, giornalisti, medici, sindacalisti, funzionari, politici) si occupa di infortuni, salute nei luoghi di lavoro, diritti dei lavoratori, prevenzione, formazione, amministrazione della cosa pubblica ecc. e che anche in questa sede, sinteticamente, non rinuncia a far sentire la propria voce. Li ringrazio.

Per chiudere, vorrei riportare un frammento assai significativo che, a mio avviso, getta un po’ di luce sui perversi meccanismi che sottendono le vuote superfici rilucenti della società dello spettacolo (Debord), il rimosso del mondo in cui ci siamo ridotti a vivere e che ha fatto del denaro il feticcio intorno al quale si danza e al quale si offrono tributi grondanti sangue. Quel terribile, insaziabile Moloch pronto a divorare i suoi stessi figli – come ha profetizzato l’Urlo del poeta Allen Ginsberg.

La citazione è tratta dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 del giovane Karl Marx: “Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

(…) Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne.

E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. (…) Io sono un uomo malvagio, disonesto, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di essere disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi la possiede? (…) Costui [lo stupido ricco]

potrà sempre comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?”

(30)

Indice

Carmelo Faliti

Sicurezza sul lavoro: una cultura nuova che parte dai giovani... 3

Marino Fiasella Sicurezza sul lavoro: una battaglia di civiltà... 5

Cesare Biasol Una guerra che vogliamo vincere... 6

Salvatore Garrasi Non mollare mai... 9

Gianfranco Capitta Quei giorni rubati alla mia vita... 11

Giammarco Mereu L’incidente... 13

Giammarco Mereu Riflessioni di un combattente... 16

Dati e Statistiche... 20

Silvia Cattoi Come una Piuma... 24

AAVV Hanno detto dello spettacolo... 26

Juri Piroddi Postfazione ... 27

(31)
(32)

Giorni Rubati

testi Giammarco Mereu regia Silvia Cattoi e Juri Piroddi

Giammarco Mereucon Giancarlo Brioni

Silvia Cattoi Juri Piroddi drammaturgia collettiva musiche di scena eseguite dal vivo

dal Maestro Giancarlo Brioni costumi Francesca Pischedda

video Fabio Fiandrini info 333 3346667 | 333 7963711

www.rossolevante.it

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