Profili emergenti del danno alla persona
da rischio professionale e sistemi di tutela del lavoratore
Avv. Pasquale Varone* I - Il rischio professionale
Del rischio professionale, che è un elemento essenziale del rapporto di assicurazione, si parla di solito con riferimento all’assicurazione pubblica attuata in applicazione del disposto dell'art. 38 della Costituzione.
Esso è stato quindi costantemente considerato quale rischio correlato all'attività lavorativa e connotato dalla circostanza di essere coperto dall'assicurazione obbligatoria e comporta, almeno entro certi limiti, l'esonero del datore di lavoro da responsabilità.
Nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria il rischio professionale ha subito, per effetto sia dell'intervento del legislatore che per quello della giurisprudenza, un progressivo ampliamento.
Esso infatti non comprende esclusivamente il rischio oggettivamente derivante dalla lavorazione, ma si estende ad altri profili. Rientrano pertanto nella nozione di rischio professionale, coperto dall'assicurazione obbligatoria, una molteplicità di fattispecie nelle quali la causa del rischio è ravvisabile in elementi che non si identificano con la rischiosità della lavorazione strettamente intesa.
Sono quindi ravvisabili profili di rischio coperto dall’assicurazione anche nel caso fortuito; nel fatto colposo del lavoratore; nel fatto colposo del datore di lavoro o di un suo dipendente; nel fatto ascrivibile a titolo di colpa o di dolo ad un terzo che sia estraneo al rapporto assicurativo;
nel fatto infine causato dalla concomitanza sussistenza di una responsabilità di più soggetti tra quelli sopra indicati.
A seconda della causa del verificarsi del rischio varia la posizione del datore di lavoro e del terzo mentre il lavoratore viene comunque sempre, nei casi suddetti, a fruire della copertura assicurativa.
Il terzo che abbia dato luogo all'infortunio risponde in base alle comuni regole della responsabilità civile; il datore di lavoro, per contro, poiché è il soggetto assicurante e paga i premi, è chiamato a rispondere solo in presenza di particolari presupposti che fanno di lui un soggetto civilmente responsabile dell'infortunio.
Questi presupposti, ai sensi dell'art. 10 del T.U. 30/6/1965 n. 1124 sono ravvisabili, in presenza di fatti costituenti reato e perseguibili d'ufficio (e non quindi nei casi di reati perseguibili a querela di parte), nell'avere il datore di lavoro riportato condanna penale per il fatto da cui è derivato l'infortunio; nell'essere stato condannato penalmente, per il fatto che ha causato l'infortunio un soggetto (dipendenti; commessi) del cui operato risponde il datore di lavoro; quando, pur essendo mancato un accertamento della responsabilità per il fatto in sede penale (per intervenuta amnistia; per prescrizione del reato; per morte del responsabile; per archiviazione in sede penale; per intervenuta assoluzione in sede penale, nella quale la sede INAIL sia restata estranea al giudizio) sia stata accertata in sede civile una responsabilità del datore di lavoro per il medesimo fatto che avrebbe potuto costituire reato.
In tutti questi casi il datore di lavoro non è esonerato da responsabilità ma è tenuto a risarcire il danno anche per la parte dello stesso che l'INAIL ha indennizzato al lavoratore infortunato. Anzi anche quest'ultimo è titolare di un diritto al risarcimento del danno, nei casi sopra indicati, nei confronti del datore di lavoro, qualora l'indennità erogata dall'INAIL sia inferiore al ristoro del danno dovuto in base al codice civile.
Ma mentre fino a tempi relativamente recenti, l'azione del lavoratore infortunato contro il datore di lavoro, rivolta ad ottenere l'importo differenziale tra prestazioni assicurative e
* Avvocato generale INAIL, Roma
risarcimento danni valutato in base al diritto comune, costituiva un'ipotesi prevalentemente teorica attesa l'elevatezza del risarcimento previdenziale, recentemente tale azione ha trovato nuovo impulso per vie non a rigori connesse alle caratteristiche proprie del rischio professionale, bensì per l'influsso della nozione civilistica di danno alla persona risarcibile.
Infatti, specie attraverso la giurisprudenza della Corte Costituzionale, si è individuato lo specifico profilo di danno alla persona che va sotto il nome di danno biologico che, al di là delle difficoltà per la sua definizione che hanno alimentato fiumi di inchiostro, può definirsi come il danno che prescinde da qualsiasi influenza sulla capacità di produrre reddito e riguarda profili attinenti alla salute intesa in senso vasto e tale da ricomprendere svariate limitazioni alla vita di relazione.
Orbene l'emergere di tale profilo di danno alla persona, che certamente, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 87 del 15.2.1991; sent. n. 485 del 27 dicembre 1991) non si esaurisce nella perdita di capacità lavorativa e che quindi resta al di fuori (od almeno parzialmente al di fuori; sul punto esiste invero un notevole divario di opinioni in dottrina ed in giurisprudenza) dell'indennizzo dell'infortunio erogato dall'INAIL, fa sì che in ogni fattispecie d'infortunio ascrivibile a responsabilità del datore di lavoro valutata in base al diritto comune, vi sia spazio per un'azione risarcitoria al lavoratore infortunato contro il datore di lavoro.
Tale azione può concorrere (a seconda della nozione di danno biologico che si accoglie, vale a dire se nello stesso si consideri o meno inclusa anche una parte del danno alla capacità lavorativa indennizzato dall'INAIL) con quella di regresso dell'Istituto assicuratore pubblico rivolta ad essere ristorato (in presenza dei presupposti sopra enunciati) dal datore di lavoro responsabile dell'infortunio.
E' peraltro evidente che sotto un profilo strettamente giuridico, quello del danno biologico costituisce un profilo "emergente" del danno alla persona da rischio professionale.
Si tratta di un profilo di diritto comune (e non quindi di diritto previdenziale) che tuttavia avrà certamente effetti rilevanti proprio nell'ambito della tutela previdenziale del danno alla persona da rischio professionale.
Infatti, essendo il limite della responsabilità del datore di lavoro verso l'ente previdenziale che abbia indennizzato l'infortunio (e negli specifici casi del permanere di tale sua responsabilità sopra individuati) costituito dal calcolo in base a criteri meramente civilistici della responsabilità stessa l'INAIL, allorché agisce contro il datore di lavoro in via di regresso (ex art. 10 ed 11 del T.U. 1965 n. 1124) si troverà a concorrere con il lavoratore infortunato che agisce per ottenere il ristoro del danno biologico. Ciò ridurrà (ed a seconda degli orientamenti, assai diversificati, dei vari tribunali potrà anche escludere) l'ambito economico nel quale l'ente assicuratore pubblico potrà esercitare l'azione di regresso.
E questo è un primo effetto dell'emergere di quel profilo del danno alla persona costituito dal danno biologico.
Si tratta di un effetto già in pratica constatato ma che tuttavia riveste un'importanza limitata.
Esso incide solo sulle entrate dell'INAIL per effetto delle azioni di rivalsa ma, considerata la limitatezza di tali entrate, non influisce neppure sotto il profilo economico sul rapporto di assicurazione pubblica, che si alimenta economicamente in via prevalente per altre vie (premi di assicurazione; rendite del patrimonio immobiliare e degli investimenti mobiliari).
L'effetto invece più rilevante dell'emergere del profilo del danno biologico, quale elemento del danno alla persona, è quello che può ragionevolmente ipotizzarsi sulla struttura stessa del rapporto di assicurazione pubblica dei rischi professionali.
Se infatti l'azione dei lavoratori che hanno subito tale rischio, verso i datori di lavoro responsabili civilisticamente del danno, si generalizzerà, risulterà sempre più evidente l'onerosità per il datore di lavoro di un sistema di assicurazione sociale che non tutelandolo dalla azione civilistica del lavoratore che abbia subito un danno biologico da rischio professionale, aggraverà sempre di più la sua posizione (sotto il profilo della responsabilità per i danni) rispetto a quanto
già si verifica per effetto dell'ampia estensione giurisprudenziale delle fattispecie in cui esso è esposto all'azione di regresso dell'INAIL.
Se si considera che l'assicurazione sociale è obbligatoria e viene gestita in regime di esclusiva da un ente pubblico, è agevole ipotizzare che i datori di lavoro saranno sempre più spinti ad ottenere una riduzione nell'ambito di operatività di tale tutela obbligatoria ed esclusiva.
Per fare ciò un sostegno verrà certamente offerto dall'ordinamento europeo che è contrario al permanere di regimi di sostanziale monopolio nello svolgimento di attività economiche.
Né una garanzia al mantenimento dell'attuale assetto può essere ravvisata nell'art. 38 Cost.
sul quale si fonda l'assicurazione sociale obbligatoria. Infatti tale norma non determina di certo i confini della tutela previdenziale, sicché non sarebbe con essa incompatibile un'eventuale rideterminazione da parte del legislatore dei contenuti e dei limiti del danno obbligatoriamente assicurabile e risarcibile, lasciando quindi alla libera concorrenza, tra imprese di assicurazione, l'assicurazione del danno che va oltre tali limiti.
Certamente in un prossimo futuro su questo tema si acuirà un dibattito che è già stato enunciato in varie sedi, ed occorrerà ancora una volta rideterminare i confini tra pubblico e privato, problema questo ormai di portata generale.
E' indubbiamente il profilo "emergente" del danno biologico alla persona, correlato al rischio professionale, che sta accelerando questa problematica.
L'INAIL, acutamente, ha tentato di individuare soluzioni che consentano, accogliendo anche alcuni suggerimenti rivolti dal legislatore dalla Corte Costituzionale, di assorbire la problematica del danno biologico nell'ambito di un rapporto assicurativo obbligatorio ad efficacia più estesa di quella attuale (in quanto garantirebbe la tutela automatica anche di tale danno allorché conseguenza ad un rischio professionale). Ma tutto è restato a livello di tentativo.
Infatti dei due tentativi (costituiti dalle distinte Relazioni di due apposite Commissioni di studio succedutasi nel tempo, e l'ultima è del 1997) di prospettare una soluzione globale, nell'ambito cioè dell'assicurazione sociale obbligatoria, al problema della tutela del rischio professionale anche per il danno biologico ad esso conseguente, nessuno è approdato a risultati concreti.
Ciò probabilmente è dovuto anche alla circostanza che tali tentativi si sono svolti in un ambito esclusivamente medico-legale e giuridico, senza corrispondere ad alcuna precisa direttiva del Ministero competente.
L'emergere della problematica del danno biologico comunque ha solo iniziato, e non certo esaurito, i suoi effetti sull'intero assetto dell'assicurazione obbligatoria per i rischi professionali, in quanto ha inciso, alterandoli sull'assetto di interessi alla cui composizione detta assicurazione tendeva.
II - Sistemi di tutela del rischio professionale
Il rischio professionale, come rilevato in dottrina (Dr. Mattia Persiani “Rischio professionale e regresso dell'INAIL” in Mass. giur. Lav. 1986 pag. 571 e seg.), è tutelato nell'ordinamento italiano con un sistema volto a realizzare una composizione di interessi, quelli dei lavoratori e quelli della produzione.
Gli interessi dei lavoratori sono attuati mediante il trasferimento del rischio di infortuni e malattie professionali sui datori di lavoro, con l'adozione del sistema dell'assicurazione che peraltro è obbligatoria, e della quale essi devono pagare il prezzo.
Gli interessi della produzione sono realizzati sotto il profilo che il datore di lavoro fruisce anche dell’assicurazione per la responsabilità civile e viene ridistribuito il peso del verificarsi del rischio.
Tale assetto di interessi nel tempo si è notevolmente alterato.
Una rilevante alterazione è conseguita, come in precedenza accennato, alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale ha riconosciuto al lavoratore già indennizzato dall'INAIL per la perdita di capacità lavorativa, di poter agire, ai sensi dell'art. 2043 c.c., contro il datore di lavoro per ottenere, in base ai consueti parametri del lucro cessate e del danno emergente
(come si desume dalla sentenza n. 372 del 27 ottobre 1994, della Corte Costituzionale in tema di cosiddetto danno biologico da morte), il risarcimento del danno biologico allorché lo stesso sia conseguito ad un fatto di cui sia responsabile il datore di lavoro o un suo dipendente.
E' evidente che tale facoltà del lavoratore infortunato di agire contro il datore di lavoro per detto ulteriore profilo di danno, il quale dallo stato non fruisce della tutela in forma previdenziale prevista dall'art. 38, II e IV comma della Costituzione, aggrava la posizione del datore di lavoro. Si evidenzia in ciò la rottura dell'equilibrio tradizionale sul quale, come premesso, si considerava riposasse l'assicurazione obbligatoria contro la responsabilità civile.
Tale rottura dell'equilibrio è frutto dell'emergere, attraverso la giurisprudenza sia di merito che della Corte Costituzionale, di una esigenza di tutela del danno alla persona che nella sua nozione civilistica è stato esteso fino a ricomprendere quello alla salute (danno biologico), inteso come lesione di un diritto primario che ha il suo riconoscimento nell'art. 32 della Costituzione.
La stessa Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza in precedenza richiamata, ha avvertito l'effetto dirompente degli equilibri di interessi che poteva avere il riconoscimento della immediata e diretta tutelabilità in sede civile del danno biologico conseguente al verificarsi di un rischio professionale.
Non altrimenti può interpretarsi il suo invito al legislatore ad offrire a tale danno una tutela rapida, efficace ed automatica del genere di quella che il lavoratore riceve attraverso l'INAIL, allorché un infortunio o una malattia professionale abbiano ridotto la sua capacità lavorativa in misura superiore al 10%.
Infatti a fronte di tale rapidità ed automatismo è stato sempre presente nell'assicurazione obbligatoria l'elemento "composizione di interessi" sopra evidenziato, sicché nella sostanza la Corte Costituzionale ha auspicato che tale composizione venga attuata dal legislatore anche a seguito del riconoscimento della tutelabilità del danno biologico conseguente al rischio professionale.
Non poteva peraltro mancare, ed è infatti puntualmente intervenuto in dottrina, il rilievo che procedendo ad attribuire ai lavoratori assicurati un risarcimento, indennizzo, certo ed automatico, come è quello erogato dall'INAIL, potrebbero privarsi gli stessi di una parte del trattamento globale che oggi possono pretendere agendo in sede civilistica (in dottrina: Franco Agatisi in Riv. Giur. Lav. 1995, Fasc. 2, pag. 199 -210).
Si è verificato in sostanza, per quanto riguarda il danno biologico, una evidenziazione dei diritti spettanti in base al diritto civile, ai lavoratori così come si può dire nello stesso arco temporale, attraverso la magistratura penale, si sono evidenziati aspetti di responsabilità penale, con riferimento all'insorgere di malattie professionali, che pur essendo previsti dal Codice penale, erano restati per così dire sopiti.
Infatti, come brillantemente evidenziato dal Dr. Guariniello (Raffaele Guariniello, “Denuncia e prevenzione delle malattie” nella sentenza 179 della Corte Costituzionale in Riv. Inf. e Mal. Prof.
1988 pg. 333 e seg.), per lungo tempo si è ignorato che la malattia professionale è un fatto che oltre ad assumere rilievo sul piano previdenziale è rilevante in sede penale in quanto può concretizzare il delitto di omicidio colposo o di lesione personale colposa.
Ciò fa sì che ogni malattia professionale, sia o meno tutelata con l'assicurazione obbligatoria INAIL, possa comportare una condanna penale e quindi offrire al lavoratore lo spunto per agire per il ristoro del danno biologico verso il datore di lavoro (anche allorché la riduzione di capacità lavorativa che da essa sia derivata si mantenga al di sotto della soglia dell'indennizzabilità INAIL dell'11 per cento).
Di questa efficacia lesiva della malattia contratta a causa dell'attività lavorativa, sempre rilevante in sede penale, a prescindere dal fatto che la stessa desse o meno luogo alla copertura assicurativa INAIL, (e quindi della potenziale possibilità per il lavoratore di agire in base al diritto comune, in caso di condanna penale del datore di lavoro o di un suo dipendente), per ottenere ex art. 2043 c.c. il ristoro del danno alla salute, ha probabilmente tenuto conto la Corte Costituzionale allorché, con le sentenze n. 179/1988 e n. 206/1988, ha sostituito per le malattie professionali il sistema "misto a liste aperte" a quello cosiddetto "tabellare".
E' noto infatti che con dette sentenze, recependo anche la raccomandazione della Commissione della Comunità Europea del 23 luglio 1962, la Corte Costituzionale ha abolito il sistema basato su tabelle "chiuse" contenenti l'elenco delle lavorazioni e delle malattie professionali che le stesse potevano causare ed i termini per l'indennizzabilità. Con il nuovo sistema accanto al permanere di tabelle che comportano una presunzione di legge di indennizzabilità delle patologie tabellate, è stato previsto che il lavoratore possa dimostrare l'origine professionale di malattie non tabellate e di quelle causate da lavorazioni non previste in tabella, nonchè di malattie che si siano manifestate dopo il periodo massimo per l'indennità previsto dalle tabelle.
Ancora una volta, il nuovo sistema si rivela frutto di un recepimento in campo previdenziale- sociale di istanze ed esigenze il cui emergere era stato già riscontrato in altri ambiti (e più precisamente, nella fattispecie, nell'ambito del diritto comune e quale conseguenza di un rilievo,
"riscoperto", della malattia professionale come fonte di responsabilità penale).
A questo punto è bene rilevare che se la rottura di equilibri tradizionali esistenti nell'ambito dell'assicurazione sociale obbligatoria si è risolta, per l'emergere della problematica del danno alla salute, a sfavore, nella sostanza, del datore di lavoro, l'introduzione - per effetto parimenti di una giurisprudenza della Corte Costituzionale - del sistema cosiddetto "misto" in luogo di quello esclusivamente tabellare in materia di malattie professionali ha comportato un sostanziale sollievo della posizione del datore di lavoro perché consente di riversare sull'assicurazione obbligatoria gli effetti di profili di responsabilità civile che graverebbero su di esso.
L'equilibrio originariamente esistente si è, in una certa misura, ricostituito pur dopo l'ampio intervento della Corte Costituzionale.
III - Problemi conseguenziali all’introduzione del sistema "misto" per la tutela della malattie professionali.
Come è noto il soggetto che intende far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (art. 2687 c.c.).
Ciò comporta per il lavoratore che voglia provare l'origine professionale di una malattia non tabellata uno sforzo probatorio notevole, che implica il ricorso a certificati medico-legali e ad avere proprie consulenze e indagini diagnostiche non sempre agevoli e spesso di notevole costo.
Tale circostanza, unita all'altra che in sede giudiziaria la prova può conseguirsi anche attraverso la richiesta di consulenze tecniche di ufficio il cui costo normalmente finisce con il gravare sull'istituto assicuratore, mentre è esclusa una condanna alle spese del richiedente, comporta un'indubbia tendenza a spostare sul piano giudiziale, con notevole aggravio della giustizia ed aumenti dei costi complessivi, le controversie relative al riconoscimento delle malattie professionali non tabellate.
Va dato atto all'INAIL di aver avvertito per tempo il rischio dell'emergere di un contenzioso di proporzioni vastissime, e di aver impartito con recenti circolari, istruzioni per un’analisi approfondita dell’esistenza del nesso di causalità tra attività lavorativa e patologie denunciate come conseguenti alle stesse.
In particolare l'Istituto ha stabilito che nei casi di patologie compatibili sia con i rischi professionali tabellati che con i rischi presenti nella vita quotidiana e quindi extralavorativa, debbano essere le strutture medico-legali dell'ente pubblico a fornire la "prova contraria", vale a dire a provare che il fattore lavorativo non era sufficiente a determinare la lesione ed a dimostrare che esistevano precisi fattori extralavorativi da cui è dipesa la patologia.
E' stata iniziata anche la diffusione di "protocolli diagnostici" adatti ad agevolare la raccolta di elementi utili alla formulazione per le singole patologie di un definitivo giudizio medico-legale e si è progettata la redazione, d'intesa con gli esperti dei patronati, di una tabella valutativa unica nazionale per determinare il valore lavorativo della funzione perduta (ad es. per le tecnopatie respiratorie). Ciò analogamente a quanto avvenuto per le ipoacusie.
Può quindi ritenersi che in sede organizzativa siano in atto apprezzabili sforzi dell'INAIL per portare a definizione, al di fuori della sede contenziosa, i vasti problemi che si pongono per l'ampliamento dell'ambito di operatività della tutela delle malattie professionali che segue all'abbandono del sistema tabellare (al quale conseguiva una presunzione di indennizzabilità della patologia prevista in tabella come conseguenza, denunciata entro precisi limiti temporali, di determinate lavorazioni), a favore di un sistema "misto" nel quale cioè è possibile "provare (senza quindi alcuna presunzione) la derivazione di qualsiasi patologia dall'attività lavorativa.
Restano peraltro aperti i numerosi problemi che scaturiscono dall'emergere di patologie prima sconosciute e che derivano da determinate lavorazioni e dalla difficoltà di accertare il nesso causale che lega le seconde alle prime, con la spesso ricorrente concomitanza di possibili fattori extralavorativi del danno alla persona.
IV - Patologie non tabellate, fonte di danno alla persona, conseguenti a rischi professionali di maggiore attualità.
A questo punto appare opportuno un richiamo, sia pure sintetico e senza alcuna pretesa di definizione delle singole patologie e del nesso causale delle stesse con determinate lavorazioni, alle malattie professionali per così dire emergenti.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 179 del 18/2/1988 ha affermato che il sistema tabellare per l'indennizzabilità delle malattie professionali previsto dal T.U. 1965 (art. 134 I comma) è in contrasto con l'art. 38 II comma della costituzione. Nel prendere la sua decisione la Corte Costituzionale ha espressamente rilevato che il progresso delle tecnologie diagnostiche della medicina del lavoro estende le ipotesi di massima probabilità di eziologia professionale delle malattie "tipiche" ed aumenta il livello di attendibilità dell'indagine su tale eziologia. Lo sviluppo delle tecnologie produttive poi, implica, secondo la Corte Costituzionale, l'incremento dei fattori di rischio ed ha fatto prevalere l'interesse dell’allargamento dell'area dell'eziologia rispetto a quello dell'accertamento presuntivo che è stato ritenuto insufficiente a compensare il divieto di indagine e di prova sulle cause lavorative delle patologie.
Questa chiara presa di posizione della corte Costituzionale che ha segnato la fine del sistema in base al quale solo le malattie previste in tabella e le lavorazioni ivi indicate erano suscettibili di indennizzo, consente di ammettere alla tutela assicurativa patologie di cui in precedenza veniva esclusa, presuntivamente, l'eziologia professionale. Ciò ha consentito l'evidenziazione di alcuni profili di rischi nuovi e strettamente connessi con l'evolversi, registrato dalla Corte Costituzionale, sia delle possibilità diagnostiche in ordine alle cause delle patologie sia in ordine ai rischi prodotti dall'evolversi del sistema produttivo.
Si calcola oggi, secondo fonti INAIL, che l'attività produttiva del terziario, con i rischi spesso nuovi che essa comporta, sia pari a circa il 70% della produzione mentre la tradizionale produzione industriale ed agricola risulta pari al solo 30% della produzione globale, con tendenza a scendere al 25% nei primi anni del 2000.
Si riscontrano oggi patologie che tendono a ridurre la loro incidenza (silicosi; asbestosi;
intossicazione da metalli) mentre ne emergono delle altre. Occorre dare atto che tali malattie professionali emergenti e connesse con il mutare dei sistemi produttivi e dei materiali e delle sostanze impiegati, al presente sono oggetto della maggiore attenzione dell'INAIL che tende ad individuarne, al di fuori delle "tabelle", le singole "tipicità" onde evitare l'indiscriminato aumento del contenzioso e favorire l'indennizzabilità allorché vi sia adeguata certezza circa il nesso eziologico con la lavorazione.
La valutazione della professionalità della malattia avviene attraverso una verifica in primis della idoneità del rischio professionale o dell'ambiente, poi della malattia denunciata ed infine del sussistere del nesso causale tra danno e rischio.
In via esemplificativa e sintetica si enunciano qui di seguito alcuni tipi di malattie da rischi professionali "emergenti" sia sotto il profilo dell'affinarsi dei mezzi di indagine diagnostica sia sotto quello del mutare dei sistemi produttivi e dei materiali impiegati. Per lo più si tratta non
già di malattie professionali tradizionalmente intese, bensì di malattie che hanno nel lavoro una causa determinante pur avendo altri fattori che le generano (patologie multifattoriali).
1. Patologie da videoterminali.
Il sistema misto introdotto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179/1988 consente oggi di ammettere all'indennizzo tali patologie anche se è necessario fornire la prova della loro origine professionale.
Di certo l'emergere di tali patologie offre una giustificazione per così dire "postuma" alla giurisprudenza della Corte di Cassazione che considerava di assicurare il personale addetto non solo occasionalmente ai videoterminali, cosa che determina un rischio poiché si trattava di apparecchi elettrici. Se si dovesse valutare statisticamente tale rischio si dovrebbe pervenire alla conclusione che lo stesso non si è mai concretizzato in modo significativo.
L'emergere peraltro delle patologie dei lavori con videoterminali attribuisce rilievo e giustificazione all'obbligo di assicurare il personale che ne fa uso, ciò anche se da più parti si sostiene che più che patologie l'uso di videoterminali ha generato disturbi.
Certamente il tema è aperto e può ipotizzarsi un ampliamento delle patologie conseguenti all'uso di tali apparecchiature, che tra l'altro, se intenso può generare stress.
2. Le patologie da stress lavorativo.
Quanto precede consente di introdurre il tema delle patologie da stress.
Su tali patologie sono stati svolti numerosi studi all'estero, meno in Italia, sebbene di esse si parli come delle patologie del futuro per antonomasia. La loro individuazione non è agevole perché si tratta (al pari della maggior parte delle patologie emergenti) di manifestazioni patogene plurifattoriali.
Una ulteriore difficoltà ad ammettere all'indennizzo tali malattie è che lo stress. pur potendo avere una sua obiettività di cause (ad esempio nelle regole del lavoro che inducono ad una estrema competitività; nei tempi frenetici imposti per compiere determinate attività etc. etc.) spesso è conseguenza non della lavorazione ma dell'approccio del singolo verso la stessa; è frutto cioè non di un elemento oggettivo (caratteristico della lavorazione) bensì di uno soggettivo (connesso cioè al modo in cui rispetto ad essa si pone il lavoratore). Ma sono distinzioni sottili, che oggi si pongono soltanto perché manca un adeguato approfondimento della tipicità di tali malattie correlate a specifiche lavorazioni.
3. Le allergie.
Sono ulteriori malattie professionali emergenti. Esse non sono di certo patologie nuove, ma nuovi sono molti prodotti usati (ad esempio nella produzione di alimenti) che possono generarle.
Di esse è previsto un ampio sviluppo.
4. Le forme tumorali.
Sono quelle che più frequentemente, poiché non sono note (a parte alcuni tipi come i tumori dell'apparato respiratorio prodotti dall'amianto) nella loro evoluzione, vengono escluse dall'indennizzo per mancanza di prove del nesso eziologico con l'attività lavorativa. Ciò anche perché spesso appartengono a patologie con manifestazione lenta e subdola che allontana la loro insorgenza dal momento in cui si sono fornite le prestazioni di lavoro. E' prevedibile che l'aumento della conoscenza della genesi e della evoluzione dei tumori per attività professionali, porterà ad un incremento del numero di quelli ammessi all'indennizzo.
5. Malattie da posture incongrue e da movimenti ripetuti (es. artrosi, condiliti, tendiniti., sindrome del tunnel carpale).
Queste malattie, di cui l’Unione Europea ha raccomandato l’assicurazione perché siano considerate malattie professionali, sono tipiche dell’evoluzione dell'attività lavorativa, con il prevalere del terziario rispetto al lavoro industriale ed agricolo.
Esse sono provocate da un'alta frequenza di movimenti ripetuti e dal costringere gli arti a movimenti non normali.
Come rammenta la relazione Smuraglia, sopra citata, esse costituiscono negli Stati Uniti la prima causa di indennizzo mentre in Italia sono raramente indennizzate.
6. Malattie da uso di fitofarmaci e pesticidi in agricoltura.
Tali malattie sono in via di diffusione e mentre allo stato è frequente il riscontro di allergie e di dermatiti, non si hanno dati esaurienti per conoscere la loro evoluzione nel tempo verso forme più gravi.
7. Malattie tipiche degli addetti ad attività in campo sanitario.
Sono dovute alla necessità di venire in contatto, nelle sale operatorie, negli ambulatori etc.
etc., con sostanze pericolose.
Con il progredire della scienza medica l'uso di tali sostanze risulta sempre più frequente. Le malattie professionali alle quali possono dar luogo sono molteplici, ma non ne è agevole la prova del nesso causale con l'attività di lavoro e quindi l'indennizzo.
Le tipologie di malattie emergenti quali possibili fonti di danno alla salute causato da attività professionali sopra enunciate (con una causalità esclusiva o comunque prevalente, pur in presenza quindi di patologie multifattoriali), ed il costante riemergere, grazie ai nuovi metodi diagnostici, di malattie professionali definite "perdute" in quanto in passato non individuabili come tali, mostra come la materia del danno alla persona da rischio professionale sia in rapidissima evoluzione.
Riflessioni conclusive.
Il danno alla persona da rischio professionale presenta aspetti nuovi sotto molteplici profili:
I. Si è accentuato l'influsso sui sistemi di tutela di tale rischio (che allo stato si realizzano in ossequio all'art. 38 Cost., con carattere indennitario e con automatismo delle prestazioni che sono erogate da un istituto assicuratore pubblico) dell'evoluzione del contenuto del danno civilistico alla persona, che si è esteso, per effetto della giurisprudenza della Corte Costituzionale, fino a ricomprendere il danno biologico.
Ciò ha evidenziato come, anche in caso di danno derivante da rischio professionale, la tutela previdenziale pubblicistica non è esaustiva del ristoro del danno allorché lo stesso configuri ex art. 2043 c.c. un fatto illecito di cui il datore di lavoro debba rispondere.
L'evidenziarsi di tale non esaustività della tutela pubblicistica ha aperto un ampio dibattito nel quale si delineano due tendenze:
a) quella, sostanzialmente auspicata dalla Corte Costituzionale, rivolta ad assorbire tali nuovi profili di danno nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria; l'INAIL ha già elaborato a tal fine, nel tempo, due proposte. I limiti di tali proposte sono che le stesse hanno un valore essenzialmente tecnico, poiché hanno tenuto conto essenzialmente dei profili giuridici e medico-legali del problema. Dette proposte, invece, non seguono alcuna linea strategica che corrisponda ad un indirizzo politico. ciò per il semplice motivo che tale indirizzo politico non è emerso in nessuna sede. Questo rende ardua qualsiasi previsione circa la realizzabilità della tutela del danno da rischio professionale, nella sua totalità, attraverso l'assicurazione obbligatoria gestita dall'ente pubblico (INAIL).
b) quella, che risulta dall'analisi del comportamento e delle richieste dei datori di lavoro, rivolta ad utilizzare l'emergere di nuovi profili di danno alla persona nel diritto comune come occasione per denunciare l'insufficienza dell'attuale sistema obbligatorio di assicurazione che non realizzerebbe più il contemperamento di opposti interessi perché terrebbe costantemente esposto il datore di lavoro, che ha erogato i contributi, ad azioni di rilevanza dell'INAIL ed insieme ad azioni di responsabilità civile (per il danno biologico) degli infortunati. Tale tendenza tende sostanzialmente a privatizzare il sistema di copertura dei rischi professionali (anche se in tempi non necessariamente brevi, visto che nel breve periodo risulta relativamente facile definire in via transattiva le controversie sul danno biologico, date anche le incertezze ed i divari giurisprudenziali in tema di valutazione del danno risarcibile al lavoratore che abbia già ricevuto un indennizzo dall'INAIL).
II. L'affinamento dei mezzi diagnostici consente di ricondurre al lavoro molte malattie professionali (che con termine suggestivo la Relazione Smuraglia della XIII Legislatura del Senato ha definito "perdute") la cui eziologia professionale non era conosciuta. Ugualmente il modificarsi dei processi produttivi contribuisce a far emergere nuovi rischi derivanti dall’attività produttiva. Il concomitante agire di tali due fattori ha reso di attualità i rischi professionali cancerogeni e teratogeni; i rischi da posture incongrue e da movimenti ripetuti;
i rischi connessi all'uso di videoterminali; i rischi connessi all'esercizio di professioni sanitarie che comportano il contatto con sostanze nocive ed i rischi connessi allo stress di lavoro.
L'assicurazione obbligatoria deve necessariamente aprirsi alla indennizzabilità di tali patologie. L'INAIL con recenti direttive (si veda la Circolare n. 80/1998) ha mostrato di volere sostanzialmente facilitare, prevedendo una collaborazione nel terreno delle prove, il recupero nell'ambito della tutela che essa accorda delle malattie professionali "perdute" e di quelle emergenti. In ciò il suo compito è facilitato dall’introduzione per effetto della richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale del sistema "misto" che consente di indennizzare anche malattie non tabellate in cui sia provato il nesso eziologico con le malattie professionali.
Con ciò l'ente assicuratore pubblico sta svolgendo un'attività che oltre a giovare all'assistito giova anche al suo datore di lavoro. L'avvenuto indennizzo da parte dell'INAIL di malattie professionali emergenti a parità di costi (importo dei premi), certamente diminuisce la spinta del lavoratore ad agire verso il datore di lavoro per far valere la sua responsabilità per patologie che egli dice di aver contratto a causa del lavoro e per colpa del datore di lavoro.
Tali rilievi consentono di ritenere che nel vorticoso emergere di nuovi problemi in tema di danno alla persona, lo stato attuale dell'assicurazione obbligatoria pubblica può registrare una situazione alterata in senso peggiorativo per il datore di lavoro per l'emergere dei suoi profili di responsabilità verso il lavoratore per il danno biologico, che non trovano alcuna copertura nell'assicurazione obbligatoria, e nel contempo registra un sostanziale apporto dato anche al datore di lavoro sotto il profilo che sono ammesse a tutela da parte dell'INAIL patologie professionali emergenti, la cui incidenza negativa altrimenti si riverserebbe sul datore di lavoro chiamato a rispondere delle stesse (specie sotto il profilo del danno biologico).
Tale constatazione può offrire una spiegazione del perché, malgrado tutto, l'assetto del settore, sotto il profilo della presenza di un unico soggetto assicuratore pubblico, abbia una sua tenuta.
Ma è doveroso registrare come ciò avvenga in un contesto che presenta per così dire, un suo equilibrio essenzialmente sul piano "amministrativo".
E' il modo con cui l'attuale assetto viene gestito dall'INAIL che ha consentito una continuità del sistema.
Essa tuttavia appare sempre di più come una continuità precaria.
Ciò è dimostrato dall'enorme contenzioso giudiziario in atto (circa 30 mila nuove cause l'anno per pretendere prestazioni dall'INAIL); dall'enorme divario tra i casi di malattie non tabellate denunciati (11631 nel 1996) e quelli ammessi all'indennizzo (626, per lo stesso anno); dal progressivo aumento dei casi in cui il datore di lavoro, sebbene assicurato dall'INAIL, è chiamato a rispondere nei confronti del lavoratore per il danno biologico da questi subito.
Il tutto poi si svolge in un contesto dominato dalla nuova normativa (D.Lg.vo 626/1993 e successive integrazioni) prevenzionale la cui attuazione comporta ulteriori costi per le imprese.
Ciò impone di ricomporre l'equilibrio non solo, in via transitoria, sul piano amministrativo e con il costoso coinvolgimento di vaste dimensioni del sistema giudiziario, bensì sul piano delle norme.
Se l'emergere dei diritti dei cittadini (alla trasparenza, alla privacy, all'ambiente etc.) è un dato attuale, la tutela del danno alla salute da rischi professionali non può essere lasciata a soluzioni amministrative o giurisprudenziali, con il solo supporto di pronunce della Corte Costituzionale abrogative di precedenti disposizioni del Testo Unico sull'assicurazione infortuni.
Le crescenti insidie (stress lavorativo, tumori, posture incongrue, videoterminali etc. etc.) in cui si concretizza il rischio professionale ed il fatto che la sua tutela incide sui costi delle imprese mentre la difficoltà di realizzare la sua tutela viene a penalizzare enormemente il lavoratore, esigono uno sforzo verso una nuova disciplina dell'intero settore.
Così come avvenuto per la previdenza sociale in tema di anzianità e vecchiaia, è necessario che all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali faccia riscontro un sistema di ridistribuzione delle competenze analogo a quello che si è attuato con l'introduzione (D.Lg. 124 del 1993) della previdenza complementare.
Quest'ultima dovrebbe essere prevista in forma liberalizzata dando facoltà anche all'INAIL di attuarla. I rischi professionali che essa copre dovrebbero essere molto estesi e ad essa andrebbe devoluto il compito di "completare" l'indennizzo erogato dall'INAIL o di sostituirlo laddove lo stesso non risulti dovuto.
Solo così l'INAIL potrà sfuggire alla censura, che va delineandosi, della incongruenza con il sistema Europeo di un monopolio di assicurazione dei rischi professionali. Ed il rischio professionale, con la sua tutela, potrà divenire oggetto anche di accordi collettivi che disciplinino la copertura delle sue conseguenze anche con forme di previdenza complementare sostenute con oneri a carico sia dei datori di lavoro che dei lavoratori.
Sembra assurdo in un'epoca in cui la tutela del diritto alla integrità fisica ed alla salute ha avuto ampio riconoscimento, il pensare che la realizzazione di tale diritto non debba coinvolgere simultaneamente risorse pubbliche e private in vista del conseguimento dell'obiettivo più delicato, vale a dire quello dell'indennizzo del danno alla persona del lavoratore.
Se nell'attuare la prevenzione è presente anche un interesse forte del datore di lavoro a considerarsi esente da responsabilità, allorché abbia adempiuto alle misure che la legge gli impone (e non risulta che l'attuazione di tali misure abbia finora ridotto il numero degli infortuni o delle malattie professionali in modo significativo) nel riconoscere una tutela, allargata alla previdenza complementare del lavoratore, è presente un'esigenza di attuazione dei diritti civili al ristoro del danno alla persona che non può essere pretermessa?????? allorché il rischio trova nel lavoro la sua causa. E ciò appare in linea con l'essenza del suggerimento della Corte Costituzionale, di dare al rischio professionale una tutela più rapida ed efficace di quella garantita dalle comuni regole civilistiche.