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‘’Dobbiamo immaginare e costruire quello che potremmo essere’’

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Academic year: 2021

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‘’Dobbiamo immaginare e costruire quello che potremmo essere’’ Michel Foucault

Qual è la condizione carceraria nel 2018?

Nella magistratura italiana, le norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà risalgono al 1975 e non sono mai state riformulate nello specifico, nonostante l’emissione di sentenze di vario genere.

Ad oggi, la realtà del carcere risulta essere estremamente complessa ed inadeguata rispetto alla società contemporanea, come dimostrano le continue violazioni dell’Articolo 3 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che afferma ‘’Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.’’

I dati che emergono sono sconcertanti.

Nel 2018, in Italia, il numero di detenuti, stimato secondo le statistiche del ministero della giustizia ammonta a 60,002 detenuti con un tasso di sovraffollamento pari al 120%. La regione con il maggior tasso di sovraffollamento è la Lombardia con il 140%. Nonostante i molteplici decreti svuota carceri adottati dal governo, a causa di ripetute condanne riguardo il sovraffollamento carcerario, il problema non è stato risolto in quanto non affrontato in maniera strutturale.

Ci troviamo davanti ad un sistema legislativo efficiente ma non ben attuato. Le problematiche che ruotano intorno al sistema carcerario sono sempre maggiori, stando ai dati provenienti dalle statistiche del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Il tasso di recidiva risulta essere del 68.45% quindi l’obiettivo costituzionale della ‘’rieducazione’’ viene a mancare risultando inefficiente.

Automaticamente il problema si estende a tutta la società, in quanto un carcere non riabilitativo comporta un paese poco sicuro. Da ciò ne consegue che il danno è subito sia dalla popolazione che dal detenuto.

La riabilitazione dovrebbe essere un processo ad personam come sostiene la psicologa Maria Elena Magrin, Professoressa associata di psicologia giuridica presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca. Affinché questa riabilitazione risulti efficiente bisognerebbe fornire un supporto psicologico costante all’individuo, associato allo svolgimento di attività formative ed educative. Il ruolo del lavoro in questo contesto è fondamentale, perché proprio attraverso quest’ultimo, il detenuto riesce a reinserirsi in società. Ad oggi, nel carcere solo il 13% dei detenuti ha la possibilità di impiegare il tempo in attività lavorative. La restante parte resta inoccupata.

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Per affrontare e poter comprendere al meglio questo tema estremamente complesso, ci siamo confrontati con diversi professionisti che operano nel campo e ciò che ci ha più colpiti, in quanto architetti, è la problematica relativa allo spazio.

La Corte Europea dei Diritti Umani, con la sentenza Torreggiani, adottata l’8 Gennaio 2013, con decisione presa all’unanimità ha condannato l’Italia per la violazione dell’Articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU).

Il caso riguarda trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, detenuti per molti mesi nelle carceri, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a

disposizione. Questa sentenza è definita dagli stessi giudici come “sentenza pilota” che ha affrontato il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano riguardo le questioni di sovraffollamento carcerario.

‘’Se cambi gli ambienti, cambi le persone’’ sostiene l’associazione ONLUS ‘’Il Girasole’’. Questo ci ha portato ad interrogarci su cosa si potrebbe fare a livello spaziale per poter aiutare queste persone in uno stato di temporanea sospensione dalla società, in modo da poter garantire l’attuazione delle leggi, il rispetto dei loro diritti umani ed un corretto processo riabilitativo e di riammissione sul territorio.

L’obiettivo principale della nostra tesi è quello di aprire il sipario sul ‘’carcere italiano’’ stimolando una grande riflessione e presa di coscienza di quella che è la situazione drammatica nel nostro paese, tra le peggiori in Europa.

La nostra volontà è quella di proporre un modello di prevenzione, dignità, riabilitazione e reinserimento nella società di tutte quelle persone che commettono crimini, in modo da potergli offrire delle nuove possibilità di vita alla loro uscita, nonostante abbiano commesso degli errori.

Da tutto ciò nasce la BETA Prison.

Siamo quindi proiettati all’interno di un nuovo sistema carcerario visionario ed avanguardista.

Il sito di progetto scelto è la casa circondariale di San Vittore, collocata nel pieno centro di Milano.

Il gesto principale è l’inclusione e non più l’esclusione. Il muro, il limite più grande tra interno ed esterno, viene abbattuto permettendo agli edifici di San Vittore di tornare a far parte del tessuto urbano in maniera attiva.

La città penetra al suo interno e viene assorbita, generando una serie di dinamiche di cui tutti i cittadini, liberi e non, possono beneficiare.

Conseguentemente, gli edifici di San Vittore vengono riutilizzati, cambiando la destinazione d’uso da carcere a spazio di relazione ed interazione tra il detenuto in stato di semi-libertà e la città. Ci troviamo quindi all’interno di spazi promiscui, non controllati e contaminati. BETA Prison è una micro-città all’interno della città, collocata al di sopra dell’edificio esistente, fondata sul processo di riabilitazione di tipo personale e sul reinserimento del detenuto in società.

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Questo modello si presenta come un ibrido capace di simulare i tre temi principali che scandiscono la vita quotidiana di ogni cittadino libero: l’abitare, il lavoro e le relazioni sociali. L’unità minima dell’abitare è rappresentata dalla cella, uno spazio privato all’interno del quale il singolo detenuto può scontare la propria pena ed usufruire continuamente di un supporto esterno, grazie alla presenza della realtà virtuale, in grado di aiutarlo costantemente durante la detenzione, sia a livello educativo che psicologico.

L’attività lavorativa si svolge in due aree precise che rappresentano uno dei punti focali del progetto e permette a tutti i detenuti di impiegare il loro tempo in maniera produttiva, incrementando le loro capacità e conoscenze professionali. Il lavoro oltre ad essere è un fattore fondamentale per il reinserimento dell’individuo in società, gli permette di mantenere attivi i contatti con la città esterna.

Infine, sono previsti degli spazi volti all’interazione sociale interpersonale tra detenuto e detenuto, in quanto fattore fondamentale legato al contatto umano ed all’aspetto riabilitativo-sociale.

La BETA Prison diventa quindi un incrocio di spazi e funzioni, che permettono al detenuto di sviluppare una nuova identità come cittadino con nuove prospettive di vita.

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