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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

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Cassazione Penale

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-02-2018) 28-02-2018, n. 9167 Fatto Diritto P.Q.M.

OMICIDIO, INFANTICIDIO

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente - Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere - Dott. TORNESI Daniela R. - Consigliere - Dott. SERRAO Eugenia - Rel. Consigliere - Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA sui ricorsi proposti da:

V.J.H., nato il (OMISSIS);

G.B., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/04/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Serrao Eugenia;

udito il Sostituto Procuratore generale Dott. Tocci Stefano che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l'Avv. TREGGI MARCO in difesa delle parti civili T.Q., T.J.C., T.E., T.D., T.I., T.V., T.L., che riportandosi alle conclusioni scritte e nota spese depositate in udienza, chiede il rigetto dei ricorsi;

udito il difensore Avv. RAIMONDO ROMANO in difesa di V.J.H., che insiste per l'accoglimento del ricorso;

uditi i difensori Avv. CARLONI RICCARDO e Avv. MARZADURI ENRICO in difesa di G.B., che chiedono l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Firenze, con la pronuncia in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Lucca nei confronti di V.J.H. e di G.B. (oltre che nei confronti del responsabile civile Azimut Benetti s.p.a., non ricorrente) in relazione al reato previsto dall'art. 589 c.p., commi 1 e 2, per avere cagionato per colpa il decesso di Th.Jo. in (OMISSIS).

2. All'imputato V.J.H. era contestato di avere cagionato, in qualità di comandante dell'imbarcazione

"(OMISSIS)", la morte di un membro dell'equipaggio che, mentre eseguiva lavori di manutenzione

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dell'imbarcazione, che si trovava a secco, era precipitato a terra dalla prua della nave; in particolare, di aver dato disposizioni ai membri dell'equipaggio circa le opere di manutenzione da svolgere sull'imbarcazione senza adottare alcuna precauzione, in violazione del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 16 e del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 8 e 27, atta ad impedire la caduta dall'alto dell'equipaggio, che si trovava a prua della nave a sette metri da terra, trascurando che il ponteggio fosse stato montato a cm. 60 dal bordo destro del ponte di prua della nave, che nessuna protezione laterale fosse presente sul bordo destro del ponte di prua, che la situazione di pericolo non era segnalata e che la presenza di teli di nylon, apposti per evitare la dispersione di gas e vapori durante le operazioni di verniciatura, occultasse la situazione di pericolo conseguente alla distanza del ponteggio ed all'assenza di protezione laterale.

3. All'imputato G.B. era contestato di avere cagionato, quale coordinatore dei lavori di allestimento e responsabile dell'ufficio esercizio nave per conto della Azimut Benetti s.p.a., la morte del marinaio per non aver promosso, in violazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7, comma 3, e art. 89, comma 2 lett. b), la cooperazione ed il coordinamento delle misure di prevenzione e protezione dai rischi presenti nell'ambiente di lavoro, pur in presenza di lavoratori di diverse imprese che contemporaneamente prestavano attività lavorativa; in particolare, in violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 e 23, e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, comma 3, per aver consentito il montaggio del ponteggio in mancanza di un progetto, per non essersi avveduto della situazione di rischio determinata dall'errato montaggio del ponteggio, dall'assenza di protezioni lungo il bordo destro del ponte di prua della nave tali da impedire la caduta dall'alto dei lavoratori e dalla presenza di teli di nylon che rendevano non percepibile la situazione di pericolo di caduta dall'alto.

4. I giudici di merito, con pronunce conformi, hanno ricostruito il fatto come segue: dal mese di (OMISSIS) lo yacht "(OMISSIS)" si trovava nel cantiere consortile (OMISSIS) e l'impresa costruttrice Azimut Benetti s.p.a., che agiva quale appaltatrice dell'armatore, vi stava eseguendo lavori di allestimento unitamente a varie imprese subappaltatrici; nel momento dell'infortunio erano in corso lavori di verniciatura, affidati alla subappaltatrice Storm Ltd., e di carpenteria meccanica, affidati alla subappaltatrice Lottini s.r.l.; nei documenti di sicurezza redatti dall'appaltatrice Azimut Benetti e nel piano di coordinamento erano compresi anche tali lavori; durante i lavori, parte dell'equipaggio era rimasto a bordo e si occupava di attività di ordinaria manutenzione, tra l'altro rimuovendo tutti gli acciai, ivi compresi candelieri, corrimano e battagliola; il marinaio Th. stava apponendo, per ordine del superiore, ufficiale S.D., del nastro biadesivo per sistemare i teli di cellophane in precedenza applicati a protezione dell'imbarcazione in quanto in quel momento due operai della Lottini s.r.l. stavano eseguendo lavori di molatura della vetroresina, producendo polvere che entrava copiosamente nelle cabine; mentre eseguiva il lavoro, il marinaio era caduto nello spazio lasciato libero dal ponteggio, realizzato in quel punto ad una certa distanza dallo scafo, in un varco non facilmente percepibile anche per la presenza di teli antistatici completamente bianchi che avvolgevano l'imbarcazione impedendo una corretta percezione degli spazi.

5. V.J.H. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) mancanza e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in relazione all'art. 589 c.p., D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16, D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 8 e 27. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia travisato la prova testimoniale, dalla quale era emerso solo quale fosse la prassi seguita in cantieri simili, affermando che i pochi marinai rimasti a bordo della (OMISSIS) effettuavano lavori di manutenzione alla stregua delle altre imprese. Invece i testimoni avevano tutti negato che i marinai eseguissero lavori di manutenzione, affermando che custodivano la barca, si occupavano di pulire gli interni e le cabine e di andare al supermercato a fare la cambusa; la rimozione degli oggetti d'ingombro era compito dei verniciatori; alla battagliola era stata impropriamente attribuita funzione di protezione anticaduta dall'alto, laddove tale funzione è pacificamente svolta dal ponteggio e dalle sue protezioni laterali, tanto da dover essere costruito a distanza non superiore a 20 centimetri dal filo della costruzione, palazzo o imbarcazione, alla quale afferisce. Non dovendo i marinai eseguire alcun lavoro di manutenzione all'esterno dell'imbarcazione, deve essere escluso che il Comandante dovesse garantire la sicurezza e la regolarità del montaggio del ponteggio. Al momento dell'infortunio il marinaio Th. stava svolgendo un compito di pertinenza esclusiva dei verniciatori, del tutto estraneo alle sue incombenze, per cui la conclusione alla quale sono pervenuti i giudici di merito contrasta con la totale assenza di interferenza dell'equipaggio con l'attività in corso da parte delle varie imprese, nè era emerso che la rimozione della battagliola avesse aggravato il pericolo e chi avesse effettuato tale rimozione;

b) erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla posizione di garanzia del Comandante. Il ricorrente ritiene che il contenuto della posizione di garanzia del datore di lavoro sia stato indebitamente ampliato fino a renderlo del tutto astratto e privo di significato, posto che l'obbligo di garanzia del comandante si sarebbe dovuto ritenere esaurito nella scelta delle imprese adatte e preparate e nell'affidamento dell'imbarcazione ad un cantiere specializzato tra i più rinomati del mondo, i cui responsabili avevano controllato il ponteggio senza avvedersi di alcuna irregolarità; nè il ricorrente avrebbe potuto prevedere che i verniciatori avrebbero occultato con teli bianchi di plastica la presenza di quel piccolo varco lasciato dai ponteggiatori;

c) violazione dell'art. 321 cod. nav., e contraddittorietà della motivazione per quanto riguarda la

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qualifica di comandante e l'assunzione della posizione di garanzia nei confronti dell'equipaggio. Il ricorrente si era allontanato dall'Italia il (OMISSIS), per cui a norma dell'art. 321 cod. nav., vi era stato l'automatico passaggio delle funzioni di Comandante al primo ufficiale di macchina S.D.; nel considerare che la posizione di garanzia permanesse in capo al Comandante V., i giudici di merito hanno violato tale norma. Sia nel momento in cui sono stati montati i teli bianchi, sia nel momento in cui è stato impartito l'ordine al marinaio le funzioni di comandante erano esercitate dal Duncan. 6. G.B.

ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. La Corte territoriale ha rigettato tale istanza con motivazione assolutamente insufficiente, non fornendo alcuna spiegazione in merito ai dubbi sollevati dal medico legale in ordine al fatto che fosse incomprensibile come una persona alta circa due metri e del peso di quasi cento chili potesse essere caduta di testa in uno spazio di cm. 60 senza riportare alcuna escoriazione; b) vizio di motivazione in ordine alla corretta individuazione delle posizioni di garanzia e violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7. Il ricorrente contesta che su di lui incombesse l'obbligo di promuovere il coordinamento, posto che tale compito spetta in base al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 3, al datore di lavoro committente, ossia alla società armatrice Romanza Corporation, che aveva acquistato l'imbarcazione nel (OMISSIS). La Azimut Benetti, datrice di lavoro del ricorrente, era la società appaltatrice, i lavori non si svolgevano presso il cantiere di tale società, l'infortunio ha riguardato un membro dell'equipaggio della (OMISSIS), l'ordine di asportare il parapetto in acciaio era stato dato dal Comandante della (OMISSIS). Sul ricorrente incombeva l'obbligo di cooperare per il coordinamento, mentre la Corte di Appello ha desunto l'obbligo di coordinare gli interventi di protezione antinfortunistica ed eliminare i rischi dovuti alle interferenze a carico del G. su base fattuale, trascurando che l'infortunio non ha riguardato un'impresa subappaltatrice ma un lavoratore dell'impresa committente. La sentenza è contraddittoria perchè, pur non contestando che la società armatrice fosse la committente, ha tuttavia attribuito a G. l'obbligo di promuovere il coordinamento. La Corte di Appello ha attribuito rilevanza al documento sulla sicurezza redatto da Azimut ai sensi del D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 272, art. 38, trascurando che si tratta di documento redatto quando la nave era ormeggiata e che tale normativa è stata dichiarata inapplicabile nel caso concreto, essendo la nave tirata a secco, proprio dal giudice di primo grado. Affermando che la valutazione dei rischi era comunque imposta dal D.Lgs. n. 626 del 1994, la Corte di Appello ha trascurato che, nel caso concreto, l'infortunio sia stato causato dall'ordine di rimozione del parapetto dato dal comandante al suo equipaggio, piuttosto che dall'omessa valutazione dei rischi. Nè incombeva sul ricorrente alcun dovere di coordinamento dei marinai, dipendenti del datore di lavoro committente;

c) mancanza di motivazione per omessa valutazione delle dichiarazioni testimoniali che attestavano che il ricorrente avesse esercitato i suoi poteri-doveri di controllo tramite l'intervento dell'ing. M. e della dott.ssa L., quotidianamente presenti in cantiere anche al fine di verificare la qualità dei lavori;

d) mancanza di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 516 c.p.p.: la Corte di Appello ha dichiarato palesemente infondata l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado laddove aveva attribuito al ricorrente la violazione del dovere di cooperare al coordinamento ai sensi del D.Lgs n. 626 del 1994, art. 7, comma 2, a fronte della contestata violazione dell'obbligo di promuovere il coordinamento ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 3, ma non ha indicato le ragioni del diniego;

e) mancanza di motivazione per avere la Corte di Appello trascurato la tesi difensiva in ordine all'applicabilità al caso in esame della normativa di cui al D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 271, che aveva il compito di adeguare la normativa vigente dettata dal D.Lgs. n. 626 del 1994 alle particolari esigenze dei servizi espletati sulle navi e che poneva a carico dell'armatore l'obbligo di promuovere la cooperazione ed il coordinamento in relazione ai rischi specifici ed interferenziali previsti dal D.Lgs. n.

626 del 1994, art. 10, comma 2.

7. All'odierna udienza il difensore della parte civile ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Motivi della decisione

Le posizioni di garanzia 1. L'esame dei motivi di ricorso non può prescindere da un preliminare inquadramento normativo delle posizioni di garanzia dei due ricorrenti come strutturate nel capo d'imputazione e nelle sentenze di merito. Si tratta, infatti, di posizioni di garanzia che traggono origine da fonti normative distinte e che delineano distinte aree di rischio della cui gestione ciascuno degli imputati è stato ritenuto responsabile.

1.1. Con riguardo a V.J.H., la posizione di garanzia si è individuata nella qualifica di datore di lavoro pacificamente rivestita dall'imputato nei confronti del lavoratore deceduto; in tale veste, si è ritenuto che su tale soggetto incombesse l'obbligo di gestire il rischio di caduta dall'alto dei membri dell'equipaggio, tanto in applicazione delle generali norme cautelari dettate dal D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 8 e 27, quanto in osservanza della specifica regola cautelare dettata con riferimento all'idoneità dei ponteggi dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16, data la condizione di fatto in cui nel caso concreto si

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svolgevano le attività a bordo dell'imbarcazione per la contemporanea presenza di attività di cantiere.

1.2. Con riguardo a G.B., la posizione di garanzia non poteva che sorgere dalla natura interferenziale del rischio la cui concretizzazione ha determinato l'infortunio, posto che non sussistevano fonti di natura contrattuale che dessero origine ad obblighi di protezione o di controllo a carico di tale imputato nei confronti del lavoratore infortunato.

1.3. Giova sottolineare che sotto la vigenza del D.Lgs. n. 626 del 1994, in caso di contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione, l'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi - denominato come piano di sicurezza e coordinamento - era posto in capo a tutti i datori di lavoro;

quindi, sia al datore di lavoro committente che ai datori di lavoro delle imprese appaltatrici (la Corte di Cassazione ha chiarito che, solo a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 art. 26, l'omessa valutazione del rischio interferenziale è divenuto reato proprio del committente e non può pertanto più essere imputata anche al datore di lavoro appaltatore, Sez. 3, n. 2285 del 14/11/2012, dep. 2013, Formentini, Rv. 254836). Il presupposto dell'obbligo di neutralizzare i rischi interferenziali in caso di appalto cosiddetto endoaziendale si rinviene nel D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 3, e riguarda tutte le attività che si svolgono all'interno di una singola unità produttiva (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 1), indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro ovvero i lavoratori dipendenti del committente. Si tratta di una regola evidentemente finalizzata ad individuare i titolari della posizione di garanzia in relazione ai rischi da interferenze in coloro che hanno una posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nell'unità produttiva di più imprese.

1.4. Correlato alle suesposte previsioni normative è l'obbligo del giudice di merito di chiarire, preliminarmente, se una determinata attività abbia dato luogo ad un rischio interferenziale. Si tratta, in altre parole, di analizzare se sussista il rischio derivante dalla convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di un'opera unitaria (nel caso concreto, lavori di allestimento dell'imbarcazione) (Sez. 4, n. 14167 del 12/03/2015, Marzano, Rv. 263150).

Il rischio interferenziale 2. Il tema rileva nel contesto spaziale e lavorativo in cui si è verificato l'evento in occasione della convergenza delle attività di lavoratori dipendenti dal committente e dalle imprese subappaltatrici, coordinate dall'appaltatore Azimut Benetti s.p.a., avendo i giudici di merito descritto la situazione di rischio dalla quale si è originato l'evento come effetto dell'erroneo posizionamento del ponteggio, realizzato da un subappaltatore, dell'imbracatura del natante con teli protettivi, posta in essere da altro subappaltatore, e della rimozione della battagliola, funzionale a proteggere le parti metalliche dalle operazioni di verniciatura e posta in essere dai membri dell'equipaggio.

2.1. L'interpretazione del concetto di "interferenza", da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 (ora D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 1, lett. a) e b) e comma 3, con riferimento alla posizione del committente, e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2 lett. a) e b), con riferimento alla posizione dell'appaltatore e del subappaltatore), non viene definita dal testo normativo, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n. 3 del 2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come "circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti".

2.2. Gli obblighi di cui al richiamato D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i beneficiari della tutela che deriva dai rapporti ai quali fa riferimento l'intero D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. In particolare, la ratio della norma di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 è quella di far sì che il datore di lavoro organizzi la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa. Se questa è la ratio, ciò che rileva ai fini della normativa di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, non è solo la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, ma soprattutto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte e per i terzi estranei ai suddetti rapporti che si trovino ad operare nel cantiere. Quindi, anche se si accetta l'interpretazione del concetto di interferenza offertaci dalla richiamata Determinazione n. 3 del 2008, al fine di individuare i confini della stessa occorre far riferimento alla suindicata ratio per comprendere quando l'interferenza sia rilevante anche ai fini della qualificazione giuridica del fatto. Non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni; l'elemento rilevante è, in tal caso, il potere di interferenza dell'appaltatore (Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini, Rv. 264957; Sez. 4,

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n. 36398 del 23/05/2013, Mungiguerra, in motivazione).

2.3. Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 sui datori di lavoro così individuati rappresentano la cifra della n loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro ‘responsabilità. L'assolvimento di tali obblighi risponde, infatti, all'esigenza, avvertita come primaria dal legislatore comunitario, al quale si ispira l'attuale normativa antinfortunistica, di gestire preventivamente tale categoria di rischio.

I motivi di ricorso di V.J.H. 3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, fondandosi su una lettura parcellizzata della sentenza di merito, in cui, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, si sono riportate chiaramente le deposizioni testimoniali concernenti le attività svolte in concreto dall'equipaggio (pag. 9). Risulta dirimente la circostanza, data per pacifica nel ricorso, che i tre marinai presenti a bordo si occupassero della pulizia delle cabine: esattamente su tale presupposto si fonda quanto accertato dai giudici di merito laddove hanno ritenuto, con motivazione ineccepibile, che fosse del tutto naturale che i marinai addetti alla pulizia dell'imbarcazione dovessero proteggere gli interni dalla polvere provocata dalle lavorazioni, particolarmente copiosa il giorno dell'infortunio in concomitanza con le attività di molatura della vetroresina, e che a tal fine andassero ad aggiustare i teli in precedenza apposti dagli operai addetti alla verniciatura (pag. 10). Tanto al fine di chiarire la pertinenza dell'attività svolta dalla vittima rispetto alle sue ordinarie mansioni.

Destituito di fondamento, proprio in relazione alla indiscussa libertà lasciata ai membri dell'equipaggio di percorrere i bordi del ponte di prua, anche al fine di curare la pulizia dell'imbarcazione, è l'assunto per cui sul Comandante non incombesse alcun obbligo impeditivo dell'evento, sul presupposto che la funzione della battagliola non fosse quella di prevenire le cadute dall'alto e che la regolarità del ponteggio non rientrasse nei suoi obblighi di controllo. Si tratta di considerazioni in fatto tendenti ad una nuova lettura delle emergenze istruttorie, contrastante con quanto congruamente illustrato dai giudici di merito a proposito dell'obbligo gravante sul comandante, in qualità di datore di lavoro dei membri dell'equipaggio rimasti in servizio, di garantire la sicurezza del luogo di lavoro, rappresentato dall'imbarcazione, mettendo in sicurezza i passaggi laterali del ponte.

L'argomento secondo il quale non vi fosse interferenza dell'equipaggio con le attività delle varie imprese che lavoravano all'allestimento del natante, risulta inconferente, alla luce di quanto chiarito circa le distinte fonti della posizione di garanzia dei due imputati, in relazione all'imputato V., posto che su tale imputato gravavano obblighi di protezione la cui fonte era il diretto rapporto di lavoro con l'infortunato.

3.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

La posizione di garanzia del comandante è stata correttamente ritenuta operante in virtù del fatto che vi fossero taluni membri dell'equipaggio che prestavano servizio a bordo dell'imbarcazione.

Quest'ultima, quale luogo di lavoro, costituiva l'ambito spaziale entro il quale il datore di lavoro era tenuto a garantire i lavoratori dal rischio di cadute dall'alto; rischio attivato, principalmente, dall'erronea installazione del ponteggio a distanza superiore a cm. 20 dal filo del natante e dall'apposizione di teli che falsavano la percezione dell'insidia e solo aggravato dalla rimozione della battagliola.

La Corte territoriale, con specifica replica alla tesi difensiva secondo la quale il comandante facesse affidamento sulle competenze tecniche delle imprese che operavano nel cantiere, ha evidenziato (pag.

13) l'esigibilità di una condotta alternativa da parte del datore di lavoro della vittima, correlata alla possibilità di percepire la presenza del varco, prevedere il pericolo ed apporre barriere idonee ovvero vietare tassativamente l'accesso a quella zona del ponte di prua. Con motivazione coerente con il criterio interpretativo più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il principio dell'affidamento trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale il soggetto garante del rischio è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purchè questo rientri nel limite della

"ragionevole" prevedibilità in base alle circostanze del caso concreto (Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Schettino, Rv. 27078001; Sez. 4, n. 46741 del 08/10/2009, Minunno, Rv. 24566301).

3.2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Si sostiene che, non essendo l'imputato in servizio alla data dell'infortunio, il passaggio di consegne all'ufficiale in servizio a quella data avrebbe escluso la posizione di garanzia del V.. Nella sentenza tale questione è stata espressamente affrontata, e risolta (pag.13), attribuendo rilievo causale alla condotta omissiva posta in essere dall'imputato allorchè rivestiva la posizione di garanzia, non potendosi escludere il nesso causale per la presenza di altri garanti.

E' necessario, qui, chiarire che la questione concerne il profilo causale dell'addebito di responsabilità secondo la clausola di equivalenza prevista dall'art. 40 c.p., comma 2; in altre parole, la questione se all'omissione addebitata all'imputato potesse collegarsi l'evento della perdita della vita della vittima. In tal senso, può ascriversi efficienza causale all'essere rimasto inerte, o all'aver agito altrimenti, laddove si sarebbe dovuto agire in modo da impedire che il marinaio precipitasse nel varco, addebitandosi al ricorrente di non aver contrastato adeguatamente fattori di rischio già presenti nella situazione

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esistente o di non averli contrastati con i provvedimenti adeguati richiesti dal caso. Si tratta, sotto il profilo funzionale, della categoria degli obblighi di controllo, che impone di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto. Il più delle volte questi obblighi di controllo sono ricollegati all'esistenza di un "potere di organizzazione o di disposizione relativo a cose o situazioni potenzialmente pericolose".

Ma la Corte di Cassazione ha già avuto occasione di chiarire che non è condivisibile l'affermazione che il garante, perchè risponda dell'evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi dell'evento, essendo richiesto all'agente che ponga in essere solo quelli da lui esigibili; la posizione di garanzia richiede l'esistenza dei poteri impeditivi che, peraltro, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi (per es. di natura sollecitatoria), e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente diretti ad impedire il verificarsi dell'evento. Del resto, nella gran parte dei casi i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di tutti i poteri impeditivi che invece, di volta in volta, si modulano sulle situazioni concrete. Saranno proprio le situazioni concrete a determinare l'ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante e questi poteri impeditivi possono essere limitati ad un mero obbligo di attivarsi. Insomma, all'obbligo giuridico di impedire l'evento deve accompagnarsi l'esistenza di poteri fattuali che consentano all'agente di porre in essere, almeno in parte, meccanismi idonei ad evitare il verificarsi dell'evento. In conclusione: l'agente non può rispondere del verificarsi dell'evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non disponga della possibilità di influenzare il corso degli eventi.

Per converso, chi ha questa possibilità non risponde se non ha un obbligo giuridico di intervenire per operare la modifica del decorso degli avvenimenti (Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, Catalano, in motivazione).

Vale la pena di ricordare che nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è stato già affermato il principio, che attiene alla cosiddetta causalità additiva o cumulativa, secondo il quale il nesso di causalità tra la condotta omissiva del titolare di una posizione di garanzia e l'evento non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi in tale ipotesi un concorso di cause ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 1 (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 26373301; Sez. 4, n. 1194 del 15/11/2013, dep. 2014, Braidotti, Rv. 25823201; Sez. 4, n. 43078 del 28/04/2005, Poli, Rv.

23241601). La sussistenza del nesso di causalità, quando si tratta di omissioni, viene infatti di regola affermata o esclusa con ragionamento di deduzione logica di natura controfattuale, in base al quale deve verificarsi se, considerate tutte le circostanze del caso concreto, il comportamento alternativo corretto avrebbe evitato l'evento e se fossero o meno ravvisabili processi causali anomali o eccezionali.

Nel caso concreto, in linea con il criterio probabilistico che assiste il procedimento logico controfattuale, i giudici di merito hanno valutato che, ove l'imputato avesse fatto apporre barriere idonee ovvero avesse tassativamente vietato l'accesso alla zona ove era presente il varco tra il bordo della prua ed il ponteggio, avrebbe con ragionevole probabilità impedito l'evento. Si tratta di giudizio che considera il succedersi di garanti alla stregua di una successione di aree di garanzia, per cui solo un errore nuovo, idoneo ad aprire nuovi scenari, nuove aree di rischio rispetto a quella innescata nello scenario di rischio in cui operava il primo garante, potrebbe sollevare dubbi sull'esistenza di un nesso di causa tra l'omissione del primo garante e l'evento. Errore od omissione che la difesa non ha sottoposto all'esame dei giudici di merito nel presente processo, posto che la condotta posta in essere dall'ufficiale che aveva ricevuto le consegne non avrebbe comunque creato una nuova area di rischio. Al succedersi di posizioni di garanzia, non risulta, in altre parole, che si sia affiancato alcun significativo mutamento della situazione di rischio già rilevabile all'epoca in cui il Comandante V. era in servizio.

I motivi di ricorso di G.B. 4. Il primo motivo di ricorso è infondato. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art. 603 c.p.p., ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv.

25696801; Sez. 2, n. 3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 23339101) precisando, altresì, che, considerata tale natura, una motivazione specifica è richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poichè in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 24787201). Nel caso concreto, peraltro, la Corte territoriale ha espressamente spiegato le ragioni per le quali non fosse decisiva nè assolutamente necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, considerando ampiamente sufficiente per la decisione il compendio istruttorio acquisito nel giudizio di primo grado per l'impossibilità di prospettare, alla luce delle evidenze fotografiche, ipotesi alternative alla caduta della vittima all'interno del varco esistente tra il ponteggio e lo scafo.

4.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La Corte di Appello ha risposto analiticamente alla censura svolta nell'atto di appello in merito alla posizione di garanzia del ricorrente (pag. 15), correlando tale posizione al rischio interferenziale creato dalla coesistenza di diverse lavorazioni svolte da diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera e rimarcando come la responsabilità del

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comandante (che, si deve ricordare, è stata affermata nella sua veste di datore di lavoro) non escludesse quella dell'appaltatore, chiamato ad organizzare ed a gestire il cantiere. Si richiama, sul punto, quanto già esposto al par. 2, ribadendo che la gestione del rischio interferenziale ha la finalità di proteggere tutti coloro che si trovano ad operare nel cantiere, ancorchè non legati da un rapporto contrattuale al garante del rischio.

4.2. Il terzo ed il quinto motivo di ricorso sono inammissibili in quanto generici. Le censure risultano del tutto avulse dal tenore del provvedimento impugnato, in cui si è chiarito che l'attribuzione di responsabilità al G. espressamente prevista nella sezione del piano di coordinamento contenente l'organigramma dei dirigenti Azimut Benetti dimostrava che l'eventuale intervento di altri tecnici Azimut Benetti s.p.a. non avrebbe escluso, in ogni caso, il potere direttivo e la correlata responsabilità del ricorrente (pag. 14), e si è escluso che le questioni in punto di responsabilità dell'armatore valessero ad èlidere la responsabilità dell'appaltatore tenuto a coordinare i lavori all'interno di un cantiere navale (pag. 16). I motivi del ricorso, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.) debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta; confronto qui del tutto mancante.

4.3. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Non sussiste violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., che impongono al pubblico ministero di modificare l'imputazione e procedere alla relativa contestazione, a pena di nullità della sentenza, ove nel corso dell'istruzione dibattimentale il fatto risulti diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio. La Corte territoriale ha, infatti, evidenziato la piena coerenza della decisione con l'enunciazione in fatto contenuta nel capo d'imputazione; coerenza resa evidente dal richiamo al piano di coordinamento a firma dell'imputato G. acquisito agli atti del processo. I giudici di merito hanno correttamente applicato il principio interpretativo secondo il quale, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez.

4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 26016101).

5. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono essere rigettati; segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite in questo giudizio di legittimità, rappresentate dall'avv.to Marco Treggi, che liquida in complessivi Euro 7.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018

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