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LETTERA AD UN FIGLIO

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Academic year: 2022

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LETTERA AD UN FIGLIO

Non è grave cadere. E non c'é da vergognarsene. A tutti, nella vita, càpita di cadere. Ciò che è grave,e di cui ci si deve vergognare, è di non trovare né la volontà né la forza di rialzarsi ogni volta.

Caro figlio,

credo di doverti sùbito una spiegazione. Credo di doverti spiegare cioè perché, anziché parlarti di persona, faccia a faccia, ti scrivo una lettera.

Lo faccio per, se vuoi chiamarlo così e se tale ti sembra, un “atto di superbia”. Perché cioè spero e credo che quello che cercherò di spiegarti possa un giorno interessare anche altri che si trovano o si sono trovati nella nostra stessa situazione. La mia, è quella di chi sente la necessità di “giustificare” ciò che è stato e, soprattutto, perché lo è stato; la tua, è quella di capire cose, persone ed avvenimenti che sono entrati, in un modo o nell’altro, a far parte della tua vita personale. Perché la Storia non è né una materia scolastica (o non è SOLO una materia scolastica) né una parola scritta priva di implicazioni concreti e di riflessi che puoi avvertire nella stessa vita quotidiana., compresa la tua.

Ho saputo, non chiedermi come o da chi, che alcuni tuoi amici, durante un diverbio per banalissimi motivi, hanno cercato di offenderti accusandoti di essere “figlio di un terrorista”.

E che, quella che per loro voleva essere un’ingiuria, un’ingiuria infamante, ti ha colpito profondamente.

Suscitando in te interrogativi che prima d’ora non ti eri mai posto, anche perché ne ignoravi persino l’esistenza.

Concedimi allora spiegarti un po’ di cose che ancòra ignori. E che comunque, se non comprenderai sùbito, capirai con il tempo.

In fondo, è questo il ruolo di un padre, un ruolo che ha molti punti in comune con quello di un Rivoluzionario: seminare germogli di coscienza oggi affinché essi possano generare frutti abbondanti domani. Sta a te, ovviamente, decidere se essere o meno un frutto domani…

Ma iniziamo dalla stessa categoria di “terrorismo”: se per alcuni di tuoi amici, tuo padre è stato un “terrorista”, dovrai pur sapere di che cosa lo si accusa.

La prima definizione di questo termine che puoi trovare in un dizionario é quella che ne sottolinea l'origine storica: “il governo dl Terrore in Francia”. Il Terrorismo é il periodo della Rivoluzione francese che va dall'aprile del 1793 al luglio del 1974. In questi anni, infatti, il Comitato di salute pubblica guidato da Robespierre e da Saint- Just ordinò e fece eseguire, tramite ghigliottina, un alto numero di esecuzioni capitali (si parla di circa 4mila) nei confronti di coloro che erano state giudicate o venivano considerate una minaccia per la sicurezza dello Stato in formazione dopo la caduta della Monarchia. Muovendo da questa definizione, se vuoi “ristretta”, storica, il dizionario arriva, per estensione, ad una definizione più generale: il Terrorismo, e

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cioé una particolare politica del nascente Stato borghese, é designato come “ogni metodo di governo fondato sul terrore”.

Questa definizione, figlio mio, ha un indiscutibile pregio: quello di sottolineare lo stretto legame che intercorre fra terrorismo e Stato. Il terrorismo é nato con lo Stato ed é esercitato dallo Stato, essendo un particolare “modo di governare” espresso nei confronti dei nemici di quest'ultimo allo scopo di assicurarne la conservazione.

Il terrorismo é dunque nato come strumento ad un tempo istituzionale ed indiscriminato.

Da una parte, perché si configura come una politica violenta messa in atto dallo Stato;

dall'altra, per il fatto che essa si esercita in modo cieco, indiscriminato.

Indistintamente nei confronti dei “colpevoli” e degli “innocenti”.

Il linguaggio, però, come dovresti sapere, non é affatto neutro. Ed il significato delle parole si modifica con il passare del tempo. Così oggi, con questo termine, che nel frattempo ha perso completamente la sua dimensione storica, si tende ad indicare un

“metodo di lotta politica basato su violenze intimidatorie (uccisioni, attentati in generale e dinamitardi in particolare, ecc.) adottato da singoli individui, gruppi rivoluzionari o comunque sovversivi, siano essi di destra oppure di sinistra”.

Come puoi vedere, questa nuova interpretazione, che ha iniziato a diffondersi fin dall'Ottocento, si differenzia sostanzialmente da quella su cui mi sono soffermato all'inizio. Infatti nell'accezione originaria della parola, è lo Stato a ricorrere al terrorismo per eliminare, reprimere, neutralizzare, intimidire i propri nemici; nella più recente, invece, sono gli stessi nemici dello Stato a ricorrere al terrorismo per combattere lo Stato.

Una vera e propria inversione di significato, come ti sarà facile riconoscere. Una mistificazione ideologica e propagandistica le cui modalità sono, in fondo, relativamente semplici. Il Terrore in Francia sul finire del XVIII secolo fu opera di uno Stato nato durante una Rivoluzione. Per giustificare il significato attuale della parola terrorismo, l'ideologia dominante - che é poi, detto per inciso, l'ideologia della stessa classe che arrivò al potere con la Rivoluzione francese – non ha fatto altro che scambiare i soggetti, attribuendo alla Rivoluzione, intesa come lotta contro lo Stato, la responsabilità di una politica che, in realtà, é stata per così dire “inventata” e messa in pratica, proprio dallo Stato nei confronti dei suoi nemici. Da qui, fra l'altro, figlio mio, il gioco di prestigio di far apparire vittima il carnefice, criminale chi lotta contro il crimine istituzionalizzato. Di trasformare chi fa della violenza un mezzo limitato nel tempo ed eccezionale in chi se ne serve da sempre e sistematicamente! Tutto ciò benché non si possa attribuire il Terrore alla Rivoluzione, ai “sovversivi”, dal momento che, come ho cercato fin qui di dimostrarti, il Terrore fa la sua comparsa solo allorquando la Rivoluzione (borghese) si é fatta Stato. Prima del 17 aprile 1793, la violenza esercitata contro il Potere, anche quella che aveva assunto le forme più

“crude” e sanguinose, non aveva mai assunto, non era mai stata definita e/o considerata Terrorismo!

Sempre nei dizionari, troverai comunque un'altra definizione di terrorismo. Non una definizione diversa, a dire il vero, bensì la stessa definizione, mistificata ed ideologica, oltre che più recente, di Terrorismo, espressa in forma giuridica.

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Se consulti l'autorevole enciclopedia Treccani, figlio mio, trovi questa definizione della parola “Terrorismo”: “L'uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e destabilizzante o restaurarne l'ordine, mediante azioni quali rapimenti, dirottamenti di aerei e simili”.

Se invece vuoi ripercorrere rapidamente la storia delle definizioni entro i confini del diritto internazionale, scopri che una definizione esplicita di “chi é terrorista” è sempre stata alquanto vaga e generica. L'ultima Risoluzione ONU (dell'8 ottobre 2004), la n.1566, approvata dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 a New York, recita così. “(...) gli atti criminali, particolarmente quelli diretti contro i civili con l'intenzione di causare la morte o gravi ferite, la presa di ostaggi con lo scopo di seminare terrore fra la popolazione, gruppi di persone o privati cittadini, intimidire una popolazione o costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere un'azione o astenersi dal farlo, e che, come tali, sono stabiliti e stipulati come infrazioni nei protocolli e nelle convenzioni internazionali relativi al terrorismo”.

In sostanza, sfrondata dal burocratese e dagli orpelli retorici, é da considerarsi

“terrorismo” qualsiasi atto criminale che miri a colpire i civili, e cioè coloro che non devono essere aggrediti perché non sono “responsabili”, perché sono “innocenti”.

Se mi stai nonostante tutto seguendo, figlio mio, vorrei fermarmi qui per un attimo. E richiamare la tua attenzione proprio su questa parte della definizione ufficiale, formale, istituzionale di terrorismo: commettere un atto di terrorismo vuol dire, in sostanza, colpire i civili, la gente qualunque, quelli che non c'entrano perché, non disponendo del Potere, non sono responsabili di ciò che esso fa (o non fa).

Per i tuoi amici, sicuramente influenzati dai loro genitori “benpensanti” (che, a loro volta, si illudono di esprimersi liberamente, senza cioè essere condizionati dai mass- media e dai pregiudizi di un'opinione pubblica conformista), tuo padre sarebbe stato

“un terrorista”, uno che “se la prendeva” con gli innocenti, con chi non aveva nessuna responsabilità, se non quella di vivere in un certo Paese in un certo periodo storico.

Quest'accusa, figlio mio, é assolutamente falsa, è assolutamente priva di fondamento non solo storico, ma soprattutto concreto, reale!

Al di là delle diverse sedi, cioè delle diverse Risoluzioni e Dichiarazioni, nonché delle diverse legislazioni (leggi nazionali), in sostanza il Terrorismo si configura come il reato commesso da chi usa la violenza contro degli innocenti. Colpire gli innocenti costituisce cioè la caratteristica essenziale del Terrorismo, tanto da un punto di vista concettuale quanto da un punto di vista morale.

Ebbene, per quasi vent'anni, quelli che come me vengono definiti e considerati

“terroristi”, quelli cioè che, nella seconda metà degli anni Settanta del secolo alle nostre spalle hanno praticato la lotta armata progettando e portando a termine attentati dimostrativi, mortali e ferimenti contro obiettivi statali, governativi, politici, militari, sia nazionali che internazionali (NATO), oppure legati, direttamente o indirettamente, alle imprese ed all'economia capitalista, si sono sempre rifiutati e si sono sempre astenuti dall'utilizzare strumenti offensivi, quali ad esempio gli esplosivi, che rischiassero anche solo ipoteticamente di “colpire nel mucchio”, di ferire o colpire anche solo indirettamente i civili, la “gente comune”. Quella che

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l'opinione pubblica democratica, la morale dominante considera “innocente” perché

“non responsabile” in quanto non coinvolta direttamente nel conflitto in atto.

Su questo aspetto consentimi, figlio mio, di aprire una breve parentesi. Che sarà tale, e cioè breve, solo perché ti sto scrivendo una semplice lettera. Che, per consuetudine, ha da essere breve, essenziale, aliena da approfondimenti che pure, in casi come questo, sarebbero necessari per sviscerare in modo adeguato e non superficiale un argomento in sé estremamente complesso.

La Democrazia (borghese) ama definirsi come il “governo del popolo”. Come quella forma statal-istituzionale che si differenzia dalla Monarchia assoluta, della Dittatura, dell'Oligarchia e/o dalle altre forme di governo della società per il fatto di contemplare il diritto di voto esteso a tutti i membri della società. Considerati, proprio perché membri di una Democrazia, assolutamente “liberi” e consapevoli di essere tali. In una Democrazia borghese, i cittadini, quelli cioè che possono esercitare il diritto di voto e che, per questo ragione, godono del diritto di scegliere più o meno liberamente il Governo, non sono affatto “innocenti”, nel senso di non-responsabili, anche (ma non solo) sotto il profilo morale, degli atti che il Governo in carica decide e mette in pratica.

Come ha scritto un filosofo esistenzialista, quindi tutt'altro che sovversivo, Karl Jasper, “ciascuno porta una parte di responsabilità riguardo al modo come viene governato”. Insomma, “un popolo è responsabile per la propria forma di governo”.

Alludeva a qualcosa del genere De André, un cantautore che credo tu ami quanto me, quando, in una delle sue ballate, la Canzone del Maggio, cantava così: “E se credete ora/che tutto sia come prima/perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina/convinti di allontanare/la paura di cambiare/verremo ancora alle vostre porte/e grideremo ancora più forte/per quanto voi vi crediate assolti/siete per sempre coinvolti,/per quanto voi vi crediate assolti/siete per sempre coinvolti”.

Per farla breve, “ i comuni cittadini”, la “gente comune”, il “popolo” la cui

“sovranità” é sancita dalla stessa Costituzione del nostro Paese, può e deve essere considerato “innocente” non in senso assoluto, per principio o in nome di una norma astratta, metafisica, ma solamente in quanto non direttamente belligerante. Solo sotto il profilo tattico, cioè. Essendo, per quelli che la pensano come tuo padre, la Rivoluzione un processo di guerra civile, dunque di scontro cruento ed “alla morte”

fra due parti del popolo, non fra tutto indistintamente il popolo (la popolazione) da una parte e lo Stato borghese dall'altra.

Chiudo immediatamente la parentesi che mi ero concesso. E riallaccio il filo momentaneamente interrotto di questa mia lettera .

Lo faccio ripetendoti che né io né i miei compagni di lotta, i tanto vituperati, criminalizzati, disprezzati, perseguitati, infamati (e non solo dai tuoi compagni di scuola) “terroristi”, hanno mai preso di mira gli “innocenti”: né loro né i loro beni.

Se non mi credi, puoi tranquillamente consultare i libri di Storia. Dove peraltro non troverai neppure un accenno, temo, ad un episodio, significativo e assolutamente esplicativo di ciò che ti ho appena detto, avvenuto nel corso di quello che viene considerato uno dei “crimini più efferati” e tremendi commessi alla metà degli anni

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Settanta del secolo scorso: la cattura del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

A te, ai tuoi coetanei, all'opinione pubblica in generale non è mai stato detto (e prova ad immaginarne i motivi) che vi venissero coinvolti “civili innocenti”, i militanti che realizzarono quell'operazione forarono gli pneumatici del furgoncino del fioraio che abitualmente stazionava in prossimità del luogo in cui era stato previsto l'attacco alla scorta militare di Moro. E ciò proprio allo scopo di evitare a qualunque costo che un

“civile innocente” potesse figurare fra i cosiddetti “danni collaterali”, fra le “vittime innocenti”.

Piuttosto, il Terrorismo, come ho cercato di dimostrarti esaminando l'origine storica del termine, non solo è nato ma ha continuato e continua ad esprimersi come pura (nel senso di libera da condizionamenti giuridici e morali, essendo tanto il Diritto quanto la Morale semplici sovrastrutture funzionali dell'organismo statale che le ha espresse e, per così dire, forgiate e sussunte) violenza cieca dello Stato.

Detto altrimenti, il Terrorismo é uno strumento istituzionale ed indiscriminato.

Definizione che, soprattutto se si prendono in considerazione i due aggettivi che la qualificano, trova il suo primo immediato riscontro in uno degli aspetti del fenomeno che appare caratteristico del capitalismo: la guerra.

Considera, figlio mio, un'espressione di uso corrente: i “bombardamenti terroristici”.

Un bombardamento non solo avviene durante una guerra fra Stati o in conflitti in cui almeno uno Stato é parte diretta in causa, ma semina il terrore (e la morte) in tutta la popolazione, indiscriminatamente

Ti rimando anche in questo caso ai tuoi manuali scolastici di Storia, Ed in particolare all'esempio più drammatico e bestiale di Terrorismo di Stato che la Storia conosca:

quello dello sganciamento della bomba atomica sulle città giapponesi di Hiroshima e di Nagasaki, alle fine della Seconda Guerra Mondiale

O ai casi meno conosciuti ma altrettanto barbari dei bombardamenti “ a tappeto” sulle principali città tedesche (Dresda ed Amburgo, innanzitutto), sempre nel corso della Seconda Guerra Mondiale, condotti dall'aviazione “alleata”. Oppure, saltando un po' di decenni per esigenze di sintesi, al bombardamento dei civili irakeni nella guerra di aggressione “umanitaria” del 2003 (è significativo il nome del primo attacco aereo su Bagdad: “Shock and Awe”, vale a dire: “Colpisci e Terrorizza”). Per non parlare dei ripetuti bombardamenti dell'aviazione dell'entità sionista su Gaza...

Un elenco interminabile, in continuo criminale aggiornamento...

Un elenco che, fra l'altro, arriva ancora una volta a dimostrare che, a dispetto di quel che pensano i tuoi compagni di scuola, o meglio i loro genitori, i cosiddetti

“benpensanti” frutto inacidito e mortifero di tutte le società “a sovranità cerebrale limitata, é quella statale ad essere la forma primaria e tipica di Terrorismo, il Terrorismo per eccellenza. Perché il Terrorismo é stato e continua ad essere Terrorismo di Stato. Com'é dimostrato dalla Storia: dai regimi coloniali, dall'imperialismo, dai totalitarismi nazi-fascisti, dai conflitti inter-imperialistici, dalle dittature sudamericane, africane ed asiatiche, dall'uso della bomba atomica...

E dall'attività dei singoli Stati, in particolare dalla loro attività politica.

Prendi la stessa Italia, figlio mio.

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Hai mai sentito parlare della “politica delle bombe” messa in atto dai governi, soprattutto a guida D.C., che si sono succeduti nella cabina di regia del nostro Paese?

della strage di piazza Fontana a Milano, sul finire degli anni Sessanta del secolo passato? di quella alla stazione ferroviaria di Bologna? di quella di Brescia durante una manifestazione sindacale?

Prima di approfondire questo aspetto, consentimi però una breve digressione.

Ho appena cercato di dimostrarti che, a dispetto del senso comune e della vulgata tradizionale, solo lo Stato moderno, lo Stato capitalista, é e può essere terrorista. E ciò anche perché solo lo Stato gode del monopolio della violenza.

Max Weber, un grande intellettuale borghese che forse conoscerai dai libri di storia delle dottrine politiche, sosteneva che a caratterizzare lo Stato è “il monopolio della violenza legittima”.

Il monopolio della violenza statale della violenza è infatti il prodotto storico delle lotte di potere tra amministrazione centrale (solitamente il Signore medioevale) ed i vari istituti periferici (feudatari, corporazioni, comunità locali, ecc.). L'accentramento della forza militare in una situazione ed in un periodo storico, durato secoli, di conflitti fra poteri diversi é dovuta in primo luogo al tentativo di “razionalizzazione”, per così dire, imposto dalla continua competizione militare fra Stati europei.

E' però nel XIX secolo che lo Stato di diritto (liberale) si avvale del monopolio della violenza per garantire l'ordine costituito. In caso di resistenza illecita, lo Stato ha il diritto-dovere di imporre con mezzi coercitivi (compreso l'uso della violenza fisica contro persone e cose), il rispetto dell'ordine costituito. Questo monopolio, come ho appena avuto occasione di accennarti, deriva dal potere dello Stato sovrano all'interno del proprio territorio e sulle persone fisiche e giuridiche in esso presenti.

Lo Stato gode di questo diritto-dovere perché ha, per citare di nuovo Weber, “il monopolio della violenza legittima”..

Questa definizione appare fin da sùbito una definizione circolare: il monopolio della violenza è legittimo solo allorquando la propria violenza, in concorrenza con le altre, si è impadronita di tale monopolio. Non è dunque la legittimità a concedere il monopolio della violenza, bensì é l'acquisito monopolio della violenza a conferire legittimità a chi lo esercita.

La prima conseguenza é che chiunque (qualsiasi movimento) voglia mettere in discussione lo “stato di cose esistente”, l'ordine costituito, facendo ricorso alla violenza aperta ed organizzata deve affrontare e risolvere la questione se rispettare o meno il monopolio statale della violenza. E ciò perché, a differenza dello Stato, che non può, per definizione, non essere violento, chi vuol cambiare alla radice lo “stato di cose esistente”, si trova, sia teoricamente che in pratica, davanti ad una duplice possibilità: o ribellarsi armi alla mano violando il monopolio statale della violenza e del terrore, oppure operare solo con mezzi consentiti dallo Stato, rispettando i limiti che lo Stato ha imposto e la cui difesa legittima, in nome della tutela del “bene comune”, l'esercizio monopolistico della violenza.

A tuo padre e a quelli che fecero all'epoca le sue stesse scelte, scelte che oggi vengono giudicate “folli” e “criminali” solo perché lo Stato (borghese) ha vinto grazie proprio a quella superiorità militare che lo ha reso storicamente tale e che,

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paradossalmente per un'istituzione che si pretende fondata sul diritto, sulla democrazia anziché, come avveniva ed avviene ancora nelle teocrazie, sulla volontà e sull'approvazione di un Dio qualsiasi, lo legittima, in realtà viene “rimproverato” di aver messo in discussione il monopolio statale della violenza.

Di aver scelto cioè di “fare politica anche con le armi”, non solo con la scheda elettorale.

Hanno accusato ed accusano ancor oggi tuo padre, e quelli che hanno condiviso le sue idee e le sue scelte, non di essere stato “un terrorista” (perché, se vuoi, un padrone non può accusare un “criminale” di essere tale, se non altro per la ragione che, per dirla con un socialista utopista di un paio di secoli fa, la stessa proprietà delle condizioni di lavoro “é un furto”), bensì di aver rotto e messo in discussione il monopolio della violenza di cui gode illegittimamente lo Stato liberal-borghese.

Non sono stati infatti tuo padre ed i suoi compagni ad inventare la violenza.

La Storia, infatti, osservava un noto regista francese, Jean Renoir, “si svolge nel sangue”, “é un succedersi di assassinii”.

Prendi la stessa religione cattolica; quella che i tuoi stessi compagni di scuola che oggi ti evitano certo su istigazione dei loro genitori conformisti e “benpensanti”

professano.

La religione in generale ed il cristianesimo in particolare sono, unanimemente o quasi, considerate altrettanti esempi storici e concreti di pacifismo e di “amore per il prossimo”, dunque di non-violenza.

Ma é proprio così?

In realtà, negli ultimi tre millenni, molti sono stati spinti alla violenza proprio dalla loro religione monoteistica.

Secondo la Bibbia, il più grande testo di fantascienza e di “umorismo religioso” che la Storia conosca e che i Sionisti di ieri e di oggi considerano una sorta di mappa catastale a fini testamentari che giustificherebbe i pretesi diritti territoriali degli Ebrei sulla Palestina, alcuni ebrei corrotti da prostitute del popolo Madianita fecero sacrifici al loro dio Beelphagor. Furono per questo uccisi, ma Dio, il dio del popolo ebraico, disse a Mosé di vendicarsi e di fare guerra agli stessi Medianiti. Dopo averla vinta, Dio ordinò di uccidere tutti i prigionieri maschi, bambini compresi, di strozzare le donne che avessero già avuto rapporti sessuali e di prendersi le giovani ancora vergini (Numeri, XXXI, 17-18).

In altri libri della stessa Bibbia (ad esempio in Giudici, Re, Paralipomeni, Esther), sono elencate altre decine di migliaia di nemici e di prigionieri trucidati dagli Israeliti.

Esodo, 32:27: “Alla vista del vitello d'oro, Dio comandò ai figli di Levi: 'Ognuno di voi si metta la spada al fianco; percorrete l'accampamento da una porta all'altra di esso, e ciascuno uccida il fratello; ciascuno l'amico, ciascuno il vicino”. “In quel giorno caddero tremila uomini” e Dio ne fu compiaciuto.

Numeri, 16:27-33: “Gli uomini si dimostrarono indocili, e perciò Dio fece sì che la terra si aprisse ed inghiottisse uomini, donne e bambini”.

Nel libro della Genesi, in particolare, si può leggere che, “vedendo pertanto Iddio che grande era la malizia degli uomini sulla terra”, disse: “sterminerò di su la faccia della

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terra gli esseri da me creati, dall'uomo insino alle bestie, dai rettili sino agli uccelli dell'aria, perché mi pento di averli fatti” (Genesi, 6, 5-8).

E potrei continuare ancora a lungo in elenco impressionante di stragi, crimini, delitti, violenze ed assassinii inimmaginabile in un testo che pretende di raccogliere la volontà di un dio egocentrico, irascibile, tutt'altro che “portatore di pace”, di “amore”

e di “concordia fra gli uomini”.

Mi limito a ricordare, più che a te personalmente ai tuoi amici di educazione e di osservanza cattolica, che, all'inizio della Messa, il Sanctus ripete le parole “Sanctus Dominus Deus Sabaoth”, vale a dire “Santo Signore Dio degli Eserciti”.

E nel Nuovo Testamento non é che lo cose vadano diversamente, a dispetto del senso comune e di quel che credono di nuovo i tuoi amici.

Nel Vangelo di Matteo, il buon Gesù manda all'inferno quelli che non gli piacciono.

Per almeno sette volte invoca per loro la “geenna, dove è pianto e stridore di denti”.

Sempre all'inferno, non esita a mandarci città intere: oltre Sidone e Turo, anche Corizim, Betsaida, Cafarnao, colpevoli di non essersi convertite (Matteo 11, 20-25;

Luca 10, 15); i seminatori di zizzania (Matteo, 13, 42-50, Luca, 13,27); il commensale delle nozze che si presenta senza abito nuziale (22,13) e il servo fannullone (25-14); un altro servo che scandalizza i piccoli (18,69) e via di séguito.

Quanto al presunto e proverbiale “porgere l'altra guancia”, precetto che i genitori

“benpensanti” dei tuoi amici ed i loro simili oppongono a me e ai miei simili

“criminali e malpensanti”, Gesù Cristo dichiara: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Matteo, 12,51). E neppure le folle che lo seguivano erano poi tanto “pacifiche”: nell'orto dei Getsemani, Gesù invita i suoi: 'Chi non ha una spada, venda il suo mantello, e ne compri una'” (Matteo, 10,34, 22,36), per prepararsi ad una zuffa armata.

Zuffe armate, per usare un eufemismo, in cui si distinsero, per passare dai Vangeli alla Storia concreta, reale, gli imperatori cristiani nei secoli successivi a Costantino, che pure, come dovresti sapere grazie ai tuoi insegnanti, non era certo uno “stinco di santo”. A loro si deve infatti lo sterminio di milioni di non-cristiani. Nel 783 Carlo Magno decapitò 4mila500 Sassoni che avevano rifiutato il cristianesimo, Quasi tre milioni di musulmani furono vittima delle Crociate, mentre in Europa gli Ebrei venivano uccisi a migliaia. I Cattolici arsero vivi numerosi “eretici”: nel 1244, a Montségur, 222 catari e, nel 1278, altri duecento, ammassati nell'Arena di Verona, che all'epoca non ospitava né concerti né partite di calcio. Giordano Bruno venne bruciato vivo nel 1600 a Roma. Cristiani di nazionalità spagnola ed inglese sterminarono milioni d indigeni in America Latina ed altrove. Per non parlare dei crimini che ancor oggi si commettono in tutto il mondo, magari a danno di comunità nazionali o di osservanze religiose diverse da quelle del passato, in nome e per conto di un “dio di pace e d'amore”.

Ben più di recente, lo stesso papa Francesco, il capo-spirituale (e non solo) della Cristianità, il Rappresentante di Dio sulla terra, il Vicario di Cristo, durante il volo che, nel gennaio 2016, lo ha portato nelle Filippine, si è lasciato andare ad un'affermazione che è poco definire sconvolgente: “Se il dottor Gasbarri, mio amico caro, dice una parolaccia contro la mia mamma, si aspetti un pugno!”. Un papa che

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non solo non porge l'evangelica “altra guancia” ma che addirittura reagisce ad una forma tutto sommato lieve (perché verbale) di violenza facendo ricorso ad un'altra forma, ben più grave perché fisica (il pugno) di violenza!

Con l'Islam non si muta comunque spartito. E' noto e riconosciuto, infatti, che i Musulmani sono sorti come una nazione guerriera. Agli esordi, nel 627 d.c., il Profeta Maometto fece uccidere novecento ebrei a Medina; e, fin dagli esordi, l'Islam si espanse con azioni militari in Medio Oriente, Africa del nord, Spagna e Balcani (gli Ottomani cinsero d'assedio Vienna nel 1683). Ti risparmio, figlio mio, gli eterni conflitti fra sunniti e sciti, o, per venire all'attualità, i crimini, commessi in nome di Allah il Grande dai tagliagole del sedicente Califfato.

Come dimenticare poi certi sure del Corano?

Questi, ad esempio: Allah ama coloro che “combattono per la Sua causa” (Sura 6:13).

Chiunque combatta contro Allah o rinunci all'Islam per abbracciare un'altra religione deve essere “messo a morte o crocefisso o mani e piedi siano amputati da parti opposte” (Sura 5:34). “Assassinate gli idolatri ogni dove li troviate, prendeteli prigionieri e assediateli e attendeteli in ogni imboscata” (Sura 9:5).

Non sono stato dunque io, non sono stati dunque quelli come me, come tuo padre cioè, ad aver “inventato” la Violenza; e men che meno ad averla introdotta nei rapporti umani e nella Storia.

Tu lo sai benissimo, figlio, per esperienza personale: non pasteggio abitualmente, e non ho mai pasteggiato, bevendo litri di sangue per soddisfare la mia sete di criminale-professionale, dunque assolutamente “irredimibile”. Né, essendo comunista, fin da bambino cercavo di mangiarmi da solo se non c'era qualcun altro da mangiare, come sono persuasi facessi i genitori borghesi-benpensanti dei tuoi amici.

Quanto agli “altri” amici, quelli miei, non sono mai stati sorpresi a sparare alle cicogne o a torturare il nonno invalido...

Come già mi è capitato di accennarti, é ben altro, quello di cui siamo stati accusati non di aver, per così dire, “inventato” la Violenza, bensì di averla impiegata come strumento di lotta politica.

Non di non essere stati “pacifisti” nel senso di “nemici assoluti” della Violenza (non lo é mai stato neppure dio, come ho cercato prima di dimostrarti, figurati se potevamo esserlo noi, a detta dei preti e dei baciapile “povere Sue Creature”!), bensì di non essere stati seguaci delle teorie, dei progetti e dei programmi dei cosiddetti “riformisti pacifisti”; di quell'arcipelago variegatissimo di posizioni riconducibile, in definitiva, alla figura storica di Gandhi ed alla tendenza, altrettanto storica, del cosiddetto

“riformismo socialista”.

A questo punto, ti chiedo un supplemento di pazienza. Perché ho qualcosa, poche cose ma necessarie credimi, da dirti a questo proposito.

Gandhi. Una figura mitica, di sicuro; ed in ogni caso molto più degli “idoli” di cartapesta tuoi e dei tuoi coetanei.

Eppure, anche quella di Gandhi è una figura complessa, che andrebbe analizzata ed approfondita più di quanto non siano soliti fare abitualmente i suoi apologeti.

Poiché non ti sto facendo - e comunque non ho nessuna intenzione da farti - una lezione di Storia moderna, mi limiterò a dirti che, per quel che riguarda la sua

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biografia, ci si dimentica sempre, e non casualmente!, che c'é anche un altro Gandhi, molto diverso da quello dipinto dall'iconografia ufficiale. C'é ad esempio il Gandhi che, in una lettera a Romain Rolland del 20 dicembre 1931, si lascia andare ad un giudizio su Benito Mussolini che molti considererebbero a dir poco imbarazzante:

“Molte delle sue (del Duce del Fascismo, inciso mio) riforme mi attirano”. E di Mussolini lo impressionano, positivamente s'intende, anche “le misure per la classe contadina”, misure ispirate, a suo dire, “da un amore passionale per il suo popolo”. E se poi il Duce ricorre con troppa disinvoltura alla forza, di che ci si dovrebbe stupire, visto che “la violenza sta alla base della civiltà occidentale”? In un'altra lettera, questa del 1939, il Mahatma si rivolge ad Hitler chiamandolo “amico caro”, salvo poi cercare di convincerlo a seguire il suo stesso esempio di non-violenza non facendo appello ad irrinunciabili princìpi morali, bensì in ragione dei successi che aveva personalmente già ottenuto.

Come dimenticare poi il comportamento tenuto dal preteso e presunto Campione della non-violenza in occasione della Grande Guerra? Al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale, Gandhi è impegnato, per sua stessa entusiastica ammissione, come “reclutatore capo” di mezzo milione di indiani per l'esercito britannico. Il tutto condito con una retorica celebrazione della guerra e della violenza in virtù della loro “funzione pedagogica” . Il Mahatma ritiene infatti che la violenza, indipendentemente dagli obiettivi perseguiti, è di per se stessa sinonimo di eroismo, coraggio e virilità!

Più che dei giudizi politico-personali del leader indiano, però, mi interessa discutere brevemente, qui con te, due interpretazioni del suo ruolo storico. Due interpretazioni le quali sono poi altrettanti cavalli di battaglia che i suoi pretesi esecutori testamentari contemporanei sono soliti agitare quando polemizzano con i sostenitori di posizioni strategiche, siano esse etiche o più propriamente politiche, diverse (e dico “diverse”, non “alternative” per ragioni che comprenderai man mano che ti avventurerai in questa parte del mio scritto) dalle loro.

La prima. Per gli epigoni di Gandhi, quella del non-violenza sarebbe l'unica strategia che consente di risolvere la contraddizione che, a sentir loro, sorgerebbe inevitabilmente laddove si vuol dar vita ad una società pacifica facendo ricorso a mezzi non-pacifici. E ciò, tra l'altro, perché, a detta loro, il “fine non giustifica i mezzi”. Consentimi un brevissimo inciso: su questo punto ci sarebbe da constatare un disaccordo addirittura fra due correnti di pensiero comunemente considerate affini, vale a dire fra non-violenza e cristianesimo, tenuto conto che uno dei Padri della Chiesa, Sant'Agostino, ebbe a scrivere che il 'pacificus' (il “costruttore di pace”) non é un pacifista, ma un uomo che, senza dimenticare il fine, usa la forza per dare vita ad uno Stato di pace.

Ma proseguiamo. Che la strada della non-violenza sia l'unica a poter condurre ad una società non-violenza é solo un pregiudizio, un luogo comune ideologico. Com'é dimostrato dalla stessa esperienza storica di cui Gandhi é stato uno dei protagonisti.

Società non-violenta l'India delle caste, del ruolo subordinato della donna, della malnutrizione epidemica, delle morti per fame, delle profonde discriminazioni politico-sociali, della sanguinosa guerra con il Pakistan, della bomba atomica...?

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Un po' di pudore, se proprio non si vuole rispettare la verità storica, la testimonianza inoppugnabile dei fatti!

La seconda interpretazione, anche questa al pari della precedente tutta politica, tutta a beneficio del proverbiale “Delfino”, dove il Delfino dei tempi nostri é la borghesia disposta a far uso, lei sì!, di tutti i mezzi disponibili, compresi quelli della menzogna e dell'ipocrisia, per conservare il potere, pretende di fondare la propria legittimità sull'argomento dell'efficacia. Perché solo la strada misurata dalle pietre miliari della non-violenza è capace di condurre al successo, alla vittoria finale. Come dimostrerebbe, fra l'altro, l'esperienza storica della lotta per l'indipendenza dell'India moderna.

Credere che l'indipendenza dell'India dalla Gran Bretagna sia stata resa possibile dagli scioperi della fame di Gandhi, dalle manifestazioni pacifiche, dai sabotaggi e, più in generale, dalla semplice “disobbedienza civile”, non è una semplice, ma comunque imperdonabile, ingenuità: è un vero e proprio falso storico!

L'indipendenza dell'India non fu affatto dovuta solo e prevalentemente all'efficacia del “movimento non-violento”. Al contrario, la capitolazione della Gran Bretagna e la rinuncia della Corona all'Impero sono state una delle conseguenze inevitabili del grandioso rivolgimento che si produsse con la Seconda Guerra Mondiale, in particolare dopo la sconfitta epocale inferta dall'Armata Rossa sovietica all'esercito hitleriano. Un rivolgimento che aprì la strada, peraltro tutt'altro che non-violenta, ai Movimenti di liberazione nazionale del Terzo Mondo, India compresa.

La conquista dell'indipendenza da parte dell'India non può infatti essere separata dalle lotte dei popoli colonizzati che si svilupparono su scala mondiale, ma soprattutto in Asia, grazie al sostegno attivo dell'Unione Sovietica ed al crollo dei progetti tedesco, italiano e giapponese di radicalizzare ed estendere la tradizione coloniale.

Sì, hai ragione, figlio mio: sto correndo il rischio di annoiarti.

Concedimi però, prima di passare ad altri argomenti, di rivolgerti una domanda.

Responso della Storia a parte, ti pare che lo sciopero della fame, la disobbedienza civile, gli scioperi, il sabotaggio, il boicottaggio delle elezioni, siano forme di lotta non-violente, quando, per violenza, si intenda una forma di pressione esercitata coercitivamente dall'esterno, “un atto con cui si sopraffà la volontà altrui usando mezzi brutali, minacce e simili” (Il nuovo dizionario italiano Garzanti)? O non andrebbero definite, ben più correttamente - e non solo in senso filologico – forme di lotta “non-cruente”, senza cioè evidente ed immediato versamento di sangue? Se così è, la non-violenza, così come viene comunemente intesa, non solo non esiste e non è mai esistita in quanto tale, ma dimostra di essere, una volta spogliata dei panni dell'ideologia e della propaganda, una forma di violenza anch'essa: una violenza che, a differenza dell'altra più diffusa e (ri)conosciuta, si serve di strumenti meno, come dire?, “eclatanti”. Dunque meno efficaci, pur se ugualmente violenti. Ma torniamo, figlio mio, a dove eravamo rimasti.

A tuo padre e a quelli che condivisero le sue scelte non viene rimproverato di aver fatto ricorso a mezzi “terroristici”; viene “rimproverato” (uso ovviamente un eufemismo) di aver “utilizzato la violenza come strumento di lotta politica”.

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Sorvolo sul fatto che, con questa formula, potrebbe e dovrebbe essere incriminata l'intera classe politica di ieri e di oggi, per tacere delle Ere che hanno preceduto la nostra. Se non altro perché, nella variegata ed estesa categoria di “violenza come strumento di lotta politica” devono rientrare, come già ti accennavo prima, il voto di scambio, la raccomandazione, il meccanismo stesso delle votazioni...

Sorvolo ed entro senza indugi nel merito.

Certo: ad un certo punto della Storia di questo nostro Paese calpestato dagli scarponi dell'Occupante militare Nordamericano e benedetto dagli altari dell'Occupante

“spirituale” vaticano, tuo padre ed i suoi compagni decisero che, come dicevano le strofe di una ballata di successo dell'epoca, era “venuto il tempo del fucile”.

Perché lo fecero? Perché soffrivano di pulsioni nevrotiche, sadiche e/o autodistruttive? Perché erano “matti”? Perché erano “criminali”? Perché si annoiavano a morte (quella degli altri, ovviamente) e non sapevano come occupare il tempo concesso loro dagli agi e dagli ozi di una vita agiata e segnata dal vizio?

Perché erano tutti o quasi correntisti della Banca del Sangue, naturalmente del Sangue Borghese?

Il motivo è molto più semplice. Talmente semplice che lo puoi capire pure tu, nonostante la tua giovane età.

Te lo riassumo brevemente. Ad un certo punto, nel Gran Gioco della Politica, il Proprietario della Casinò decise, per evitare il rischio della Bancarotta, di cambiare le Regole: di annullare quelle vecchie e di introdurne altre nuove, a propria insindacabile ed arbitraria decisione.

Trasportandoti da una metafora all'altra, ti chiedo di metterti nei panni di un militante rivoluzionario, di una persona che ha capìto che, se si vuole cambiare la propria vita personale, occorre cambiare la società, perché sia la vita personale sia la vita dell'intera società sono incompatibili con il dominio della Borghesia, una classe che, dopo aver reso storicamente possibili gran parte delle conquiste della civiltà moderna, ha preso ad imputridire sprigionando i miasmi della guerra, della povertà, della morte...

Siamo, anzi sei, nel 1969.

A Milano, nella banca di Piazza Fontana, scoppia una bomba che fa decine di morti.

Questa è Storia. La stessa che insegnano nella scuola che tu frequenti; e che frequentano o hanno frequentato quei “giovani” come te che sono o sono stati convinti a credere che, quella bomba, “l'hanno messa quelli delle Brigate Rosse”. Ti devo commentare che generazioni senza storia ed orgogliose di non averne non potranno mai fare loro stesse la Storia? Non ti starò dunque a ripetere cose che, bene o male, conosci già.

Non lo farò anche perché il problema, il vero problema, è un altro.

E' che, in quegli anni, il castello di chiacchere sulla e della Democrazia borghese, sulla “libertà dei cittadini”, sulla “sovranità del popolo”, sulla “possibilità di cambiare e di contare” grazie al voto, sotto la pressione di un lungo di ciclo di lotte a livello internazionale e grazie al “risveglio” di masse proletarie fino ad allora sfruttate e duramente represse, inizia a vacillare pericolosamente. Per chi ne governa la stabilità.

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Succede allora che per evitare o quantomeno rallentare il temuto, imminente tracollo lo Stato, per conto della classe dominante, ricorre a mezzi terroristici: alla politica delle bombe ed alla cosiddetta “strategia della tensione”. Cambia cioé, per dirla in termini a te più comprensibili, “le regole del gioco”.

Questa scelta dello Stato è dovuta all'esistenza di una situazione di ingovernabilità, determinata dalla crescita e dalla diffusione delle lotte operaie e studentesche, che rende illegittimo quel monopolio della violenza che, come ho avuto modo di sottolinearti prima, é riconosciuto allo stesso Stato nel momento e nella misura in cui esso si impegna e riesce a garantire l'ordine pubblico. Ergendosi super partes, lo Stato diventa e pretende di essere l'unico strumento in grado di garantire l'hobbesiano bellum omnium contra omnes.

Si verifica insomma una situazione che si è manifestata più di una volta nella Storia:

quando l'opinione pubblica si frantuma, la credenza comune, la “fiducia”, il consenso sociale su cui lo Stato ha fondato il proprio diritto di comandare in virtù del monopolio della violenza da esso detenuta, va in frantumi; e sulla scena sociale riappare la paura: la paura che coloro che controllano gli apparati coercitivi dello Stato incutono nei governati per via del loro “mancato rispetto delle regole” o della loro incapacità di assicurare queste ultime. E la paura che i governanti hanno della ribellione, sempre pronta ad esplodere, dei governati.

Vien meno, di conseguenza, la legittimità (non la Legalità, bada bene, anche se è vero che la Legittimità, in quanto conseguenza del controllo dello Stato e di conseguenza del monopolio della violenza, rappresenta la fonte del Diritto, dunque della stessa Legalità) dello Stato, il suo diritto affatto riconosciuto ad esercitare, unico fra gli attori sociali, il monopolio della violenza. Un monopolio che era stato concesso in cambio dell'impegno a garantire, con la pace sociale, la sicurezza dei cittadini.

Un concetto del genere lo puoi trovare, figlio mio, in un passo assai significativo della Dichiarazione di Indipendenza dalla Gran Bretagna delle tredici colonie statunitensi scritto da Thomas Jefferson nel 1776. Laddove si dice che ogni qual volta una qualsiasi forma di governo tende a negare i diritti fondamentali dell'Umanità, fra cui quelli alla Vita ed alla ricerca della Felicità, né Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo Governo, che si fondi su quei princìpi e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che sembri più idonea al raggiungimento della sua sicurezza e felicità”.

Eccoti allora spiegata, figlio mio, una delle ragioni che indussero tuo padre ed i suoi compagni dell'epoca a giudicare illegittimo il monopolio statale della violenza - illegittimo, ripeto, non illegale – e ad affermare la legittimità storica non di un altro monopolio, bensì di un'altra forma di esistenza e di lotta politica: quella armata.

Mi obietterai: e il consenso delle masse? E l'importanza dei numeri? Che diritto ha una minoranza di prendere una decisione di tale portata e gravida di effetti così importanti per l'intera società?

Consentimi sùbito di farti osservare che il tuo rilievo è quantomeno ingenuo. Perché, nella Storia, sono le avanguardie a determinare e a dirigere i punti di svolta sostanziali, non le “masse”: le masse sono, per così dire, simili alla nottola di Minerva che vola quando é già sera. Le masse, insomma, “vengono dopo”: dopo, non

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prima. Se così non fosse, nella Storia non ci sarebbe mai stato progresso ma solo crescita quantitativa. La Storia sarebbe cioè un processo meccanico puramente quantitativo, non un processo contraddistinto, in determinati punti di svolta, da salti qualitativi. Gli unici, peraltro, capaci di determinare e garantire il Progresso.

Sì, capisco: hai fretta di andartene, di reagire alla noia, spero non al disinteresse, che ti sta cogliendo.

E va bene: ti accontento senz'altro. Anche perché, quello che avevo di importante da dirti, credo di essere riuscito, nonostante i limiti dello strumento che sto usando e quelli della tua stessa età, a dirtelo. Perché tu possa capirli, se non oggi, un giorno. Se deciderai di farlo.

Tuo padre, e con lui i suoi compagni, non era e non né ma stato un “terrorista”. E non era, e non è mai stato un Criminale o, nel più benevolo dei giudizi, un “povero fallito”.

Anche per questo, ti lascio ai tuoi giochi ed ai tuoi impegni, con i versi di una canzone di Luigi Tenco di tanti anni fa. Una canzone degli anni che i genitori dei tuoi coetanei ed i Benpensanti come loro definiscono “di piombo”, quando in realtà erano d'oro. Rivestiti di piombo solo perché sono stati troppo preziosi perché, anche a distanza di tempo, qualcuno fosse indotto a rubarli...

Ah, i versi di Tenco. Sono della canzone che si intitola “Ragazzo mio”.

“Ragazzo mio/un giorno ti diranno che tuo padre/aveva per la testa grandi idee/ma in fondo poi non ha concluso niente.../Non devi credere, no/vogliono fare di te/ un uomo piccolo,/una barca senza vela...”.

Ti abbraccia tuo padre, uno dei tanti che in tante epoche hanno perso ma non sono stati sconfitti. Perché non potrà mai essere sconfitto chi non ha rinunciato a lottare sempre e dovunque per la Verità, la Giustizia e la Felicità.

Giugno 2016

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