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4. MATERIALI E METODI

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4. MATERIALI E METODI

4.1 Materiali

L’analisi mutazionale dei codoni 12 e 13 del gene KRas e dell’esone 15 del gene

BRAF è stata condotta su una casistica consecutiva di 31 pazienti affetti da carcinomi

colo rettali (CRC) sincroni selezionati su 500 casi (6%), operati presso la chirurgia dell’Azienda-Ospedaliera-Universitaria Pisana e diagnosticati presso l’Anatomia Patologica III dello stesso presidio ospedaliero, nel periodo compreso tra il 2006- 2009. Di ciascun paziente sono stati analizzati tutti i tumori presenti nella diagnosi e in dettaglio:

• 26 pazienti presentavano 2 tumori;

• 3 pazienti presentavano 3 tumori;

• 1 paziente presentava 4 tumori;

• 1 paziente presentava 5 tumori.

In totale sono stati analizzati 70 tumori di cui 12 neoplasie (adenocarcinomi in situ) e 58 adenocarcinomi con un, più o meno, alto grado di infiltrazione. All’ interno di tale casistica, inoltre, 17 pazienti presentavano anche metastasi linfonodali e/o a distanza, per le quali, in ogni caso, è stato possibile eseguire l’analisi mutazionale. L’analisi mutazionale è stata condotta sul tessuto tumorale fissato in formalina e incluso in paraffina (FFPE) archiviato presso l’istoteca dell’Anatomia Patologica III dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

La fissazione in formalina e l’inclusione in paraffina è la metodica comunemente utilizzata per la conservazione dei tessuti e comprende due processi fondamentali:

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39  Fissazione in formalina, è il processo che consente di preservare i vari

componenti chimici e conservare, quindi, la struttura tissutale al fine di mantenere inalterata la morfologia del tessuto in esame. In particolare la formalina agisce denaturando le proteine e stabilizzandole tramite la formazione di ponti metilenici tra i residui aminoacidici in maniera tale da impedire la loro solubilizzazione. Tuttavia la denaturazione delle proteine può andare ad interferire indirettamente sulla struttura degli acidi nucleici, in particolare quella del DNA, in quanto tale molecola è associata ad una varietà di proteine, le più importanti delle quali sono rappresentate dagli istoni, la cui denaturazione rende il DNA meno compatto e più suscettibile a rotture. Questo spiega il motivo per cui il DNA estratto da tessuto fissato in formalina risulta essere frammentato. La formalina non è un fissativo in grado di denaturare, e quindi fissare, i lipidi e i carboidrati, ma ne rende comunque possibile la loro conservazione dal momento in cui conferisce rigidità al tessuto. E’ inoltre indispensabile che la formalina venga usata insieme ad un apposito tampone che consenta il mantenimento del pH fisiologico e che non alteri l’osmolarità del tessuto.

 L’inclusione in paraffina, è il processo che prevede l’immersione del preparato

in paraffina fusa dopodiché la paraffina viene lasciata solidificare. Tale inclusione in paraffina consente di rendere solido il tessuto precedentemente fissato in maniera tale da permettere il taglio del materiale incluso in sottili fette per eseguire la diagnosi istologica.

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4.2 Metodi

4.2.1 Estrazione del DNA

Sono stati analizzati 31 pazienti affetti da CRC sincroni, per un totale di 70 tumori. Per ciascun tumore sono state allestite 4 sezioni su vetrino non trattato, l’ultima delle quali, di spessore di 3µm, è stata colorata con Ematossilina Eosina al fine di confermare la presenza del tessuto tumorale, mentre le rimanenti sezioni, di spessore di 10 µm, sono state utilizzate per l’estrazione del DNA.

Prima di procedere con l’estrazione del DNA il materiale biologico incluso in paraffina è stato opportunamente sparaffinato in maniera tale da rimuovere la paraffina che altrimenti potrebbe interferire con la resa dell’estrazione e con le successive applicazioni, come ad esempio la PCR.

Tale procedura consiste nei seguenti passaggi:

 Xilolo, due lavaggi da 15 minuti ciascuno

 Etanolo al 100% per 10 minuti

 Etanolo al 96% per 10 minuti

 Etanolo al 70% per 10 minuti

 Etanolo al 50% per 10 minuti

 H2O, due lavaggi da 10 minuti ciascuno

Il lavaggio in xilolo permette di asportare la paraffina, mentre la serie di passaggi in alcooli a concentrazione decrescente è necessaria per la graduale idratazione della sezione di tessuto adesa al vetrino, evitando un repentino rigonfiamento con conseguenti alterazioni della struttura tissutale.Successivamente, le cellule tumorali da cui estrarre il DNA sono state isolate dal preparato istologico mediante macrodissezione manuale eseguita utilizzando l’ago di una siringa.

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La regione da macrodissecare è stata selezionata dall’anatomo patologo tramite l’analisi al microscopio ottico del corrispondente vetrino colorato con Ematossilina e Eosina.

L’estrazione del DNA è stata eseguita usando il kit commerciale “QIAamp DNA Micro Kit” (QIAGEN), il cui protocollo prevede essenzialmente quattro fasi:

1. Lisi delle cellule che consiste nel rompere le membrane cellulari (compresa quella nucleare) senza andare ad alterare gli acidi nucleici; a tale scopo si utilizzano tamponi contenenti SDS (sodiododecilsolfato), Tris-HCl, EDTA e proteinasi K con l’aggiunta di guanidina idrocloride, un agente in grado di denaturare le proteine.

2. Separazione dell’acido nucleico dalla soluzione contenente il lisato cellulare mediante l’adsorbimento del DNA ad una membrana di silice in presenza di sali caotropici ed etanolo; tale membrana di silice è caratterizzata da una carica netta positiva in grado di legare l’acido nucleico carico negativamente; è in questa fase che avviene la purificazione dell’acido nucleico che precipita sulla membrana.

3. Lavaggio con soluzioni di etanolo per rimuovere eventuali sali rimasti adesi alla membrana.

4. Eluizione del DNA adsorbito alla membrana con una soluzione tampone a bassa concentrazione salina ed un pH alcalino.

In particolare, il tessuto tumorale macrodissecato è stato trasferito in una provetta nella quale sono stati dispensati 25 µl di proteinasi K e 180 µl di tampone di pre-lisi. La digestione enzimatica è avvenuta a 56°C overnight, dopodichè sono stati eseguiti i seguenti passaggi (Fig.9):

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42 • Aggiunta di 200 µl di etanolo assoluto

• Caricamento del lisato nella colonnina con membrana di silice e centrifugazione a 8000 rpm per 1 minuto

• Lavaggio con 500 µl di tampone di lavaggio e centrifugazione a 8000 rpm per 1 minuto

• Lavaggio con 500 µl di tampone e centrifugazione a 13000 rpm per 3 minuti

• Eluizione del DNA mediante l’aggiunta di 30 µl di tampone di eluizione. Tale volume ha rappresentato un punto critico della fase di estrazione; infatti, è stato necessario scegliere un volume che permettesse di avere una buona resa in base alle caratteristiche del materiale di partenza. Un ulteriore accorgimento per migliorare la resa di estrazione è consistito nel lasciare incubare il campione a temperatura ambiente per cinque minuti prima di centrifugare a 8000 rpm per un minuto.

Figura 9: Passaggi estrazione del DNA

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Al fine di valutare la resa dell’estrazione e la purezza del DNA estratto è stata eseguita la lettura spettrofotometrica, utilizzando lo spettrofotometro UV-visibile NanoDrop 1000. In particolare le misurazioni sono state eseguite caricando microvolumi (2 µl) di campione su una apposita piastra di lettura che crea una colonna di liquido a diretto contatto con fibre ottiche; impostato il valore dello standard (bianco), è stato possibile effettuare la lettura dell’assorbanza e quindi stimare direttamente la concentrazione del DNA. La valutazione della quantità di DNA viene eseguita misurando l’assorbanza del campione ad una lunghezza d’onda di 260 mn (A260), alla quale il DNA è in grado di assorbire per la presenza degli anelli aromatici. La purezza, invece, è stata valutata considerando il rapporto delle assorbanze A260/A280, dove 280 nm rappresenta la lunghezza d’onda alla quale assorbono le proteine. Sono considerati di buona qualità i campioni che hanno rapporti di assorbanza compresi tra 1.8-2, valori più bassi indicano contaminazione da proteine e sostanze organiche. I campioni analizzati in questo studio sono stati stimati di buona qualità e quindi idonei per ulteriori analisi. La lettura spettrofotometrica è stata, inoltre, utilizzata per normalizzare i campioni ad una concentrazione di 20 ng/µl.

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4.2.2 PCR (Polymerase Chain Reaction)

La tecnica di PCR (Polymerase Chain Reaction) consente di amplificare un frammento di DNA di interesse di cui si conosce la sequenza nucleotidica e che nel nostro studio è stata utilizzata per amplificare i codoni 12 e 13 del gene KRas e dell’esone 15 del gene BRAF.

Il processo di amplificazione comprende tre fasi che si ripetono ciclicamente (Fig.10):

1. Fase di denaturazione in cui si ha la separazione termica della doppia elica di DNA. La temperatura di denaturazione è stabilita in base alla lunghezza del frammento da denaturare e alla composizione in basi, da cui dipende l’energia necessaria per rompere i legami a idrogeno che tengono uniti i due filamenti. Infatti, l’adenina e la timina sono unite da due legami a idrogeno, mentre tra la guanina e la citosina sono presenti tre legami a idrogeno, per questo la rottura del loro legame richiede una maggiore quantità di energia. Dunque, la quantità di energia termica necessaria per denaturare varia in funzione della percentuale di citosina e guanina presente nel doppio filamento.

2. Fase di appaiamento (o di annealing) dei primers, oligonucleotidi a singola elica complementari alle estremità 5’ e 3’ della regione di interesse. Durante questa fase si ha la formazione dei legami a idrogeno tra i primers e le loro rispettive sequenze complementari sui filamenti denaturati. La temperatura di annealing e la sua durata sono determinanti per ottenere un’amplificazione specifica del target, in particolare tale temperatura deve essere qualche grado (mediamente 5°C ) più bassa della temperatura di melting dei primers, calcolata con la formula [2 (A+T) + 4 (G+C)], temperatura alla quale metà dei primers sono appaiati alla sequenza target, in modo da favorire la formazione di legami stabili. Solitamente tale temperatura di annealing è compresa tra 37-65°C e la fase di annealing ha una durata di circa 30 secondi. La temperatura rappresenta quindi un punto critico della PCR, in quanto da essa dipende sia la resa sia la specificità della reazione. Infatti la temperatura deve essere

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sufficientemente elevata per aumentare la specificità della reazione, senza però essere eccessivamente alta in quanto favorirebbe la separazione dei primers dal bersaglio; al contrario, una temperatura troppo bassa consentirebbe l’appaiamento aspecifico dei primers e dunque la formazione di amplificati aspecifici.

3. Fase di allungamento (o extension) dei primers da parte dell’enzima DNA polimerasi durante la quale avviene l’amplificazione del target. In particolare tale enzima utilizza come substrato per la sintesi del filamento ex novo i dideossinucleotidi (dNTP: deossinuclotide trifosfato) e procede in direzione 5’ 3’ dello stampo incorporando un dNTP alla volta all’estremità 3’-OH dei primers. La temperatura di extension è generalmente compresa tra 70-72°C, temperatura che dipende dal tipo di DNA polimerasi utilizzato in quanto ciascun enzima ha una sua temperatura ottimale alla quale polimerizza più velocemente (ad esempio, per la Taq polimerasi la temperatura ottimale è pari a 72°C). La durata della fase di allungamento deve essere stabilita sia in base alla velocità di polimerizzazione dell’enzima utilizzato sia in base alla lunghezza in basi della regione da amplificare.

Figura 10: PCR: Fasi di denaturazione della doppia elica, annealing dei primers alle estremità 5’ e 3’della regione da amplificare e

extension dei primers.

Il numero di cicli da effettuare varia da 30 a 40 cicli e viene stabilito in base al numero di molecole di DNA target, infatti la quantità di prodotto di PCR è

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proporzionale al numero di cicli, comunque tale numero non deve essere maggiore di 50 in quanto dopo un certo numero di cicli viene raggiunta la fase di plateau. Tale fenomeno è dovuto all’andamento caratteristico della reazione rappresentato da una fase esponenziale, in cui si ha il raddoppio del numero di copie del target, alla quale segue una fase di plateau dove il numero di copie rimane invariato (Fig.11). Tale andamento può essere dovuto a diversi fattori, tra i quali una ridotta attività dell’enzima che, sebbene sia termostabile, si può degradare per effetto delle alte temperature a cui è sottoposto; la progressiva diminuzione della concentrazione di uno o più componenti necessari alla reazione, quali primers e dNTP; la competizione tra i prodotti dei cicli precedenti e i primers per l’ibridazione ed, infine, l’accumulo di pirofosfati che inibiscono l’enzima polimerasi.

Durante la fase esponenziale della reazione, in linea teorica, ad ogni ciclo dovrebbe raddoppiare il numero di molecole di DNA target, tuttavia, nella pratica, per ottenere una stima attendibile della quantità di prodotto di PCR è necessario prendere in considerazione l’efficienza (E) della reazione, che solitamente è compresa tra 0,7 e 0,8.

La quantità di prodotto di PCR (Y) dopo n cicli può essere calcolata con la formula: Yn = A x (1 + E)n, dove A rappresenta il numero di molecole di DNA target.

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Per la realizzazione della reazione di amplificazione sono necessari i seguenti componenti:

 DNA contenente la sequenza target da amplificare;

 La Master Mix contenente: una miscela dei quattro deossinucleotidi (dNTP); DNA Polimerasi; un tampone di reazione contenente Sali, per mantenere costanti le condizioni di pH; ioni magnesio sotto forma di MgCl2, necessari per stabilizzare i

nucleotidi

 Soluzione di primers, forward e reverse, la cui lunghezza deve essere preferibilmente compresa tra 20 e 30 basi, in particolare i primers non devono contenere meno di 16 basi per assicurare la specificità del processo e non devono essere troppo lunghi altrimenti sarebbe necessaria una quantità di energia eccessiva per staccarli dal filamento stampo alla fine di ogni ciclo di reazione. Il fattore principale da considerare per il disegno dei primers è rappresentato dalla loro temperatura di melting e quindi dal loro contenuto in citosine e guanine che, solitamente, dovrebbe essere compreso tra il 45 e il 50%. I due primers infatti devono lavorare insieme alla stessa temperatura di annealing ed è perciò indispensabile che abbiano una temperatura di melting molto simile. Per il disegno dei primers è necessario valutare anche la presenza di eventuali sequenze palindrome che possono portare alla formazione di strutture secondarie e verificare che i due primers utilizzati non abbiano sequenze complementari per evitare il self-annealing che diminuirebbe notevolmente la loro concentrazione effettiva nella miscela. Inoltre, la loro concentrazione nella miscela di reazione non deve essere limitante, ma neanche eccessiva poiché, in tal caso, aumenterebbe il rischio di dimerizzazione. Nel nostro caso, oltre agli accorgimenti appena descritti, per il disegno dei primers è stato necessario tener conto delle caratteristiche del materiale di partenza ovverosia la sua possibile frammentazione dovuta al trattamento con la formalina.

Dunque tale reazione viene svolta sotto cappa a flusso laminare utilizzando materiale (provette e puntali) sterilizzato, e consiste nel mescolare tutti questi componenti in una micro-provetta, creando una miscela di reazione con la quale vengono aliquotati i campioni di DNA estratto.

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4.2.2.1 PCR per i codoni 12 e 13 dell’esone 2 di KRas

L’amplificazione dei codoni 12 e 13 dell’esone 2 del gene KRas è stata eseguita utilizzando la coppia di primers forward e reverse di seguito riportati

- Forward: 5’- TCA - TTA - TTT - TTA - TTA - TAA – GGC-CTG-CTG - 3’ - Reverse: 5’- AGA - ATG - GTC - CTG - CAC - CAG - TAA - 3’

i quali sono stati disegnati nel nostro laboratorio utilizzando il software Primer-3

versione v.0.4.0 (sito web: primer3-web/htdocs/input-040.htm). La lunghezza del

prodotto di amplificazione ottenuto è pari a 186 bp.

Per ogni campione nella reazione di amplificazione sono state impiegate le seguenti quantità:

- 5 µl di DNA, normalizzato ad una concentrazione di 20 ng/µl; 8 µl per i DNA con una concentrazione inferiore a 20 ng/µl;

- 12,5 µl di Master Mix; - 0,5 µl di primer forward; - 0,5 µl di primer reverse;

- 6,5 µl di H2O milliQ per i campioni normalizzati e 3,5 µl di H2O milliQ per i

campioni non normalizzati.

Dopo una prima fase a 95°C per 5 minuti, necessaria per l’attivazione della polimerasi utilizzata, l’ amplificazione è stata eseguita mediante 40 cicli caratterizzati come sotto riportato:

 denaturazione a 94°C per 30 secondi

 annealing a 55°C per 45 secondi

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4.2.2.2 PCR dell’esone 15 di BRAF

L’esone 15 del gene BRAF è stato amplificato utilizzando i primers forward e reverse disegnati con il software Primer-3 versione v.0.4.0, la cui sequenza è rispettivamente:

- Forward: 5’- TCC - TTT - ACT - TAC - TAC - ACC - TCA - GAT - 3’ - Reverse: 5’- AGT - GGA - AAA - ATA - GCC - TCA - AT - 3’

Il prodotto di amplificazione ottenuto ha una lunghezza di 167bp.

Per ogni campione nella reazione di amplificazione sono state impiegate le seguenti quantità:

- 5 µl di DNA, normalizzato ad una concentrazione di 20 ng/µl; 8 µl per i DNA con una concentrazione inferiore a 20 ng/µl;

- 12,5 µl di Master Mix; - 0,5 µl di primer forward; - 0,5 µl di primer reverse;

- 6,5 µl di H2O milliQ per i campioni normalizzati e 3,5 µl di H2O milliQ per i

campioni non normalizzati.

Dopo una prima fase a 95°C per 5 minuti, necessaria per l’attivazione della polimerasi utilizzata, l’ amplificazione è stata eseguita mediante 40 cicli caratterizzati come sotto riportato:

 denaturazione a 94°C per 30 secondi

 annealing a 55°C per 45 secondi

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4.2.3 Gel di agarosio

La visualizzazione del prodotto di PCR è stata eseguita mediante la corsa elettroforetica su gel di agarosio, metodo standard utilizzato per separare molecole cariche tramite l’applicazione di un campo elettrico. Gli acidi nucleici, infatti, sono molecole cariche negativamente per la presenza di gruppi fosfato ionizzati che, in presenza di un campo elettrico uniforme, migrano verso il polo positivo.

Il gel di agarosio è stato preparato sciogliendo la polvere di agarosio, un polisaccaride estratto da un alga, in un tampone Tris-Borato-EDTA (TBE) 0,5X, e lasciandola quindi raffreddare in una cella elettroforetica orizzontale contenente un pettine di plastica per la formazione dei pozzetti. L’agarosio solidifica a 45°C formando una maglia, la cui dimensione dipende dalla concentrazione di agarosio utilizzata e che permette la separazione delle molecole di DNA in base alla loro lunghezza; più precisamente, la velocità di migrazione delle molecole è inversamente proporzionale alla loro lunghezza, e, dunque, anche al loro peso molecolare.

L’amplificazione dei codoni 12 e 13 di KRas e dell’esone 15 di BRAF è stata verificata mediante un gel di agarosio all’1,5% al quale è stato aggiunto bromuro di etidio, una molecola in grado di intercalarsi al DNA a doppia elica, che, quando irraggiata con luce ultravioletta, emette luce fluorescente permettendo di visualizzare il prodotto di amplificazione. Al fine di mantenere costante la carica degli ampliconi è stato utilizzato come tampone di corsa un tampone Tris-Borato EDTA (TBE) 0,5X. I campioni sono stati preparati utilizzando un loading buffer contenente il colorante blu di bromofenolo, che permette all’operatore di monitorare l’andamento della corsa elettroforetica, e il glicerolo, un composto in grado di aumentare la densità del campione al fine di evitare la fuoriuscita del campione stesso dal pozzetto. In particolare è stato preparato un volume di 5 µl contenente 1 µl di loading buffer concentrato 5 X e 4 µl del prodotto di PCR da analizzare.

Per verificare la specificità dei prodotti di amplificazione viene fatto correre un marcatore di peso molecolare da 100bp.

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In ciascun pozzetto sono stati caricati 5 µl di campione e la corsa elettroforetica è stata condotta utilizzando una differenza di potenziale pari a 100-130V per una durata di 15-20 minuti circa. Terminata la corsa elettroforetica, le bande ottenute sono state visualizzate illuminando il gel con una sorgente di luce ultravioletta, lunghezza d’onda alla quale assorbe il bromuro di etidio.

Figura 12: Gel di agarosio: vaschetta nella quale viene versato e lasciato

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4.2.4 vSCREENING MEDIANTE SSCP (single strand

conformation polymorphism)

È una metodica utilizzata per valutare la presenza di alterazioni della sequenza nucleotidica.

Questa tecnica si basa sul principio che due molecole di DNA a singola elica di lunghezza uguale che differiscono anche per una singola base nucleotidica assumono strutture secondarie differenti in seguito a ripiegamenti intramolecolari sequenza-dipendenti.

Una minima variazione di sequenza, quindi, come una mutazione puntiforme, si può manifestare con una differenza di conformazione, responsabile di una modificazione del “pattern” elettroforetico di corsa. L’SSCP è una procedura rapida e semplice, che riesce ad identificare in generale oltre il 70% delle mutazioni possibili.

Nella pratica, la tecnica di SSCP è eseguita in combinazione con la tecnica di PCR; l’utilizzo di primers specifici, infatti, consente l’amplificazione della regione genica di interesse, partendo dal DNA estratto da campioni di qualsiasi tipo, nel nostro caso da frammenti fissati in formalina, inclusi in paraffina e non colorati. Gli ampliconi vengono resi a singolo filamento mediante denaturazione e vengono separati in un gel di poliacrilammide non denaturante. Quindi, nelle opportune condizioni di intensità di corrente, di differenza di potenziale e di durata della corsa, ciascuna emielica avrà un pattern di migrazione che varia in funzione della struttura secondaria che essa assume e, dunque, della propria composizione in basi. Dunque, in un campo elettrico, gli ampliconi avranno una mobilità elettroforetica peculiare che dipenderà dalla loro sequenza nucleotidica cosi’ che ampliconi che differiscono anche per un’unica base mostreranno pattern di migrazione differenti.

In linea teorica, nel caso di sostituzioni di un singolo nucleotide, dovremmo trovarci di fronte ad una situazione simile a quella riportata in figura 13, dove si può osservare che il campione wild-type ha solo due bande di migrazione in quanto i due alleli sono uguali tra loro e perciò le due emieliche uguali assumeranno la stessa struttura secondaria e migreranno nello stesso modo. Diversamente, per i campioni che presentano la mutazione in eterozigosi si osservano quattro bande di migrazione;

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infatti, dal momento che i due alleli sono tra loro diversi, si avranno, in seguito alla denaturazione, quattro emieliche ciascuna con una sequenza nucleotidica diversa e perciò con un riarrangiamento differente, le quali mostreranno un pattern di migrazione che si discosta da quello osservato per il campione non mutato. In particolare, delle quattro bande che si generano, due, quelle corrispondenti alle emieliche dell’allele wild-type, avranno la stessa altezza di quelle osservate nel campione wild-type, mentre le altre due saranno differenti. La situazione osservata per i campioni wild-type è valida anche nel caso di mutazioni in omozigosi, infatti anche in questo caso il gene ha la stessa sequenza su entrambi gli alleli, perciò, anche in questo caso, si hanno emieliche uguali due a due che presenteranno due riarrangiamenti e quindi due bande di migrazione differenti. Tuttavia, le bande generate dal campione mutato avranno un pattern di migrazione differente rispetto a quelle ottenute dal campione wild-type.

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Figura 13: SSCP: Le bande corrispondenti ai riarrangiamenti delle emieliche sono due per il campione wild-type, mentre per il campione mutato in eterozigosi si possono visualizzare quattro bande.

Nello studio da me condotto, la tecnica di SSCP è stata eseguita per effettuare uno screening mutazionale preliminare dell’esone 15 del gene BRAF, in particolare l’analisi è stata condotta sull’apparecchio GenePhor Electrophresis Unit utilizzando un gel precostituito al 12,5% di poliacrilammide contenente 24 pozzetti (GeneGel

Excel 12.5/24 GE Healthcare, formely AMERSHAM BIOSCIENCE).

Nell’analisi, oltre ai campioni da analizzare, ogni volta, sono state impiegati due campioni di riferimento, rappresentati dalle linee cellulari WRO ed ARO, caratterizzate e validate per l’esone 15 del gene BRAF, per la quale sono risultate essere rispettivamente wild-type e mutata V600E, che è la mutazione più frequente che fino ad oggi è stata descritta nei carcinomi colo rettali.

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I campioni da analizzare sono stati preparati mediante diluizione in formammide (denaturante) con un rapporto 1:1 e successivamente denaturati termicamente a 95°C per 5 minuti, infine sono stati caricati sul gel precostituito di poliacrilammide 5 µl di ciascun campione ed impostate le condizioni di corsa messe a punto, nel nostro laboratorio, per lo screening mutazionale del gene BRAF, secondo le quali la corsa elettroforetica è eseguita per la durata di 1 ora e 40 minuti ad un’intensità di corrente costante di 25 mA ed una temperatura costante di 18°C.

La fase successiva è stata quella dello sviluppo, in cui ho trattato il mio gel con quattro tipi di soluzioni per poter dunque visualizzare tutte le bande. In dettaglio, per la rivelazione delle bande è stato utilizzato un kit commerciale PlusOne Silver

Staining Kit (GE Healthcare) che si basa sulla colorazione del DNA con nitrato di

argento e il cui protocollo prevede diversi lavaggi:

 Fixing Solution: lavaggio di 30 minuti (o overnight), che serve per fissare ed è preparata utilizzando:

- 100 ml di etanolo al 24%

- 25 ml di Fixing Solution 5 X contenente acido benzen sulforico

 Silver Solution: lavaggio di 30 minuti, preparata utilizzando: - 100 ml di H2O

- 25 ml di Staining Solution 5 X contenente nitrato di argento e acido benzen sulforico

 Lavaggio di 1 minuto con almeno 125 ml di H2O

 Developing Solution: lavaggio di 6 minuti, permette lo sviluppo ed è preparata utilizzando:

- 100 ml di H2O

- 25 ml di sodio carbonato 5 X - 125 µl di sodio trisolfato - 125 µl di formaldeide

 Stopping Solution: lavaggio di 30 minuti ( o overnight), preparata utilizzando: - 100 ml di H2O

- 25 ml di Stopping Solution 5 X contenente acido acetico, sodio acetato e glicerolo

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In definitiva, i campioni tumorali che mostrano bande aberranti nella migrazione in due o più esperimenti indipendenti di PCR-SSCP, sono stati considerati alterati, quindi potenzialmente mutati. Per cui attraverso questa tecnica siamo in grado di predire la presenza di eventuali mutazioni che saranno poi definitivamente caratterizzate mediante la tecnica del sequenziamento genomico diretto.

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4.2.5 Sequenziamento genomico diretto

L’analisi mutazionale dei codoni 12 e 13 del gene KRas e dell’esone 15 del gene

BRAF è stata eseguita tramite sequenziamento genomico diretto, mediante il quale è

possibile ottenere la sequenza nucleotidica di una determinata molecola di acido nucleico.

Esistono diversi metodi per sequenziare il DNA, nel nostro caso è stato utilizzato il metodo di Sanger il cui principio si basa sulla terminazione della catena in seguito all’incorporazione di nucleotidi modificati, i dideossinucleotidi trifosfato (ddNTP), durante la reazione di sequenza. In dettaglio, nella miscela di reazione, oltre ai dNTP (deossinucleotidi trifosfato), ciascuna base azotata è presente nella sua forma dideossinucleotidica caratterizzata dalla sostituzione del gruppo ossidrile (OH) in posizione 3’ del ribosio con un idrogeno (H). Tale sostituzione determina l’interruzione del processo di polimerizzazione da parte dell’enzima DNA polimerasi in quanto l’assenza dell’ossigeno in posizione 3’ del ribosio impedisce la formazione del legame fosfodiesterico. Ogni ddNTP compete con il rispettivo dNTP per essere incorporato nel filamento di nuova sintesi; in tal modo si generano una serie di filamenti che differiscono tra di loro per un singolo nucleotide, in dettaglio il filamento più corto corrisponde alla lunghezza del primer più un nucleotide, mentre il filamento più lungo ha una lunghezza pari a quella della sequenza amplificata. I filamenti ottenuti in questo modo hanno tutti la stessa estremità 5’, mentre differiscono per la loro estremità 3’. L’incorporazione da parte della DNA polimerasi dei ddNTP piuttosto che i dNTP è un processo puramente casuale per cui le loro rispettive concentrazioni nella miscela di reazione ed il rapporto tra di esse sono determinanti per ottenere tutti i filamenti di DNA necessari a coprire l’intera lunghezza dell’amplicone. Terminata la reazione di sequenza, i filamenti di DNA ottenuti sono successivamente separati per elettroforesi capillare. Inoltre i diversi ddNTP differiscono l’uno dall’altro in quanto marcati con fluorocromi differenti. Prima di procedere con la reazione di sequenza è stato necessario rimuovere tutti i componenti della miscela di reazione in eccesso, quali i dNTP, i Sali, i tamponi e i dimeri di primers.

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Per purificare il prodotto di PCR è stato quindi utilizzato il kit “QlAquick PCR

Purification Kit (QIAGEN)” con l’applicazione del seguente protocollo:

- aggiunta di 5 volumi di un tampone contenente isopropanolo (Buffer PBI) ad 1 volume di prodotto di PCR, per la precipitazione;

- caricamento in colonnine composte di una membrana in grado di trattenere il DNA e centrifugazione a 13000 rpm per un minuto;

- lavaggio con 0,75 ml di un tampone contenente etanolo (Buffer PE) e centrifugazione a 13000 rpm;

- centrifugazione per un minuto per rimuovere ogni residuo di etanolo;

- aggiunta 30-40 µl di tampone di eluizione (Buffer EB), una miscela che possiede un’affinità maggiore per il DNA rispetto alla membrana, per cui è in grado di far staccare il DNA dalla membrana della colonnina; incubazione per un minuto a temperatura ambiente e centrifugazione a 13000 rpm. Il volume di eluizione è stato scelto in funzione della resa di PCR ottenuta in maniera tale da avere una quantità di amplicone sufficiente per le fasi successive dell’analisi; infatti i campioni che alla visualizzazione della PCR hanno mostrato una resa maggiore, ovvero delle bande con una buona intensità, sono stati eluiti in 40 µl di tampone di eluizione, mentre quelli che hanno presentato bande con minore intensità sono stati eluiti in 30µl di tale tampone.

Per effettuare la reazione di sequenza degli ampliconi di KRas e BRAF è stato utilizzato il Big Dye Terminator v3.1(Applied Biosystems) e per tutti i campioni sono stati sequenziati sia il filamento forward sia il filamento reverse, in particolare, per ciascun filamento, è stata preparata una miscela di reazione con volume finale di 20

µl nella quale sono stati utilizzati gli stessi primers impiegati nella reazione di PCR sebbene ad una concentrazione minore, pari a 0,16 µM.

Sono state riportate, in dettaglio, le quantità e le concentrazioni iniziali dei singoli componenti della miscela di reazione:

(22)

59

- 3 µl di amplificato per i campioni che sono stati eluiti in 30µl di tampone di eluizione e 2µl di amplificato per i campioni che sono stati eluiti in 40µl di tampone di eluizione;

- 2 µl di buffer 10 X;

- 3,2 µl di primer concentrato 1 µM;

- 4 µl di una soluzione contenente l’enzima polimerasi, i dNTP e i ddNTP;

- H2O distillata, microbiologicamente pura (milliQ) per portare a volume finale di

20µl.

La reazione di sequenza è stata eseguita utilizzando il ciclo consigliato dal protocollo, che consiste nell’attivazione dell’enzima a 96°C per 1 minuto e in 25 cicli composti dagli steps di seguito riportati:

 denaturazione: 96°C per 10 secondi

 annealing: 50°C per 5 secondi

 extension: 60°C per 4 minuti

La purificazione della miscela di filamenti di DNA generati dalla reazione di sequenza è stata effettuata mediante precipitazione etanolica, i cui passaggi sono:

• aggiunta a 20 µl di reazione di sequenza di 5 µl di una soluzione di glicogeno concentrato 10mg/ml, 5 µl di ammonio acetato 7,5M, e 60 µl di etanolo al 100% ghiacciato;

• incubazione in ghiaccio per 20 minuti;

• centrifugazione a 13000 rpm per 20 minuti ed eliminazione del sovranatante;

• risospensione del pellet in 200 µl di etanolo al 70% ghiacciato;

• centrifugazione per 5 minuti a 13000 rpm ed eliminazione del sovranatante;

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60

Dopo aver dispensato 8 µl di formammide nei pozzetti della piastra utilizzata per il sequenziamento, nella stessa sono stati caricati i pellet risospesi in H2O; i campioni

sono stati quindi denaturati a 95°C per 2 minuti prima di caricare la piastra nel sequenziatore 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems) sul quale è stata effettuata l’elettroforesi capillare.

La lettura delle sequenze ottenute è stata eseguita utilizzando il software d’analisi

Sequencing Analysis (Fig.14).

Figura 14: Elettroforesi capillare. I frammenti di DNA di diversa lunghezza generati

durante la reazione di sequenza e separati tramite elettroforesi capillare vengono attraversati da un raggio laser e la fluorescenza, emessa in seguito all’eccitazione del fluoroforo, viene rilevata dal detector.

Figura

Figura 9: Passaggi estrazione del DNA
Figura 11: Andamento esponenziale della PCR
Figura 13: SSCP: Le bande corrispondenti ai riarrangiamenti delle   emieliche sono due per  il campione wild-type, mentre per il campione  mutato in eterozigosi si possono visualizzare  quattro bande
Figura 14: Elettroforesi capillare. I frammenti di DNA di diversa lunghezza generati

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