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Capitolo 1 Introduzione

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Capitolo 1

Introduzione

1.1 Il Madagascar

1.1.1 Caratteristiche generali Con un’area di 587.000 km2

, il Madagascar è la quarta isola più grande al mondo, dopo la Groenlandia, il Borneo e la Nuova Guinea. Essa si localizza all’interno dell’Oceano Indiano, a 400 km dalle coste dell’Africa continentale da cui si separa attraverso il canale del Mozambico. Tuttavia, la situazione climatica e la variabilità ambientale del Madagascar

ricordano più quelle di un piccolo continente che quelle di un’isola oceanica (Donque, 1972). Si possono distinguere, infatti, quattro principali ambienti: nel sud domina la foresta spinosa secca insieme agli ultimi frammenti di foresta galleria rimasti, nelle coste orientali e in quelle occidentali si trovano, rispettivamente, foreste pluviali e foreste decidue mentre il nord rappresenta una zona di transizione tra l’ovest e l’est (Goodman e Benstead, 2003). Al centro domina una catena montuosa di origine Precambriana che percorre l’intera isola dal nord al sud, scendendo bruscamente verso le coste orientali e

gradualmente verso il canale del Mozambico sul lato occidentale (Garbut, 2007). I quattro habitat sono frutto dei diversi climi che caratterizzano le varie parti dell’isola: gli alisei e i monsoni che originano dall’Oceano Indiano, infatti,

Fig.1.1 Le foreste rimaste in Madagascar dopo 50 anni di deforestazione (da Garbut, 2007).

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2 investono principalmente le coste orientali e causano un elevato tasso di precipitazioni in queste regioni. Nelle zone occidentali, al contrario, il clima è più secco dal momento che l’altopiano centrale protegge queste zone dalle piogge (Garbut, 2007). Durante l’estate australe le regioni occidentali sono soggette ai monsoni che originano da nord e il cui effetto gradualmente diminuisce procedendo verso sud. Dunque si assiste un doppio gradiente pluviometrico all’interno dell’isola: un gradiente est-ovest e uno nord-sud. Da ciò deriva che il nord-est sia la parte più umida dell’isola, mentre il sud-ovest la più secca (Jury, 2003). Dunque le precipitazioni variano enormemente da regione a regione, sia dal punto di vista quantitativo sia per la loro distribuzione annuale: nel sud e nell’ovest i livelli di pioggia non superano i 500 mm l’anno (Sorg e Rohner, 1996) e la stagione secca ha una durata di circa 7-8 mesi (Hladik, 1980). Nella zona orientale, invece, le precipitazioni possono arrivare fino ai 4000 mm l’anno (Hemingway, 1995; Du Puy e Moat, 1996; Tan, 1999) e la stagione secca è più corta, con una durata che oscilla tra i 4 e i 5 mesi (Hladik, 1980). Oltre alle fluttuazioni climatiche annuali, oscillazioni climatiche interannuali che coinvolgono l’isola nella sua interezza determinano periodi prolungati di siccità, ad andamento ciclico seppure imprevedibile (Gould et al., 1999; Wright, 1999). Tra questi, il più recente risale al biennio 1991/92, quando, in tutto il Madagascar, si è registrata una riduzione drastica delle precipitazioni (Gould et al., 1999). L’isola del Madagascar si situa all’interno della cintura ciclonica che si estende dal 10° al 20° di latitudine. Da ciò deriva che gli ecosistemi malgasci debbano far fronte a eventi disastrosi ad andamento casuale (Wright, 1999) e, tra il 1920 e il 1972, 362 cicloni hanno colpito l’isola con una media di 7 cicloni per anno (Donque, 1975; Ganzhorn, 1995) con conseguenze devastanti: inondazioni, alberi sradicati e villaggi distrutti (Ganzhorn, 1995). La frequenza con cui tali cicloni colpiscono l’isola aumenta andando da sud a nord; infatti nelle aree settentrionali si può raggiungere la media di un ciclone all’anno mentre nelle regioni meridionali i cicloni più devastanti compaiono con una frequenza di circa uno ogni dieci anni (Wright, 1999). Il ciclone più disastroso mai registrato nella storia del Madagascar ha colpito l’isola nel 1997 spazzando via circa l’80% delle copertura forestale (Wright,1999).

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3 1.1.2 Colonizzazione dell’isola

Un argomento tuttora molto dibattuto è come i mammiferi abbiano potuto colonizzare il Madagascar, alla luce del fatto che nessun resto fossile trovato sull’isola può essere fatto risalire a un’epoca antecedente al Cretaceo superiore (circa 65 milioni di anni fa) (Alroy, 1999; Foote et al., 1999), quando cioè il Madagascar si era già distaccato dalle altre masse continentali.

Una delle prime ipotesi che è emersa riguarda la possibilità che i mammiferi di piccole dimensioni abbiano attraversato il canale del Monzambico sfruttando tronchi di alberi o altri detriti di carattere vegetale trasportati dai fiumi verso l’Oceano (la cosiddetta ipotesi del rafting; Simpson, 1940). Tuttavia il rafting avrebbe potuto consentire più facilmente il passaggio dei rettili dal momento che questi, non avendo una elevata richiesta energetica per mantenere alta la propria temperatura corporea, avrebbero potuto affrontare anche lunghe traversate (Stankiewicz et al., 2006). Per gli stessi motivi, tra i mammiferi, sicuramente quelli di piccole dimensioni e, in particolare, quelli capaci di entrare in uno stato di torpore o ibernazione, sarebbero stati maggiormente favoriti (Martin, 1972; Yoder, 1996; Kappeler, 2000; Yoder et al., 2003). Anche in questo caso sorgono, tuttavia, dubbi legittimi: sembra che le prime proscimmie che hanno colonizzato l’isola pesassero circa 2 kg e una tale massa corporea non consentirebbe una vera e propria ibernazione (Stankiewicz et al., 2006). In secondo luogo è possibile che la capacità di entrare in uno stato di torpore sia comparsa dopo la colonizzazione dell’isola da parte dei lemuri, dal momento che i galagoni, che condividono con le proscimmie malgasce un antenato comune risalente a circa 60 milioni di anni fa, non possiedono tale capacità. (Mzilikazi et al., 2004). Infine la direzione delle correnti oceaniche e dei venti avrebbero favorito un percorso inverso dal Madagascar all’Africa (Stankiewicz et al., 2006). Considerata la difficoltà di attraversare il canale del Mozambico attraverso zattere naturali, è probabile che la colonizzazione dell’isola sia stata favorita dalla presenza di una striscia di terra che avrebbe potuto fungere da “ponte” tra l’Africa e il Madagascar. Tuttavia il canale del Mozambico raggiunge, in gran parte, profondità tali (fino a 1500 m) da ritenere improbabile che qualsiasi escursione del livello del mare durante il Cenozoico abbia potuto consentire l’emergere di tali ponti. Nonostante ciò, McCall (1997) suggerisce l’ipotesi che la collisione dell’India con l’Asia avrebbe

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4 generato forze di compressioni tali da far emergere strisce di terra lungo il DFZ. Campioni raccolti da Leclaire et al. (1989) e Bassias (1992) testimoniano, in effetti, la presenza di una catena di altopiani formatasi lungo l’antica faglia DFZ. Ad ogni modo, Krause (2003) ha sottolineato che le estreme differenze che intercorrono tra fauna malgascia e fauna africana testimoniano che l’attraversamento del canale sia stato un processo più raro e difficile di quanto consentito da un ponte di terra. Quindi la questione sulla colonizzazione dell’isola da parte dei mammiferi rimane un dibattito ancora aperto.

1.2 I primati del Madagascar

1.2.1 Collocazione tassonomica e caratteristiche anatomiche

La classificazione tassonomica delle proscimmie del Madagascar subisce continue modifiche sia in seguito alla scoperta ed alla descrizione di nuove specie (Rasoloarison et al., 2000; Kappeler et al., 2005; Thalmann e Geissmann, 2005; Rubarivola et al., 2006; Andriaholinirina et al., 2006) sia come risultato di vere e proprie revisioni tassonomiche (Mayor et al., 2004; Mittermeier et al., 2006). Sono state riconosciute fino ad oggi 88 specie viventi (Garbut, 2007), distribuite all’interno di 15 generi e cinque famiglie (Cheirogaleidae, Lepilemuridae, Lemuridae, Indriidae e Daubentonidae). I lemuri, in quanto proscimmie, sono caratterizzati da tratti anatomici che li differenziano dagli antropoidei (Tattersall, 1982; Fleagle, 1999; Sauther et al., 2002), tra cui:

a) Le ridotte dimensioni della scatola cranica. b) L’assenza della chiusura postorbitale.

c) La presenza di un pettine dentario (o toothcomb), utilizzato per il

grooming. Esso è formato dall’unione degli incisivi e dei canini dell'arcata

inferiore. Nell'arcata superiore, invece, gli incisivi sono di piccole dimensioni e separati da uno spazio piuttosto ampio.

d) La presenza del cosiddetto toilet claw, un’unghia ad artiglio anch’essa usata per il grooming.

e) La presenza della sinfisi mandibolare non fusa che permette ai lemuri di muovere le due emimandibole indipendentemente l’una dall’altra.

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5 costituita da cristalli di riboflavina che, sebbene diminuisca l’acuità visiva, consente agli animali la visione notturna grazie ad un processo di “riciclaggio” dei fotoni. Fanno eccezione solo le specie del genere Varecia ed Eulemur.

g) Il maggior sviluppo del sistema olfattivo e la presenza di un rinario umido, la cui funzione è quella di “catturare” le particelle olfattive e trasmetterle attraverso il tratto labiale superiore all’organo vomeronasale bilaterale (o organo di Jacobson). Questo giace alla base del setto nasale e comunica col palato attraverso il dotto nasopalatino.

h) La particolare collocazione dell’anello timpanico. Questo, infatti, si localizza, a differenza degli altri gruppi di primati, all’interno della cavità formata dalla bulla uditiva e si collega ad essa solamente nella sua porzione superiore.

i) L’irrorazione del cervello mediante l’arteria stapediale che, insieme all’arteria promotoria (maggiormente sviluppata negli antropoidei), rappresenta una diramazione della carotide interna.

l) La presenza di una placenta epiteliocoriale e la separazione della circolazione fetale da quella materna mediante diversi strati tissutali che comprendono l’endotelio vascolare e la superficie epiteliale sia del corion sia dell’endometrio. Le membrane placentali, inoltre, invadono l’endometrio per intero, invece di essere ristretti in una piccola area del corion come avviene nelle scimmie antropoidee.

1.2.2 Radiazione adattativa

Il lungo isolamento del Madagascar, in concomitanza con la formazione di barriere naturali difficilmente valicabili come i fiumi e gli altopiani, ha avuto come conseguenza la nascita di una notevole molteplicità di forme viventi. (Martin, 1972; Raxworthy e Nussbaum, 1996).

Si possono distinguere forme notturne (come il Microcebus, il Cheirogaleus e il

Phaner) (Fleagle, 1999; Schülke, 2003), diurne (come il Lemur, la Varecia e il Propithecus) (Jolly 1966; Fleagle, 1999; Richard, 2003) e catemerali che alternano

cicli di attività tra il giorno e la notte (Sussman e Tattersall, 1976; Overdorff, 1988).

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6 L’organizzazione sociale è estremamente variabile: le forme notturne adottano, in genere, una vita di coppia (come le specie dei generi Avahi e Phaner) (van Schaik e Kappeler, 1993a; Thalmann, 2003; Schülke, 2003) o solitaria (come alcune specie di Lepilemur e di Cheirogaleus) (Petter-Rosseaux, 1964; Fietz, 2003). Altre specie, come la Mirza zaza, vivono in piccoli gruppi composti da due a otto individui (Kappeler et al., 2005). Le specie che presentano un’attività diurna sono, in generale, gregarie e possono formare gruppi estremamente numerosi, a sex ratio variabile, come la Varecia rubra e l’Eulemur fulvus, che costituiscono gruppi fino a 30 individui (Vasey, 1998; Donati et al., 2001). Il sistema sociale più comune è quello multimale/multifemale (come nel Propithecus e nella Varecia) (Vasey, 1998; Richard, 2003) ma non mancano specie che possono adottare una vita di coppia, come nel caso dell’Indri (Pollock, 1979).

Anche dal punto di vista alimentare, i lemuri mostrano un’elevata variabilità e diversi gradi di specializzazione: si passa da una dieta varia come quella dei Cheirogaleidi e dei Daubentonidi, composta principalmente da insetti, gomma e frutta (Petter et al., 1971; Petter, 1975; Charles-Dominique e Petter, 1980) a una dieta altamente specializzata come quella degli Indriidi, basata quasi esclusivamente sulle foglie (Richard, 1978; Pollock, 1979; Powzyk e Mowry, 2003) o quella dell’Hapalemur spp, che predilige essenzialmente le foglie del bamboo (Tan, 2004).

Le specie altamente foglivore (come gli Indriidi) presentano adattamenti (un cieco allargato che ospita microrganismi in grado di fermentare la cellulosa) per la digestione delle fibre insolubili contenute nelle foglie (Fleagle, 1999; Powzyk e Mowry, 2003).

La locomozione può essere quadrupede terrestre o arboricola e saltatoria (Fleagle, 1999). Quest’ultimo pattern locomotorio si ritrova, in modo particolare, all’interno della famiglia degli Indriidi, specializzati per una locomozione saltatoria verticale (Fleagle, 1999).

Nonostante la molteplicità di specie e stili di vita, la maggior parte degli autori ritiene che la radiazione dei lemuri abbia avuto origine da un unico antenato arrivato sull’isola tra i 47 e i 54 milioni di anni fa (Martin, 2000; Yoder, 2003). La biodiversità attuale è inferiore rispetto a quella passata: depositi fossili risalenti a circa 1000-2000 anni fa testimoniano la presenza di diverse forme estinte,

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7 vissute fino a epoche relativamente recenti (Flacourt, 1661). L’estinzione di tali forme sembra coincidere con l’arrivo dell’uomo sull’isola (circa 2000 anni fa): resti di specie estinte, in effetti, sono stati trovati in prossimità di manufatti umani o in siti dove l’uomo svolgeva le sue attività (Fleagle, 1999). Tra le cinque famiglie di lemuri, è senza dubbio quella Indriidae ad aver subito la più ampia radiazione adattativa, con otto generi, di cui cinque estinti. Tra questi, il genere

Archeoindris comprendeva le specie di dimensioni più grandi, con un peso che

poteva arrivare fino ai 200 kg, pari alla dimensione di un gorilla maschio adulto. Probabilmente tali specie erano terrestri con un andamento locomotorio molto simile a quello dei bradipi che popolano oggi il nord e il sud America (Fleagle, 1999). Il genere Megaladapis, appartenente alla famiglia dei Lepilemuridi, comprendeva alcune delle specie più grandi e la dimensione corporea poteva arrivare fino ai 150 kg (Fleagle, 1999). Tali specie possedevano arti anteriori più lunghi dei posteriori, falangi ben sviluppate e un tronco molto lungo come probabile specializzazione ad una locomozione verticale come quella degli attuali koala (Fleagle, 1999).

1.2.3 Principali adattamenti

I lemuri del Madagascar mostrano delle caratteristiche peculiari, rare negli altri gruppi di primati (Wright, 1999):

a) la dominanza femminile che si manifesta, nella maggior parte dei casi, sotto forma di priorità nell’accesso al cibo (Richard, 1987; Kappeler, 1993b). I maschi spesso fuggono dopo i conflitti emettendo vocalizzazioni di sottomissione (Jolly, 1966, Richard e Heimbuch, 1975; Kauffman, 1991). Il grado di dominanza varia da specie a specie: essa risulta maggiormente marcata nel Lemur catta (Pereira et al., 1990; Pereira e Kappeler, 1997), nelle specie appartenenti al genere Propithecus (Kubzdela et al., 1992; Wright, 1993a,b), nell’Indri indri (Pollock, 1979), nella Varecia variegata (Raps e White, 1995), nell’Eulemur macaco

flavifrons (Digby e Kahlenberg, 2002), nel Microcebus murinus (Radespiel

e Zimmermann, 2001), nel Phaner furcifer (Charles-Dominique e Petter, 1980) e nell’Hapalemur alaotrensis (Waeber e Hemelrijk, 2003); in altre specie la dominanza è meno evidente e, in certi casi, i maschi possono

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8 mostrare comportamenti aggressivi contro le femmine, come nel caso dell’Eulemur coronatus (Pereira et al., 1990, Marolf et al., 2007), della

Daubentonia madagascariensis (Rendall, 1993) e dell’Eulemur fulvus

(Pereira et al., 1990; Pereira e Kappeler, 1997; Pereira e McGlynn, 1997; Pereira, 1998; Overdoff, 1998).

b) il dimorfismo sessuale poco marcato (Kappeler, 1991, 1993b; Pereira e Kappeler, 1997).

c) la particolare abbondanza di specie monogame, pari a circa un quarto del totale delle specie (Eisenberg et al., 1972; Eisenberg, 1977). Tra i primati solo il 13% delle specie vive in coppia e tale valore scende al 3% se si considera l’intera classe di mammiferi (Kleiman, 1977, Kinzey, 1987). d) la presenza di molte specie notturne e catemerali. La catameralità, in modo particolare, è un tratto peculiare delle proscimmie, se si escludono le specie del genere Aotus del Nuovo Mondo (Wright, 1999). Tale attività è stata trovata in tutte le specie del genere Eulemur (Sussman e Tattersall, 1976; Tattersall, 1987; Colquhoun, 1998; Overdorff, 1988; Overdorff e Rasmussen, 1995; Curtis e Zaramody, 1999; Rasmussen, 1999; Donati et al., 2000; Donati et al., 2001) ed è stata documentata anche nell’Hapalemur simus, nella Varecia variegata e nell’Hapalemur

alaotrensis (Mutschler, 1999; Wright, 1999).

Per dare una spiegazione alle caratteristiche sopraelencate sono state avanzate due ipotesi (Wright, 1999): l’ipotesi della conservazione dell’energia (Energy

Conservation Hypothesis, ECH) e l’ipotesi del “disequilibrio evolutivo”

(Evolutionary Disequilibrium Hypothesis, EVDH). L’ECH, proposta per la prima volta da Jolly (1966), tenta di dare una spiegazione alla luce delle particolari condizioni ecologiche del Madagascar, le cui fluttuazioni climatiche annuali e interannuali possono essere fonte di stress per gli animali e per l’attività riproduttiva delle femmine (Jolly, 1966, 1984; Richard, 1987; Young et al., 1990; Wright, 1993b). Secondo l’ECH, le femmine avrebbero assunto un ruolo dominante all’interno del gruppo in risposta a tale stress, per ottenere un maggiore accesso al cibo e poter, quindi, fornire sostanze nutritive alla propria prole (Jolly, 1984; Young et al., 1990). Poiché nelle proscimmie non malgasce, i lorisi e i galagoni, la società è a dominanza maschile (Charles-Dominique, 1977; Richard,

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9 1987), è possibile che la dominanza femminile possa essere legata proprio alle particolari condizioni ecologiche dell’isola (Wright, 1999). In più, i lemuri hanno un periodo di gestazione più corto rispetto ai lorisi (Leutenegger, 1979) e le femmine danno alla luce una prole inetta, che, di conseguenza, ha una richiesta nutritiva maggiore (Richard, 1987). A conferma di tale ipotesi, nelle foreste secche del sud del Madagascar, dove le fonti trofiche scarseggiano, femmine di

Propithecus verreauxi hanno un tasso di aggressione maggiore rispetto alle

femmine di Propithecus edwardsi che popolano, invece, le foreste pluviali orientali (Richard, 1985; Kubzdela et al., 1992; Pereira e Kappeler, 1997). L’ipotesi ECH è stata ampliata da Pereira (1993a,b) e Sauther (1993, 1998), i quali suggeriscono che la produzione ciclica di fonti nutritive può aver permesso l’evoluzione, nei lemuri, di processi fisiologici volti alla conservazione dell’energia (come l’ibernazione, la riproduzione strettamente stagionale, la regolazione del tasso metabolico, del tasso di crescita e della temperatura).

Secondo l’Evolutionary Disequilibrium Hypothesis (EVDH), i recenti e drastici cambiamenti ecologici avrebbero portato a una sorta di “squilibrio” tra la situazione ecologica presente oggi in Madagascar e gli adattamenti presenti nei lemuri, sviluppatisi in condizioni ambientali diverse dalle attuali (van Schaik e Kappeler, 1996). Ad esempio secondo alcuni autori l’estinzione relativamente recente dei grandi predatori diurni (Goodman, 1994; Goodman e Rakotozafy, 1995,1997) avrebbe favorito il passaggio da una vita notturna a una diurna. In quest’ottica, la catemeralità viene proposta come fase di transizione da una vita notturna a una diurna (Richard, 1987; van Schaik e Kappeler, 1996).

Tra i pochi predatori dei lemuri rimasti i più importanti sono il fossa, mammifero catemerale (Cryptoprocta ferox; Goodman et al., 1993; Wright et al., 1997;

Wright, 1998; Hawkins e Racey, 2005) e il falco diurno Polyboroides radiatus (Goodman et al., 1993; Karpanty e Goodman, 1999; Karpanty e Grella, 2001).

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1.3 Lemur catta

1.3.1 Caratteri generali

Lemur catta è un lemure di media grandezza, con un corpo lungo 38-45 cm; la

sua coda, lunga dai 56 ai 62 cm, presenta quattordici o più anelli bianchi e neri alternati (Jolly,1966). Il peso corporeo medio in natura è di 2.2 Kg nei maschi, mentre in cattività è superiore, raggiungendo a volte anche i 4 Kg (Sussman, 1991; Kappeler 1990). La sua pelliccia è grigia o marroncina sul dorso, mentre il ventre è bianco; il muso è anch’esso bianco e gli occhi ambrati e brillanti, grazie al ben visibile tapetum lucidum, sono circondati da una caratteristica mascherina triangolare nera; il naso, i genitali e i palmi delle mani e dei piedi sono neri e glabri. Il dimorfismo sessuale è appena accennato. La differenza più appariscente, oltre agli organi sessuali, è una ghiandola nell’avambraccio, molto più sviluppata nei maschi (Jolly,1966; Mertl, 1977).

Questa specie, unica del genere Lemur, appartiene alla famiglia Lemuridae, assieme ai generi Varecia, Hapalemur ed Eulemur, quest'ultimo costituito da specie incluse nel genere Lemur fino al 1988.

I catta sono animali diurni, sebbene non sia da escludere anche una sporadica attività notturna (Jolly, 1966) e particolarmente attivi nelle prime ore del mattino e nel pomeriggio; nelle ore centrali del giorno, invece, si riposano, per poi rifugiarsi sugli alberi e dormire alla sera.

Lemur catta è considerato semi-arboricolo, in quanto, rispetto agli altri

lemuri, passa molto tempo al suolo. Si muove generalmente su quattro zampe, ma per migliorare la visuale può alzarsi sugli arti inferiori. Il suo habitat è la foresta-galleria, la foresta decidua con cespugli e spazi aperti, spesso anche semiaridi o rocciosi. Il suo areale di distribuzione è nel sud-ovest del Madagascar, zona semi- e sub-arida, dove la temperatura media del mese più caldo (Novembre) si aggira sui 33°C, quella del mese più freddo (Luglio) intorno ai 13°C.

La vegetazione presente e la disponibilità delle risorse alimentari influenzano la densità di Lemur catta presenti in una data area: Budnitz e Dainis (1975) dimostrarono una chiara relazione tra le dimensioni dell'home range di questi lemuri e la distribuzione delle risorse.

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11 Gli home range dei catta in gran parte si sovrappongono, lasciando solo una piccola o nessun'area per l'uso esclusivo (Sussman, 1991) e ciò ha portato ad un dibattito su come definire le relazioni spaziali di Lemur catta. I catta furono considerati: a) un caso dubbio di territorialità (Jolly, 1984), b) fondamentalmente territoriali (Jolly et al., 1993), c) non territoriali perché non mantengono un uso esclusivo degli home range (Sauther e Sussman, 1993). Tuttavia sono state individuate aree centrali (core area) che sono usate più intensamente dai gruppi, ma anche queste possono cambiare stagionalmente (Sauther e Sussman, 1993). Nelle aree di sovrapposizione ci sono anche delle

battle zone dove avvengono gli scontri tra ì gruppi interessati.

1.3.2 Socialità

I Lemur catta vivono in gruppi numerosi (5-30 animali) formati da maschi e femmine e caratterizzati da una vera e propria dominanza femminile, intesa non solo come semplice priorità d'accesso alle risorse (Kappeler, 1990), ma evidente anche in numerosi altri contesti sociali (Sauther, 1993). Ogni femmina è infatti dominante su qualsiasi maschio, e ciò avviene in concomitanza con la pubertà (dopo i 16 mesi), periodo in cui comincia a ricevere segnali di sottomissione dapprima dai maschi adulti e poi anche dai coetanei (Pereira, 1993a).

All'interno di ogni gruppo esiste una gerarchia per le femmine ed una per i maschi, quest'ultima però meno lineare e molto più instabile della prima (Budnitz e Dainis, 1975; Kappeler, 1990; Sauther e Sussman, 1993). Questo deriva principalmente dal fatto che la componente maschile di un gruppo è costantemente in cambiamento, perché i maschi migrano regolarmente, cercando di entrare stabilmente, o trasferendosi solo durante le stagioni degli amori, in altri gruppi, nel tentativo di accoppiarsi con femmine estranee (Sauther, 1991; Sussman, 1992). Le femmine generalmente rimangono nel gruppo natale, rifiutandosi sistematicamente di accoppiarsi con maschi consanguinei, i quali non hanno quindi alcuna possibilità di accoppiamento entro i gruppi natii. I maschi occupano spesso posizioni meno centrali rispetto alle femmine; in particolare i più subordinati, insieme ai maschi che cercano d'inserirsi nel gruppo, costituiscono il cosiddetto Drones Club,

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12 costituito dagli animali più periferici del gruppo (Jolly, 1966; Sauther e Sussman, 1993).

Il contatto, il grooming e il gioco sono continui legami sociali per i catta, che spesso dormono raggruppati assieme oppure in fila, abbracciati l'uno all'altro, concedendosi lunghe sedute di pulizia reciproca con il pettine dentario e permettendo ai giovani di giocare insieme. Gli animali che più rimangono in contatto e che si puliscono vicendevolmente sono quelli strettamente imparentati secondo la linea materna (Taylor e Sussman, 1985), che infatti si cercano spesso a vicenda, chiamandosi con contact calls e salutandosi, toccandosi i nasi (greeting).

1.3.3 Comunicazione olfattiva

La comunicazione olfattiva riveste un ruolo di grande importanza in questo primate, così ben equipaggiato, come tutti i lemuri, sia nella ricezione sia nel rilascio di sostanze odorose.

Lemur catta ha un sistema olfattivo molto sviluppato (rinario umido, organo

vomero-nasale, estesi bulbi olfattivi) e presenta varie ghiandole che producono sostanze odorose. Le femmine possiedono diverse ghiandole che producono questi tipi di secreti localizzate nella zona labiale della vulva; i maschi, invece, possiedono solo una ghiandola scrotale, e due speciali organi, ante-brachiale e brachiale, per marcare. L'organo ante-brachiale consta di un gruppo di ghiandole poste nel polso in prossimità di uno sperone corneo, dove sono presenti i dotti ghiandolari; l'organo brachiale è invece situato nella zona pettorale dell'ascella e rilascia un secreto prodotto da ghiandole di tipo sebaceo.

Le sostanze prodotte dalle ghiandole situate nella zona genitale sono depositate sul substrato come marcature sia dai maschi sia dalle femmine. Ambedue i sessi possono effettuare marcature (genital marks) strofinando la zona genitale su supporti orizzontali e verticali, applicandovi così il loro secreto.

I maschi possono effettuare anche marcature premendo lo sperone corneo del polso sul substrato (wrist mark), applicandovi la secrezione del solo organo ante-brachiale, oppure una mescolanza di due secreti, ottenuta tramite lo strofinio del polso sull'organo brachiale (wrist to pit). Ogni maschio, inoltre,

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13 utilizza queste due secrezioni per impregnare la propria coda (anoint tail), che poi può essere scossa sopra la testa in direzione di un altro animale (wave

tail).

Spesso i catta ispezionano a lungo il substrato prima di deporvi la propria marcatura: annusano e leccano soprattutto se un altro animale ha già marcato quel sito, coprendo a volte la marcatura precedente con il proprio odore. Alcuni studi hanno dimostrato che, in questo modo, i maschi di Lemur catta possono distinguere gli odori rilasciati con marcature brachiali ed ante-brachiali da altri maschi (Mertl, 1975) ed anche odori di animali estranei da quelli conosciuti (Ramsay e Giller, 1996). Inoltre è stato provato che i maschi di L. catta distinguono le marcature genitali femminili dalle marcature maschili ante-brachiali, ma non le distinguono da quelle genitali (Evans, 1980; Dugmore et al., 1984).

Epple (1976) afferma che con l'investigazione delle marcature c'è, in Lemur

catta, l'identificazione del sesso e della condizione riproduttiva dell'animale

che ha marcato e la comunicazione olfattiva è implicata nel corteggiamento, nella formazione delle coppie, nonché nella coordinazione degli accoppiamenti e nella sincronia riproduttiva.

Alcuni autori descrivono un particolare comportamento, detto flehmen, che consiste nell'annusare e leccare a lungo tenendo la lingua arrotolata ed inspirando rumorosamente, dopo aver girato la testa e scoperto i canini (Evans e Goy, 1968; Bailey, 1978; Evans, 1980). Questo particolare modo di "annusare" ha lo scopo di dirigere sostanze odorose non volatili verso l'organo vomero-nasale e sembra essere proprio dei maschi quando annusano le secrezioni vaginali delle femmine. Il flehmen è però molto difficile da distinguere nelle normali osservazioni, tanto che l'unico studio specifico condotto su di esso si avvale di tecniche cinematografiche (Bailey, 1978) e tale comportamento non è neppure nominato nella maggior parte degli articoli più recenti, né è inserito nell'etogramma specifico cui abbiamo fatto riferimento nella presente ricerca.

Tutti i tipi di marcature sono accompagnati da chiari segnali visivi in Lemur

catta, ma ciò è particolarmente evidente nei comportamenti di anoint tail e di wave tail dei maschi. Questi comportamenti sono esempi di comunicazione

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14 minaccia nelle stink fights, ma sono rivolti anche alle femmine durante il corteggiamento per monitorarne la disponibilità, eliminando la posizione delle orecchie (appiattite e rivolte all'indietro) ed ogni altro segnale che li renda particolarmente minacciosi. L'anoint tail ed il wave tail perdono ogni connotazione aggressiva anche nel caso siano effettuati, specialmente da piccoli e giovani, nel gioco (tail play).

Schilling (1974) considera la marcatura in Lemur catta "come una risposta stereotipata ad un complesso di stimoli che sono essi stessi modulati da fattori ecologici ed etologici (disponibilità e natura dei supporti da marcare, fattori climatici, segnali lasciati da altri individui) e da stimoli fisiologici esterni (ciclo dell'estro, gravidanza o più in generale alti livelli di eccitazione)." Gli studi condotti sul comportamento olfattivo di L. catta hanno messo in luce il suo significato sia di comunicazione inter-gruppo (Mertl-Millhollen, 1986, 1988; Mertl-Millhollen et al.,1979), sia di comunicazione intra-gruppo (Mertl-Millhollen, 1988; Kappeler, 1990, 1998).

Nella comunicazione olfattiva esistono altre differenze tra i due sessi oltre ai diversi modi di marcare. La frequenza di marcatura dei maschi è positivamente correlata con il loro rango, mentre, a questo riguardo, non si riscontra nessun effetto dello stato sociale sulle femmine (Kappeler, 1990); i maschi investigano le marcature femminili più spesso di quanto le femmine non esplorino quelle maschili (Kappeler, 1998). Sembra che le marcature genitali maschili non abbiano alcun significato territoriale, perché sono effettuate più spesso nella core area che nelle zone di confronto (Mertl-Millhollen, 1988), inoltre i maschi non utilizzano mai questo tipo di marcatura per sovra-marcare (Mertl-Millhollen et al, 1979; Dugmore et al., 1984).

Molti sono ancora gli aspetti da chiarire riguardo alla comunicazione olfattiva, alle sue implicazioni sociali ed alle sue possibili variazioni in base ai cambiamenti di stagione e dello stato riproduttivo di questo lemure.

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1.4 Stagionalità nei Primati

Variazioni stagionali nel comportamento e nell'attività riproduttiva sono state osservate in molti Mammiferi, non solo in quelli confinati nelle zone a latitudine maggiore, dove le differenze stagionali delle condizioni climatiche ed ambientali sono più pronunciate, ma anche in quelli che abitano le zone tropicali. Tali variazioni sono state riscontrate anche nell'ordine dei Primati. Nelle specie definite "stagionali" avvengono molti cambiamenti fisiologici e comportamentali in periodi dell'anno ristretti. Il termine "stagionalità" implica, quindi, una tendenza verso il restringimento temporale dell'attività riproduttiva: esistono così periodi dell'anno ben precisi in cui sono confinate tutte le nascite (stagione delle nascite) e periodi in cui avvengono gli accoppiamenti (stagione riproduttiva).

Nei Primati c'è grande varietà nella lunghezza dell'intervallo che intercorre tra due stagioni riproduttive. Le grandi antropomorfe (Hominoidea), ad esempio, hanno un figlio ogni 4-5 anni, per contro i piccoli cheirogaleidi spesso hanno due nati in un solo anno. Possono presentare stagionalità solo quei Primati che completano il ciclo dal concepimento allo svezzamento in un anno o meno (Lindburgh, 1987).

Il solo Ominoideo per cui è stata suggerita la stagionalità è Hylobates hoolock (McCann, 1933; Tilson, 1979). Tra le scimmie del Vecchio Mondo è stata trovata stagionalità in tutte le Cercopitecine che vivono a più di 20° di latitudine dall'equatore, ad eccezione di Papio ursinus, mentre nessuna Colobina è ritenuta essere strettamente stagionale (Lindburgh, 1987). Per le scimmie del Nuovo Mondo c'è minore disponibilità di dati a riguardo, tra i Callitricidi sono descritte come stagionali alcune popolazioni di specie appartenenti al genere Saguinus. Leontopithecus rosolia, che è la specie più meridionale, e l'unica in cui sia stata inequivocabilmente distinta una stagione delle nascite. Infine tra i Cebidi è stata riconosciuta sicura stagionalità solo in

Saimiri (Lindburgh, 1987).

Tra le Proscimmie, molte sono le specie stagionali, ma vi sono molti casi in cui le informazioni sui cicli riproduttivi scarseggiano. I Lorisidi africani sono un gruppo che presenta grande variabilità, con specie caratterizzate da stagioni ben definite (Perodicticus potto, Galago crassicaudatus e G.

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calabarensis, Galago alleni ed Euoticus elegantulus) (Lindburgh, 1987). Tra i

Tarsidi, Tarsius spectrum sembra avere due stagioni delle nascite, ma la popolazione campionata è troppo piccola per permettere conclusioni definitive (MacKinnon e MacKinnon, 1980).

Tutte le informazioni disponibili indicano le proscimmie malgasce come strettamente stagionali, benché l'analisi dei loro cicli riproduttivi non sia spesso lo scopo principale degli studi effettuati. Sono state fatte osservazioni, sia in natura, sia in cattività, riguardanti le specie delle famiglie dei Cheirogaleidi, degli Indriidi e dei Lemuridi (Lindburgh, 1987).

Nei Cheirogaleidi è stata osservata una forte influenza delle stagioni sulla riproduzione, ma anche sul peso corporeo e sull'attività, con studi specifici in natura, in laboratorio (Petter-Rousseaux, 1980) ed anche in cattività (Foerg e Hoffmann, 1982).

Cheirogaleus medius e Microcebus murinus mostrano in natura una

variazione stagionale di attività, con una stagione degli accoppiamenti in estate malgascia (ottobre-febbraio) ed un periodo di "letargia" durante l'inverno (Petter-Rousseaux, 1980).

Negli Indriidi è stata riscontrata una stagione degli amori tra gennaio e marzo ed una successiva stagione delle nascite tra giugno e luglio (Petter-Rousseaux, 1964; Jolly, 1966, 1967), anche se esistono forti differenze tra le specie e tra le popolazioni che abitano regioni diverse del Madagascar (Lindburgh, 1987). Per i Lemuridi, gli accoppiamenti sono generalmente confinati tra aprile e giugno, mentre le nascite si concentrano tra la fine di agosto e novembre, come risulta da numerose osservazioni fatte in natura (Jolly, 1966, 1967; Budnitz e Dainis, 1975; Lindburgh, 1987).

Colonie in cattività di Lemur catta, di Eulemur macaco ed E. fulvus e di

Varecia variegata, hanno mostrano spiccata stagionalità, con un evidente

slittamento di circa sei mesi nel caso in cui esse si trovino nell'emisfero boreale (Evans e Goy, 1968; van Horn, 1975; Bogart et al., 1977).

Tra i fattori che possono influenzare la stagionalità, quelli maggiormente presi in esame sono la piovosità, la temperatura, il fotoperiodo ed i cambiamenti nella quantità e nelle proprietà nutritive del cibo. Questi sono i risultati ottenuti:

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17 a) sebbene ai tropici ci sia spesso coincidenza temporale tra stagione secca o umida e stagioni delle nascite, non ci sono evidenze certe che la quantità di pioggia e i conseguenti cambiamenti nella vegetazione influenzino l'inizio dell'attività riproduttiva. (Lindburgh, 1987)

b) il fotoperiodo è un fattore implicato nella regolazione dell'attività riproduttiva, anche per le specie che vivono nelle zone tropicali, dove le variazioni della lunghezza del giorno durante l'anno sono minime, ma si sono dimostrate sufficienti nel determinare stagionalità (Evans e Goy, 1968; van Horn, 1975, 1980; van Horn e Resko, 1977; Bogart et al.,1977; Petter-Rousseaux, 1970, 1980; Foerg, 1982; Rasmussen, 1985; Lindburgh, 1987; Pereira, 1993).

c) in molte specie è stata dimostrata l'influenza degli stimoli sociali, specialmente per quel che riguarda la sincronizzazione dei concepimenti all'interno dei gruppi (Jolly, 1967; Schapiro, 1985; Pereira, 1991).

d) in alcuni Primati che si riproducono stagionalmente, il maschio e la femmina possono rispondere indipendentemente ai fattori estrinseci, anche se necessitano, soprattutto i maschi, della presenza all'altro sesso per stimolare l'attività riproduttiva (Lindburgh, 1987). Pochi sono però i lavori sperimentali sui fattori che regolano la stagionalità nei Primati, se paragonati a quelli svolti sugli altri Mammiferi.

1.4.1 Stagionalità in Lemur catta

Lemur catta presenta un ciclo riproduttivo stagionale tipico della famiglia a

cui appartiene, con una breve stagione degli amori, compresa tra aprile e giugno, ed una stagione delle nascite, compresa tra settembre e novembre. Nell'emisfero settentrionale queste stagioni slittano di circa sei mesi, spostando la stagione degli accoppiamenti tra ottobre e dicembre e quella delle nascite tra marzo e maggio.

Tutti gli accoppiamenti sono sempre concentrati in un determinato periodo, per cui all’interno di un gruppo, o anche in gruppi vicini, essi avvengono nell'arco di una o due settimane, e di conseguenza anche le nascite si susseguono a poca distanza l'una dall'altra (Jolly, 1966, 1967; Budnitz e Dainis, 1975; Gould, 1990). All'interno del periodo degli accoppiamenti, ogni femmina è però feconda, e quindi disponibile, solo per un giorno, o addirittura

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18 per poche ore (Jolly, 1966, 1967; Bogart et al., 1977; Koyama, 1988). Inoltre non vi è mai più di una femmina in estro nello stesso giorno, sia nei gruppi osservati in natura (Jolly, 1966; Koyama,1988; Sauther, 1991), sia in quelli in cattività (Pereira, 1991; Pereira e Weiss, 1991). Si può, quindi, parlare di asincronia entro la stagionale sincronizzazione dell'estro in Lemur catta (Pereira, 1991). Nel caso non sia stata fecondata, una femmina ritorna in estro dopo circa 39 giorni dal primo ciclo (Evans e Goy, 1968; van Horn, 1979; Pereira, 1991; Sauther, 1991); in ogni caso il numero degli estri cui può andare incontro una femmina non è mai superiore a tre (Evans e Goy, 1968). Ai concepimenti che possono avvenire in questi secondi cicli d'estro sono imputabili le nascite tardive, sfasate così rispetto alla grande maggioranza dei parti nei gruppi. L'estro delle femmine è osservabile sia dai cambiamenti fisici dei genitali esterni femminili (sexual swelling), che diventano più gonfi e rosei, sia dai comportamenti caratteristici d'accoppiamento messi in atto da ambedue i sessi. Jolly (1966, 1967) ha osservato che simili cambiamenti dei genitali femminili avvengono anche 3 o 4 settimane prima del periodo dell'accoppiamento, suggerendo quindi l'esistenza di uno "pseudo-estro" senza ricettività, circa un mese prima dell'estro vero e proprio.

Il fatto che gli accoppiamenti avvengano in Madagascar nel periodo in cui i giorni sono più corti, e che questa stagione slitti di circa sei mesi nell'emisfero settentrionale, ha dato indicazione di una relazione tra il fotoperiodo e la stagione degli amori. Van Horn (1975) ha dimostrato sperimentalmente l'inibizione di tutti i cicli di estro in fotoperiodi lunghi (14 Light: 10 Dark) e la riattivazione dell'estro con un ritorno a fotoperiodi corti (9 L: 15 D); egli ha inoltre scoperto che anche con un decremento di 30 minuti nel fotoperiodo (da un regime di 12.5 L: 11.5 D ad uno 12.0 L: 12.0 D) si ristabilisce il ciclo d'estro entro 60 giorni (van Horn,1975; van Horn e Eaton,1979).

La possibile spiegazione per la spiccata stagionalità e la sincronizzazione dell'estro in Lemur catta è che gli accoppiamenti avvengano in modo tale che la maggior parte dei piccoli nasca poco prima o durante la stagione delle piogge, quando in Madagascar le risorse alimentari sono più abbondanti, garantendo così un miglior svezzamento dei piccoli (Sauther, 1991; Pereira, 1991; Hoffmann et al.,1992). L'asincronia d'estro garantisce alle femmine la possibilità di accoppiarsi con più di un maschio e la libertà di effettuare la loro scelta sessuale tra tutti i maschi che le circondano (che possono,

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19 anch'essi, competere per ogni femmina in calore), riducendo l'eventualità di non essere fecondate, evitando i secondi cicli d'estro (che spesso portano a nascite fuori del periodo favorevole) ed incrementando le probabilità di avere piccoli che siano in grado di sopravvivere e di diventare adulti (Pereira, 1991; Sauther, 1991).

1.5 Stagionalità e stress sociale

La capacità di far fronte alle difficoltà di ogni giorno nel proprio ambiente naturale è considerata una delle forze guida dell’evoluzione e della speciazione. Gli animali hanno imparato ad adattarsi alle complesse dinamiche del loro habitat naturale, in cui devono essere in grado di rispondere a cambiamenti climatici, alle variazioni nella disponibilità di cibo e alle interazioni con i loro conspecifici. All’interno di una specie, la capacità degli individui di affrontare le sfide ambientali e sociali influenza notevolmente la loro sopravvivenza. A tale scopo si sono evolute delle risposte adattative e dei meccanismi di difesa fisiologici, che giocano un ruolo notevolmente importante nel mantenimento della stabilità sociale all’interno di un gruppo. La mancanza di tali meccanismi può portare ad un processo di alterazione dell’omeostasi interna dell’individuo, comunemente noto come

stress.

Gli animali reagiscono ad un evento stressante attraverso una serie di risposte endocrine e neurali, che permettono un incremento della immediata disponibilità di energia (Wingfield, 1994; Sapolsky, 1992; Munck et al., 1984). La risposta allo stress comporta tipicamente un rilascio di catecolammine (norepinefrina ed epinefrina) da parte del sistema nervoso simpatico, un aumento nel rilascio da parte dell’asse ipotalamo-ipofisario di ormoni steroidei (glucocorticoidi), e numerose altre risposte endocrine, tra cui la soppressione di ormoni anabolici, sessuali e correlati alla crescita (Orth e Kovacs, 1998; Sapolsky, 2000, 2002). Lo stress sociale è comune in molte specie animali e solitamente si presenta in risposta alla competizione per le risorse, quali lo spazio, l’acqua, il cibo e l’accesso al partner riproduttivo. In particolare, il comportamento riproduttivo, in ogni suo aspetto, dal corteggiamento alla competizione con gli altri pretendenti, fino

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20 all’accoppiamento vero e proprio richiede, sia in termini di tempo che di energia, notevoli costi e altrettanti sforzi.

Il ciclo riproduttivo strettamente stagionale di Lemur catta prevede, come già detto, che gli accoppiamenti si concentrino all’interno della stagione secca, durante la quale le risorse alimentari scarseggiano, e le nascite dei piccoli all’inizio della stagione umida, quando invece la disponibilità di cibo è molto elevata (Jolly, 1966; Lack, 1968; Petter-Rousseaux, 1968). Lemur catta, durante la stagione degli amori, deve soddisfare un’elevata richiesta energetica a fronte di una ridotta disponibilità di risorse. Gli studi di Cavigelli (1999) hanno evidenziato, durante la stagione secca, alti livelli di cortisolo fecale, ormone secreto in risposta ad una situazione stressante, in un gruppo di femmine di catta della riserva di Beza-Mahafaly in Madagascar; successivamente Pride (2005) ha confermato la correlazione tra livelli di cortisolo e cambiamenti nella disponibilità di cibo. Tuttavia, Gould (2005), analizzando i livelli di glucocorticoidi fecali dei maschi di Lemur catta durante la stagione riproduttiva e post-riproduttiva, non ha rilevato alcuna differenza tra i due periodi nei livelli ormonali maschili, affermando inoltre che tali livelli, durante la stagione degli accoppiamenti, variano drasticamente da un giorno all’altro.

Le fluttuazioni ambientali a cui i catta vanno incontro hanno portato all’evoluzione di risposte adattative, quali cambiamenti stagionali nell’assunzione di cibo, nei livelli di ormoni metabolici, di accumulo di grasso e di crescita del pelo (Pereira, 1993b; Pereira et al., 1999); inoltre, i due tratti maggiormente distintivi di Lemur catta, ovvero la dominanza femminile e le aggressioni mirate (Jolly,1984; Pereira, 1995), nonché i cambiamenti stagionali nei livelli di aggressione (Sauther, 1993), sembrano essere possibili adattamenti alle difficoltà a cui i lemuri devono far fronte durante la stagione secca. Inoltre, il periodo estremamente breve, in cui le femmine di catta sono disponibili per l’accoppiamento, fa sì che la competizione tra maschi per l’accesso alle femmine sessualmente recettive sia molto alta durante la stagione degli amori (Budnitz & Dainis, 1975; Gould et al., 2005; Jolly, 1966; Koyama, 1988; Sauther, 1991).

Per le specie sociali, come Lemur catta, quindi, le interazioni agonistiche e aggressive possono essere motivo di stress (Wingfield et al., 1991; Sapolsky, 1992b) e il rango di dominanza può influire sui livelli di stress fisico e sociale

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21 degli individui del gruppo (Sapolsky, 2005). Gli studi effettuati negli anni ’50 hanno dimostrato che gli individui di alto rango presentano generalmente maggiori livelli di stress (Brady et al., 1958). Dagli anni ’60 in poi, invece, in seguito a numerosi studi sulla relazione tra livelli di glucocorticoidi, aggressioni e stato sociale è prevalsa la convinzione che un basso rango sociale fosse correlato con un elevato rischio di stress (Bronson e Eleftheriou, 1964; Louch e Higginbotham, 1967; Bronson, 1973; Manogue, 1975). Tuttavia entrambe le posizioni sono errate generalizzazioni, poiché il rango sociale assume diversi significati in relazione alla specie e alle popolazioni di animali studiate. Risulta, pertanto, necessario prendere in considerazione vari fattori:

a) la distribuzione delle risorse - essa varia in relazione al tipo di gerarchia presente. In specie caratterizzate da gerarchie despotiche l’accesso alle risorse è a vantaggio dei dominanti, il cui stato sociale è ottenuto tramite aggressioni e intimidazioni; in maniera opposta, nelle società egalitarie, la distribuzione è decisamente più equa e la dominanza è ottenuta col supporto degli individui subordinati. Nelle specie despotiche, quindi la subordinazione sociale è associata ad elevati indici di stress fisiologico, cosa che invece non si riscontra nei subordinati delle specie egalitarie (Thierry et al., 2004).

b) il modo in cui la dominanza viene mantenuta - in alcune specie il rango è ereditario, in altre può andare incontro a fluttuazioni (de Waal , 1983). Nelle specie despotiche gli individui di alto rango riaffermano la loro posizione tramite frequenti aggressioni. In animali come le manguste nane (Helogale

sp.), i licaoni (Lycaon pictus) e i Lemur catta, gli individui dominanti hanno

livelli di stress molto alti, probabilmente perché devono combattere a livelli di intensità e frequenza elevati per difendere il proprio stato sociale (Creel et al., 1992, 1996, 1997; Cavigelli, 1999); in altre specie despotiche, (babbuini, macachi reso, scimmie scoiattolo, ratti e topi) invece, gli individui d’alto rango affermano la loro dominanza con intimidazioni psicologiche piuttosto che con aggressioni fisiche. In quest’ultimo caso sono i subordinati a mostrare alti livelli di stress, a causa delle frequenti pressioni psicologiche a cui essi sono sottoposti e all’assenza di interazioni fisiche a carico dei dominanti (Creel, 1996; Cavigelli, 1999; Sapolsky, 1990; Bercovitch & Clarke, 1995; Abbott et al., 1998; Davis & Christian, 1957; Manogue, 1975). Anche per

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22 Cavigelli e colleghi (2003) hanno confermato che i livelli di tale ormone sono maggiori nelle femmine dominanti rispetto alle femmine subordinate, sebbene studi successivi (Pride, 2005), svolti a Berenty (Madagascar), siano in disaccordo e non mostrino alcuna differenza tra i due gruppi.

c) il sistema d’accoppiamento - in molte specie di scimmie del Vecchio Mondo, gli individui alfa sono in grado di monopolizzare gli accoppiamenti tramite aggressioni e intimidazioni, compromettendo la fertilità dei subordinati (contraccezione sociale). Invece, nei sistemi sociali in cui è prevista cooperazione tra i partner (Callithrix, Lemur catta, Canis lupus,

Aphelocoma coerulescens) una sola femmina alla volta è disponibile

all’accoppiamento e domina sulle altre: questo tipo di subordinazione non è correlato con elevati livelli di stress (Cavigelli, 1999; Abbott et al., 1998; Schoech et al., 1997; Sands e Creel, 2004).

d) la stabilità del rango sociale - quando la gerarchia è stabile, nelle specie in cui i dominanti sottomettono attivamente i subordinati, sono questi ultimi ad essere maggiormente stressati. Tuttavia durante periodi di riorganizzazione sociale, i dominanti sono sottoposti a grandi tensioni sociali, per cui subiscono gli effetti dello stress fisico e psicologico. Infatti, studi condotti sui livelli di glucocorticoidi durante periodi di instabilità hanno mostrato alti livelli ormonali negli individui dominanti (Sapolsky, 1983, 1992b; Alberts et al., 1992). Se, invece, la gerarchia è ben stabilizzata, i subordinati mostrano indici di stress fisiologico molto alti (Sapolsky, 1993).

e) le strategie messe in atto dai subordinati - i livelli di stress esibiti da un animale non dipendono solo dalla frequenza e dalla gravità degli elementi stressanti, ma anche dalla possibilità di avere a disposizione delle strategie per affrontare un evento stressante. Gli animali spesso, infatti, possono ricorrere a comportamenti di supporto sociale, come il grooming, il contatto fisico e la formazione di coalizioni, o a comportamenti riconciliatori (de Waal, 2000). L’esposizione prolungata a fattori di stress può portare al manifestarsi di disfunzioni cardiovascolari, ipertensione, aumento del battito cardiaco, aterosclerosi, inibizione della riproduzione (Sapolsky, 2005). Quest’ultimo caso è presente di solito tra i maschi, in cui lo stress sopprime i livelli di testosterone nel plasma (Sapolsky, 1991). Tuttavia è stato dimostrato che molte specie sono resistenti a tale effetto se l’elemento stressante è dato dalla competizione tra maschi durante la stagione degli amori: i comportamenti

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23 aggressivi, infatti, in molti mammiferi, risultano correlati con alti livelli di androgeni e specialmente con il testosterone (Bouissou, 1983a; Von Holst, 1989; Monaghan e Glickman, 1992). In accordo con la Challenge Hypothesis di Wingfield (1990), è stato dimostrato che, durante periodi di instabilità sociale come la stagione degli amori, i livelli di competizione tra i maschi di

Lemur catta per accedere alle femmine in estro (sia sottoforma di

comportamenti ritualizzati che di aggressioni vere e proprie) sono notevolmente elevati e, inoltre, risultano correlati con alti livelli di testosterone (Gould e Ziegler, 2007), specialmente nei giorni in cui le femmine sono sessualmente recettive (Cavigelli e Pereira, 2000). Durante la stagione degli amori, anche il tasso di conflitti tra femmine risulta notevolmente più alto rispetto ad ogni altro periodo studiato (von Engelhardt et al., 2000); tuttavia, sebbene le femmine di catta siano il sesso dominante e mostrino alti livelli di aggressioni durante tutto l’anno, esse non mostrano livelli di testosterone maggiori rispetto ai maschi (Drea, 2007). Inoltre, né i livelli di aggressione né il rango sociale risultano correlati con le concentrazioni ormonali di testosterone (Von Engelhardt et al., 2000).

1.6 Stati emotivi nei Primati

1.6.1 Le attività di sostituzione come indicatori degli stati emotivi

Le relazioni sociali hanno sicuramente una forte componente emozionale. Per comprendere lo stato interiore di un animale in base all’osservazione di un suo comportamento è necessario associare tale stato alle interazioni sociali: dal confronto tra ciò che uno si aspetta da una situazione e il modo in cui tale situazione viene realmente percepita dipende spesso il tipo di stato emotivo suscitato, che a sua volta può influire sul tipo di risposta comportamentale e fisiologica messa in atto (Aureli e Schaffner, 2002).

Le emozioni sono il frutto di molteplici fattori, quali le esperienze passate, gli stati interni, le condizioni esterne e i cambiamenti ambientali e fisiologici (Cacioppo et al., 1993). Per meglio comprendere la percezione soggettiva degli animali di una determinata situazione e la relativa reazione emotiva si fa affidamento ad alcuni indicatori fisiologici e comportamentali. Molti autori

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24 suggeriscono che, nei Primati, i comportamenti di sostituzione possano essere validi indicatori comportamentali degli stati emotivi.

In base alla definizione, le attività di sostituzione si manifestano durante situazioni conflittuali, in cui i moduli comportamentali prevedibili, cioè adeguati alle situazioni stesse, non si manifestano affatto e al loro posto si ha un comportamento diverso che, in relazione al caso, appare del tutto privo di senso (Timbergen, 1952; Zeigler, 1964). Ciò accade ogni volta che due tendenze non conciliabili sono attivate contemporaneamente con la stessa intensità oppure nell’ambito di situazioni conflittuali, quando un unico elemento offre stimoli appartenenti a due sfere comportamentali diverse: ad esempio da un partner sessuale possono provenire stimoli al corteggiamento e alla fuga.

Nei Primati i pattern comportamentali maggiormente osservati come attività di sostituzione sono movimenti relativi alla cura del corpo (self-directed

behaviours, SDB): scratching e self-grooming sono le attività di sostituzione

più comunemente riportate in letteratura (Kummer, 1968; Bertrand, 1969; Russel e Russel, 1985; Diezinger e Anderson, 1968; Easley et al., 1987; Schino et al., 1988, 1990; Aureli et al., 1989; Pavani et al., 1991; Aureli e van Schaik, 1991; Bertrand, 1969; Goosen 1974a, b; Troisi e Schino, 1987; Lopez-Vergara et al, 1989); vengono spesso riportati anche i comportamenti di yawning (Carpenter, 1934, 1940; Hinde e Rowell, 1962; Rowell e Hinde, 1963; Kaufman e Rosenblum, 1966; Kummer, 1968; Bertrand 1969; Redican, 1975; Hadidian, 1980; Baenninger, 1987; Easley et al., 1987; Schino et al., 1988, 1990; Troisi et al., 1990), body shaking (Rowell e Hinde, 1963; Schino et al., 1988, 1990; Aureli e van Schaik, 1991) e feeding (Shaller, 1963; Bertrand, 1969). Tali comportamenti sono stati notati in contesti del tutto svincolati dalla reale funzione biologica o dagli stimoli che normalmente li scatenano.

Numerosi studi hanno dimostrato che tali comportamenti sono maggiormente presenti nell’ambito di situazioni stressanti, accompagnate da stati di ansia e conflitti motivazionali, o successivamente ad un’interazione agonistica (Maestripieri et al., 1992). Troisi e Schino (1987) hanno dimostrato un aumento nei livelli di scratching e self-grooming in quegli individui (Macaca

fascicularis) che si trovavano in prossimità dell’individuo di alto rango; un

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25 può essere spiegato tenendo in considerazione che in un contesto del genere due tendenze comportamentali opposte entrano in conflitto: da un lato quella di avvicinarsi ulteriormente al dominante (per effettuare una sessione di

grooming o per cercare un contatto), dall’altra quella di fuggire per paura di

un’aggressione (Troisi e Schino, 1987). Sempre tra i macachi è stato registrato un notevole aumento dei comportamenti di scratching,

self-grooming e body shaking da parte della vittima di un’aggressione (Aureli et

al., 1989; Aureli e van Schaik, 1991). Le attività di sostituzione che avvengono in seguito ad un’interazione aggressiva riflettono il conflitto interno tra la tendenza ad allontanarsi dall’aggressore per timore di un ulteriore attacco e quella all’approccio per tentare una riconciliazione. Tali attività possono inoltre riflettere la tensione dovuta all’incertezza circa la propria posizione sociale, per cui le vittime di un’aggressione hanno più probabilità di essere nuovamente attaccate (Aureli e van Schaik, 1991) e di non beneficiare della tolleranza del dominante (Cords, 1992).

Alti livelli di comportamenti di sostituzione sono inoltre associati a situazioni caratterizzate da insicurezza nella valutazione dello stato sociale (Schino et al., 1990): quando due femmine di macaco non familiari vengono poste insieme all’interno di una gabbia, se vengono a mancare segnali di chiare relazioni di dominanza si registra un incremento nella frequenza di

scratching, self-grooming e yawning (Schino et al., 1990; Rowell e Hinde,

1963); al contrario, se rapidamente una delle due femmine mostra comportamenti indicativi di un determinato stato sociale (ad esempio mostrare i denti), tali attività si presentano con una frequenza molto più bassa. Lo stesso avviene se si mettono a confronto due individui familiari, le cui relazioni di dominanza sono già chiaramente definite.

Nonostante siano stati fatti numerosi studi sulla relazione tra attività di sostituzione e rango sociale, i risultati ottenuti spesso sono in contrasto gli uni con gli altri. Gli individui di alto rango tendono a sbadigliare di più di quelli di basso rango in Macaca nigra (Hadidian, 1980) e M. fascicularis (Troisi et al., 1990) e negli scimpanzé (Pan troglodytes, te Boekhorst et al., 1991); tuttavia non sono state trovate differenze tra i macachi del Giappone (Macaca

fuscata, Troisi et al., 1990). Risultati poco coerenti sono stati trovati anche

per lo scratching: tra i macachi dalla coda lunga, i subordinati mostrano livelli di scratching maggiori rispetto ai dominanti (M. fascicularis, Pavani et al.,

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26 1991); d’altro canto, nei babbuini e negli scimpanzé, i dominanti effettuano più frequentemente il comportamento di scratching (Easley et al., 1987; te Boekhorst et al., 1991). Probabilmente la relazione tra rango e scratching è strettamente legata al contesto (Maestripieri et al., 1992).

Infine, è stata documentata l’associazione tra attività di sostituzione e situazioni in cui è necessario prendere una decisione: Kummer (1968) ha notato un alto livello di scratching tra i maschi di Papio hamadryas, durante le fasi di coordinazione del gruppo (decision making).

Dagli studi fatti, emerge chiaramente che le attività di sostituzione si manifestano in situazioni di indecisione sul comportamento da attuare o sulle intenzioni degli altri individui oppure in situazioni in cui non è intuitivamente comprensibile un conflitto motivazionale interno (Maestripieri et al., 1992). L’ipotesi secondo cui i Primati mettono in atto i comportamenti di sostituzione come manifestazione esterna del loro stato di tensione e ansia, associato ad una situazione che produce stress, richiede delle controprove fisiologiche e farmacologiche. È stato dimostrato che tali pattern comportamentali sono accompagnati da cambiamenti fisiologici tipici della risposta da stress, come l’incremento del battito cardiaco, della pressione sanguigna e di livelli plasmatici di catecolammine e corticosteroidi (Axelrod e Reisine, 1984). Associati a questi risultati, troviamo che farmaci ansiogeni e ansiolitici sono in grado rispettivamente di aumentare (Vellucci et al., 1986; Schino et al., 1996) e ridurre i livelli di attività di sostituzione (Schino et al., 1991, 1996; Cilia e Piper, 1997; Barros et al., 2000).

1.6.2 Funzioni adattative delle attività di sostituzione

Considerando il tempo e l’energia necessaria ai Primati per mettere in atto le attività di sostituzione, appare ragionevole ipotizzare che tali comportamenti abbiano una funzione adattativa (Maestripieri et al., 1992).

Nell’ambito di una situazione stressante, tali attività potrebbero servire come mezzo per limitare i costi dovuti al conflitto interno e agire come attività regolative, cioè in grado di riportare l’animale entro i limiti fisiologici e psicologici ottimali (Mason, 1991).

Un’altra possibile funzione potrebbe essere la comunicazione sociale: gli animali sono continuamente messi di fronte alla necessità di fare una scelta comportamentale, le cui conseguenze e il cui successo dipendono dallo stato

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27 emotivo interno e dal comportamento degli altri individui. Di conseguenza la selezione naturale favorirà quegli animali in grado di capire quali comportamenti possano essere usati come indizi per prevedere le future risposte degli altri membri del gruppo (Krebs e Dawkins, 1984). In tal senso le attività di sostituzione potrebbero fornire informazioni sullo stato emotivo di un animale ed essere rilevanti in quei contesti sociali in cui è cruciale capire i comportamenti degli altri.

Alla luce di quanto detto finora, si può quindi affermare che lo studio delle attività di sostituzione rappresenta un valido strumento per quantificare le reazioni emotive ai fattori stressanti sociali e ambientali in maniera non invasiva, tramite la semplice osservazione dei comportamenti.

Poiché le reazioni emotive agli stimoli esterni dipendono in larga misura dalla percezione soggettiva di tali stimoli, le attività di sostituzione possono rappresentare un mezzo per valutare quantitativamente i diversi modi con cui gli individui reagiscono ad una situazione stressante. Le differenze nelle strategie comportamentali attuate dagli animali nelle varie circostanze sono correlate alla percezione dell’ambiente in cui vivono come potenzialmente pericoloso per loro stessi. Misurare le reazioni emotive di ogni individuo di fronte a svariate situazioni permette inoltre di capire come i membri di un gruppo percepiscono la qualità delle loro relazioni e come riescano ad affrontare le difficoltà ambientali. Tutto ciò aiuterebbe a spiegare perché un animale metta in atto un determinato comportamento piuttosto che un altro e perché in uno stesso contesto individui diversi adottino strategie comportamentali diverse.

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