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APITOLO
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ENNIS
TORICIL’origine della città di Piombino viene tradizionalmente collocata nella prima metà del IX secolo. Il saccheggio di Populonia da parte degli Arabi nell’806 d.C. e la conseguente crisi che investì questo importante centro metallurgico avrebbero infatti favorito il potenziamento dell’antico scalo marittimo di Porto Falesia (sorto in età romana e corrispondente all’attuale Portovecchio), situato a poca distanza dal punto in cui successivamente sarebbe sorto il borgo originario di Piombino. Molto probabilmente, però, l’espansione dell’antica Falesia fu favorita anche dalla progressiva ripresa dei traffici marittimi tra Occidente ed Oriente all’interno del bacino del Mediterraneo. Non conosciamo dunque le dinamiche esatte che portarono alla fondazione e all’espansione di Piombino, ma è certo che tra l’XI e il XII secolo la città visse una prima fase di sviluppo. Nel 1013, in particolare, Pisa acquisì dalla famiglia Della Gherardesca il controllo sul territorio e nel 1022 Ugone, Tedice, Rodolfo, Enrico e Gherardo Della Gherardesca fecero edificare il monastero di S. Giustiniano di Falesia, posto nella parte meridionale del promontorio di Piombino, presumibilmente nell’area oggi occupata dal quartiere Cotone. Il monastero divenne all’inizio del XII secolo un importante punto di riferimento politico ed economico ed accrebbe notevolmente il suo patrimonio, grazie alle cospicue donazioni dei Della Gherardesca. La prima notizia relativa all’esistenza del castello di Piombino compare in un documento del 1115, che registrava la cessione da parte dell’abate del monastero di S. Giustiniano di una parte del castello stesso all’Opera della Cattedrale pisana, in cambio di un appezzamento di terreno nei pressi della chiesa di S. Nicola a Pisa. La stipula di un tale accordo, a cui nel 1135 seguirà una seconda cessione, e la presenza di un presidio pisano in difesa del porto e della costa confermano il fatto che a partire dal XII secolo Pisa detenesse una posizione egemonica nei confronti della città di Piombino (posizione che, peraltro, verrà formalizzata nel 1162 con l’emanazione di un Diploma imperiale e poi codificata negli Statuti Pisani del 1233). Un documento relativo ad una controversia con Pisa, risalente al 1187, fornisce la prima notizia certa sull’esistenza del Comune di Piombino. L’interesse manifestato da Pisa nei confronti di questo territorio dipendeva evidentemente dalla posizione
strategica che la costa piombinese occupava dal punto di vista commerciale, oltre che dalla particolare conformazione della costa che risultava naturalmente protetta e non richiedeva quindi la presenza di imponenti opere di fortificazione. Nel corso del XIII secolo Piombino ebbe comunque la possibilità di organizzarsi come libero Comune, di sviluppare proprie istituzioni e una propria fisionomia urbanistica, riscontrabile nella costruzione dell’imponente Torrione, corpo centrale del sistema di fortificazione cittadino, e delle fonti dei Canali per approvvigionare d’acqua le imbarcazioni che raggiungevano il porto. Il legame con Pisa rappresentò dunque per Piombino un’insostituibile occasione di crescita, ma fu anche alla base della stagione di grave crisi che interessò parallelamente i due centri sul finire del XIII secolo. Nel 1284, infatti, la flotta genovese inflisse alla Repubblica di Pisa una durissima sconfitta alla Meloria, che segnò il tramonto della sua potenza commerciale e della sua posizione egemonica nello scacchiere politico toscano. In breve tempo l’allentarsi del controllo pisano favorì una progressiva crescita dell’indipendenza politica di Piombino e della sua preminenza sul contado. All’inizio del Trecento infatti la città era regolata da statuti redatti in totale autonomia, che ricalcavano le forme di rappresentanza del Comune di Pisa attraverso la nomina di un Capitano, di tre Anziani, di sette esponenti del Consiglio Minore e di undici membri del Senato. L’occasione di accrescere ulteriormente l’indipendenza arrivò nella seconda metà del secolo quando Giovanni dell’Agnello, ricco mercante pisano e primo e unico doge della città, tentò di trasformare Piombino in una Signoria autonoma, inaugurando una stagione di violente agitazioni popolari e di lotte intestine tra fazioni avverse a cui nel 1374 Benedetto Gambacorti rispose con una decisa politica di repressione, che gli valse importanti benemerenze e l’acquisizione di una forma di protettorato speciale su Piombino. Nel decennio successivo però il timore di ulteriori disordini (che, peraltro, stavano investendo contemporaneamente anche altri centri dell’area maremmana) e le ambizioni espansionistiche manifestate da potenze come Firenze e Siena spinsero il governo pisano a perseguire la strada della conciliazione, emanando dei provvedimenti che concedevano ai Piombinesi un’ampia autonomia decisionale e l’alleggerimento degli oneri fiscali dovuti alla città dominante. Sul finire del XIV secolo Piombino attraversò una fase di intensi cambiamenti politici. Nel 1392 Iacopo
Appiano, notaio di Pietro Gambacorti, signore di Pisa, si mise a capo di una congiura grazie alla quale, ucciso il Gambacorti, venne armato cavaliere col titolo di difensore del popolo pisano. Nel 1399 Gherardo, esponente di spicco della nobile casata pisana, succeduto da appena un anno al padre Iacopo nel governo della città, vendette Pisa ai Visconti di Milano, ottenendo in cambio per la propria famiglia la Signoria su un territorio di circa 600 kmq, che da Piombino si estendeva fino ai comuni di Suvereto e Scarlino, per la parte continentale, e che, sul versante marittimo, comprendeva l'Isola d'Elba, Pianosa e Montecristo. Nel 1404, alla morte di Gherardo, il governo della Signoria passò nelle mani della moglie Paola Colonna, reggente in nome del figlio Iacopo II. Quest’ultimo morì senza eredi nel 1441, lasciando nuovamente il potere alla madre, fino al 1445, anno della proclamazione come signore di Piombino di Rinaldo Orsini Tagliacozzo e della moglie Caterina d’Appiano, sorella di Iacopo II. Alla metà del secolo venne rafforzato il tratto di cinta urbana compreso tra la porta a terra e il castello e fu innalzata la fortezza del Rivellino, voluta dall’Orsini nel 1447, che nel corso dell’assedio tentato dal re di Napoli Alfonso d’Aragona l’anno successivo si sarebbe rivelata strumento indispensabile di difesa della città. Alla morte senza eredi dell’Orsini, salì al potere Emanuele d’Appiano, fratello di Gherardo. Nel corso del governo Appiani Piombino visse una stagione decisamente positiva, in cui una rilevante crescita economica e demografica, favorita soprattutto dal trasferimento in città di molti mercanti e artigiani pisani, in seguito alla conquista di Pisa da parte dei Fiorentini nel 1406, si accompagnò a una fase di intenso sviluppo. La Signoria di Iacopo III, succeduto al padre Emanuele nel 1454, coincise con una delle stagioni più felici della storia artistica e architettonica della città, nel corso della quale vennero edificate opere di grande importanza come l’Ospedale della S.S. Trinità, il complesso della Cittadella e il chiostro di S. Antimo. Sul piano economico per Piombino il XV secolo è caratterizzato da una forte riduzione delle attività mercantili e da una crescente tendenza allo sfruttamento dei beni fondiari e all’allevamento. I motivi di questo ripiegamento verso l’interno sono riconducibili essenzialmente alla conquista di uno sbocco sul mare da parte dei Fiorentini in seguito all’acquisizione di Pisa, Livorno e Porto Pisano. Circostanza che, comprensibilmente, scoraggiò lo Stato di Piombino
dal perseguire una economia marittima e mercantile agguerrita. In questa direzione si mosse anche la politica economica di Iacopo III, che incentivò l’agricoltura e lo sfruttamento delle miniere di ferro dell’Elba. Nel 1501, durante la Signoria di Iacopo IV, succeduto al padre nel 1475, le truppe di Cesare Borgia, figlio illegittimo di papa Alessandro VI, posero sotto assedio Piombino, costringendo Iacopo IV alla fuga. Il duca Valentino detenne il controllo sulla città fino al 1504, anno della morte del padre. Al conseguente indebolimento del potere del duca seguì una rivolta popolare e il ritorno in città di Iacopo IV. Nel 1507 la fisionomia politica dello stato di Piombino e il potere signorile della famiglia Appiano ebbero un riconoscimento ufficiale in occasione della visita di Ferdinando il Cattolico. Soltanto due anni dopo, inoltre, alla protezione del re spagnolo si aggiunse quella dell’imperatore Massimiliano d’Austria, che investì gli Appiano del titolo di Principi e nominò la città Feudo nobile del Sacro Romano Impero, conferendole la facoltà di battere moneta d’argento e d’oro. Tuttavia a poco o nulla valsero sia i fasti artistici e la politica autoritaria di Jacopo III, che i tentativi del suo successore di svincolarsi dall’oligarchia piombinese per cercare una legittimazione imperiale del suo potere: i deboli governi retti da Jacopo V e dal suo successore Jacopo VI finirono per allentare il controllo sul territorio e costrinsero la città a subire una serie di gravi ingerenze politiche da parte dell’imperatore Carlo V e del duca di Firenze Cosimo I de’ Medici. Parallelamente l’oligarchia cittadina continuò a rafforzarsi, alimentando le sempre più frequenti ribellioni della popolazione, che costrinsero Iacopo VI a soggiornare lontano dalla città. Dopo la sua morte seguì la Signoria del figlio Alessandro, che cadde vittima di una congiura nel 1584. A questa fase di disordini, congiure e di discontinuità nella successione, seguì il governo di Iacopo VII, nel corso del quale l’imperatore Rodolfo II d’Austria trasformò il feudo piombinese in Principato imperiale (1594). Alla morte di Iacopo VII, primo principe di Piombino, il ramo maschile della famiglia Appiani si estinse e nel 1628 l’Imperatore dichiarò decaduta Isabella, sorella di Iacopo VII e ultima rappresentate della casata al potere. Dopo un breve periodo di reggenza da parte del re di Spagna Filippo IV, nel 1634 l’imperatore Ferdinando II cedette il principato a Niccolò Ludovisi, principe di Venosa, in cambio di un milione di fiorini. Questo nuovo assetto politico non garantì stabilità allo Stato
piombinese, ma anzi diede inizio ad un periodo di stagnazione politica ed economica e ad una serie rovinosa di brevi occupazioni militari, tutte riconducibili al rinnovato interesse che gli Stati italiani ed europei rivolsero a Piombino, a causa della sua posizione strategica sul Mar Tirreno e della possibilità di sfruttare le ingenti risorse di ferro presenti nel territorio. Infatti nel 1646 i Francesi conquistarono Piombino e la utilizzarono come base per la conquista di Porto Longone all’isola d’Elba e solo pochi anni più tardi, nel 1650, la città fu presa dagli Spagnoli. Questa condizione di instabilità politica cronica fu favorita anche dall’atteggiamento dell’oligarchia piombinese, che vide nell’assenza di un potere stabile e accentrato la possibilità di estendere i propri privilegi, di controllare l’accesso alle maggiori cariche pubbliche e soprattutto di attuare una politica di privatizzazione delle terre. Questo stato di crisi economica generalizzata, inoltre, si accompagnò ad una drastica riduzione della popolazione, decimata dalle epidemie di peste che si susseguirono nel 1630, 1651 e 1656. Il governo dei Ludovisi fu generalmente caratterizzato da una gestione mediocre del territorio. Solo nel corso del principato di Giovanni Battista fu avviata una politica tesa a favorire una ripresa dei traffici marittimi e l’incremento demografico all’interno della città. Nel 1677 venne infatti promulgato l’Editto sul Porto Franco, per incrementare il transito delle merci da Piombino attraverso delle facilitazioni fiscali, e nel 1695 con l’Editto sugli Ebrei si tentò di incrementare la popolazione, favorendo la loro immigrazione nel principato. Il nuovo secolo si aprì con un importante cambiamento nell’assetto politico della città: estinta la dinastia dei Ludovisi le sorti del principato passarono nelle mani della nobile casata romana dei Boncompagni, infatti dal 1701 Gregorio Boncompagni divenne correggente della moglie Ippolita Ludovisi, ultima esponente della famiglia. Il nuovo secolo e il nuovo assetto politico dello stato piombinese, comunque, non si accompagnarono ad un miglioramento della situazione interna: nel 1707 la città fu costretta a subire un breve presidio da parte delle truppe austriache, a cui seguì una vera e propria occupazione militare, che ebbe termine nel 1734, quando gli Austriaci abbandonarono la città in seguito all’arrivo di truppe napoletane. Inoltre nel 1726 orde di corsari maltesi riuscirono ad avanzare nella città fino a saccheggiare parzialmente il borgo. La seconda metà del secolo segnò un’inversione di tendenza di questo processo di
decadenza, riconducibile sia a fattori esterni, di portata europea, di crescita economica e demografica, sia alla rinnovata stabilità politica, che coincise con i Principati di Gaetano Boncompagni e di suo figlio Antonio, principi di Piombino dal 1745 al 1805. Al primo, in particolare, si deve un nuovo censimento della popolazione e il tentativo di risollevare le sorti dell’industria laniera ormai in netto declino. Sul finire del Settecento su Piombino e sullo specchio di mare antistante alla città si concentrarono le mire delle truppe francesi ed inglesi, che nel giro di pochi anni si alternarono in alcune brevi occupazioni. Nel 1796 infatti le truppe inglesi occuparono per alcuni mesi l’isola d’Elba e Piombino e, nel marzo 1799, i Francesi entrarono in città proclamando l’istituzione della repubblica e procedendo all’espropriazione delle terre della famiglia dei Principi e alla confisca degli arredi argentei delle chiese cittadine. La prima occupazione francese si concluse nell’agosto di quello stesso anno, quando venne riconfermata l’indipendenza dello stato di Piombino e il governo della città tornò nelle mani del principe Antonio Boncompagni Ludovisi. Il tramonto definitivo della storica dinastia non tardò comunque ad arrivare: nel 1801 infatti le truppe francesi fecero nuovamente ingresso nella città e vi stabilirono un presidio militare, che si concluse solo nel 1805, quando Napoleone Bonaparte riconobbe al territorio piombinese la dignità di Principato. In quegli anni la scena politica europea mutò radicalmente la sua fisionomia proprio in seguito alla rapida ascesa di Napoleone, che nel 1804 riuscì a farsi incoronare imperatore e nell’anno successivo fu nominato re d’Italia. Nel 1805 questi assegnò alla sorella Elisa Bonaparte e a suo marito Felice Baiocchi prima il controllo del Principato di Piombino e, successivamente, quello dello stato di Lucca. Il territorio, una volta unificato, non venne mai annesso all’Impero francese, contrariamente a quanto avvenne per il resto della Toscana, ma nel corso del principato dei Baciocchi visse una intensa fase di crescita e ricoprì un ruolo strategico di grande rilevanza, assicurando la difesa del canale e delle coste dell’Elba e della Corsica. L’intraprendenza e l’abilità politica che la principessa Elisa dimostrò di possedere negli anni del suo governo avviarono un processo di rinnovamento molto ampio. Uno dei primi interventi consistette nella riorganizzazione dell’ordinamento militare, attraverso la creazione del Battaglione dei Cacciatori di Piombino; successivamente
venne istituito presso il vecchio palazzo Appiani il Bagno Penale, che dal 1807 ottenne uno specifico regolamento; nel 1808 i Principi approvarono il nuovo Codice Rurale e l’anno successivo venne avviato un progetto di ristrutturazione del Castello e delle torri costiere. Agli anni del principato Baciocchi risalgono inoltre la fondazione del villaggio di Montioni, che servì per potenziare lo sfruttamento delle locali miniere di allume, l’avvio di imponenti progetti di bonifica nelle zone paludose che si estendevano intorno al centro abitato, l’istituzione dell’Ufficio del Registro, la realizzazione, per opera dell’ingegnere francese Louis Guizot, della piazza d’armi e del viale alberato che conduceva in Cittadella (anch’essa oggetto di ristrutturazione da parte dell’architetto Ferdinando Gabrielli), e la costruzione di un asse stradale costiero a Nord della città, che è ancora oggi percorribile e che, significativamente, prende il nome di strada della Principessa. L’annessione di Piombino e dell’Elba alla diocesi di Ajaccio nel 1806 coincise con la soppressione degli enti religiosi, la confisca di una parte rilevante dei loro patrimoni e la trasformazione degli edifici sacri in edifici ad uso civile. In seguito a questa disposizione la chiesa di S. Antimo sopra i Canali fu adibita ad ospedale civile e militare e solo quella di S. Michele, oggi S. Antimo, mantenne intatta la sua funzione di edificio di culto. Alla caduta di Napoleone i sovrani europei, riunitisi nel Congresso di Vienna, ristabilirono il granducato di Toscana e ne concessero nuovamente il governo all’arciduca Ferdinando ed ai suoi legittimi eredi, estendendo la sua sovranità anche ai territori dell’Elba e di Piombino e decretando in tal modo la fine della autonomia politica che aveva caratterizzato la storia secolare della città. L’annessione di Piombino al granducato provocò comprensibilmente la reazione di Luigi Boncompagni Ludovisi, figlio di Antonio e legittimo erede del principato, al quale il Congresso concesse condizioni fiscali favorevoli e il pieno possesso delle sue proprietà sul territorio, nello stato in cui si trovavano prima dell’invasione francese del 1799. L’annessione al Granducato coincise con un periodo di progressivo miglioramento della situazione economica e demografica della città. Questo processo spontaneo di ripresa fu favorito anche dall’azione politica del granduca Leopoldo II, che a partire dal 1828 avviò una campagna di bonifica nel territorio della Maremma. Il risanamento del Padule di Piombino e della Sdriscia permise di aumentare la disponibilità di terreni
coltivabili e favorì un ampliamento della rete viaria, a cui si aggiunse anche un progressivo ammodernamento tecnico-produttivo in ambito agricolo. L’estensione delle leggi di affrancazione delle servitù pubbliche, in vigore già dalla fine del secolo precedente nel resto del granducato, consentì una ridistribuzione dei terreni coltivabili e un crescente aumento del numero dei proprietari terrieri. L’incremento del settore primario contribuì inoltre alla fondazione nel 1875 di un istituto di credito per gli agricoltori, la Cassa Agricola Piombinese. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si registra una progressiva crescita demografica, che ebbe una straordinaria impennata nel primo decennio del XX secolo, in seguito alla nascita di un grande polo siderurgico, il cui sviluppo favorì un imponente flusso immigratorio. Infatti nel 1897 venne costituita la società degli Alti Forni e Fonderie di Piombino, nella quale nel giro di pochi anni verrà avviato il processo continuo di produzione, e che nel 1911 entra a far parte del maggiore raggruppamento siderurgico italiano, l’Ilva Altiforni e Acciaierie d’Italia. Questo rapidissimo processo di crescita delle attività siderurgiche nella città fece emergere l’insufficienza degli alloggi e l’assenza di infrastrutture adeguate, in una città il cui impianto urbanistico era rimasto invariato per secoli. Parallelamente alla crescita degli impianti siderurgici e alla costruzione di alloggi comunali per la popolazione operaia, furono avviati i lavori di ampliamento delle reti fognarie, dell’acquedotto comunale e di ammodernamento del porto, che fu dotato di banchine di proprietà delle industrie e per il quale si registrò una progressiva crescita del movimento di merci. Durante il secondo conflitto mondiale Piombino fu occupata dalle truppe tedesche e la popolazione si rese protagonista di uno dei più importanti episodi nella storia della Resistenza, per il quale la città ha ricevuto la Medaglia d’argento al valore militare nel 1979 e la Medaglia d’oro nel 2000.
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O SVILUPPO URBANISTICONon abbiamo notizie certe sulle prime fasi di sviluppo della città di Piombino, se non a partire dal 1115, quando, come testimoniato dall’esistenza di almeno due atti di
permuta, Piombino si presenta già come un centro abitato ampiamente sviluppato1. Si tratta dell’unico insediamento presente nel circondario di cui è giunta fino a noi una descrizione così accurata, dalla quale emerge la presenza a Piombino di torri, case ed edifici già all’interno del primo circuito murario, ma anche all’esterno, a formare quel burgus citato nella narrazione degli attacchi da parte di Genova del 1125-1126, che ne provocarono la parziale distruzione. Dal momento che nell’atto di fondazione del monastero di San Giustiniano di Falesia, risalente al 1022, non si fa ancora riferimento all’esistenza di altri centri abitati nelle vicinanze, è possibile collocare la fondazione della città in questo intervallo di tempo.2 Dalle fonti documentarie esistenti sappiamo che all’interno del castello erano presenti già a quest’epoca la Pieve di San Lorenzo ed una Cappella, presumibilmente dedicata a Sant’Antimo ed edificata nel secondo quarto del XII secolo. In un atto testamentario del 1288 si fa per la prima volta menzione della Chiesa di San Michele, ricostruita probabilmente nella stessa sede nella seconda metà del XIV secolo e oggi Concattedrale dedicata a Sant’Antimo. L’osservazione del tessuto abitativo del centro storico costituisce il mezzo più diretto a nostra disposizione per cercare di delineare la consistenza dell’antico castello. Da questa analisi emerge chiaramente la presenza di una serie di corpi di fabbrica che seguono un andamento topografico curvilineo sul fronte prospiciente il mare, distaccandosi in maniera netta dal resto del tracciato urbano. Di questo sviluppo a semicerchio, probabilmente causato dalla presenza di una cinta muraria, si perdono le tracce avvicinandosi alla Chiesa di San Michele. Agli inizi del XIII secolo, per far fronte all’aumento della popolazione sia all’interno che all’esterno del castello, fu probabilmente pianificato un processo di ampliamento e adeguamento della città. Il primo intervento riguardò la ricostruzione della cinta muraria, come testimoniano le due porte rimaste: la Porta a Terra, edificata nel 1212, ed una seconda Porta, attualmente inglobata all’interno del Castello ed edificata nel 1235. Di questo nuovo circuito murario, che racchiuse anche il braccio di terra su cui
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I due documenti stabilivano la cessione di parte del castello e della corte ad esso pertinente, da parte dell’abate Uberto del monastero di S. Giustiniano di Falesia in favore dell’Opera della Cattedrale di Pisa. Cfr. M.L.CECCARELLI, Il monastero di S.Giustiniano di Falesia e il Castello di Piombino (secoli
XI-XIII), Pisa, Pacini Editore, 1972, p. 15.
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sorgeva una fortificazione chiamata Rocchetta, rimangono soltanto alcuni lacerti, uno in prossimità della Porta a Terra e un secondo, oggi a sostegno di un terrazzamento sovrastante il Porticciolo.
Figura 1. Planimetria del centro storico di Piombino.
La cartografia storica e lo studio della topografia del luogo possono fornirci utili informazioni per la ricostruzione di un ipotetico andamento delle mura (fig. 1). Alla metà del XIII secolo risale l’edificazione della chiesa di S. Antimo sopra i Canali, posta al di sopra della Fonte dei Canali. La chiesa, sede della Pieve dal 1468, fu sconsacrata nel 1806 da Felice Baciocchi ed adibita ad ospedale civile e militare. Di questo importante edificio sacro ad una sola navata, in un primo stile gotico toscano, rimangono l’abside rettangolare e alcuni tratti delle mura perimetrali. Nella prima metà del XIII secolo fu edificata inoltre la chiesa di S. Giovanni Battista, il cui aspetto originario è testimoniato soltanto dalla parte inferiore della facciata in pietra alberese, a causa dei numerosi interventi subiti nel corso dei secoli. A questo stesso periodo risale anche la “casa delle bifore”, unico edificio civile duecentesco sopravvissuto nel tessuto urbano piombinese, recentemente restaurato ed oggi sede
dell’Archivio storico comunale. Al 1247 risale un considerevole intervento di sistemazione e potenziamento del porto e la edificazione della Fonte dei Canali, ancora oggi visibile presso l’antico scalo del Porticciolo (così chiamato per distinguerlo dallo scalo principale di Falesia). Ubicata nelle vicinanze della Porta a Mare e in stile tardo-romanico, la Fonte doveva servire per l’approvvigionamento delle imbarcazioni che approdavano al Porticciolo. Fonti documentarie citano anche l’apertura di una porta Nuova, probabilmente presso la chiesa di S. Antimo sopra i Canali, tuttavia, data l’importanza dell’asse viario non possiamo escludere che esistesse già in precedenza un altro e più modesto passaggio. Più controversa risulta invece l’analisi di un breve tratto di mura, ancora oggi visibile lungo la via Leonardo da Vinci, che da evidenze materiali sembrerebbe non appartenere al circuito murario di età moderna, pur distaccandosi dal percorso delle mura duecentesche. L’ipotesi più realistica collocherebbe la costruzione di questo tratto di mura nel XIV secolo, per rispondere ad un ulteriore sviluppo dell’abitato all’esterno della cinta. Tuttavia, in assenza di fonti documentarie e a causa delle ingenti modificazioni subite in età moderna, non è comunque possibile sapere se questo intervento sia stato interrotto o portato a compimento in concomitanza con la costruzione delle mura moderne (Fig.
1). Da questa breve analisi risulta che Piombino già dalla metà del XIII secolo poteva
vantare una fisionomia urbana ben articolata, vista la presenza di una imponente cinta muraria, dotata di porte fortificate, di una fonte pubblica, di importanti edifici sacri e civili e di un porto. Il processo di ampliamento della città proseguì ancora nel corso del XIV secolo: al 1330 risale la costruzione di una rocca destinata all’alloggio di un castellano pisano e di otto sergenti, probabilmente ottenuta dalla chiusura della porta duecentesca, che sembrerebbe divenire torre con funzione abitativa e di avvistamento; negli anni Settanta dello stesso secolo fu edificata anche una seconda rocca, di cui non si conosce l’esatta ubicazione, ma la si ipotizza sul poggio dove successivamente sorgerà il complesso della Cittadella; nel 1376, come testimoniato da un’epigrafe apposta sulla facciata, venne edificata la chiesa di San Michele, oggi Sant’Antimo. Nel 1379 si ha notizia di nuovi lavori di sistemazione del porto e dell’apertura di una Porta a mare, che con buona probabilità va a sostituirsi ad un accesso già in sito che doveva collegare l’approdo al centro abitato. Nel corso della
Signoria degli Appiani Piombino, divenuta capitale dello stato, attraversò la più importante fase di crescita edilizia della sua storia; l’assetto urbano che ne derivò è rimasto sostanzialmente invariato fino all’età contemporanea. Gli Appiani guardarono con particolare attenzione al rafforzamento dell’apparato difensivo della città. Nel 1441 Paola Colonna e Angelo Orsini progettarono un rinforzo del tratto di mura compreso tra il Torrione e il Castello, con la costruzione di antemurali. Nel 1447 il nuovo governatore Rinaldo Orsini giudicò ancora insufficienti le difese dalla parte di terra e rafforzò il Torrione mediante la costruzione del Rivellino, una fortezza semi-circolare a difesa della Porta a Terra. Sul fronte dell’edilizia civile, tra il 1435 e il 1442 Nanno di Maso edificò il Palazzo degli Anziani, oggi sede del palazzo comunale. I Signori di Piombino fino a quel momento avevano abitato nel palazzo prospiciente la Rocchetta, ma nuove esigenze di natura difensiva e politica li indussero a trasferire la loro residenza in un luogo più sicuro. A partire dal 1458, infatti, Iacopo III affidò all’artista Andrea Guardi la costruzione di una nuova residenza, detta Cittadella, costituita da un palazzo, una chiesa, edifici di servizio e una cisterna marmorea, e posta sul colle occidentale della città. I lavori furono completati nel 1472 con la costruzione di un piccolo rivellino di forma pentagonale, che proteggeva l’ingresso al recinto che racchiudeva la Cittadella, collegandola alle mura urbane. La collaborazione tra Andrea Guardi e Iacopo III coincise con uno dei più importanti momenti della storia artistica della città. Al Guardi, infatti, oltre alla costruzione della Cittadella, venne affidata la realizzazione, intorno al 1470, di un chiostro annesso alla chiesa di San Michele. A Iacopo III si deve inoltre la costruzione dell’ospedale dedicato alla SS. Trinità, vicino all’attuale chiesa della Misericordia, e di una tarsinata per favorire il riparo delle navi. Le brevi occupazioni militari che interessarono Piombino agli inizi del Cinquecento non impedirono un ulteriore sviluppo della città, ma in alcuni casi lo incrementarono. Nei due anni di occupazione della Signoria da parte di Cesare Borgia fu avviato un programma di ingenti lavori di fortificazione per la costruzione di un nuovo recinto per la Cittadella e di un complesso sistema difensivo esterno alle mura. Per la progettazione dell’opera sembra che il Duca Valentino si fosse rivolto anche a Leonardo da Vinci. Un fortunato ritrovamento, verificatosi nel 1965 nella Biblioteca Nacional di Madrid,
ha finalmente permesso di provare la presenza di Leonardo da Vinci a Piombino nel corso del 1504. Questi progetti tuttavia non vennero mai realizzati, ma hanno permesso agli studiosi di metterli in correlazione con alcuni appunti e schizzi presenti su manoscritti già noti. Con il rientro degli Appiani alla guida della città, le opere proseguirono con la costruzione di un’ampia piattaforma difensiva, finalizzata al rafforzamento del tratto di mura tra il Rivellino e la Cittadella, progettata da Nanni Ungaro nel 1545. In quello stesso periodo i lavori continuarono a concentrarsi nell’area strategica della Cittadella, con la costruzione di un avancorpo proteso verso il colle di Santa Maria, progettato dall’architetto Giovanni Camerini per migliorare la difesa della Cittadella sul versante Nord. Nel corso del XVII e del XVIII secolo, in concomitanza con i Principati dei Ludovisi e dei Boncompagni, Piombino attraversò una lunga stagione di crisi, a causa del continuo susseguirsi di brevi occupazioni militari straniere, che la debolezza dei nuovi Principi non riuscì a contenere. Questa difficile situazione politica provocò una forte crisi economica e una drastica riduzione della popolazione, che impedirono un ulteriore sviluppo urbanistico della città. Solo con il nuovo riconoscimento del territorio di Piombino come Principato (1805) e con la sua assegnazione da parte di Napoleone Bonaparte alla sorella Elisa e al marito Felice Baciocchi, i nuovi Principi riconobbero il ruolo strategico della città e diedero inizio ad un importante processo di ammodernamento e di trasformazione del tessuto urbano e delle sue infrastrutture3. Al loro arrivo in città i Principi occuparono l’antica residenza di Cittadella, sottoponendola già dal 1805 a rilevanti migliorie, con l’abbattimento della torre di Mezzogiorno, di parte delle mura e delle bastionature cinquecentesche. Il Palazzo Vecchio subì un sostanziale riadattamento alle nuove esigenze, mentre gli altri edifici annessi, in origine dipendenze, furono ampliati ed unificati in un unico grande edificio a L di tre piani, che prese il nome di
Palais Principal, divenendo così il nuovo Palazzo Imperiale. Si provvide anche alla
realizzazione di un giardino nell’unica area libera rimasta tra la residenza e la cappella. Al contempo i Principi pianificarono un’ambiziosa serie di interventi sulla
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Cfr. Il Principato napoleonico dei Baciocchi (1805-1814). Riforma dello Stato e società. Lucca,
Museo di Palazzo Mansi, 9 giugno-11 novembre 1984, Ministero per i Beni culturali e ambientali,
1984; N.TAVERA, Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di Piombino, Firenze, Editrice Giuntina, 1982.
città e sul territorio circostante, volti a migliorare lo stato di igiene e il decoro, che però non trovarono completa realizzazione.
Figura 2. Plan de la ville ed des fortifications de Piombino, XVIII secolo. Archives départementales des Yvelines, Actes du pouvoir soverain et domaine public. Apanages. Famille royale avant 1790, Serie A, n. 1602.
Il progetto prioritario, come in tutti gli altri poli del Principato, prevedeva la realizzazione di una monumentale piazza, la Piazza Napoleone, nell’area occupata dalla grande Piazza d’Armi tra Cittadella e il nucleo urbano, sulla quale avrebbero dovuto affacciarsi, oltre alle abitazioni dei Principi, tutte le sedi delle nuove istituzioni pubbliche: il Palazzo del Governo, la Prefettura, l’Ospedale e il Teatro. Il decreto di soppressione delle corporazioni religiose del 4 aprile 1806 permise di trasformare in introiti le case e i terreni alienati agli enti soppressi e di destinare a diversi usi civili le chiese e i complessi conventuali. I conventi cittadini erano quattro e al momento della soppressione furono subito destinati ad un’utilizzazione pubblica. Il complesso del monastero di Santa Anastasia e parrocchia di Sant’Antimo fu destinato ad ospedale civile e militare; per la chiesa di San Francesco, inizialmente utilizzata come magazzino, era prevista la trasformazione in un teatro a tre ordini di
palchi per i Principi, ma nel 1813 furono avviati i lavori per convertirla temporaneamente a scuderie; l’attiguo convento dei francescani nel giro di pochi anni fu trasformato in Palazzo del Governo e della Prefettura; il vicino convento ed ex ospedale di San Giovanni di Dio, inizialmente individuato come sede delle scuderie imperiali (realizzate poi, come già detto, nella chiesa di San Francesco), fu adibito provvisoriamente a teatro; il convento di Sant’Agostino fu progressivamente trasformato in caserma. L’annessa chiesa, unico edificio sacro che mantenne la sua originaria destinazione cultuale, divenne parrocchia di Piombino, ereditando l’intitolazione e la funzione di chiesa parrocchiale da quella di Sant’Antimo. La nuova Sant’Antimo fu comunque sottoposta a considerevoli lavori di restauro e di ammodernamento. Nel 1807 il palazzo Appiani, prima residenza dei Signori di Piombino, venne trasformato in Bagno Penale, abbandonando l’intenzione iniziale di restaurare la Rocchetta per la difesa della città e di installarvi il Bagno Penale e le prigioni. Nel 1809 l’intero sistema di difesa lungo la costa fu interessato da ingenti lavori di ristrutturazione che coinvolsero anche il Castello. I nuovi Principi promossero inoltre un’opera di ammodernamento degli scali di marina e avviarono la costruzione di importanti infrastrutture, come la Strada Nuova, poi via Maestra Pisana, importante asse viario costiero di raccordo tra Piombino e la via Aurelia, ancora oggi percorribile. La salvaguardia della salute pubblica ed una spiccata sensibilità estetica guidarono i Baciocchi nella realizzazione di parte degli interventi urbanistici e territoriali. Poco dopo il loro insediamento i Principi espressero l’intenzione di rendere abitabili tutti gli edifici appartenenti allo Stato e dal 1812 avviarono i primi lavori di risanamento del territorio della palude di Piombino, inseriti in un più complesso progetto di bonifica della pianura, proseguito e portato a termine dopo l’annessione al Granducato di Toscana. In epoca granducale, grazie soprattutto alla politica illuminata di Leopoldo II, prende il via un progressivo miglioramento delle condizioni economiche e sociali del territorio, favorito dalle estese campagne di bonifica e di riassetto delle infrastrutture viarie. Il conseguente aumento della popolazione, ulteriormente accelerato all’indomani dell’Unità d’Italia dalle nascenti attività industriali, provocherà a cavallo tra Otto e Novecento l’entrata
in crisi dell’antico impianto urbano piombinese, che era rimasto sostanzialmente invariato a partire dal XVI secolo (Fig. 3).
Figura 3. Pianta topografica della città di Piombino, disegno dell’ingegnere Antonio Piccioli, 1832, Archivio Storico della Città di Piombino, Stampe e disegni, C2. La carta fornisce un quadro esatto del nucleo abitato di Piombino rimasto praticamente immutato nei tre secoli precedenti.
La storia contemporanea di Piombino coincide infatti con l’insediamento delle industrie siderurgiche. Se da un lato pesava la povertà dei terreni, ancora in parte paludosi, e l’assenza di collegamenti con la rete viaria nazionale, dall’altro la posizione geografica favorevole rispetto all’isola d’Elba, ricca di minerale di ferro, la vicinanza delle cave di calcare di Campiglia e la presenza del porto, utile per l’approvvigionamento via mare del carbone, favorirono Piombino nella scelta della sede ideale per la nascita degli stabilimenti. Tra il 1889 e il 1892 furono eseguiti i lavori per dotare la città di una stazione ferroviaria e di un binario unico per il
collegamento con la stazione di Campiglia, sulla linea Pisa-Roma. Ancora per alcuni anni la nuova stazione di Piombino sarebbe stato l’unico edificio fuori dalle mura urbane. Nonostante l’enorme crescita demografica, dovuta essenzialmente alla forte immigrazione legata all’avvio degli impianti siderurgici, le abitazioni vennero ancora ricavate all’interno del vecchio centro storico, sopraelevando, senza alcuna tutela del ricco patrimonio storico-artistico, gli edifici preesistenti. Così la città non subì espansioni degne di rilievo. Il caotico sviluppo all’interno delle vecchie mura causò un peggioramento delle condizioni di vivibilità e salubrità dell’agglomerato urbano a cui contribuì il precario, se non assente, sistema di fognature.
Figura 4. Piano edilizio della città di Piombino, disegno dell’ingegnere Paris Orsini, 1899, Archivio Storico della Città di Piombino, Stampe e disegni, F2/8.
Per porre rimedio a questo fenomeno nel 1899 all’ingegner Paris Orsini fu affidato dal Municipio di Piombino il compito di realizzare un progetto di ampliamento della città, che per la prima volta avrebbe iniziato a svilupparsi al di fuori delle mura lungo tre direttrici principali: una coincideva con la via Provinciale Pisana, una con via del Desco e l’altra parallelamente alle mura (fig. 4). Conseguenza di questa
pianificazione fu l’acquisto da parte del Comune della cinta muraria, fino a quel momento rimasta intatta, e la sua quasi totale demolizione avvenuta nel 1913. Nel 1922 vengono ultimati i lavori per la realizzazione di due blocchi di abitazioni destinati ai dipendenti comunali in Piazza Dante Alighieri.
Figura 5. Comune di Piombino. Piano di espansione della città, disegno dell’ingegnere Omero Pampana, 1925, Archivio Storico della Città di Piombino, Stampe e disegni, F2/C.
L’anno successivo apre il cantiere per la costruzione delle scuole elementari nella stessa piazza e si chiude quello delle scuole elementari di via Antonio Pacinotti, oggi sede dell’Istituto Tecnico Industriale. Tra il 1924 e il 1925 vengono inaugurati il
campo sportivo “G. Salvestrini”, non più esistente, e l’acquedotto di Campo all’Olmo e contemporaneamente viene costruito il mercato coperto. Nel tentativo di riconnettere ed unificare i caotici interventi edilizi realizzati fino a quel momento, l’ingegner Omero Pampana nel 1925 progettò un nuovo piano di espansione della città verso nord, lungo vie parallele alla via Provinciale Pisana (fig. 5). Tra il 1925 e la seconda guerra mondiale l’espansione edilizia continuò costantemente e vennero colmati gli spazi ancora disponibili tra il centro storico e gli stabilimenti. Nel 1927 vengono costruite le case popolari di via Colombo e di via Ferrer. Nel 1931 vengono effettuate sostanziali migliorie al Portovecchio, che viene dotato di nuovi pontili e collegato alla stazione di Piombino tramite la realizzazione di un tratto di ferrovia. La seconda guerra mondiale causò ingenti danni sia alla zona industriale che alle zone abitative limitrofe, e numerosi stabili vennero distrutti o seriamente danneggiati. Non appena i complessi siderurgici furono ricostruiti, e in taluni casi notevolmente ampliati, l’espansione urbana, dopo aver usufruito delle poche aree ancora non edificate, cominciò ad indirizzarsi verso ovest e nord-ovest, nel primo spazio disponibile in prossimità sia delle industrie che della città, seguendo il piano di ristrutturazione che C. Pugliesi Allegra aveva redatto. Lo sviluppo verso est veniva ostacolato dalla presenza degli stabilimenti e del cimitero. Dopo il 1960 l’espansione si indirizzerà quasi esclusivamente in direzione nord, nelle zone non ancora inquinate, a formare i nuovi quartieri Desco, Monte Mazzano, Salivoli e Diaccioni e contemporaneamente si svilupperanno in maniera autonoma i nuclei, molto distanti dal centro, del Gagno e di Fiorentina. Lo sviluppo più recente verrà programmato già dal 1967 con il Piano Regolatore Generale dell’ingegnere Giorgio Amati.