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Gli Accordi di Reciprocità in Campania

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Academic year: 2022

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ACCORDI DI RECIPROCITÀ E NUOVA PROGETTAZIONE INTEGRATA: PRIME INDICAZIONI DALL’AVVIO DELLE POLITICHE DI SVILUPPO TERRITORIALE 2007-2013, Dolores Deidda (FORMEZ)

La nostra ormai lunga esperienza di struttura tecnica al servizio della crescita della capacità della Pubblica Amministrazione è una fonte di conoscenza che può indurre nella tentazione di saperne abbastanza su come far funzionare i processi più o meno virtuosi che le politiche pubbliche vorrebbero indurre o, al contrario, su come si può impedirne la proposizione ed il radicamento.

Vale la pena di lasciarsi prendere da questa tentazione ricostruendo il percorso ed analizzando il processo decisionale che ha condotto in Campania all’approvazione degli Accordi di Reciprocità.

Molto (ma non abbastanza) si è indagato in questi anni sugli errori compiuti dai decisori politici e amministrativi nel disegno di politiche di promozione dello sviluppo e, soprattutto, nel processo di attuazione dello stesso disegno. Errori che spesso tendono ad essere riproposti (perché non si apprende abbastanza dagli errori come in letteratura viene evidenziato). Tra questi meritano di essere citati: la sottovalutazione dell’esistenza di adeguate precondizioni di contesto quando è il territorio il livello su cui si incentra l’intervento; la non chiara definizione delle regole del gioco; l’incertezza sui soggetti chiamati a giocare; la mancata istruttoria della strumentazione tecnica e procedurale; la disattenzione sugli aspetti gestionali, la mancata conoscenza dei risultati prodotti con azioni realizzate in precedenza.

Questi ed altri elementi sappiamo con certezza che incidono negativamente sulla tempestività e fattibilità degli interventi ed ancor più sulla loro efficacia.

Nel campo specifico delle politiche a sostegno dello sviluppo territoriale il clima attuale è caratterizzato da una valutazione prevalentemente negativa – in sé difficilmente contestabile - sui risultati cui hanno condotto gli interventi sperimentati nel ciclo della passata programmazione (2000-2006). Questa valutazione non fa distinzione tra Regioni, né tra contesti all’interno di una stessa Regione. Eppure dovrebbe essere un elemento condiviso la consapevolezza che i percorsi verso lo sviluppo locale sono multipli e che la diversità dei sistemi locali merita anch’essa di essere considerata, così come la diversa capacità di

“COSA SI STA MUOVENDO” SU

PROGETTAZIONE INTEGRATA E GOVERNANCE MULTILIVELLO NELLE REGIONI DELLA

CONVERGENZA Cecilia Vedana (Formez)

GLI ACCORDI DI RECIPROCITÀ NELL’INFORMAZIONE LOCALE Massimo Di Rienzo (Formez)

ACCORDI DI RECIPROCITÀ E NUOVA PROGETTAZIONE INTEGRATA: PRIME

INDICAZIONI DALL’AVVIO DELLE POLITICHE DI SVILUPPO TERRITORIALE 2007-2013

Dolores Deidda (Formez)

GLI ACCORDI DI RECIPROCITÀ IN CAMPANIA Laura Lucignano e Gino Rocca (Formez)

SVILUPPO TERRITORIALE E COOPERAZIONE ISTITUZIONALE: GLI ACCORDI DI RECIPROCITÀ NELLA PROGRAMMAZIONE REGIONALE Gerardo Cardillo (Regione Campania, Responsabile Regionale degli ADR)

VALUTAZIONE, NEGOZIAZIONE E

PARTENARIATO NELLA DEFINIZIONE DEGLI ACCORDI DI RECIPROCITÀ

Lina Bevilacqua (Nucleo di Valutazione Regione Campania)

IL RILANCIO DELLA SUSSIDIARIETÀ E DELLA COOPERAZIONE ISTITUZIONALE:

L’OPPORTUNITÀ DEGLI ACCORDI DI RECIPROCITÀ

Osvaldo Cammarota (Città del Fare) CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA PIT E ACCORDI DI RECIPROCITÀ: UN ESEMPIO DI AMMINISTRAZIONE CHE APPRENDE DALL’ESPERIENZA

Gerardo Castaldo (Formez)

GLI ACCORDI DI RECIPROCITA’ COME STRUMENTI DI ATTUAZIONE DEL PIANO TERRITORIALE REGIONALE

Antonio Di Gennaro (Università di Napoli) LA PORTATA INNOVATIVA DEGLI ADR: GLI ASPETTI PROGRAMMATICI

Raffaele Colaizzo (Formez)

LA PORTATA INNOVATIVA DEGLI ADR: IL MODELLO ORGANIZZATIVO-GESTIONALE Rino Capezzuto (Università del Molise) L’ASSISTENZA TECNICA DEL FORMEZ ALL’ATTUAZIONE DEGLI ACCORDI DI RECIPROCITÀ

Gino Rocca (Formez)

GLI ADR IN CAMPANIA

NOTIZIE E INFORMAZIONI

POAT Magazine, del 10 dicembre 2009

Gli Accordi di Reciprocità in Campania

Caratteristiche e aspetti innovativi

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…continua dalla prima pagina

Pur in questo clima non favorevole è interessante constatare che “l’approccio territoriale” della nuova stagione di politica regionale unitaria è comunque riproposta nei documenti strategici e nei piani operativi delle Regioni in forme perfino rafforzate rispetto al ciclo precedente, con discontinuità positive che in taluni casi sembrano rispondere all’insegnamento di Wildavsky secondo cui le politiche non devono essere considerate come verità eterne ma come ipotesi soggette modifica e sostituzioni.

Tutte le modifiche e le sostituzioni sono positive se si liberano di scelte e strumenti che non hanno funzionato e che è dimostrabile che non funzioneranno. La linea di fondo rimane quella di perseguire (alzando il tiro) e non smantellare un corpus di politiche, che allo stato non hanno alternative (il neocentrismo non è certo la cura della deriva localista) o indebolirle nella fase in cui i fragili cambiamenti che hanno prodotto potrebbero essere rafforzati e diffusi con nuovi e più incisivi investimenti garantiti da più saldi negoziati tra le parti.

Un’Italia più competitiva sarà fatta di contesti più competitivi, più capaci di mettere a valore le proprie conoscenze e le proprie risorse. Conoscenze e risorse che i contesti territoriali del Mezzogiorno devono ancora scoprire e trasformare in vantaggi competitivi per il sistema Paese. E prima ancora hanno da scoprire che risorse pur eccellenti non producono valore se sono inserite in contesti dove i deficit, i bisogni insoddisfatti e il clima sociale tendono a comprimerle e a deprimerle.

Una politica di sviluppo rivolta ai luoghi è la sola opzione per l’UE, una via per “superare situazioni persistenti di arretratezza e di esclusione sociale” è anche la conclusione cui arriva il recente Rapporto Barca predisposto per la Commissione Europea.

Ecco perché la decisione della Regione Campania di insistere sulla via territoriale allo sviluppo regionale rimane coerente con una strategia di lungo periodo ma innova sul piano dei processi e degli strumenti con cui si vogliono conseguire risultati più soddisfacenti. Gli Accordi di Reciprocità – attraverso i Piani di sviluppo territoriale - sono, infatti, la modalità originale attraverso cui si perseguono gli obiettivi di: innalzamento della qualità dei progetti, maggiore strategicità e massa critica degli interventi, conseguimento di determinati target di servizi, maggiore responsabilità e capacità di coordinamento degli attori istituzionali, aggregazioni territoriali perimetrati e mobilitazione di risorse più adeguate a generare impatti nell’economia regionale.

La sfida, ancora una volta sta nel governare un processo complesso, dove una molteplicità di attori dovrà coordinare i propri piani d’intervento e rispettare gli impegni assunti sottostando alle regole del gioco condiviso e spendendo tutta la loro reputazione per dimostrare che in Campania possono succedere cose buone, addirittura eccellenti per tutto il Mezzogiorno e per il Paese intero.

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La Regione Campania ha individuato, nei propri documenti di programmazione, diverse forme e strumenti di progettazione e programmazione integrata territoriale, prevedendo un notevole e significativo ricorso a schemi e processi di governance multilivello finalizzati alla definizione di modelli/sistemi di cooperazione interistituzionale per la realizzazione delle politiche territoriali di sviluppo.

In particolare, il Documento Strategico Regionale (DSR Campania) ha previsto come prioritaria, per il ciclo di programmazione 2007-2013, l’esigenza di far convergere quanto più possibile, anche mediante politiche premiali, i vari strumenti verso gli indirizzi definiti dal Piano Territoriale Regionale (PTR). Quest’ultimo, approvato con Legge Regionale al termine di un lungo lavoro di elaborazione e condivisione, costituisce il quadro di riferimento unitario per tutti i livelli della pianificazione territoriale e quindi per le politiche di salvaguardia, trasformazione e sviluppo territoriale che si attueranno nei prossimi anni. Tra l’altro, il Piano definisce 45 Sistemi Territoriali di Sviluppo (basati su aggregazioni sovracomunali omogenee per caratteri sociali, geografici e strategie di sviluppo locale) che costituiscono le “celle”

essenziali per l’articolazione delle politiche territoriali.

Gli indirizzi del DSR Campania, relativi alla necessità di garantire una “visione territoriale”

dello sviluppo coerente con il PTR, attraverso processi e percorsi di razionalizzazione degli strumenti esistenti, sono poi stati declinati coerentemente nei diversi programmi operativi regionali (cofinanziati da risorse comunitarie e nazionali) per lo sviluppo e la coesione. In quest’ambito gli Accordi di Reciprocità (AdR) assumono un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico e la coesione sociale dei territori della Campania. Essi sono definiti dal “Disciplinare per la definizione e realizzazione degli accordi di reciprocità”, approvato con DGR n. 1291 del 31 luglio 2009, come “strumenti per lo sviluppo economico e la coesione sociale dei territori della Campania ... [da] realizzare in stretta coerenza con il PTR e con la strategia di sviluppo locale integrata della Programmazione Unitaria Regionale”. Gli Accordi devono inoltre sostenere e valorizzare — nell’ottica di una maggiore efficienza, efficacia e rapidità attuativa

— l’aggregazione delle competenze strategiche, attuative e gestionali consolidatesi nel territorio per l’attuazione di programmi di sviluppo locale (Patti, PIT, PIR, ecc.).

Gli Accordi, finanziati prioritariamente con risorse del Programma Attuativo Regionale FAS 2007-2013 (alle quali è previsto, in ottemperanza al principio di integrazione programmatica, che possano aggiungersi risorse finanziarie di altri fondi: FESR, FSE, FEASR) e con risorse pubbliche locali e contributi privati, vengono stipulati fra l’Amministrazione regionale e gli Enti Locali (Partenariato Istituzionale Locale) rientranti negli ambiti territoriali costituiti dai Sistemi Territoriali di Sviluppo (STS) del PTR (il STS è la cellula territoriale minima per candidarsi all’AdR), che assumono reciproci impegni per lo sviluppo, sulla base di un Programma di Sviluppo Territoriale (PST). Il Programma rappresenta il disegno politico dello sviluppo in chiave sovra-locale, condiviso con il partenariato economico e sociale territoriale.

Nel PST, viene assegnata una forte “valenza” al progetto portante, che deve rappresentare almeno il 50% del costo complessivo dell’Accordo. Questo sottolinea da un lato, la determinazione della Regione Campania di voler sollecitare una più completa maturazione del partenariato istituzionale sulle scelte territoriali per lo sviluppo, dall’altro il garantirsi la serietà e la convinta condivisione del territorio sulle direttrici territoriali di sviluppo e, quindi, sulla definizione della proposta progettuale.

Gli AdR sono definiti, sulla base dell’Avviso pubblico della Regione Campania approvato con Decreto dirigenziale n. 534 del 10 settembre 2009, attraverso una procedura valutativo - negoziale, suddivisa in due fasi. Nella prima fase, le proposte di AdR, che possono essere presentate entro il termine del 14 dicembre 2009, saranno sottoposte a valutazione a cura del NVVIP. Il Nucleo vaglierà le proposte sulla base di requisiti di ammissibilità (rispetto della zonizzazione degli STS, presentazione di un protocollo di intesa degli enti locali proponenti, presentazione di un preliminare del Programma di Sviluppo Territoriale, presentazione dello studio di fattibilità del progetto portante, presentazione di un documento di confronto con le parti economiche e sociali) e criteri di selezione (valutazione dello studio di fattibilità del progetto portante, rilevanza territoriale del progetto portante, rappresentatività e

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coinvolgimento del partenariato istituzionale ed economico-sociale, qualità e competenza del soggetto gestore).

Questa fase si concluderà con la formulazione di una graduatoria. Le proposte utilmente collocate in graduatoria verranno ammesse alla successiva fase negoziale, il cui scopo è la formulazione definitiva del (PST), nonché la formulazione e l’assunzione di impegni formali, dispositivi ed azioni che permettano di raggiungere quattro obiettivi: il conseguimento di contenuti minimi di reciprocità il raggiungimento di requisiti di qualità ed efficacia, la fattibilità tecnica e temporale, l’immediata operatività del soggetto gestore, l’adozione di una struttura organizzativa e gestionale adeguata ai compiti del soggetto gestore.

In questo contesto, il concetto di reciprocità si prefigge di inaugurare una stagione nuova nei rapporti interistituzionali. Esso si sostanzia in modo esplicito nel coinvolgere (legare) il territorio al raggiungimento degli obiettivi di servizio, dei target Mezzogiorno e della qualificazione territoriale. È inoltre previsto un cofinanziamento del 5% da parte degli Enti Locali.

Una forte attenzione viene dedicata negli AdR ai temi legati alla “gestione”. Uno degli aspetti più problematici che ha spesso caratterizzato il passato ciclo di programmazione è stata certamente la debole attenzione posta ai temi della gestione. Nelle ipotesi previste per gli AdR, l’aspetto gestionale è affrontato procedendo alla valutazione – ai fini della elaborazione della graduatoria delle candidature ammesse – delle competenze e della esperienza del soggetto gestore, che dovrà garantire (v. l’articolo 8 del Disciplinare) funzioni importanti come la stesura del PST, la risoluzione delle problematiche attuative, il monitoraggio, ecc. Un impegno importante del gestore riguarderà anche gli aspetti infrastrutturali, con l’obbligo per i beneficiari finali delle operazioni infrastrutturali di garantire la gestione delle opere post- realizzazione per almeno dieci anni.

Gli AdR prevedono inoltre la valorizzazione del ruolo del partenariato istituzionale e socio- economico. Come elemento di valutazione degli Accordi, viene tra l’altro considerato come criterio, nella procedura selettiva, il grado/livello di coinvolgimento del partenariato istituzionale e privato, permettendo di valorizzarne ruolo e funzioni.

Gli Accordi di Reciprocità possono essere certamente considerati come strumenti “evoluti”

rispetto ad esperienze di programmazione territoriale già sperimentate in Campania. Dalle

“lezioni apprese” sono scaturite scelte che caratterizzano e differenziano gli AdR da altri strumenti di sviluppo territoriale. Le innovazioni e i principali elementi di originalità degli Accordi — di tipo programmatico, gestionale e territoriale — vengono approfonditi negli altri articoli di questa Newsletter.

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VILUPPO TERRITORIALE E COOPERAZIONE ISTITUZIONALE

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1. Per quanto è possibile osservare fino a questo momento, quali sono l’interesse e l’accoglienza che i territori della Campania stanno riservando allo strumento degli Accordi di Reciprocità? C’è condivisione di questo metodo di intervento per lo sviluppo territoriale o ci sono ancora perplessità e diffidenza?

C’è molta attenzione verso lo strumento. Siamo fiduciosi che i territori che hanno deciso di candidarsi abbiano saputo bene interpretare lo spirito che ha dato vita agli Accordi di Reciprocità, ovvero, una evoluzione degli strumenti di programmazione dal basso al fine di recuperarne le cose positive e superarne i limiti.

2. Quali sono le aspettative della Regione Campania sulla qualità e la capacità di impatto delle proposte di Accordo e sulle operazioni portanti presentate dai territori?

Si tratta di una sfida culturale oltre che programmatica che accoglie e cerca di superare i limiti legati alla frammentazione della programmazione 2000/06 e che riguarda la Regione, i Comuni, le Province. Essere in grado di coglierla significa lavorare al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini della nostra regione.

3. Quali sono a Suo giudizio le “parole chiave” che caratterizzano lo strumento degli AdR, attraverso cui esprimere il carattere innovativo e l’originalità degli Accordi?

Le parole chiave degli Accordi di Reciprocità sono: concentrazione vincolante, integrazione, aggiuntività e concertazione. La concentrazione riguarda uno dei principi ispiratori della programmazione 2007/13 ed in questo caso è un principio vincolante nel senso che si tratta di un vero vincolo amministrativo. A ciò si aggiunga che nella programmazione è utile applicare la concentrazione sia a livello tematico che territoriale. Il tutto naturalmente in maniera concertata con le diverse Istituzioni che possono e debbono agevolare l’attuazione e con il partenariato economico e sociale che può essere il valore aggiunto degli AdR. Insomma, si devono finanziare programmi che siano addizionali e non sostitutivi di interventi ordinari.

4. Come vi state attrezzando per la realizzazione della fase negoziale prevista dall’Avviso? Quali sono le difficoltà che potrebbero prospettarsi? Sarà possibile rispettare i tempi?

Rispetto alla fase negoziale, stiamo lavorando alla definizione delle procedure che debbono regolare questa importantissima fase con la volontà di fare della trasparenza e della sinergia che si instaura nella negoziazione tra Regione e territorio dei punti importanti per rendere migliore possibile l’ADR. Le difficoltà riguarderanno i tempi e la capacità del Soggetto gestore di assolvere tutti i compiti che gli vengono chiesti. Come tutti i nuovi strumenti, ci sarà bisogno sicuramente di una prima fase di rodaggio prima di iniziare a correre.

5. In che modo strumenti come gli Accordi di Reciprocità possono contribuire a rafforzare la cooperazione interistituzionale e la sussidiarietà? Qual è il ruolo che la Regione può continuare a svolgere per affermare questi principi?

Gli Accordi di Reciprocità prevedono che sia il territorio a programmare ed attuare. Quindi c’è la possibilità concreta di rafforzare, attraverso gli Accordi di Reciprocità, la cooperazione tra le diverse Istituzioni che debbono avere la capacità di programmare unitariamente gli interventi.

6. Vi aspettate una buona partecipazione degli operatori privati?

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Dal mio osservatorio non sono in grado di dare una risposta a questa domanda. In ogni caso, ritengo che la partecipazione degli operatori privati dipenda da una serie di elementi che non riguardano solo gli Accordi di Reciprocità.

7. Le politiche di sviluppo territoriale basate sulla zonizzazione del PTR della Campania hanno, a Suo giudizio, un futuro credibile? Si può immaginare che esse costituiscano un riferimento essenziale per la costruzione delle politiche regionali a medio e lungo termine?

Io ritengo che le politiche di sviluppo debbano essere legate alla zonizzazione del PTR se vogliono avere futuro e se si vuole creare territori in grado di competere sulla scena globale.

Da questo punto di vista ritengo che la strada sia stata aperta dagli AdR e presto sarà percorsa anche da altri strumenti della programmazione, come ci dimostra la recente delibera relativa alla riprogrammazione degli obiettivi operativi del PO FESR 1.9,1.11 e 1.12. Tuttavia, riterrei molto utile allargare questo tipo di impostazione alla programmazione nel suo complesso, partendo magari dalle questioni relative alle politiche sociali e all’Adi per ciò che riguarda la non corrispondenza tra Piani Sociali di Zona (L.328/00) e Distretti Sanitari delle Asl.

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1. Quali sono le vostre aspettative e le vostre previsioni relativamente alle proposte di AdR che verranno presentate dai territori? Pensa che sul territorio ci siano le condizioni per la definizione e progettazione di buone operazioni, in particolare di quelle portanti?

L’esperienza maturata attraverso la progettazione integrata durante il ciclo di programmazione 2000-2006 ha creato le condizioni affinché si sviluppasse un orientamento all’integrazione sia progettuale che di partenariato, soprattutto per quanto concerne la consapevolezza di una responsabilità locale al perseguimento di obiettivi di sviluppo. In particolare, tale esperienza ha consentito la diffusione, fra le amministrazioni locali, di un metodo di programmazione che presuppone non solo la previsione dei risultati ottenibili da operazioni di investimento pubblico, ma anche l’attendibilità di tali risultati e la loro rispondenza ad un fabbisogno rilevato. Gli accordi di reciprocità si muovono pertanto su un territorio che ha già sperimentato azioni concertate per lo sviluppo locale ed è, pertanto, consapevole che per ottenere risultati tangibili da operazioni di questo genere è necessario che le stesse siano finalizzate a produrre cambiamenti strutturali. Ciò dipende dalla capacità politica delle amministrazioni di far convergere verso un reale obiettivo di sviluppo le singole intenzioni difficilmente orientabili al raggiungimento di cambiamenti strutturali se circoscritte ad un'unica realtà localistica.

2. Quali sono a Suo giudizio le “parole chiave” che caratterizzano lo strumento degli AdR, attraverso cui esprimere il carattere innovativo e l’originalità degli Accordi?

La nuova programmazione 2007-2013 differisce dalla precedente per una serie di aspetti non solo procedurali – sicuramente da questo punto di vista l’elemento più rilevante è l’unitarietà dell’approccio alla spesa – ma anche contenutistici. Una maggiore concentrazione nelle politiche di spesa, sollecitata ai diversi livelli, dovrebbe impattare sui territori, soprattutto delle regioni meridionali, in modo più visibile rispetto al passato. La politica di sviluppo che la nuova programmazione attua introduce, accanto agli obiettivi di riequilibro sociale ed economico perseguibili attraverso la redistribuzione territoriale degli aiuti, obiettivi di sviluppo competitivo che presuppongono un diverso approccio nell’attività di programmazione.

La concentrazione della spesa diventa la modalità programmatica per l’attivazione di processi competitivi.

In tale contesto gli Accordi di Reciprocità caratterizzati da una forte proposizione programmatica di concentrazione della spesa acquisiscono il ruolo di strumenti di attuazione della programmazione regionale indirizzati al perseguimento di obiettivi di sviluppo competitivo.

Gli elementi che caratterizzano gli Accordi Reciprocità quali strumenti attuativi orientati al perseguimento di obiettivi di sviluppo competitivo sono:

-

l’aggregazione territoriale

-

il progetto portante

-

la reciprocità

L’aggregazione territoriale consente di attivare la concentrazione della spesa in termini fisici.

Il progetto portante in termini strategici. La reciprocità in termini di bilanciamento tra obiettivi di sviluppo regionale e obiettivi di sviluppo locale.

In particolare, per quanto concerne l’aggregazione territoriale, essa rappresenta un requisito di ammissibilità e si esplica attraverso i Sistemi Territoriali di Sviluppo (STS) e i Campi Territoriali Complessi, entrambi definiti nel Piano Territoriale Regionale (PTR). Gli STS sono acquisiti all’interno della procedura degli AdR come principio aggregativi guida in quanto consentono di definire una base di partenza conoscitiva comune su cui poi costruire il

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progetto di sviluppo. I Campi Territoriali Complessi offrono un supporto di orientamento strategico nella definizione delle specifiche del progetto di sviluppo.

Il progetto portante rappresenta nell’ambito degli AdR l’elemento di forte connotazione strategica legata allo sviluppo competitivo. Come tale è l’elemento di forte innovazione programmatica e procedurale in quanto diventa il collante strategico di tutte le esperienze passate inerenti all’attuazione di strumenti di programmazione negoziata. Il progetto portante è quindi una specie di “grande progetto” a livello territoriale gestito a livello locale. Ne consegue che il progetto portante dal punto di vista tecnico è un’infrastruttura che può essere formata anche da più interventi funzionalmente o operativamente collegati tra loro.

La reciprocità è regolamentata da una serie di “condizioni” specificate nel Disciplinare. Essa si attiva nel momento in cui è stato selezionato il progetto portante, perché è attraverso di esso che si avvia il processo di “quantificazione” delle condizioni di reciprocità. Il livello di rilevanza strategica del progetto portante garantisce il perseguimento delle condizioni di reciprocità.

3. A Suo giudizio, chi saranno sul territorio i leader e i protagonisti degli AdR?

Il grado di successo che la realizzazione degli Accordi potrà registrare è direttamente collegato al livello di capitalizzazione delle precedenti esperienze che i territori saranno in grado di investire nella costruzione dello strumento stesso.

4. Alla luce dell’esperienza dei PIT ed in partenza di quella degli Accordi di Reciprocità, quali sono a Suo giudizio i punti di forza e i punti di debolezza delle procedure valutativo - negoziali? Sono effettivamente utili a selezionare i progetti e le operazioni migliori? Da un punto di vista tecnico, Lei le ritiene superiori a modalità di valutazione “secche”, prive di fase negoziale? Quali sono a Suo giudizio i punti di forza e di debolezza dello strumento degli studi di fattibilità?

Il processo valutativo degli Accordi è un processo complesso in relazione alla natura stessa dello strumento. La procedura negoziale-valutativa è attivata solo successivamente alla conclusione della valutazione dei progetti portanti, finalizzata alla definizione di una graduatoria degli stessi per l’avvio della negoziazione con quei territori il cui progetto portante è risultato idoneo. La negoziazione consiste nella completa definizione del Programma di Sviluppo Territoriale attraverso l’individuazione degli interventi che insieme al progetto portante concorrono al perseguimento degli obiettivi di sviluppo prefissati. La procedura negoziale organizzata a valle di una valutazione “secca” come avviene per gli AdR, potrebbe risultare più proficua perché consente di scegliere gli interventi che, in maggior misura, rispondono sia al principio di integrazione (soprattutto con il progetto portante), sia ai requisiti di reciprocità stabiliti in funzione delle specificità territoriali.

La valutazione del progetto portante avviene attraverso la presentazione di una proposta di investimento pubblico rilevante per il contesto territoriale preso a riferimento. Tale proposta non può che essere presentata attraverso la predisposizione di uno Studio di Fattibilità che consente di verificare la convenienza economica dell’investimento e quindi la sua opportunità di realizzazione. In questo contesto, la predisposizione dello Studio di fattibilità prescinde dal livello di progettazione di cui è dotato il progetto portante. Il progetto portante potrebbe anche essere dotato di progettazione esecutiva, ciò non toglie la sua candidatura alla procedura dell’AdR tramite Studio di fattibilità. Il livello di progettazione del progetto portante è indipendente dalla valutazione della rilevanza strategica e della sua opportunità di realizzazione.

6. Per quanto è possibile farlo in poche righe, qual è la sua personale valutazione “ex post” dei Progetti Integrati Territoriali (in particolare rispetto ad efficacia, capacità di realizzazione, governance, sistema organizzativo)? Ci sono delle lezioni di questa esperienza che sono state in qualche modo trasferite negli AdR?

L’esperienza dei progetti integrati è fondamentale per l’avvio e l’attuazione degli AdR. Già in fase di aggiornamento della valutazione intermedia il Nucleo delineò nelle Lezione apprese i fattori di successo e di insuccesso che avevano caratterizzato i progetti integrati. Essi, difatti,

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producendo un proficuo dibattito a livello locale avevano assunto implicitamente il ruolo di strumenti di diffusione del metodo comunitario: concetti quali il cofinanziamento, la valutazione, la partecipazione e la concertazione incominciarono a far parte dei Tavoli sconvolgendo la prassi amministrativa, anche nei comuni più piccoli. Se da un lato, quindi, il progetto integrato è stato il viatico attraverso cui far partecipare anche il piccolo comune rurale alla costruzione di scenari di sviluppo locale, dall’altro non è riuscito pienamente a trasferire la partecipazione istituzionale locale al processo decisionale, lasciando che vecchie logiche di spartizione prendessero il sopravvento rispetto al comune obiettivo di sviluppo delineato. E’ alquanto scontato che la scarsità di risorse ordinarie ha contribuito in gran misura alla parcellizzazione della spesa aggiuntiva. Ma è anche vero che il territorio se, da un lato, aveva accolto in termini amministrativi lo spirito riformista che lo strumento giocoforza richiedeva, dall’altro è stato spesse volte incapace di formulare progetti che avessero una forte rilevanza per l’intero territorio, oltre che per il singolo proponente. Ciò in parte era dovuto al mancato raccordo tra pianificazione e programmazione e più in particolare tra pianificazione territoriale e politiche di sviluppo. Gli AdR oltre che avvantaggiarsi dal punto di vista procedurale e amministrativo dell’esperienza maturata attraverso la progettazione integrata ha saputo cogliere l’empasse dei progetti integrati nella mancata spazializzazione delle politiche di sviluppo, introducendo il forte legame della programmazione con la pianificazione territoriale regionale.

7. Secondo alcuni gli investimenti in infrastrutture sospinti dai finanziamenti delle politiche aggiuntive creino molte volte gravi problemi in fase di gestione: o perché non si riesce a sostenerne finanziariamente la gestione, per la difficoltà di autofinanziarla e la carenza di fondi pubblici (conducendo quindi all’abbandono parziale o totale dell’opera); o perché i deficit di esercizio si abbattono su bilanci pubblici già disastrati, in particolare dei Comuni. Lei cosa pensa di questo? A suo avviso esistono rischi di questo tipo per le opere finanziate nell’ambito degli AdR?

La problematica di maggior rilievo che si desume dall’esperienza del ciclo programmatorio 2000-2006 riguarda la sostenibilità gestionale delle operazioni che vengono messe in campo.

La gestione in fase di esercizio dell’opera rappresenta il rischio maggiore di inefficacia dell’investimento pubblico. Le amministrazioni locali acquisiscono un ruolo centrale nella definizione dei programmi di sviluppo locali in quanto sono chiamati, in virtù dei processi di governance attivati, a decidere l’uso più efficace delle risorse aggiuntive che per loro natura non attengono alle spese ordinarie che ciascun ente deve comunque sostenere. Di fronte alla natura strutturale degli investimenti attivabili con gli AdR particolare attenzione deve essere posta sia in fase di costruzione dello strumento che nella fase di valutazione dello stesso, alle dinamiche gestionali che consentono di misurare “la sostenibilità” dell’investimento, come effetti durevoli nel tempo. Dal momento che è stato più volte rimarcato che la copertura finanziaria in fase di esercizio si dimostra spesse volte fallace, è necessario che già in questa fase siano previste forme di gestione possibili anche attraverso la valutazione della profittabilità dell’investimento pubblico per l’inserimento di privati o attraverso forme compensative. Ciò ovviamente rappresenta la sfida che gli AdR si propongono di raggiungere in termini anche di evoluzione della prassi programmatoria acquisita rispetto al periodo 2000- 2006.

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Per la prima volta, dopo circa quindici anni di sperimentazioni, lo strumento degli AdR adottato in Campania sembra essere un attrezzo adatto ad accompagnare processi locali di coesione territoriale per lo sviluppo.

È auspicabile che questa volta i criteri selettivi definiti nell’Avviso e nel Disciplinare vengano rigorosamente osservati, diversamente assisteremo nuovamente ad esiti insoddisfacenti e alla stanca ripetizione di critiche già sentite per i Patti territoriali e i PIT.

Le novità rilevanti sono l’autonomia di proposta affidata ai Comuni e al Partenariato locale e la prospettiva di affidare la responsabilità attuativa a Soggetti Gestori che abbiano comprovate capacità operative.

In verità, le procedure prescritte potevano essere maggiormente ancorate al quadro di riforma, decentramento e innovazione amministrativa, degli EELL e della PA. Potevano essere meglio adottate le “chiavi di successo” pur rilevate nel quindicennio di sperimentazione, ma quel che conta è che non sia impedito il loro utilizzo.

La Campania è stata, sin dal ’93, terra di sperimentazione avanzata di Laboratori per lo sviluppo territoriale, non c’è dubbio che sia sedimentato un humus di saperi e competenze in grado di elaborare programmi di qualità. Temo solo che i PIU’ Europa –avviati da oltre un anno- possano incidere negativamente sulla strategia di costruzione dei Sistemi Territoriali di Sviluppo prefigurati nel PTR e sottesi dagli AdR. Se prevale l’egoismo territoriale delle 20 città con più di 50.000 abitanti, gli altri 531 Comuni della Campania avranno difficoltà a fare sistema territoriale; se non ci saranno precise disposizioni di raccordo tra i due strumenti, si rischia di compromettere sul nascere ogni sforzo di coesione territoriale e, dunque, la stessa strategia di integrazione voluta dalla Programmazione unitaria.

Per altri versi, esprimo una critica aperta sull’obbligo di proporre grandi progetti infrastrutturali di valore non inferiore al 50% dell’investimento. Questa prescrizione potrebbe generare proposte troppo ambiziose che richiedono strutture di gestione di dimensioni sovra locali, facendo smarrire i bisogni di infrastrutturazione più minuta, talvolta di tipo immateriale, più pregnante alle esigenze di qualificazione e competitività territoriale.

Insomma, resto del parere che più dei “grandi progetti” –molti dei quali già previsti nella programmazione regionale-, serva il “progetto grande” di accrescere la qualità e la competitività dei Sistemi Territoriali.

Il modello di gestione potrebbe funzionare bene. A grandi linee ricalca le “buone prassi”

sperimentate con i PTO e formalizzate nel DM 320/2000. Ma è noto a tutti che non basta un buon modello di gestione, anche le migliori organizzazioni locali sono destinate a produrre risultati insufficienti se questi processi non sono accompagnati da comportamenti coerenti in tutta la filiera istituzionale.

Per dirlo più chiaramente, vedo asincretismi e asincronismi con i PIU’ Europa, i Piani di Zona Sociali e, più in generale, con quegli Obiettivi dei Piani Operativi che richiederebbero una maggiore connessione e interazione con il sistema delle autonomie locali. Il rischio è che, dopo aver fatto grandi sforzi per elaborare una Programmazione unitaria dei fondi comunitari e nazionali, si può di nuovo verificare il tanto vituperato fenomeno della frantumazione e frammentazione della spesa.

Dal mio punto di vista gli AdR possono essere un’occasione concreta per dare senso alla parola “sussidiarietà” e un impulso al quadro di riforma e decentramento degli EELL. Se ben accompagnati, saranno un test significativo per misurare la reale volontà di decentramento della Regione e l’effettiva capacità dei Comuni di assumere responsabilità di governo territoriale.

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ONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA

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UN ESEMPIO DI

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MMINISTRAZIONE CHE APPRENDE DALL

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Gli Accordi di Reciprocità (AdR) rappresentano il principale strumento di sviluppo locale che la Regione Campania ha attivato per il ciclo di programmazione 2007-2013. Il modello adottato nasce dalla capitalizzazione dell’esperienza dei PIT. Si è messo a frutto l’insegnamento e l’apprendimento accumulato con la loro attuazione. Il modello degli AdR innova quello dei PIT, ne corregge gli errori e ne potenzia le scelte che hanno dato esiti soddisfacenti. Si è tenuto anche conto dei cambiamenti degli indirizzi programmatici, nazionali e comunitari relativi alla territorializzazione delle politiche di coesione. I principali interventi correttivi hanno riguardato quelle variabili ritenute responsabili delle principali criticità dei PIT.

I confini territoriali e la concentrazione

I Progetti Integrati tematici sono stati identificati dalla Regione e quelli territoriali dalle istituzioni locali, ma senza precise regole di delimitazione geografica. I confini territoriali sono stati definiti per libera aggregazione di partenariati locali intorno ad un’idea forza.

Questo metodo ha portato ad una proliferazione delle proposte e ad una copertura dell’intero territorio regionale, con numerose sovrapposizioni, che hanno generato confusione e frammentazione.

Il modello AdR corregge queste criticità, introducendo un vincolo di ambito territoriale basato sui Sistemi Territoriali di Sviluppo (STS) e una procedura selettiva che consente il finanziamento di un numero limitato di progetti. Possono concorrere, sulla base dell’avviso pubblico, aggregazioni territoriali formate da uno o più STS del Piano Territoriale Regionale.

Inoltre, la procedura valutativa-negoziale, articolata in due fasi, stabilisce che la prima fase si conclude con una graduatoria, proposta alla Giunta Regionale dal Nucleo di Valutazione, e solo un numero limitato di proposte (meno di 10) accede alla fase negoziale che si conclude con la firma dell’Accordo.

Il correttivo che introduce gli STS come unità di base per la costruzione del Programma di Sviluppo Territoriale (PST) agisce sulla criticità della sovrapposizione territoriale, ma soprattutto su quella del raccordo e dell’integrazione degli strumenti di sviluppo locale delle precedenti programmazioni (Patti, PIT). Questo perché il PTR definisce gli STS in base a caratteristiche di omogeneità territoriale, ma anche in base ai processi di autoidentificazione in rapporto alle strategie territoriali di sviluppo e, cioè, all’attivazione di precedenti strumenti di sviluppo locale. L’ancoraggio degli AdR agli STS favorisce la continuità ai processi partenariali locali agli obiettivi di sviluppo, alle reti relazionali e al capitale sociale di dare corpo ad un disegno strategico di lungo periodo, proiettato nel futuro.

La dispersione e la polverizzazione degli interventi

In Campania sono stati approvati 51 Progetti Integrati a cui sono stati assegnati due miliardi di risorse POR (in media quasi 40 milioni di euro a PI) parzialmente utilizzate per realizzare interventi di dimensioni modeste e scarsamente integrati. Il valore medio degli interventi infrastrutturali realizzati è di circa un milione di euro e quelli che superano i due milioni sono meno del 3%.

Una delle principali critiche mosse ai PIT ha riguardato la polverizzazione delle operazioni realizzate. Sono stati finanziati, tanti microinterventi (costruzione e manutenzione di piccole infrastrutture locali) di scarso impatto. Interventi che non hanno lasciato il segno.

Il correttivo apportato con il modello AdR riguarda l’introduzione del vincolo del progetto portante. Ogni Programma di Sviluppo Territoriale (PST), oggetto dell’AdR, è costituito da un’insieme di operazioni tra cui il progetto portante, definito come una singola operazione infrastrutturale, a forte rilevanza strategica e di considerevole impatto finanziario (almeno il 50% del costo complessivo dell’AdR). Considerato che il valore complessivo di un AdR deve essere compreso tra 50 e 70 milioni di euro, ne deriva che ogni Accordo dovrà avere un progetto portante di almeno circa 25 milioni di euro, rispetto al quale si connettono con funzioni serventi, anche altre operazioni di entità minore.

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Il modello di gestione

Il modello di gestione dei PIT era basato su una forte presenza regionale, esercitata attraverso la definizione degli ambiti di intervento (POR), la gestione delle risorse finanziarie (Responsabile di Misura), il presidio del processo di attuazione (responsabile di PI). Al territorio veniva demandato (per i PI a regia regionale) la scelta degli interventi (Tavolo di concertazione istituzionale), il coordinamento delle operazioni (soggetto capofila), la realizzazione degli interventi (beneficiario finale). L’assenza di un modello organizzativo strutturato ha generato inefficienza e ritardi e, soprattutto, la mancanza di controllo di gestione.

Il modello AdR si basa sulla identificazione del Soggetto Capofila e sul principio della delega.

Il Programma dell’AdR è attuato da un soggetto gestore unico, designato dal partenariato istituzionale locale (PIL) e al quale la Regione delega funzioni di responsabilità dell’Autorità di Gestione. Il soggetto gestore deve dimostrare di avere i requisiti per fungere da organismo intermedio e offrire le garanzie necessarie (capacità tecnica e amministrativa) per l’attuazione. Questo correttivo dovrebbe rafforzare quel principio base dello sviluppo locale rappresentato dal decentramento di responsabilità.

La Regione conserva, dopo la selezione e l’approvazione, un ruolo di coordinamento e sorveglianza, attraverso la programmazione unitaria, il NVVIP, l’AGC03 e i settori deputati alla programmazione.

Il contenuto dei Programmi

Il modello AdR si caratterizza (e si differenzia dai PIT) per l’introduzione del principio della reciprocità che impegna il PIL ad una compartecipazione e cooperazione attiva. Secondo questo principio, il PIL si impegna a cofinanziare l’AdR con il 5% delle risorse finanziarie e ad assicurare la gestione di tutte le opere per almeno dieci anni, al raggiungimento dei target di Obiettivi di Servizio e target Mezzogiorno, e, soprattutto, ad assicurare il raggiungimento di obiettivi di qualificazione territoriale, come per esempio, i servizi essenziali, la qualità della vita, la cura del paesaggio.

L’integrazione dei fondi e delle operazioni

Il modello dei PIT prevedeva (misure minime di integrazione), l’inserimento di tre tipologie di intervento: infrastrutture, regime di aiuto, formazione e servizi. L’esperienza ha dimostrato che questa integrazione non si è verificata, soprattutto, per difficoltà di raccordo tra i settori amministrativi regionali a cui facevano capo le diverse risorse. Si è verificato che sia gli aiuti alle imprese che la formazione hanno viaggiato in modo slegato e, soprattutto per le operazioni finanziate dal FSE, si sono verificate sfasature e ritardi che hanno annullato ogni forza di integrazione.

Il modello AdR prevede una sola fonte finanziaria (FAS), lasciando aperta la possibilità di fungere da catalizzatore e attrarre altri interventi (FESR e FSE), in una logica di integrazione e di territorializzazione delle politiche di coesione implicite nel PTR. Inoltre, la valutazione per accedere in graduatoria tiene conto del grado di finalizzazione dei diversi interventi con il progetto portante, spingendo verso l’integrazione.

Quello che non si è cambiato, e che anzi si è cercato di rafforzare, riguarda l’aspetto più interessante dell’esperienza dei PIT e cioè il partenariato istituzionale ed economico e sociale, al quale viene conferita ampia autonomia decisionale e delega di responsabilità.

Insomma, gli AdR sono dei PIT “corretti” nella formula, ma che debbono essere sottoposti alla prova dell’attuazione, consapevoli che il modello è importante, ma non sufficiente ad assicurare i risultati, perché la parola decisiva spetterà ai soggetti che scenderanno in campo per l’attuazione.

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Con il Piano Territoriale Regionale (PTR) la Regione ha definito una strategia incentrata sulla qualità del territorio come precondizione necessaria per ogni processo di sviluppo locale.

Questa strategia istituzionale si basa su due pilastri:

un grande programma di rigenerazione urbana basato sul recupero delle aree urbanizzate esistenti, evitando ulteriori consumi di suoli, ecosistemi e paesaggi;

una nuova alleanza tra le città della Campania ed il territorio rurale, inteso come bene pubblico generatore di un’ampia gamma di servizi produttivi, ambientali e culturali.

Il PTR contiene dunque sia le strategie socio-economiche per ciascuno dei Sistemi Territoriali di Sviluppo; sia lo Statuto del territorio regionale, inteso come “… quadro istituzionale di riferimento del complessivo sistema di risorse fisiche, ecologico -naturalistiche, agro- forestali, storico-culturali e archeologiche, semiologico-percettive, nonché delle rispettive relazioni e della disciplina di uso sostenibile che definiscono l’identità dei luoghi.” (legge regionale 13/2008 di approvazione del PTR, articolo 1 comma 7).

Lo strumento degli Accordi di Reciprocità si integra perfettamente nella strategia del PTR, se è vero che il Disciplinare per la loro definizione e realizzazione stabilisce, all’articolo 1, comma 4, che il partenariato Istituzionale Locale si impegna “…a realizzare, coerentemente all’Accordo di Reciprocità, azioni rivolte alla qualificazione territoriale (salvaguardia e cura del paesaggio, rispetto dei dispositivi della pianificazione territoriale, promozione della cultura e della legalità, qualità della vita e dei servizi, mobilitazione delle comunità locali e del sistema produttivo, capacità e trasparenza amministrativa)”.

Tra i contenuti minimi di “reciprocità”, il partenariato Istituzionale Locale è tenuto proprio a specificare, in accordo con l’articolo 2 “… le azioni di che si intendono realizzare, in coerenza con l’AdR, rivolte alla qualificazione territoriale ed alla relativa realizzazione”.

Questi contenuti minimi essenziali costituiscono anche, secondo quanto stabilito dall’articolo 9 del disciplinare, uni dei macrocriteri per la selezione dei programmi di sviluppo territoriale.

Il quadro che emerge è dunque quello di una strategia regionale di azione fortemente coerente ed integrata, la cui attuazione dipenderà fortemente dalla capacità di cooperazione tra i diversi livelli istituzionali per l’individuazione degli obiettivi salienti di qualità ambientale e paesaggistica da indicare negli Accordi, e delle azioni necessarie al loro perseguimento.

In un simile contesto di collaborazione istituzionale, gli Accordi di reciprocità potranno rappresentare nei prossimi anni un importante strumento di attuazione del PTR e delle strategie di sostenibilità e promozione della qualità della vita per i tutti i cittadini della Campania.

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A PORTATA INNOVATIVA DEGLI

ADR:

GLI ASPETTI PROGRAMMATICI

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ORMEZ

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Nel panorama della progettazione integrata per lo sviluppo territoriale 2007 – 2013, gli Accordi di Reciprocità in Campania si distinguono per vari elementi di originalità. Alcuni degli interventi precedenti li hanno già identificati efficacemente. Proviamo a sintetizzarli brevemente.

I. UN PROGETTO MOLTOPORTANTE AL CENTRO DELL’ACCORDO

Almeno la metà del costo complessivo degli Accordi di Reciprocità (AdR) deve riguardare un

“progetto portante”: ossia, come spiega il Disciplinare, una singola operazione “specificamente definita e localizzata” di forte rilevanza strategica per il territorio (ad esempio, il recupero di un bene culturale di grande importanza); oppure un “intervento complesso”, articolato in una serie di componenti progettuali distinte ma connesse al medesimo obiettivo (ad esempio, i diversi interventi necessari alla riqualificazione di un waterfront). Una sintesi delle ragioni di questa scelta la troviamo in una dichiarazione alla stampa dello stesso Presidente Bassolino:

“L’idea portante, così come veniva definita nei precedenti tentativi di programmazione, rischiava di restare appesa. Con il progetto portante, invece, si punta a qualcosa di concreto, materiale, infrastrutturale oppure su più progetti sempre infrastrutturali in grado di assorbire almeno il 50% delle risorse destinate a ciascun programma [territoriale]”.

La scelta della Regione attua un principio essenziale della programmazione: la concentrazione degli interventi. Il tentativo è di superare uno dei limiti più seri mostrati dalla progettazione integrata 2000-2006: la frammentazione delle operazioni sul territorio e la conseguente modesta efficacia dei progetti. Puntare su una grande opera infrastrutturale (o su un insieme connesso di opere) per raggiungere obiettivi di sviluppo territoriale non è però senza rischi.

Questi rischi riguardano la possibile insostenibilità ambientale degli interventi, il loro disequilibrio finanziario, l’infattibilità tecnica, la gestione inadeguata, una utilità che si rivela insufficiente per i cittadini e per le imprese. Non sempre gli studi di fattibilità (spesso interpretati come adempimenti formali piuttosto che come opportunità per fare le scelte migliori) vogliono o riescono prevedere gli effetti negativi delle opere, che possono tradursi in ferite irreversibili inflitte al territorio.

La possibilità di evitare questo scenario pessimistico dipende dalla capacità dei sistemi territoriali di sviluppare (grandi) progetti utili e adeguati — o eventualmente anche dalla loro capacità di rinunciare a questa tornata di finanziamenti, se progetti adeguati non se ne troveranno. Fra breve sarà chiaro se la scelta della Regione Campania sarà ripagata da buone proposte progettuali. I territori sembrano essersi mossi, rispondendo all’Avviso pubblico, con molta vivacità. Qualche anteprima sulle opere portanti individuate dalle coalizioni territoriali emerge dalle notizie di stampa: un polo sportivo nell’area nolana, opere di collegamento viario nel territorio della costa di Amalfi, interventi di riduzione del rischio idrogeologico nell’area giuglianese, opere di salvaguardia della fascia costiera dell’area urbana di Salerno, e vari altri interventi. La verifica dell’ammissibilità e della validità di questi progetti sarà, nelle prossime settimane, al centro della fase di valutazione degli Accordi.

II. UN RIFERIMENTO FORTE E STRUTTURALE ALLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

Diversi modelli di progettazione integrata 2007 - 2013 hanno fatto riferimento a sistemi territoriali con perimetri predefiniti: nella Convergenza, è il caso delle dieci Aree Vaste in Puglia e delle Aree di Ricomposizione Territoriale in Sicilia (queste ultime identificate sulla base dei Sistemi Locali del Lavoro dell’ISTAT e delle aree di pianificazione strategica); nella Competitività, hanno adottato programmi territoriali con zonizzazioni predefinite l’Abruzzo, con le otto aree omogenee di riferimento per i vari strumenti di sviluppo territoriale; ed il Molise, con le zonizzazioni specifiche per i Progetti Integrati Territoriali e i Programmi per le Aree Interne.

Anche la Regione Campania ha deciso di attuare gli AdR agganciandoli ad un riferimento territoriale predefinito. Questo riferimento è forte e “strutturale”: si tratta infatti dei 45 Sistemi Territoriali di Sviluppo (basati su aggregazioni sovracomunali omogenee per caratteri sociali, geografici e strategie di sviluppo locale) definiti dal Piano Territoriale Regionale. Gli

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AdR si configurano quindi come sperimentazioni di un modello di intervento (che in linea principio dovrebbe diventare la norma) diretto ad integrare nella pianificazione territoriale gli obiettivi dello sviluppo economico, della coesione e della trasformazione strutturale.

III. LA RECIPROCITÀ

Gli AdR prevedono uno “scambio” tra Regione e territori: la Regione finanzia (con le risorse del Programma regionale FAS) operazioni importanti per l’assetto e la trasformazione del territorio; le coalizioni locali si impegnano a contribuire ad obiettivi prioritari della programmazione regionale, investendo: (a) sul raggiungimento dei quattro obiettivi di servizio;

(b) sui target Mezzogiorno individuati dal Quadro Strategico Nazionale (ovvero estensione delle coste non balneabili; crescita del turismo nei mesi non estivi; aumento degli adulti in apprendimento permanente; crescita della spesa in ricerca e sviluppo delle imprese; riduzione del tasso di irregolarità del lavoro; aumento dei consumi di energia rinnovabile); (c) sulla riqualificazione territoriale di cui parla l’articolo 1 comma 4 del Disciplinare sugli AdR (salvaguardia e cura del paesaggio, rispetto dei dispositivi della pianificazione territoriale, promozione della cultura e della legalità, qualità della vita e dei servizi, mobilitazione delle comunità locali e del sistema produttivo, capacità e trasparenza amministrativa). Nel corso del negoziato con la Regione, i proponenti dovranno individuare e quantificare target pertinenti, identificando specificamente e operativamente le azioni necessarie a conseguirli nonché le loro modalità di finanziamento e realizzazione.

Questo aspetto è originale ed interessante. L’aspettativa (che ovviamente va coltivata con spirito di iniziativa e determinazione) è che il negoziato e successivamente l’attuazione portino a risultati concreti in questa direzione.

IV. UNINTEGRAZIONE AD AMPIO RAGGIO

Gli AdR permettono di “fare integrazione” sul territorio — ovvero costruire insiemi di singoli progetti strettamente interrelati, funzionali l’uno all’altro — tra progetti di tipo anche molto diverso: infrastrutture di vari settori (ad esempio strade, aree di localizzazione industriale, opere di risanamento ambientale), servizi, aiuti alle imprese. Nel panorama degli strumenti di progettazione integrata 2007-2013, questa è tutto sommato un’eccezione (era invece la regola, con qualche limitazione, nei PIT del 2000-2006). Molti strumenti di sviluppo territoriale sono stati definiti all’interno di un solo asse prioritario: ad esempio, i Piani Integrati di Sviluppo Urbano (PISU) e i Piani Integrati di Sviluppo Territoriale (PIST) in Sicilia sono “monoasse”, attuati all’interno dell’Asse VI sullo sviluppo urbano del POR FESR. Ovviamente, le operazioni ammissibili sono solo quelle pertinenti con il tema delle città — anche se la Regione Siciliana ha stabilito che le Coalizioni territoriali proponenti di PIST e PISU potranno accedere, sulla base di una procedura negoziale, a finanziamenti per operazioni ammissibili ad altri Assi e Programmi.

Nella Competitività, un esempio (di successo) di integrazione “monoasse” è quello dei Piani Integrati di Sviluppo Urbano Sostenibile (PIUSS) della Toscana, che di recente hanno tagliato il traguardo dell’approvazione e dell’avvio dell’attuazione.

Con questo approccio, l’integrazione funzionale è necessariamente limitata. Gli AdR, agendo nell’ambito del Programma Attuativo Regionale del FAS, hanno invece salvaguardato un principio di “integrazione ad ampio raggio”. Questo costituisce un pregio dello strumento, anche considerando che il rafforzato principio del progetto portante dovrebbe prevenire la dispersione delle operazioni — che della integrazione ad ampio raggio costituisce un rischio, come ha dimostrato l’esperienza di molti PIT nel 2000-2006.

V. UN MIX ORIGINALE DI VALUTAZIONE E NEGOZIATO

Le strategie di selezione dei progetti “complessi” di sviluppo territoriale rispondono a esigenze diverse. Prima di tutto, “tenere alta l’asticella” della qualità progettuale e fare in modo che riescano a “saltarla” solo i beneficiari di operazioni davvero utili. Allo stesso tempo, mettere in condizione una parte significativa dei beneficiari potenziali di riuscire a fare questo “salto”, per evitare che la policy nel suo complesso fallisca. Ed infine, garantire una composizione efficace degli interessi territoriali in gioco (fra aree forti ed aree deboli, città e comuni minori,

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etc.) e delle diverse “razionalità” (politiche, istituzionali, economiche e tecniche) coinvolte nelle politiche di sviluppo.

Per soddisfare queste esigenze, la selezione dei progetti è spesso basata sulla combinazione di una fase valutativa, in cui l’amministrazione “finanziatrice” giudica e mette in graduatoria i progetti candidati, applicando criteri di qualità e fattibilità; ed una fase negoziale, in cui la stessa amministrazione negozia con i proponenti miglioramenti ed integrazioni delle ipotesi progettuali, impegni e target da raggiungere. Non necessariamente il negoziato è però

“simmetrico”: il finanziatore può negare in tutto o in parte i fondi ai progetti proposti, se il negoziato non dà gli esiti previsti.

La selezione degli AdR avviene appunto con una procedura a due fasi, definita dall’Avviso pubblico. La procedura è impegnativa per il lavoro ed il tempo necessario a svolgerla ma è molto interessante sul piano del metodo. La prima fase è basata sulla valutazione dell’ammissibilità e della qualità dei Programmi di Sviluppo Territoriale presentati e del progetto portante; essa si conclude con la formulazione di una graduatoria. Nella seconda fase si svolge un negoziato, che ha l’obiettivo di arrivare ad una versione condivisa del Programma di Sviluppo Territoriale, contenente gli impegni formali e l’indicazione vincolante di dispositivi ed azioni necessarie a conseguire gli obiettivi di qualità ed efficacia del Programma e dei progetti, di reciprocità, di fattibilità tecnica, di operatività e capacità del soggetto gestore.

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A PORTATA INNOVATIVA DEGLI

ADR:

IL MODELLO ORGANIZZATIVO

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Gli Accordi di Reciprocità (AdR) della Regione Campania, sotto il profilo amministrativo, costituiscono un deciso avanzamento delle procedure di integrazione ai fini dello sviluppo territoriale messe in campo dalla stessa Regione nello scorso ciclo di programmazione 2000 – 2006.

Anzitutto, gli AdR rappresentano il primo strumento di attuazione del Piano Territoriale Regionale (PTR), assunto quale documento di base per la territorializzazione della programmazione socioeconomica regionale mediante suddivisione in aree omogenee di sviluppo, denominate Sistemi Territoriali di Sviluppo (STS).

È all’interno di queste aree, dunque, che deve avvenire la programmazione, l’attuazione e la successiva gestione degli AdR, implementando nei territori di riferimento quelle capacità di cooperazione integrata già in parte attivate con i PIT ma che dovranno ora divenire organizzazione stabile per lo sviluppo territoriale.

A tal fine, l’impianto previsto per gli AdR si candida ad essere la modalità ordinaria di programmazione e gestione di tutte le azioni da svolgere negli ambiti territoriali individuati dal PTR, con la parte politica che approva il programma di attività e le linee di indirizzo e la parte gestionale che attua gli obiettivi fissati dalla parte politica.

La parte politica è rappresentata dal Partenariato Istituzionale Locale (PIL) composto dai Sindaci e legali rappresentanti di tutti gli Enti che lo compongono; l’organo associativo politico è rappresentato all’esterno dal Soggetto Capofila, che agisce non in virtù di autonomi poteri bensì per l’attuazione delle deliberazioni e degli indirizzi forniti dal PIL.

La parte gestionale, invece, è rappresentata dal c.d. Soggetto Gestore (SG), il quale è (deve essere) un organismo pubblico al 100%. Tale prerogativa del SG può assumere forme diverse:

può essere un’Amministrazione pubblica che si candida a gestire l’AdR, mentre in altri casi potrà esservi la costituzione di un Ufficio Comune a tutti gli Enti ai sensi dell’art. 30 del D.

Lgs. 267/2000, o ancora potrà attestarsi la gestione presso un Consorzio pubblico ovvero una società a totale partecipazione pubblica. In ogni caso sarà il Partenariato Istituzionale a definire il SG e le funzioni che saranno ad esso attribuite.

Al Soggetto Gestore, quindi, potranno essere attribuite dal PIL funzioni di coordinamento ma anche funzioni amministrative per l’attuazione degli AdR. Tra queste, le funzioni più delicate sono quelle di stazione appaltante.

È da tener conto, infatti, che l’art. 33 del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici non possono affidare a soggetti pubblici o privati l’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici, tranne che ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle amministrazioni provinciali, nonché a centrali di committenza, per cui è preferibile evitare l’affidamento in toto di tali funzioni con una delega intersoggettiva.

L’attribuzione delle funzioni di stazione appaltante, invece, non comporta problemi nel caso di costituzione di un Ufficio Comune, dato che in tal caso l’Ufficio opera per conto di tutti gli Enti che pariteticamente l’hanno costituito.

Nel caso di soggetto gestore privato a totale partecipazione pubblica, la funzione di stazione appaltante, previa verifica, potrebbe essere eventualmente affidata solo se ricorrono gli estremi per qualificarlo organismo in house agli Enti affidatari.

Nella maggior parte dei casi, però, è prevedibile che gli Enti affideranno al soggetto gestore funzioni di coordinamento, di monitoraggio, di contabilità, di animazione e di marketing territoriale, ma non di stazione appaltante.

Altra funzione importante da imputare al SG è quella della gestione finanziaria dei trasferimenti connessi agli investimenti pubblici dell’AdR. Il Soggetto Gestore, infatti, riceve i trasferimenti finanziari dalla Regione, cura tutti gli adempimenti contabili dall’impegno alla spesa e rendiconta tutte le spese alla Regione secondo le previsioni contenute nell’AdR, configurandosi come unico centro amministrativo di spesa.

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Sul piano dell’innovazione amministrativa, il Soggetto Gestore potrà rappresentare non solo il riferimento territoriale per la gestione unitaria di tutti i programmi di sviluppo, bensì anche il motore di tutte quelle azioni di semplificazione amministrativa indispensabili per l’efficace attuazione degli obiettivi territoriali, soprattutto se riuscirà a coagulare il lavoro delle migliori professionalità del territorio.

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Due principi hanno qualificato l’Assistenza Tecnica del Formez agli Accordi di Reciprocità.

Da un lato, il tentativo di superare uno degli effetti (limiti) che gli interventi di assistenza a favore di pubbliche amministrazioni non raramente producono e cioè l’ “effetto sostituzione”, che produce un impatto negativo sia in termini di trasferimento di conoscenze (quindi di crescita complessiva della macchina pubblica), sia in termini motivazionali e di appartenenza al processo. Dall’altro lato — in un contesto istituzionale complesso (pluralità di soggetti e di livelli istituzionali coinvolti, articolazione verticale e orizzontale delle competenze investite, processi di delega dai livelli centrali a quelli territoriali) e di un quadro programmatico che contempla una pluralità di programmi — lo sforzo di migliorare (consolidare) la capacità dell’amministrazione regionale di esercitare la “governance” propria del processo di programmazione unitaria.

Questi principi hanno interamente improntato il processo di assistenza / accompagnamento che il Formez ha attivato a favore delle strutture regionali coinvolte, determinandone di conseguenza il metodo di lavoro.

Sono state messe in pratica modalità operative tese alla costruzione di un rapporto organico e strutturato con le strutture regionali, che potessero determinare al contempo sviluppo e valorizzazione delle competenze interne, miglioramento delle capacità di gestione degli strumenti attivati, ma anche una crescita “culturale” sui temi dello sviluppo territoriale.

Allo stesso tempo si è cercato di sviluppare tutte le attività nell’ottica e nel quadro più ampio della programmazione unitaria regionale per le ragioni sopra esposte.

L’assistenza si è sviluppata su due diversi livelli, tra loro integrati e sinergici. Il primo ha riguardato l’A.T. agli Uffici della Programmazione Unitaria e si è operato per mettere in grado la P.U. di svolgere un efficace coordinamento tra i livelli istituzionali, i settori dell’amministrazione regionale, le strutture di concertazione con il partenariato economico e sociale. Questo si è realizzato attraverso il supporto tecnico all’Ufficio di Gabinetto e al Tavolo di partenariato, sviluppato attraverso l’articolazione di azioni tra loro interconnesse che fanno capo a due direttrici operative. Una prima riferita al rafforzamento della struttura regionale di supporto tecnico al Tavolo di partenariato, una seconda al supporto tecnico all’Ufficio di Gabinetto del Presidente. Le attività della prima direttrice hanno risposto all’esigenza di migliorare l’efficacia del confronto e della partecipazione dei soggetti partenariali; la seconda riguarda il raccordo tra struttura di riferimento e strutture interne, nonché l’integrazione delle politiche settoriali e territoriali e del monitoraggio. Le attività svolte sono state graduate in funzione delle esigenze che si sono manifestate in fase di attuazione.

Un secondo livello “più operativo” ha avuto ad oggetto il supporto diretto agli Uffici regionali coinvolti nella programmazione e attuazione degli Accordi di Reciprocità. Anche in questo caso le attività sono riconducibili e due tipologie: la prima finalizzata alla predisposizione e redazione degli atti normativi ed amministrativi relativi agli strumenti di sviluppo territoriale;

la seconda diretta invece ad accompagnare i territori alla presentazione delle proposte progettuali degli AdR. Per accompagnare e guidare le aggregazioni territoriali alla compiuta definizione delle candidature è stato implementato un servizio di “sportello informativo”, finalizzato a fornire informazioni e chiarimenti ai soggetti coinvolti nella fase di attuazione degli strumenti di sviluppo territoriale.

Lo sportello ha permesso, seppure in forma mediata, di “verificare” la risposta dei territori nei riguardi dello strumento. Gli AdR hanno suscitato nei territori forti aspettative, anche nell’ottica di una certa continuità con strumenti e procedure di programmazione dello sviluppo locale, già sperimentate nella passata programmazione, e/o più in generale agli strumenti di programmazione negoziata. Rispetto poi, alle novità che gli AdR hanno presentato, si può sottolineare l’assoluta adesione al criterio della programmazione dello sviluppo territoriale contenuta nel PTR (e basata sui Sistemi Territoriali di Sviluppo); anche rispetto alla previsione del cofinanziamento (5%) i territori si stanno dimostrando maturi in considerazione di un’assunzione di impegno anche finanziario che sottolinea in qualche modo la “validità” della proposta. Rispetto ai temi della gestione “post realizzazione”, dei contenuti della reciprocità e della valorizzazione del ruolo del partenariato, che pure assumono grande rilevanza quali

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elementi caratterizzanti del nuovo strumento, essi manifesteranno più compiutamente la loro portata solo in fase negoziale e quindi allo stato sono difficilmente valutabili.

Un’ultima considerazione può riguardare le differenze tra territori che, per consuetudine rispetto a temi e processi dello sviluppo locale e grado di maturità degli apparati amministrativi e tecnici, presentano indubbiamente delle differenze sensibili e che meriterebbero di essere in qualche modo “livellate” da una intensa attività di accompagnamento dei territori più deboli, non potendosi considerare lo sviluppo territoriale un tema su cui applicare tout court i principi della concorrenza o della competizione.

Riferimenti

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