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Studio della dinamica di plasma nell'interazione tra vento solare e magnetosfera terrestre

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Academic year: 2021

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Indice

1 Introduzione 3

1.1 La funzione di distribuzione e l’equazione di Liouville . . . 4

1.2 Variabili macroscopiche . . . 8

2 Equazioni fluide per un plasma magnetizzato non collisionale 11 2.1 Descrizione a due fluidi . . . 11

2.1.1 Momento di ordine zero: equazione di continuità . . . . 11

2.1.2 Momento primo: trasporto della quantità di moto . . 12

2.1.3 Momento secondo: equazione del tensore di pressione . 13 2.1.4 Pressione isotropa . . . 14 2.1.5 Pressione anisotropa . . . 15 2.2 Descrizione ad un fluido . . . 16 2.3 Teoria magnetoidrodinamica . . . 21 2.4 Onde magnetoidrodinamiche . . . 25 2.5 Instabilità magnetoidrodinamiche . . . 30

2.5.1 Instabilità di Kelvin Helmholtz e di Rayleigh Taylor . . 31

2.5.2 Instabilità di firehose . . . 35

3 Il vento solare e la magnetosfera terrestre 40 3.1 La magnetopausa . . . 42

4 Analisi numerica: equazioni dei modelli e configurazioni ini-ziali 45 4.1 Un modello a due fluidi più accurato . . . 47

4.2 Equilibrio iniziale TFM . . . 50

4.3 Equilibro iniziale ETFM . . . 53

5 Analisi numerica: risultati 57 5.1 Simulazione 1 . . . 57

5.2 Simulazione 2 . . . 59

(2)
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Capitolo 1

Introduzione

Un plasma è costituito da un grandissimo numero di particelle cariche, ioni ed elettroni (nel caso più semplice), sottoposti all’azione di campi elettroma-gnetici esterni ed autoconsistenti. Sia per l’impossibilità tecnica nel risolve-re, ad ogni istante ed in ogni punto dello spazio, le traiettorie e le velocità di ciascuna particella, sia per la complessità dei campi presenti (non solo quelli esterni, ma anche quelli prodotti dalle cariche stesse), una descrizione

00esatta00 dell’evoluzione temporale di un plasma non è praticamente

realiz-zabile. Abbandonando la pretesa di raggiungere una esatta descrizione del comportamento di tipo sistema00N-body00 di un plasma, è possibile utilizzare una trattazione statistica da cui si possono ottenere importanti informazioni studiando separatamente i vari fenomeni che lo interessano ed utilizzando un modello approssimato. Ciascun fenomeno è caratterizzato da una particolare condizione, o regime, che determina lo stato del plasma, e questo consente di fare appropriate approssimazioni che consentono di semplificare il problema e renderlo trattabile. Esse possono riguardare sia i campi elettromagnetici sia il moto delle particelle. In certi casi può essere lecito assumere che il campo magnetico sia nullo (plasma non magnetizzato), o ancora che esso sia dato da sorgenti esterne al sistema; a seconda della geometria del sistema si può avere uniformità spaziale o simmetria rispetto ad una direzione. E’ im-portante inoltre classificare ciascun fenomeno a seconda della scala spaziale e della scala temporale che lo caratterizza in modo da poterlo collocare entro un ben preciso contesto. La principale distinzione deriva dal confronto del-le scadel-le di variazione (spaziadel-le e temporadel-le) tipiche del fenomeno con queldel-le caratteristiche del moto delle particelle (ad esempio il raggio di Larmor e la frequenza di ciclotrone). Da qua si dipartono due differenti approcci allo stu-dio di un plasma: uno macroscopico, o fluido, che fa usa di grandezze medie e come velocità o temperatura, l’altro microscopico, o cinetico, che utilizza una descrizione statistica del sistema ed include gli effetti delle correlazioni

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tra le particelle ed i campi microscopici a loro associati. L’approccio macro-scopico, pur contenendo meno informazioni di una descrizione statistica che tiene conto delle dinamiche e delle interazioni tra le particelle e il plasma, risulta in molti casi conveniente (soprattutto per semplicità matematica) ed è largamente adottato in varie situazioni. Il lavoro condotto in questa tesi si avvale del punto di vista macroscopico in quanto, come illustreremo, focaliz-za lo studio su una dinamica 00lenta00 e di 00grande scala00, e analizza quindi il plasma mediante un sistema chiuso di equazioni che esprimono leggi di conservazione delle grandezze medie che lo caratterizzano. La trattazione non si fermerà tuttavia ad una analisi puramente fluida, adatta a descrivere l’evoluzione globale del plasma, ma andrà oltre, introducendo nelle equazioni termini correttivi che rendono conto della presenza di fluttuazioni su scale che si avvicinano a quelle microscopiche, comparabili al raggio di Larmor ionico. In molti casi infatti l’evoluzione idrodinamica del plasma genera rapidamente scale sempre più piccole le quali, a loro volta, risultano avere molta influen-za nel determinarne le caratteristiche macroscopiche. Il modello esteso alle correzioni di Larmor adotta un’ottica più accurata rispetto al modello fluido e ci permetterà di analizzare alcuni aspetti di un sistema complesso come quello costituito dal vento solare e dalla magnetosfera terrestre.

Sebbene siano presentate come ambiti distinti, la teoria fluida di un pla-sma trova le basi e la convalidazione all’interno della teoria cinetica. Ini-ziamo quindi illustrando rapidamente gli assunti fondamentali su cui si basa la teoria cinetica, indicando i passaggi principali che portano alle grandezze macroscopiche o fluide e alle relative leggi di conservazione.

1.1

La funzione di distribuzione e l’equazione

di Liouville

Il sistema di N particelle è descritto tramite una funzione di distribuzione F (~x1, ~x2, ..., ~xN, ~v1, ~v2, ..., ~vN, t) di 6N+1 variabili definita nello spazio

del-le fasi. F (~x1, ~x2, ..., ~xN, ~v1, ~v2, ..., ~vN)d~x1...d~xNd~v1...d~xN rappresenta la

pro-babilità che il sistema di particelle si trovi in ~x1...~xN~v1...~vN nell’intervallo

d~x1...d~xNd~v1...d~vN ad un certo istante ed è tale cheR F d~x1...d~xNd~v1...d~vN =

1. La dipendenza di F dal tempo identifica univocamente l’evoluzione tempo-rale dello stato microscopico del sistema, descritta dall’equazione di Liouville

∂ ∂tF + Σi  ~vi· ∂ ∂~xi F + ~aTi · ∂ ∂~vi F= 0 (1.1)

(5)

dove ~aTi è l’accelerazione totale della particella i-esima dovuta alle forze ester-ne e alle forze interparticellari. Essa può essere scritta dF/dt = 0. A partire all’istante iniziale il sistema si muove nello spazio delle fasi descrivendo una traiettoria, determinata dalle equazioni della meccanica che contengono le coordinate e le velocità delle particelle. Ciascun punto della traiettoria cor-risponde ad uno stato del sistema ad un preciso istante. L’equazione di Liouville esprime il fatto che, se non vengono tolte o aggiunte particelle al sistema, F rimane costante lungo la traiettoria nello spazio delle fasi. L’equa-zione di Liouville corrisponde a 6N equazioni differenziali non lineari, poiché i campi microscopici dipendono dalle posizioni e dalle velocità delle particelle (di cui F è funzione), e le posizioni e le velocità dipendono dall’azione dei campi stessi. Il termine di accelerazione dovuta a forze interparticellari è detto anche autoconsistente, proprio per il fatto che per calcolare il moto di ciascuna particella bisogna tener conto dell’interazione della stessa con tutte le altre facenti parte del sistema. F fornisce una descrizione completa del sistema, ma deve essere calcolata dalla dinamica delle N particelle, cosa assai complicata o meglio in pratica inattuabile. Dobbiamo quindi abbandonare l’esattezza di questa formulazione ed accontentarci di una semplificata ma non meno significativa. A partire da F possiamo definire un set di distri-buzioni ridotte fα(1)(~x1, ~v1, t), f

(2)

αβ(~x1, ~x2, ~v1, ~v2, t), f (3)

αβγ(~x1, ~x2, ~x3, ~v1, ~v2, ~v3, t)

eccetera ottenute integrando la F sullo spazio delle coordinate e delle velo-cità di tutte le particelle meno una (fα(1) ), meno due particelle(fαβ(2)), meno

tre particelle (fαβγ(3) ) eccetera per ogni singola specie. Le distribuzioni ridot-te dipendono da un numero di variabili minore di quelle da cui dipende F, e quindi sono più semplici da studiare, ma contengono meno informazioni. Prendiamo ad esempio fα(1), che essendo in funzione di due sole

coordina-te dello spazio delle fasi (~x1, ~v1), rappresenta il grado massimo di riduzione.

f(1)/V = R F d~x

2...d~xNd~v2...d~vN è la probabilità di trovare una particella di

tipo α con coordinate (~x1, ~v1) ad un certo istante; è facile intuire che essa

do-vrebbe essere influenzata dalla presenza di una particella vicina, in ~x2 ≈ ~x1,

ma questa informazione non è contenuta in fα(1): la descrizione fornita da

fα(1) si applica ad un sistema di particelle le cui interazioni dirette

vengo-no trascurate rispetto a quelle che ogni particella ha con il sistema globale. fαβ(2)(~x1, ~x2, ~v1, ~v2, t) invece è la probabilità che, data una particella 2 di tipo

β in (~x2, ~v2), la particella 1 di tipo α si trovi in (~x1, ~v1). f (2)

αβ restituisce una

descrizione più accurata di fα(1) perché include l’effetto dell’interazione

diret-ta tra due particelle. Le distribuzioni di ordine più alto includono gli effetti delle correlazioni tra particelle sempre più distanti. Un modo conveniente di esprimere le funzioni di distribuzione a più particelle è dato dall’espansione

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di Mayer: fαβ(2)(~x1, ~v1, ~x2, ~v2) = fα(1)f (1) β + gαβ (1.2) fαβγ(3) (~x1, ~v1, ~x2, ~v2, ~x3, ~v3) = fα(1)f (1) β f (1) γ + f (1) α gβγ+ f (1) β gαγ+ fγ(1)gαβ+ gαβγ ... ...

dove gαβ e gαβγ sono rispettivamente le funzioni di correlazione a due e a tre

particelle e tengono conto della repulsione reciproca tra cariche dello stesso segno e della tendenza a formare clusters tra cariche di segno opposto. In questo sviluppo il primo termine, ovvero l’interazione con tutto il plasma, è quello dominante. Questa è una delle caratteristiche principali che distingue un plasma da un gas ideale, in cui le particelle interagiscono tra loro solo tramite le collisioni (interazioni dette 00a corto raggio00). La capacità delle cariche di organizzarsi in modo da diminuire l’energia potenziale globale del sistema dà luogo ad una serie di fenomeni collettivi, come lo schermaggio di Debye e le onde di plasma. Prendiamo ad esempio il primo. Se inseriamo una carica di prova a riposo le cariche presenti nel plasma si disporranno in modo da schermare il suo potenziale coulombiano; la lunghezza caratteristica su cui questo avviene è detta lunghezza di Debye λD. Più in generale essa

rappresenta una misura della sfera di influenza di una qualsiasi carica del plasma. Possiamo individuare in modo un po’ schematico due regioni distin-te: in r << λD si deve utilizzare una descrizione multicorpi, cioè si studia

la dinamica di una carica sotto l’azione dei campi elettromagnetici esterni e quelli dovuti alle singole interazioni. Per r & λD invece la singola carica

viene schermata e contano le interazioni collettive: questa è la lunghezza fondamentale che definisce un plasma. Introduciamo un parametro molto importante che ci aiuta a delineare le caratteristiche del plasma e conseguen-temente capire che tipo di trattazione è lecito adottare. Sia g = (n−1/3λ−1D ) l’inverso del numero di particelle contenute nella sfera di Debye; g è una misura di quanto gli effetti collettivi, dati dalle interazioni a lungo raggio, dominano sul comportamento di singola particella. g può essere espresso an-che come rapporto tra energia di interazione tra particelle ed energia cinetica media: g2/3 = φint/εcin. Tanto minore è g, tanto minore è la correlazione tra

particelle. In un plasma si deve avere che l’energia di interazione tra le parti-celle è molto minore di quella termica perché questo equivale a dire che ogni particella interagisce in primo luogo con il sistema globale. Nella maggior parte dei casi g è un parametro piccolo e può essere usato come parametro di espansione delle funzioni di correlazione:

gαβ = O(g)

(7)

... ...

Prima di passare allo studio dei sistemi 00reali00 ritorniamo all’equazione di Liouville e osserviamo che, integrando sulla spazio delle coordinate e delle velocità di tutte le particelle meno una, troviamo l’equazione soddisfatta da nαf

(1)

α (numero di particelle di tipo α in (~x1, ~v1), dove nα = Nα/V ).

∂ ∂t(nαf (1) α ) + ~v1· ∂ ∂~x1 (nαfα(1)) + Nα Z ~aT1 · ∂ ∂~v1 F d~x2...d~xNd~v2...d~vN = 0 (1.3)

I termini comeR d~x2∂~x2·R ~v2F d~v2eR d~v2∂~v2F sono nulli per la conservazione

del numero di particelle Nαe l’annullarsi di F per v → ∞. ~a1 è l’accelerazione

della particella 1, ed ha una parte dovuta ai campi esterni, ~aE1, ed una parte dovuta ai campi microscopici, la quale dipende da ~x1, ~x2, ..., ~xN, ~v1, ~v2, ..., ~vN.

La possiamo scrivere come somma delle accelerazioni di 1 dovute a tutte le altre particelle: X β≥2 ~a1β(~x1, ~xβ, ~v1, ~vβ) e inserendo in (1.3) si ottiene ∂ ∂t(nαf (1) α ) + ~v1· ∂ ∂~x1 (nαfα(1)) + ~a E 1 ∂ ∂~v1 fα(1) = −X β≥2 nαnβ Z ~a1β ∂ ∂~v1 fαβ(2)(~x1, ~xβ, ~v1, ~vβ)d~x1d~xβd~v1d~vβ

In questa equazione nβ è la densità di particelle della stessa specie della

particella β che contribuiscono alla somma. L’equazione (1.3) non è quindi chiusa poiché implica la conoscenza della funzione a due particelle f(2). In modo analogo l’equazione per f(2) conterrà un termine con f(3), e così via,

e ciascuna andrà a costituire una gerarchia di equazioni tra loro connesse. Per chiudere questa catena infinita a qualche livello possiamo utilizzare lo sviluppo in (1.2) e fare un’ opportuna approssimazione della funzione di correlazione gαβ.. di ordine più alto. Il termine a due corpi si può separare in

un termine medio ed uno correlato: Z ~a1βfβ(1)d~xβd~vβ  · ∂ ∂~v1 fα(1)+ Z ~a1β ∂ ∂~v1 gαβd~xβd~vβ (1.4)

Il termine tra parentesi è una media dei campi microscopici sulla funzione di distribuzione. Esso non dipende dalle posizioni delle singole particelle e rive-ste lo rive-stesso ruolo di una forza erive-sterna. Il secondo termine è detto integrale di collisione e dipende dalla natura delle interazioni binarie e contiene quindi

(8)

informazioni sulla struttura microscopica. Nel nostro caso, poiché tratteremo un plasma a bassa densità in cui il libero cammino medio è dell’ordine o addi-rittura maggiore delle dimensioni del sistema, possiamo considerare il limite g → 0, cioè trascurare le interazioni tra le particelle e assumere gαβ << fαfβ

e quindi fαβ(2) ≈ fα(1)(x, t)fβ(1)(x0, t), cioè gαβ = gαβγ = 0. Sotto questa

ipote-si, detta anche approssimazione di campo medio, la decomposizione in (1.4) si riduce al solo primo termine che descrive l’effetto cumulativo dei campi delle singole particelle facendone una media sulla funzione di distribuzione (indichiamo l’operazione di media tramite i simboli hi). Ricaviamo così la seguente equazione: ∂ ∂tf (1) α + ~v1· ∂ ∂~x1 fα(1)+ qα mα h ~E +~v × ~B c i · ∂ ∂~v1 fα(1) = 0 (1.5) Questa è la forma 00più semplice00 dell’equazione cinetica, nota come equa-zione di Vlasov. Il numero di particelle nel volumetto intorno (~x, ~v) cambia perché esse hanno una velocità, che le porta in un altro punto dello spazio delle fasi, ed una accelerazione, dovuta a campi esterni e campi medi, che le porta in un altro punto dello spazio della velocità. In un plasma collisionale, il termine correlato non può ovviamente essere omesso e viene spesso indicato ∂tf |coll. Esso rappresenta il tasso di variazione della funzione di

distribuzio-ne dovuto agli urti. Poichè è dell’ordidistribuzio-ne della frequenza di collisiodistribuzio-ne, che in termini di g risulta νcoll ≈ gωp, è trascurabile quando g → 0, il che equivale

a dire che le frequenze caratteristiche dei fenomeni che si stanno studiando sono molto maggiori di νcoll. L’equazione di Vlasov da un punto di vista

strettamente matematico è formalmente analoga all’equazione del moto di singola particella, con la differenza che qui le forze sono date dai campi ester-ni più i campi medi; in altre parole in Vlasov la singola particella non esiste. Questa equazione consente di studiare l’evoluzione collettiva di plasmi caldi e/o rarefatti. La funzione f(1) fornisce una descrizione del plasma, molto

utile perchè può essere direttamente collegata alle osservabili come densità, velocità e temperatura. Nel seguito omettiamo l’apice (1) sottointendendo

che f è la funzione di distribuzione ad una particella. Il prossimo passo sarà definire le variabili macroscopiche del plasma e ricavarne le relazioni fonda-mentali, note come equazioni fluide.

1.2

Variabili macroscopiche

Le quantità macroscopiche che caratterizzano un plasma sono ottenute pren-dendo i momenti di fα cioè combinazioni delle componenti della velocità di

(9)

una particella mediate sulla distribuzione. Tali combinazioni posso essere li-neari (momenti del primo ordine), quadratiche (momenti del secondo ordine) eccetera.

Momenti di ordine zero

Densità di particelle di specie α nα(~x, t) = nα

Z

fα(~x, ~v, t)d~v

nα = Nα/V è il numero medio di particelle di specie α

Densità di massa ρmα(~x, t) = nαmα Z fα(~x, ~v, t)d~v Densità di carica ρqα(~x, t) = nαqα Z fα(~x, ~v, t)d~v

Momenti di ordine uno

Velocità media della specie α : ~ uα(~x, t) = R ~vfα(~x, ~v, t)d~v R fα(~x, ~v, t)d~v Densità di corrente ~ Jα(~x, t) = nαqα Z ~vfα(~x, ~v, t)d~v = qαnα(~x, t)~uα(~x, t)

(10)

Tensore di pressione ~

Πα = nαmα

Z

(~v − ~uα)(~v − ~uα)fα(~x, ~v, t)d~v

dove ~v − ~uα è la velocità relativa al baricentro. ~Πα è un tensore e corrisponde

a una media calcolata considerando le deviazioni dalla velocità del baricentro. Se la distribuzione di velocità è isotropa ha solo parte diagonale pαI, dove~

pα è la pressione scalare pα = nαmα 3 Z (~v − ~uα)2fα(~x, ~v, t)d~v = nαkTα

La parte anisotropa viene chiamata anche tensore viscoso ed è trascurabile su scale molto maggiori delle scale cinetiche, o se le collisioni sono sufficien-temente frequenti da rendere il plasma isotropo.

Momenti di ordine tre

Flusso di calore Il flusso di calore rappresenta il flusso di energia cinetica della specie α per unità di tempo e di superficie

~ Qα(~x, t) = 1 2nαmα Z (~v − ~vα)2(~v − ~vα)fα(~x, ~v, t)d~v

(11)

Capitolo 2

Equazioni fluide per un plasma

magnetizzato non collisionale

2.1

Descrizione a due fluidi

Per trovare le equazioni soddisfatte dalle variabili macroscopiche si prendono i momenti della velocità a diversi ordini dell’equazione di Vlasov (1.5). Esse descrivono l’evoluzione temporale della densità, della velocità, della pressione cinetica e della temperatura separatamente per ciascun fluido di specie α che compone il plasma.

2.1.1

Momento di ordine zero: equazione di continuità

Z  ∂tfα+ ~v · ∂ ∂~xfα+ qα mα h ~E +~v × ~B c i · ∂ ∂~vfα  d~v = 0 usando Z ~v · ∂ ∂~xfαd~v = ∂ ∂~x Z f~vd~v si ottiene ∂ ∂tnα(~x, t) + ~∇ · (nα(~x, t)~uα(~x, t)) = 0 (2.1) che esprime la conservazione della densità di particelle lungo la traiettoria di un elemento fluido che si muove con velocità ~uα. Il termine di divergenza

descrive il flusso di particelle attraverso il volume materiale. E’ possibile scrivere l’equazione (2.1) in un’altra forma, che sarà utile in seguito:

∂ ∂tnα(~x, t) + ~uα· ~∇nα= nα ~ ∇ · ~uα d dtnα(~x, t) = nα∇ · ~~ uα (2.2)

(12)

La derivata totale della densità (indicata con d/dt al primo membro della

seconda equazione) è data dalla divergenza della velocità, che non è altro che la variazione di volume relativa nell’unità di tempo. Eventuali proces-si che alterano il numero di particelle, come ionizzazione o ricombinazione modificherebbero il secondo membro, anche se qui non prendiamo in conside-razione questa possibilità. Moltiplicando l’equazione (2.1) per mα si ottiene

l’equazione di conservazione della densità di massa: ∂

∂tρmα(~x, t) + ~∇ · (ρmα(~x, t)~uα(~x, t)) = 0 (2.3) e moltiplicando l’equazione (2.1) per la carica qα si ha la legge di

conserva-zione della densità di carica: ∂

∂tρqα(~x, t) + ~∇ · (ρqα(~x, t)~uα(~x, t) = 0 (2.4)

2.1.2

Momento primo: trasporto della quantità di moto

Moltiplicando l’equazione (1.5) per il momento di una particella di specie α mα~v e integrando sullo spazio delle velocità

Z mα~v h ∂ ∂tfα+ ~v · ∂ ∂~xfα+ qα mα  ~E +~v × ~B c  · ∂ ∂~vfα i d~v = 0

si ottiene la legge di trasporto della quantità di moto in un elemento di volume che si muove con la velocità media ~uα:

mαnα ∂ ∂t~uα+ mαnαu~α· ~∇~uα− nαqα  ~E + ~uα× ~B c  + ~∇ · ~Πα = 0 (2.5)

Questa equazione è analoga a quella di Navier-Stokes della fluidodinamica (dove le forze sono date, in generale, dalla pressione e dalla viscosità), ma include la forza elettromagnetica agente sulle cariche del plasma, e deve essere accoppiata alle equazioni di Maxwell per ~E e ~B:

~ ∇ · h ~Ei =X α 4πnαqα+ 4πρest ~ ∇ × h ~Bi = 4π c X α nαqαuα+ 4π c ~ Jest+ 1 c ∂ ∂th ~Ei

dove ρest e ~Jest sono rispettivamente la densità di carica e di corrente esterne.

(13)

delle forze esercitate dai campi medi (i quali dipendono dalle variabili ma-croscopiche del plasma nα, ~uα) e dai campi esterni (le cui sorgenti sono ρest

e ~Jest) e al tensore di pressione. Poichè i campi agiscono su tutte le cariche

componenti e allo stesso tempo tutte le cariche contribuiscono ai campi, l’e-quazione (2.5) per una specie è imprescindibile da quelle relative alle altre specie.

2.1.3

Momento secondo: equazione del tensore di

pres-sione

Moltiplicando (1.5) per mαvivj e integrando nello spazio della velocità

otte-niamo l’equazione del tensore di pressione: d dtΠ~α+ ~Πα( ~∇ · ~uα) + ~∇ · ~Qα+h ~Πα· ~∇  ~ uα i S = e mαc h ~Πα× ~B i S (2.6) dove nh ~Πα· ~∇  ~ uα i S o ij = Πij∂xkuj + Πjk∂xkui nh ~Πα× ~B i S o ij = iklΠjkBl+ iklΠjkBl e

ikl = 1 per permutazioni pari (i,j,k)=(1,2,3),(2,3,1),(3,2,1)

ikl = −1 per permutazioni dispari (i,j,k)=(3,2,1),(1,2,3),(2,1,3)

ikl = 0 se i=j e/o j=k e/o k=i

Contraendo gli indici dell’equazione (2.6) otteniamo la corrispondente equa-zione scalare, che è l’equaequa-zione del trasporto dell’energia (essa può essere anche ottenuta direttamente moltiplicando per mαv2i l’equazione di Vlasov e

integrando sullo spazio della velocità): ∂ ∂t 1 2nαmαu 2 α+ 3 2nαTα  + ~∇·1 2nαmαu 2 α~uα+ 3 2nαTα~uα+~Πα·~uα+ ~Qα  − (2.7) −nαqα~uα· h ~Ei = 0

Il primo termine è la derivata temporale della densità di energia cinetica com-plessiva, data dal moto del baricentro (nαmαu2α/2) e dalla densità di energia

termica (3nαTα/2 = T r(Π)α/2). Il secondo termine contiene il trasporto

della densità di energia cinetica totale, il flusso di energia associato al lavoro delle forze di pressione e il flusso termico associato al moto disordinato delle particelle (proporzionale a ∂~xh(~v − ~uα)2)(~v − ~uα)i/2). Infine vi è il lavoro del

(14)

L’insieme di equazioni (2.1), (2.5), (2.7), esprime rispettivamente la conser-vazione della densità di particelle, della quantità di moto e dell’energia per ciascun fluido di specie α che compone il plasma. Le relazioni finora scritte però non costituiscono un set chiuso in quanto ciascuna contiene momenti della velocità di ordine superiore: l’equazione di continuità lega nα e ~uα,

l’equazione di trasporto della quantità di moto coinvolge ~Πα e così via. I

momenti dell’equazione di Vlasov, proprio come le equazioni cinetiche per le distribuzioni ridotte f(1), f(2), f(3) ecc..., formano una catena infinita di

ordine gerarchicamente crescente che non fornisce una descrizione completa del plasma. Il metodo più comune e semplice per chiudere il sistema (2.1), (2.5), (2.6) consiste nell’effettuare un troncamento trascurando i momenti superiori al secondo, cioè porre uguale a zero il flusso di calore, ed assumere un’equazione di stato indipendente che lega densità e pressione. La scelta di tale relazione determina il modello per lo studio del plasma e deve essere consistente con il tipo di fenomeni che si intendono analizzare. Illustriamo brevemente le equazioni di stato più comunemente usate, e i relativi limiti di applicazione. L’equazione di stato dipende dalla forma del tensore di pres-sione e può essere diversa per ioni ed elettroni. Analizziamo separatamente il caso in cui la pressione è isotropa e quello in cui è anisotropa.

2.1.4

Pressione isotropa

Isoterma

Tα = costante

pα = nαTα

Si adatta per descrivere fenomeni in cui la velocità di fase tipica è molto minore della velocità termica. Infatti se le variazioni temporali sono lente il plasma ha tempo per redistribuire l’energia e mantenere la temperatura costante.

Adiabatica Quando la velocità di fase è molto maggiore della velocità termica, si possono trascurare gli scambi di calore. Ricavando da (2.2) ∇ · ~v e sostituendo in (2.7) si ottiene: 3 2 d dt(nαTα) − 5 2Tα d dt(nα) = 0 da cui d dt(Tαn 1−γ α ) = 0

(15)

in termini della pressione diventa: d dt(pαn

−γ

α ) = 0 (2.8)

dove γ è l’indice adiabatico. Nel caso dei gas γ è dato dal rapporto dei due calori specifici a pressione e a volume costanti cp/cV = 5/3 . γ è chiamato

an-che indice politropico, perchè può includere il caso isobaro ( γ = 0, pressione costante), il caso isotermo ( γ = 1) o a densità costante ( γ = ∞).

2.1.5

Pressione anisotropa

In sistemi non collisionali, ovvero quando le frequenze caratteristiche sono maggiori della frequenza di collisione, il meccanismo di termalizzazione è as-sente, e non vale più l’ipotesi di isotropia. E’ questo molto spesso il caso dei plasmi anche se per semplicità matematica si ricorre all’approssimazione di pressione isotropa. Un possibile modo per chiudere il sistema è assumere una globale isotropia della pressione perpendicolare p⊥(rispetto alla direzione del

campo magnetico), e attribuire alla direzione parallela una pressione indipen-dente pk. Facciamo uso della legge dei gas ideali pα = nαTα per entrambe le

pressioni, e la seguente relazione, valida in approssimazione adiabatica, tra γ e il numero di gradi di libertà s :

γ = s + 2

s (2.9)

In questo caso otteniamo γ⊥ = 2 e γk = 3 e quindi le due equazioni di stato

adiabatiche sono: d dt(pα⊥n −2 α ) = 0 d dt(pαkn −3 α ) = 0 (2.10)

Questa chiusura trascura l’accoppiamento tra le due componenti perpendi-colare e parallela indotto da inomogeneità del campo magnetico ed anche la dipendenza dall’intensità di quest’ultimo.

La presenza di un campo magnetico intenso comporta differenti caratte-ristiche del plasma parallelamente e perpendicolarmente ad esso. Sul piano perpendicolare il moto è vincolato su scale prossime al raggio di Larmor ρL,

mentre parallelamente al campo il moto è formalmente libero. Un modello che tiene conto dell’ asimmetria indotta dal campo magnetico è stato svi-luppato da Chew, Goldberger e Low ([12]). La teoria CGL, dal nome degli

(16)

autori, richiede due equazioni di stato, una per la componente perpendico-lare e l’altra per la componente parallela. Il tensore di pressione risultante è quindi ~Π = (p⊥I, (p~ k− p⊥)bbbb), dove bb = ~B/|B| è il versore diretto come il

campo magnetico. Per derivarle è opportuno tornare all’equazione del tenso-re di ptenso-ressione (2.6) che, distinguendo la ditenso-rezione perpendicolatenso-re e parallela al campo e trascurando il flusso di calore, diventa:

∂tpα⊥+ ~∇ · (pα⊥~uα) = −pα⊥( ~∇ · ~uα) + pα⊥bb · [(bb · ~∇)~uα] (2.11) ∂

∂tpαk+ ~∇ · (pαk~uα) = −2pαkbb · [(bb · ~∇)~uα] (2.12) Come vedremo nella sezione (2.5.2), anche queste equazioni possono essere scritte in forma politropica.

2.2

Descrizione ad un fluido

Spesso risulta conveniente considerare il plasma come un unico fluido condut-tore e trascurare la diversità delle singole specie che lo compongono. Combi-nando le variabili densità di massa, velocità, densità di carica degli elettroni e degli ioni si possono trovare equazioni fluide in funzione della densità totale, della velocità del centro di massa della densità di corrente e del tensore di pressione. Su queste relazioni si fonda la teoria ad un fluido o teoria ma-gnetoidrodinamica. Essa si applica allo studio di fenomeni non relativistici, caratterizzati da una velocità tipica molto minore della velocità della luce c.

Densità di massa ρm(~x, t) = X α nαmα Densità di carica ρq(~x, t) = X α nαqα = e(ni− ne)

(17)

Velocità del centro di massa ~ucm(~x, t) = P αnαmα~uα P αnαmα Densità di corrente ~ J =X α nαqα~uα Tensore di pressione ~ Πcm= X α ~ Πα = X α nαmα Z (~v − ~ucm)(~v − ~ucm)fαd~v

Sommando l’equazione (2.3) per gli ioni e quella per gli elettroni si ottiene l’equazione di continuità per la massa totale. In seguito omettiamo il pedice

cm per le grandezze del baricentro.

∂tρm+ ~∇ · (ρm~u) = 0 (2.13)

La variazione di densità all’interno di un volumetto di plasma è controllata dal flusso di massa ~u attraverso le pareti. La stessa operazione utilizzando l’equazione (2.4) porta alla legge di conservazione della carica:

∂tρq+ ~∇ · ~J = 0 (2.14)

e infine sommando le equazioni (2.5) per gli ioni e per gli elettroni si ha la legge del trasporto della quantità di moto del centro di massa:

ρm ∂ ∂t~u + ρe(~ue· ∇)~ue+ ρi(~ui· ∇)~ui = ρq ~ E + ~ J × ~B c − ∇ · ~Π (2.15) E’ necessario ora ricavare un’equazione per il campo elettrico, chiamata legge di Ohm generalizzata, la quale contiene la risposta degli elettroni. Essa si ottiene moltiplicando per −e/mel’equazione (2.5) per gli elettroni e per e/mi

quella per gli ioni e sommando. ∂ ∂tJ + ~~ ∇ · (~u ~J + ~J~u − ~u~uρq) = X α nαqα2 mα ~ E + e 2 mec + e 2 mic  ρm mi+ me ~u × ~B− (2.16)

(18)

−emi mec − eme mic  J × ~~ B me+ mi − e me ~ ∇ · ~Πi me mi − ~Πe 

Nell’ipotesi di quasi neutralità elettrica

ni = ne ⇒ ρq = 0 (2.17)

il secondo e terzo termine al primo membro diventano (trascuriamo i termini quadratici del tipo ~u~u = 0 perchè di secondo ordine):

~

∇ · (~u ~J + ~J~u) = ( ~∇ · ~u) ~J + (~u · ~∇) ~J + ( ~J · ~∇)~u

Assumere quasi neutralità elettrica è giustificato se le scale di lunghezza coinvolte (dimensioni del sistema, scala di variazione spaziale delle grandezze) sono molto maggiori di λD, poiché questa è la distanza su cui avviene il

fenomeno dello schermaggio.

Ulteriori semplificazioni della legge di Ohm (2.16) si hanno facendo alcune assunzioni, valide in un’ampia gamma di casi.

Grandi lunghezze d’onda e basse frequenze Se le scali spaziali ca-ratteristiche delle fluttuazioni sono molto maggiori delle scale microscopiche ioniche (raggio di Larmor ρL,i, lunghezza inerziale ionica) e le frequenze

so-no molto miso-nori della frequenza di ciclotrone ionica ωc,i), è lecito trascurare

alcuni termini nella legge di Ohm generalizzata (2.16).

Confrontiamo i termini ∂tJ e ~~ ∇ · (~u ~J ) ∼ ~∇ · ( ~J~u) con e2n(~u × ~B)/(mec) nella

legge di Ohm: ∂tJ~ e2n(~u × ~B)/(m ec) ∼ c 2ω2 u2ω2 P e = d 2 e L2 << 1 ~ ∇ · (~u ~J ) e2n(~u × ~B)/(m ec) ∼ mec 2 4πne2L2 ∼ d2 e L2 << 1

Abbiamo usato l’equazione di Maxwell (2.18) per ricavare ~J . Il termine di inerzia elettronica ∂tJ + ~~ ∇·(~u ~J ) = dtJ può essere trascurato quando le scale di~

lunghezza sono superiori alla lunghezza di pelle degli elettroni -definita come il rapporto tra la velocità della luce e la frequenza di plasma elettronica- e al raggio di Larmor. Confrontando e( ~J × ~B)/mec (chiamato termine di Hall

perchè è la forza elettromotrice dell’effetto Hall) risulta e( ~J × ~B)/mec e2n(~u × ~B)/(m ec) ∼ cB 4πneuL ∼ mc 4πne2 eB muL = c ωP,i eB muLωP,i ∼ ∼ di L B √ 4πnmu = di L uA u << 1

(19)

dove uA è la velocità di Alfvén uA = (B2/(4πnm))1/2. La forza

elettromotri-ce dell’effetto Hall interviene quando le scale del fenomeno considerato sono confrontabili con la lunghezza di pelle degli ioni.

Infine confrontiamo e ~∇ · ~Πe/me e e2n(~u × ~B)/(mec). Il contributo della

pres-sione ionica, essendo moltiplicato per me/mi << 1 , è trascurabile rispetto

alla pressione elettronica. e ~∇ · ~Πe/me e2n(~u × ~B)/(m ec) ∼ pec eLnuB ∼ nTec eLnuB = Te ωcLvme ∼ ω ωc = ρL L << 1 dove si è supposta la pressione isotropa (~Πe = pe = nTe) e la velocità sul

piano perpendicolare al campo magnetico prossima alla velocità termica v⊥∼

uth ∼ (T /m)1/2. L’effetto legato al gradiente di pressione può essere omesso

nel caso di plasma fortemente magnetizzato. Il grado di magnetizzazione di un plasma è espresso dal parametro β, pari al rapporto tra pressione cinetica e pressione magnetica:

β = 8πp B2

In un plasma fortemente magnetizzato β << 1.

In definitiva abbiamo trovato il seguente ordinamento: ∂ ∂t ~ J ∼ ~∇ · (~u ~J ) ∼ ~∇ · ( ~J~u) << e ~∇ · ~Πe me ∼ e( ~J × ~B) mec << ne 2(~u × ~B) mec ∼ ~E Quando le scale di variazione spaziale e temporale dei parametri del plasma sono molto grandi possiamo adottare la forma ideale della legge di Ohm:

~

E +~u × ~B

c = 0

Alle equazioni finora trovate occorre aggiungere le equazioni di Maxwell: ~ ∇ · ~E = 4πρq ~ ∇ × ~B = 4π c ~ J + 1 c ∂ ∂t ~ E ~ ∇ · ~B = 0

Notiamo che per velocità macroscopiche u << c possiamo trascurare nel-la seconda equazione nel-la corrente di spostamento perché dell’ ordine (u/c)2 rispetto al termine ~∇ × ~B:

~

∇ × ~B = 4π

(20)

L’ipotesi (2.17) ed il fatto che me/mi << 1 ci permette di semplificare il

termine non lineare (~uα· ∇)~uα nell’equazione (2.15) in cui compaiono ancora

le velocità delle singole specie. Infatti me mi << 1 ⇒ ρm = nimi e ~ucm= ~ui ~ ue= ~ucm− ~ J ne L’equazione (2.15) diventa: ρm ∂ ∂t~u + ρm(~u · ∇)~u = ~ J × ~B c − ∇ · ~Π (2.19)

Il momento ρm~u associato ad ogni volumetto di plasma è determinato dalle

forze agenti su di esso, elettriche, magnetiche, di pressione e, in certi casi, gravitazionali. Grazie all’equazione (2.18) possiamo scrivere la densità di for-za magnetica ~J × ~B nell’equazione del moto (2.19) sotto forma di divergenza di un tensore ed esprimere la forza che agisce sul volume di fluido in termini del campo magnetico e della pressione. Infatti scrivendo ~J = (c/4π) ~∇ × ~B e utilizzando ( ~∇ × ~B) × ~B = ~B · ~∇ ~B − (1/2) ~∇B2 introduciamo il tensore

magnetico ~ΠB: ~ ΠB = ~ B ~B 4π − B2 8π ~ I ~

ΠB è costituito da una parte diagonale B2/(8π)~I che rappresenta la pressione

isotropa intorno al tubi di flusso e perpendicolare alla superficie magnetica, ed una parte, diversa da zero solo se c’è curvatura delle linee di forza, data da

~

B ~B/(4π). Essa rappresenta la tensione lungo le linee di forza, diretta verso il centro di curvatura. L’azione delle pressioni (cinetica e magnetica) e della tensione magnetica costituisce l’unica sorgente di forza agente su un volume di plasma nel caso in cui la forza gravitazionale sia trascurabile. Otteniamo quindi

nd

dt~u = − ~∇ · (~Π − ~ΠB)

Questa equazione consente di definire una quantità tipica dei plasmi, cioè la velocità di Alfvén. Per un fenomeno caratterizzato da una distanza L ed un tempo τ caratteristici, un’analisi dimensionale del primo e del secondo membro (trascuriamo la forza di pressione) porta a:

ρm u τ ∼ B2 4πL = ρm L u 2 A

(21)

dove uA= B/(4πρm)1/2 è la velocità di Alfvén. Come vedremo nella sezione

(2.4) essa è la velocità con cui si propagano le perturbazioni non compressive in un plasma magnetizzato e perfettamente conduttore.

Una breve nota riguardo al fenomeno degli urti nel plasma. Le equazioni scritte finora sono state derivate per un plasma non collisionale, ovvero per sistemi in cui la frequenza delle collisioni è molto bassa. Gli urti costituiscono un meccanismo di dissipazione nel plasma: è possibile dimostrare che mentre essi non inficiano la legge di conservazione della massa (2.3), nella equazione del bilancio della quantità di moto per la singola specie (2.5) entrano con un termine dovuto agli urti con particelle dell’altra specie. Sommando tra loro le equazioni del moto per le specie per ricavare la legge di Ohm generalizzata (2.16) otteniamo un termine che può essere stimato considerando un tempo caratteristico τc per la variazione della quantità di moto media di una specie

in seguito alle collisioni con l’altra specie. Spesso viene indicato con −µ ~J dove µ è la resistività, proporzionale alla frequenza di collisione (µ ∝ νc). Il

limite νc → 0 coincide con il limite µ → 0 o, in termini della conducibilità

σ = µ−1, con il limite σ → ∞ (plasma perfettamente conduttore).

2.3

Teoria magnetoidrodinamica

Abbiamo ottenuto un sistema di equazioni che consente di descrivere il pla-sma come un unico fluido perfettamente conduttore, nel limite u << c, soggetto ad un campo magnetico, caratterizzato da basse frequenze e grandi lunghezze d’onda.

Equazione di continuità ∂

∂tn + ~∇ · (n~u) = 0 (2.20)

Equazione del moto nd dt~u = − ~∇ · (~Π − ~ΠB) (2.21) Legge di Faraday ~ ∇ × ~E = −1 c ∂ ∂tB~ (2.22)

(22)

Legge di Ampère ~ ∇ × ~B = 4π c ~ J (2.23)

Seconda equazione di Maxwell ~ ∇ · ~B = 0 (2.24) Legge di Ohm ~ E +~u × ~B c = 0 (2.25)

L’equazione (2.22) ci consente di valutare le forze elettriche agenti sul pla-sma: B/(τ c) ∼ E/L da cui E/B ∼ L/(τ c) ∼ u/c, dove L e τ sono lunghezza e tempo della magnetoidrodinamica. Nel limite non relativistico, le forze elettriche sono trascurabili rispetto a quelle magnetiche (come la corrente di spostamento). In effetti vedremo tra poco come il campo elettrico possa essere eliminato, ma solo formalmente, dal sistema di equazioni in modo da studiare la dinamica del plasma basandosi sulla capacità del campo magne-tico di confinare le particelle. Prendendo il rotore della legge di Ohm (2.25) ed utilizzando la legge di Faraday (2.22) otteniamo

∂ ~B

∂t = ~∇ × (~u × ~B) (2.26)

Questa equazione (chiamata equazione di induzione) determina la variazione temporale del campo magnetico. Il termine al secondo membro rappresenta il trasporto convettivo delle linee di forza da parte del plasma (in analogia all’equazione per la vorticità nei fluidi). Essa, insieme alla legge di Ohm ideale, ci porta ad una importante proprietà del plasma enunciata dal teorema di Alfvén: d dt Z S ~ B · d ~S = 0

Il flusso del campo magnetico attraverso una qualsiasi superficie del plasma è costante nel tempo e le linee di forza del campo sono trasportate dalla velocità fluida (spesso ci si riferisce a questa proprietà del plasma con l’e-spressione di 00flusso congelato00). Ricordiamo che questo risultato è esatto entro i limiti di validità della teoria. La legge di gelo consente di descrivere l’evoluzione del campo magnetico in termini della distribuzione delle linee di forza (che abbiamo visto essere sorgente di forza e pressione magnetica) tra-sportate della velocità, così come la legge di continuità ci dice che la densità è data unicamente dal moto netto di ogni elemento fluido e non dalla storia

(23)

del moto di ciascuna particella di fluido.

Nel caso di un plasma collisionale il termine resistivo incluso nella legge di Ohm aggiunge all’equazione scritta un contributo al secondo membro dato da +c2/(4πσ) ~∇2B. Esso rappresenta la diffusione del campo magnetico (analo-~

gamente all’equazione della temperatura per il trasporto di calore) e indica che le linee di forza non sono perfettamente ancorate al flusso del fluido, ma scivolano via indipendentemente con un tempo caratteristico tanto maggiore quanto maggiore è la conducibilità e la scala tipica del gradiente magnetico. Un parametro che misura il peso del termine di diffusione è dato dal rap-porto tra tempo diffusivo (o resistivo) e tempo caratteristico dei fenomeni che interessano il plasma (ad esempio il tempo di Alfvén τA = L/uA) ed è

chiamato numero di Reynold magnetico S = 4πLv

µ =

τR

τA

dove τR è il tempo resistivo ( τR = 4πL2/(c2µ)) e τA il tempo di Alfvén.

Ogni volta che S . 1 la diffusione è sufficientemente più rapida rispetto alla convezione del campo da parte del plasma e le linee di forza non rimangono ancorate agli stessi elementi fluidi ma modificano la propria configurazione. Dalla definizione di S si deduce che questo caso si verifica quando L, che rappresenta la lunghezza scala di variazione del campo magnetico, diventa molto piccola, anche in presenza di bassa resistività (plasmi poco collisio-nali). In queste regioni a piccola scala (rispetto alle scale di lunghezza su cui variano le grandezze fisiche) i termini non ideali della legge di Ohm ge-neralizzata non possono essere trascurati e si creano le condizioni per cui si ha il rilassamento dei vincoli di invarianza topologica imposti dalle leggi di conservazione della teoria MHD ideale. Uno dei fenomeni che possono inte-ressare il plasma è la riconnessione magnetica. La riconnessione magnetica è un processo di transizione della topologia del campo magnetico del plasma in cui le linee di forza, inizialmente separate ed aventi direzioni opposte, si avvicinano sempre di più in qualche punto. Questo processo implica un ri-lascio di energia sotto forma di energia cinetica (tipicamente degli elettroni) e di calore, e porta il sistema ad uno stato di energia potenziale minore di quella iniziale. La riconnessione magnetica è un processo importante sia nei plasmi di laboratorio sia in quelli astrofisici. In quest’ultimo caso possiamo ricordare che essa è ritenuta all’origine del rilascio energetico rapido nei flares solari e uno dei fattori che contribuiscono alla struttura e alla dinamica della magnetosfera terrestre. Inoltre essa causa l’immissione del plasma del vento solare all’interno della regione del campo magnetico terrestre, dando luogo a tempeste magnetosferiche accompagnate da una vistosa attività aurorale. Questi esempi indicano come la riconnessione, benchè sia un fenomeno locale,

(24)

comporti cambiamenti a livello globale.

Per chiudere il sistema di equazioni (2.20) (2.21) (2.22) (2.23) (2.24) (2.25) di singolo fluido occorre aggiungere una equazione di stato, scelta opportuna-mente a seconda del fenomeno che si intende analizzare. La determinazione della pressione è spesso il punto debole della teoria a singolo fluido poiché essa di solito non è isotropa (specialmente nei sistemi non collisionali). Tuttavia in molti casi il comportamento del sistema non dipende in modo drammatico dalle forze di pressione e le proprietà basilari possono essere delineate assu-mendo, seppur impropriamente, che la pressione sia scalare. Vediamo quali sono che chiusure più frequenti:

Fluido incomprimibile Come avevamo ricavato nell’equazione (2.2) il modo di esprimere matematicamente il vincolo di incomprimibilità è

~

∇ · ~u = 0 (2.27)

Pressione scalare e legge politropica Spesso si assume per sempli-cità matematica che il sistema sia isotropo e quindi si può porre

~

∇ · ~Π = ~∇p ed assumere una legge

d dt(pn

−γ

) = 0 (2.28)

con γ = 5/3 (adiabatica), o γ = 1 (isoterma). L’equazione (2.28) si riduce al caso di moto incomprimibile per γ → ∞.

Per un plasma con bassa frequenza di collisione posto in presenza di un forte campo magnetico, questa ipotesi non è più soddisfatta, ma una trattazione magnetoidrodinamica del plasma è ancora possibile introducendo il tensore diagonale delle pressioni le cui componenti longitudinali e trasversali rispetto alla direzione del campo sono differenti.

Siamo arrivati dunque ad un sistema chiuso di 11 equazioni (2.20) (2.21) (2.23) (2.26) (2.28) con incognite n, ~u, ~J , p, ~B. Il modello MHD è di vasta applicazione in astrofisica e permette di studiare processi in cui non si creano separazioni di cariche, e questo avviene quando le scale spaziali sono mol-to grandi rispetmol-to alla lunghezza di Debye e le scale temporali sono lunghe rispetto all’inverso della frequenza di ciclotrone degli ioni.

(25)

2.4

Onde magnetoidrodinamiche

In un plasma, restando per semplicità nel limite di pressione isotropa, posso-no propagarsi molti tipi di onde che coproposso-no un ampio spettro di frequenze, da pochi millihertz a decine di kilohertz. Affinchè un’onda possa esistere deve essere soluzione delle equazioni che descrivono il plasma, ed esse selezionano un insieme discreto di modi permessi. Dato che esistono vari modelli, il nume-ro e le pnume-roprietà dei modi dipende dalle appnume-rossimazioni adottate nel derivare il modello. Il successivo paragrafo illustra i modi magnetoidrodinamici che si propagano in un plasma perfettamente conduttore e magnetizzato. Nella trattazione assumeremo che il campo sia diretto lungo l’asse z: ~B0 = B0z.b Supponiamo che all’inizio il sistema si trovi all’equilibrio stazionario e in-dichiamo le variabili all’equilibrio con il pedice 0. Esso è descritto dalle equazioni (2.20) (2.21) (2.26) (2.24) in cui poniamo ∂t = 0

~ ∇ · (ρ0~v0) = 0 (2.29) ~ ∇P0 = ~ J0× ~B0 c = 1 4π( ~B0· ~∇) ~B0− 1 8π ~ ∇B02 (2.30) ~ ∇ × ( ~v0× ~B0) = 0 (2.31) ~ ∇ · ~B0 = 0 (2.32)

Per studiare le onde MHD faremo un’analisi lineare, cioè rappresentiamo il sistema perturbato introducendo una fluttuazione delle grandezze che lo caratterizzano (indicata con il pedice 1) e facendo un’espansione al primo ordine, ovvero: n = n0+ n1 p = p0+ p1 ~v = ~v0+ ~v1 ~ B = ~B0+ ~B1

In teoria lineare si assume che la perturbazione sia di piccola ampiezza: n1 << n0, p1 << p0 ecc... Con questa ipotesi possiamo trascurare i

ter-mini non lineari, cioè del secondo ordine nelle perturbazioni, che compaiono nel set (2.20)(2.21)(2.26) e (2.24) riscritto con le variabili perturbate. Il siste-ma di equazioni linearizzate al primo ordine che corrispondono alle equazioni delle onde magnetoidrodinamiche sono:

∂ρ1 ∂t + ~∇ · (ρ0~v1) + ~∇ · (ρ1~v0) = 0 (2.33) ρ0 ∂~v1 ∂t + ρ0(~v0· ~∇)~v1+ ρ0(~v1· ~∇)~v0 = − ~∇p1+ 1 4π[ ~B0· ~∇ ~B1+ ~B1· ~∇ ~B0−

(26)

− ~∇( ~B0· ~B1)] (2.34)

∂ ~B1

∂t = ~∇ × ( ~v0× ~B1) + ~∇ × ( ~v1 × ~B0)(2.35) ~

∇ · ~B1 = 0 (2.36)

Per semplificare l’analisi assumiamo che all’inizio i campi siano uniformi e il plasma si trovi a riposo (~v0 = 0). Oltre alle equazioni (2.33) (2.34)(2.35)

(2.36) ce ne serve una terza in modo da chiudere il sistema, ed è la legge politropica (2.8). In definitiva le equazioni linearizzate sono:

∂ ∂tρ1 = −ρ0 ~ ∇ · ~v1 (2.37) ρ0 ∂ ∂t~v1 = − ~∇  p1+ 1 4π( ~B0· ~B1)  + 1 4π ~ B0· ~∇ ~B1 (2.38) ∂ ∂t ~ B1 = ~∇ × (~v1× ~B0) (2.39) p1 p0 = γρ1 ρ0 (2.40) Tramite l’equazione (2.37), da cui ricaviamo ∂tρ1 = −ρ0∇ · ~v~ 1, possiamo

riscrivere la (2.40) come segue: ∂

∂tp1 = −γp0∇ · ~v~ 1 (2.41)

Facendo la derivata temporale della (2.38) e utilizzando (2.39) e (2.41) tro-viamo: n0 ∂2 ∂t2~v1 = − ~∇  − γp ~∇ ·~v1+ 1 4π ~ B0· ~∇ × (~v1× ~B0)  + 1 4π( ~B0· ~∇) ~∇ × (~v1× ~B0) Scegliendo ~B0 = B0z ed usando l’identità vettoriale ~b ∇ · (~a ×~b) = ~b · ~∇ × ~a − ~a · ~∇ × ~b, da cui si ricava ~B0 · ~∇ × (~v1× ~B0) = −B2∇ · ~v~ 1⊥, la precedente

equazione diventa: ∂2

∂t2~v1 = ~∇(c 2

s∇ · ~v~ 1+ v2A∇ · ~v~ 1⊥) + ikzvA2∇ × (~v~ 1×bz) (2.42) dove cs=pγ(p/ρ) è la velocità del suono e il pedice ⊥ indica le componenti

perpendicolari al campo magnetico di equilibrio (mentre in seguito il pedice k indicherà la componente parallela al campo). Nell’ipotesi di piccole oscilla-zioni possiamo rappresentare la perturbazione come sovrapposizione di onde piane, a ciascuna delle quali è associata la componente di Fourier

~

(27)

dove ~φ è l’ampiezza. Per semplificare l’analisi consideriamo un singolo modo di Fourier, per cui possiamo effettuare le seguenti sostituzioni:

∂ ∂tΦ → −iωφ ~ ∇ · Φ → i~k · φ ~ ∇ × Φ → i~k × φ

L’equazione (2.42), passando in trasformata, diventa: {(ω2− k2

kvA2)~I − c2ms~k~k + (~kbz +z~k)kb kv

2

A} · ~v1 = 0 (2.43)

dove cms = (v2A+c2s)1/2è la velocità magnetosonica e abbiamo usato l’identità

vettoriale ~∇ × (~a ×~b) = ~a ~∇ ·~b −~b ~∇ · ~a +~b · ~∇~a − ~a · ~∇~b. Soluzioni non nulle di questa equazione si ottengono solo se ~v1 6= 0. Per fissare le idee possiamo

scegliere un sistema di riferimento in cui k⊥ è parallelo all’asse x. Questa

equazione mostra che la componente y è disaccoppiata dalle altre. Esistono quindi due modi di oscillazione, uno in cui v1x = B1x= v1z = B1z = 0 mentre

v1y, B1y 6= 0 e l’altro in cui v1y = B1y = 0 e v1x, B1x, v1z, B1z 6= 0.

Onde di shear Alfvén

La componente y dà un’onda con frequenza ω = ±kkvA

Essa si propaga parallelamente al campo magnetico di equilibrio con velo-cità di fase pari alla velovelo-cità di Alfvén vA. La perturbazione è ortogonale

alla direzione di propagazione dell’onda (onda trasversale) e piega le linee di forza del campo magnetico di equilibrio, per cui esse hanno oscillazioni analoghe a quelle di una corda elastica. Questa onda, detta di shear Alfvén, comporta torsione e piegamento delle linee di forza e si propaga nel plasma senza comprimere il fluido (perché ~v1 ⊥ ~k): la forza motrice risiede nella

tensione magnetica delle linee di forza. Dato che la frequenza dipende li-nearmente dal vettore d’onda, l’onda di shear è non dispersiva. Ricordando che le onde sonore ordinarie si propagano con velocità cs =pγp/ρ e che la

pressione magnetica è B2/(8π), vA si ottiene sostituendo nell’espressione di

cs la pressione magnetica alla pressione termica.

Onde magnetosoniche

In questo caso le componenti x e z sono diverse da zero. Dalla (2.43) si ottiene la relazione di dispersione:

ω4− ω2k2c2 ms+ k 2k2 kv2Ac 2 s = 0

(28)

le cui radici sono: ω2 = k2c2 ms± q k4c4 ms− 4k2k2kv 2 Ac2s 2 (2.44)

Questa relazione di dispersione descrive due onde di compressione con velo-cità di fase che dipende dall’angolo θ tra l’asse z e la direzione di propaga-zione: k2k/k2 = cos2θ. La soluzione con il segno positivo è chiamata onda magnetosonica veloce, quella con il segno negativo onda magnetosonica lenta. Supponiamo vA>> cs. Per l’onda veloce abbiamo:

ω2 ' k2v A2

mentre per l’onda lenta

ω2 = k 2 2 h c2ms− c2 ms s 1 −4v 2 Ac2scos2θ c4 ms i ' k 2v2 A 2 h 1 −1 − 2c 2 s v2 A cos2θi ' k2c2scos2θ

dove abbiamo usato lo sviluppo (1 + x)1/2 ' 1 + x/2 per x << 1. Ulteriori

informazioni sul carattere di queste onde si ricavano specificando le equazioni (2.37) (2.38) (2.39) per le componenti x e z: −ωρ1 = −ρ0(kzv1z + kxv1x) ρ0ωv1x = c2skxρ1+ 1 4πB0kxB1 ρ0ωv1z = c2skzρ1 ωB1 = v1xkxB0

Combinando opportunamente queste relazioni (in particolare ricavando ρ1 e

B1 dalla terza e dalla quarta e sostituendo nella prima e nella seconda) si

ottiene: ρ0v1x = c2skx ρ0ωv1z c2 skz + 1 4πB 2 0k2 v1x ω v1z kx kz = 1 −v 2 Ak2 ω2  v1x

Dalla seconda segue: v1z v1x = 1 − v 2 Ak2/ω2 kx/kz =(ω/k) 2− v2 A (ω/k)2  1 tan θ

(29)

Utilizzando le relazioni di dispersione trovate si ha che quando vA >> cs

per l’onda veloce (ω2 = k2v2

A) vale |v1z| << |v1x|: il moto del fluido tende

ad essere trasverso rispetto a ~B e l’onda è compressionale perché ~v1· ~k 6= 0.

L’onda lenta (ω2 = k2c2scos2θ) invece ha |v1z| >> |v1x| quindi il moto è

longitudinale (parallelo al campo magnetico di equilibrio). Nel caso opposto, cioè quando vA<< cs, per l’onda veloce si ha:

ω2 ' k2c2 s

essa è un’onda sonora. Per l’onda lenta invece

ω2 = k 2 2 h c2ms+ c2ms− s 1 −4v 2 Ac2scos2θ c4 ms i ' k 2c2 s 2 h 1 −1 − 4v 2 A c2 s cos2θi ' v2 Acos 2θ

Inoltre si verifica che per l’onda veloce |v1z| ' |v1x| mentre per l’onda lenta

vale |v1z|/|v1x| ' − tan θ. Per piccoli valori di θ è un’onda di Alfvén

com-pressionale.

La relazione di dispersione delle onde magnetosoniche (2.44) ha due casi limite:

• se kk = 0 (θ = π/2)

ω2 = k2 ⊥c2ms

L’onda magnetosonica veloce si propaga perpendicolarmente al campo magnetico con velocità cms mentre l’onda lenta non si propaga. Dato

che neanche l’onda di Alfvén si propaga perpendicolarmente al campo, concludiamo che il modo magnetosonico veloce è l’unica perturbazione perpendicolare magnetoidrodinamica.

• se k2

⊥ = 0 (θ = 0) si hanno due soluzioni:

ω2 = k2 kvA2

ω2 = k2 kc2s

La prima relazione di dispersione rappresenta un’onda di Alfvén, la seconda un’onda sonora.

Il carattere di queste onde dipende da quale tra vA e cs è maggiore. Se

vA> cs l’onda lenta è un’onda sonora mentre l’onda veloce ha velocità

di fase data dalla velocità di Alfvén. Se vA < cs invece l’onda lenta si

propaga con la velocità di Alfvén mentre l’onda veloce si propaga alla velocità del suono.

(30)

2.5

Instabilità magnetoidrodinamiche

Una importante instabilità MHD è affine all’instabilità di Raileigh Taylor (RT) in idrodinamica. L’instabilità di RT si sviluppa in presenza di un gradiente di densità opposto ad una forza, come ad esempio la forza gravita-zionale. Un tipico esempio è dato da un bicchiere con dell’acqua rovesciato: il fluido più denso (l’acqua) si trova sopra il fluido meno denso (l’aria) ed è soggetto all’accelerazione gravitazionale (ovvero fluido pesante su fluido leg-gero). Questa è una situazione di equilibrio instabile, nonostante il formale equilibrio tra i due fluidi. Infatti, in assenza di vincoli all’interfaccia tra i due fluidi, qualunque perturbazione locale scambia un volumetto di fluido leggero con un eguale volume di fluido pesante. Dal punto di vista energetico la formazione di onde, o di una qualunque perturbazione che altera il profilo dell’interfaccia, è la configurazione favorita, perchè il sistema tende a dimi-nuire globalmente la sua energia potenziale. Ciascun elemento di volume del fluido pesante ha originariamente il suo centro di massa a distanza d sopra l’interfaccia, mentre ciascun elemento di volume del fluido leggero ha il suo centro di massa ad una distanza d sotto l’interfaccia. Quando si ha la for-mazione di onde un volumetto di fluido pesante si scambia con un volumetto di fluido leggero. Le rispettive variazioni di energia potenziale sono quindi ∆Up = −2ρpV dg per il fluido pesante (con densità ρp) e ∆Ul = 2ρlV dg per

il fluido leggero (con densità ρl). La variazione totale di energia potenziale

è quindi ∆U = −2(ρp − ρl)V dg ed è negativa. La perturbazione cresce in

ampiezza allontanando il sistema dalla configurazione iniziale e l’acqua cade a terra. In certi casi tuttavia il sistema può essere stabilizzato dalla presenza di altre forze: se consideriamo ad esempio la tensione superficiale dell’acqua, si può dimostrare che per piccole perturbazioni (λ < λmin, dove λmin dipende

dal valore della tensione superficiale) il sistema è stabile: la tensione agisce come forza di richiamo analoga alla forza elastica in una corda tesa. In MHD l’effetto della tensione superficiale può essere dato dal campo magnetico nel caso in cui questo sia perpendicolare alla forza accelerante: le linee di cam-po vengono allungate e piegate, e se esso è sufficientemente intenso, cam-possono inibire lo sviluppo dell’instabilità grazie alla tensione magnetica. Oltre all’in-stabilità di Rayleigh Taylor, un’altra importante inall’in-stabilità fluidodinamica è quella di Kelvin Helmholtz (KH). Essa si sviluppa in presenza di un pro-filo di velocità variabile in direzione trasversale al flusso e può portare alla formazione di vortici sul piano del flusso. Anche in questo caso l’instabilità può essere inibita dalla presenza di un campo magnetico parallelo alla velo-cità fluida, sempre a causa della tensione magnetica. Queste due instabilità verranno trattate nel successivo paragrafo mediante le equazioni della ma-gnetoidrodinamica, dapprima considerando il caso generale di un fluido con

(31)

densità e velocità variabile spazialmente e inizialmente all’equilibrio. Adot-tando l’analisi lineare descritta precedentemente, introdurremo una piccola perturbazione dei campi all’equilibrio e ricaveremo dalle equazioni linearizza-te una equazione differenziale del secondo ordine da cui si ricava la relazione di dispersione. Essa verrà risolta per un sistema costituito da un’interfaccia tra due fluidi incomprimibili di differente densità e in moto l’uno rispetto all’altro, soggetti all’azione del campo gravitazionale e del campo magnetico.

2.5.1

Instabilità di Kelvin Helmholtz e di Rayleigh

Tay-lor

Prendiamo un fluido di densità ρ = ρ0(z) con un profilo di velocità variabile

~

v0 = v0x(z)bx in presenza di un’accelerazione ~g = −gz ed un campo magne-b tico uniforme ~B = B0bx parallelo al flusso. Assumendo condizioni iniziali stazionarie l’equilibrio è descritto dalle equazioni (2.29) (2.30) (nella quale aggiungiamo l’accelerazione esterna ~g) (2.31) (2.32). Studiamo il caso in cui il fluido sia incomprimibile. Le equazioni (2.29) e (2.30) divengono:

~

∇ · ~v0 = 0

~

∇P0 = −ρ0~g

Perturbiamo il sistema con una fluttuazione delle variabili. Il sistema linea-rizzato al primo ordine corrisponde alle equazioni (2.33) (2.35) (2.36), mentre (2.34) in questo caso diventa:

ρ0 ∂~v1 ∂t + ρ0(~v0· ~∇)~v1+ ρ0(~v1· ~∇)~v0 = − ~∇P1− 1 4π ~ ∇( ~B0· ~B1) + 1 4π ~ B0· ~∇ ~B1−ρ1~g

Applichiamo l’analisi di Fourier dove stavolta, data la disomogeneità nella direzione z, assumiamo che la perturbazione sia del tipo: A1(z)ei~k~s+γt ed

ef-fettuiamo le sostituzioni: ~∇ → (ikx, iky,dzd), ∂t→ γ. Con questa notazione,

un γ puramente reale dà instabilità. Distinguendo in componenti e indicando con il pedice ⊥ le grandezze sul piano x-y, abbiamo che il sistema precedente (equazione di continuità, condizione di incomprimibilità, equazione del moto, equazione di Faraday, equazione di Maxwell) diventa:

γρ1 = −v1z d dzρ0− ikxv0ρ1 (2.45) d dzv1z = −i~k · ~v1⊥ (2.46) ρ0γv1z+ ikxρ0v0v1z = − d dz(P1+ 1 4πB0B1x) + i 4πkxB0B1z− ρ1g (2.47)

(32)

ρ0γ~v1⊥+ikxρ0v0~v1⊥+ρ0v1z d dzv0 = −i~k⊥(P1+ 1 4πB0B1x)+ i 4πkxB0 ~ B1⊥ (2.48) γB1z = ikxB0v1z − ikxB1zv0 (2.49) γ ~B1⊥ = −ikxv0B~1⊥+ ikxB0~v1⊥+ B1z d dzv0 (2.50) d dzB1z = −i~k⊥· ~B1⊥ (2.51) Utilizzando (2.45) (2.49) e (2.50) troviamo: ρ1 = − v1zdzρ0 γ0 (2.52) B1z = ikxB0v1z γ0 (2.53) B1⊥ = ikxB0 γ0  v1⊥+ v1zdzv0 γ0  (2.54) dove γ0 = γ + ikxv0 Moltiplicando scalarmente per ~k l’equazione (2.48)

possiamo ricavare, facendo uso delle equazioni (2.46) e (2.51): P1+ 1 4πB0B1x= 1 k2 ⊥  iv1zkx d dzv0− γ 0 d dzv1z  ρ0+ k2 xB20 4πγ02  (2.55) e, sostituendo nella (2.47) insieme alla (2.52), arriviamo ad una equazione differenziale lineare del secondo ordine:

d dz  ρ0kxv1z d dzv0+ iγ 0 ρ0 d dzv1z  = iB 2 0kx2 4π hk2 ⊥v1z γ0 − d dz 1 γ0 d dzv1z i + +iρ0γ 0 k2v1z− B2 0k3x 4π d dz v1z γ02 d dzv0  + igk 2 ⊥v1z γ0 d dzρ0(2.56) Dove ricordiamo che ~v0 = v0(z)x e ~b B = B0x. Questa equazione è risolvibileb imponendo opportune condizioni al contorno. Per chiarire meglio possiamo riferirci ad un caso semplificato in cui un fluido di densità ρ1 si trova sopra

un fluido di densità ρ2. Supponiamo inoltre che i due fluidi siano in moto

re-lativo l’uno rispetto all’altro. Consideriamo separatamente 2 regioni distinte. Procediamo come segue:

1. assumiamo che ciascun fluido sia omogeneo al suo interno: dzρ0 = 0

e dzv0 = 0. Sia v1 la velocità del fluido superiore e v2 la velocità del

fluido inferiore. In ciascuna di queste regioni l’equazione precedente si riduce a h iργ0 − k 2 xB02 iγ04π i d2 dz2 − k 2 ⊥  vz = 0

(33)

la cui soluzione generale è

vz = Aekz+ Be−kz

Per perturbazioni che si annullano all’infinito e che si raccordano all’in-terfaccia (cioè che rispettano la continuità dello spostamento) si hanno le due soluzioni particolari

vz = A(ikv1 + γ)e−kz z>0 (2.57)

vz = A(ikv2 + γ)ekz z<0 (2.58)

con A costante.

2. all’interfaccia possiamo integrare l’equazione su un tratto infinitesimo di lunghezza 2 normale alla superficie di separazione. Nel limite  → 0 il primo e il terzo termine del secondo membro della (2.56) non danno contributo. Inoltre la condizione di continuità della derivata di vz in

z = 0 annulla anche il primo termine al primo membro ed il quarto al secondo membro. Risulta:

h − iγ0ρ d dzv1z i − = − 1 4πB 2 kx2 hdzv1z iγ0 i −− gk 2 [ρ]− hv1z iγ0 i (z=0)

Inserendo infine le soluzioni per vz (2.57) (2.58) si ottiene il legame tra γ e

k, che è una relazione di dispersione:

γ = ikρ1v1+ ρ2v2 ρ1+ ρ2  ± s k2 ρ2ρ1 (ρ1+ ρ2)2 (v1− v2)2 + gk ρ1− ρ2 ρ1+ ρ2 − B 2 0kx2 2π(ρ1+ ρ2)

Notiamo che se B0 = 0 e i due fluidi sono a riposo (v1 = v2 = 0), si ritrova il

tasso di crescita della RT idrodinamica, per cui l’equilibrio risulta instabile se ρ1 > ρ2 cioè se il fluido superiore è più denso di quello inferiore (e, in generale,

se il gradiente di densità dzρ è positivo). Se però B0 è diverso da zero, la

tensione magnetica, rappresentata dal termine B2

0/(4π), si oppone all’effetto

destabilizzante del gradiente di densità, riducendo il tasso di crescita. Il termine B02kx2/(2πk3) ha l’effetto quindi di una tensione efficace, analoga alla tensione superficiale nei fluidi. Per lunghezze d’onda sufficientemente piccole, minori di un valore critico dato da

λc= s 2π(ρ1− ρ2)gk B2 0 (2.59)

(34)

il sistema risulta stabile. L’origine di questa tensione efficace si può capire osservando che B1z associato ad un dato v1z è proporzionale a ~k · ~B0.

Da-to che il campo di equilibrio non ha componente z, introdurre B1z significa

perturbare le linee di campo come pizzicando una corda di violino. La forza di richiamo derivante dall’allungamento riporta il sistema nella posizione ini-ziale. Se l’energia associata alla perturbazione è maggiore di quella liberata dallo scambio dei due fluidi, il modo è stabile. Le perturbazioni che non han-no componente lungo la direzione del campo magnetico (per cui ~k · ~B0 6= 0)

non sono influenzate dalla tensione magnetica, e la loro ampiezza aumenta esponenzialmente nel tempo. Questo caso si verifica quando il campo ma-gnetico è puramente ortogonale al flusso.

Il moto relativo dei due fluidi introduce un fattore ulteriore di instabilità. In assenza di gravità essa può essere inibita dalla tensione magnetica quando la velocità relativa è minore della velocità di Alfvén media ¯vA dei due mezzi

ovvero: ρ1ρ2 (v1− v2)2 (ρ1+ ρ2)2 < B 2 0 2π(ρ1 + ρ2) = ¯vA2 (2.60)

E’ possibile dimostrare che la comprimibilità del fluido favorisce la stabili-tà ([8], [9]). Infatti in questo caso parte dell’energia andrebbe spesa nella compressione, e solo una frazione sarebbe disponibile per lo sviluppo del-l’instabilità. Per questo motivo, cercare eventuali modi incomprimibili con l’assunto ~∇ · ~v = 0, è un ottimo approccio anche se il plasma non è certa-mente incomprimibile. Precedenti studi hanno verificato che in presenza di un fluido comprimibile, con profilo di velocità ~v0 = v0tanh(x/a)bx e campo magnetico ~B0 = B0x la stabilità dipende da ka e da due importanti parame-b tri: il numero di Mach sonico Ms e il numero di Mach magnetico o Alfvénico

MA. Il numero di Mach sonico è dato dal rapporto tra la velocità fluida e la

velocità del suono ed è una misura del grado di comprimibilità del plasma Ms =

v cs

Ms << 1 corrisponde al limite incomprimibile

Il numero di Mach Alfvénico è il rapporto tra la velocità fluida e la velocità di Alfvén ed è una misura del grado di tensione magnetica

MA=

v vA

Il plasma risulta instabile se Ms < 2 e MA > 2 e il massimo di γ si ha per

2ka ∼ O(1). Al crescere di MA (e quindi, a parità di flusso, al diminuire

del campo magnetico) γ aumenta. La formazione di vortici, che corrisponde al regime non lineare dell’instabilità, è influenzata solo da MA: essi non si

(35)

formano se 2 < MA < 5. Se invece MA > 5 si formano vortici in cui le linee

di forza del campo magnetico, trasportate dal flusso, vengono compresse ed arrotolate.

2.5.2

Instabilità di firehose

Vogliamo adesso studiare il caso in cui il plasma è soggetto ad un campo magnetico forte. Esso introduce un’anisotropia nel sistema, di cui è possibile tener conto, sempre restando in teoria fluida, prendendo una pressione pa-rallela pk e una pressione perpendicolare p⊥ al campo indipendenti tra loro;

vediamo quali effetti implica questo disaccoppiamento. Conformemente alla teoria CGL, avremo ~Π = (p⊥I, (p~ k− p⊥)bbbb) (dove bb = ~B/ | ~B |) e l’equazione

del moto (2.21), distinguendo i due piani diventa: n∂ ∂t~v⊥+ ~v · ~∇~v⊥+ ~∇⊥  p⊥+ B2 8π  = 0 n ∂ ∂t~vk+ ~v · ~∇~vk+ ~∇k  pk+ B2 8π  + (pk − p⊥)bb · ~∇bb − 1 4πB · ~~ ∇ ~B = 0 Per chiudere il sistema scegliamo la doppia adiabatica rappresentata dalle equazioni (2.11) e (2.12). Esse possono essere riscritte usando la derivata euleriana:

d

dtp⊥ = −2p⊥( ~∇ · ~v) + p⊥bb · [(bb · ~∇)~v] (2.61) d

dtpk = −pk( ~∇ · ~v) − 2pkbb · [(bb · ~∇)~v] (2.62) Inoltre usando l’equazione di continuità (2.20) abbiamo che ~∇ · ~v = −dtn/n

e dall’equazione di induzione (2.26) si ottiene dt( ~B/n) = ( ~B/n) · ~∇~v. Le

equazioni di stato possono essere quindi elaborate ulteriormente: d dtp⊥ = 2p⊥ 1 n d dtn + p⊥ 1 B d dtB − 1 n d dtn  d dtpk = pk 1 n d dtn − 2pk 1 B d dtB − 1 n d dtn 

per porle in forma politropica: d dt p nB  = 0 (2.63) d dt pkB2 n3  = 0 (2.64)

(36)

Come si può notare non vi corrisponde un indice adiabatico dato che le due pressioni dipendono imprescindibilmente dall’intensità del campo magnetico. Tuttavia è possibile definire formalmente γ⊥ e γk scrivendo p⊥ ∝ n−γ⊥ e

pk ∝ n−γk. Si ottiene γ⊥ = 1 + ln(B/B0) ln(n/n0) γk = 3 − 2 ln(B/B0) ln(n/n0)

γ⊥ e γk non sono indipendenti:

γk+ 2γ⊥− 5 = 0

Usando le equazioni di stato dei gas perfetti p⊥ = nκBT⊥ pk = nκBTk otteniamo T⊥ ∝ B Tk ∝ n B 2

Quindi al diminuire dell’intensità del campo T⊥ diminuisce e Tk aumenta,

incrementando l’anisotropia del plasma. Questa osservazione è importante perché in alcune situazioni si possono creare le condizioni per cui l’anisotropia supera una soglia critica oltre la quale il plasma entra in un regime instabile. Un tipo di instabilità che si può sviluppare è l’instabilità di firehose, in cui una piccola perturbazione dell’equilibrio cresce nel tempo dando luogo a onde idromagnetiche che si propagano lungo il campo. La teoria CGL si adatta a descrivere plasmi in cui vi e’ un forte campo magnetico guida che induce un disaccoppiamento del moto parallelo e del moto perpendicolare. Inoltre per poter trascurare gli effetti del moto microscopico sulla dinamica che si sviluppa su larga scala, le scale spaziali devono essere maggiori del raggio di Larmor.

Supponiamo che il plasma sia uniforme e a riposo (~v0 = 0) e sia ~B0 = B0zb il campo magnetico di equilibrio, anch’esso uniforme. Sia ~Π0 = (p0⊥~I, (p0k−

p0⊥)bbbb) la pressione di equilibrio. Notiamo che in questo caso bb = bz, e se possiamo trascurare la variazione della velocità lungo questa direzione, le

(37)

equazioni (2.61) e (2.62) si semplificano così: n d dtp⊥− 2p⊥ d dtn = 0 nd dtpk− pk d dtn = 0 ovvero d dt(p⊥n −2 ) = 0 d dt(pkn −1 ) = 0

e quindi γ⊥= 2 e γk = 1. Infatti sul piano perpendicolare la dinamica è 2D e

il valore di γ⊥ segue dalla relazione (2.9) con s = 2; parallelamente al campo

magnetico invece, trascurando gli effetti di trasporto, assumiamo equilibrio termico e quindi adottiamo una chiusura isoterma.

Consideriamo una perturbazione proporzionale a e−i(ωt−kxx−kzz). Sotto

qua-li condizioni la perturbazione è instabile? Linearizziamo al primo ordine l’equazione del moto:

−in0ω~v1 = − ~∇~Π1−

1

4π∇( ~~ B0· ~B1) + 1

4π( ~B0· ~∇) ~B1 mentre l’equazione (2.39) diventa:

~ B1 = − kz ωv1xB0x +b kx ωv1xB0zb La pressione perturbata è data da:

~

Π1 = p1⊥I + (p~ 1k− p1⊥)bbbb + (pk− p⊥)(bb1bb + bbbb1)

dove bb1 = −kzv1x/ωx. Possiamo quindi calcolare:b ~ ∇ · ~Π1 = h ikxp1⊥− i kz2 ω(p0k− p0⊥)v1x i b x +hikzp1k− i kxkz ω (p0k− p0⊥)v1x i b z Prendendo le componenti x e z dell’equazione del moto abbiamo quindi:

−in0ωv1x = −ikxp1⊥+ i k2 z ω(p0k− p0⊥)v1x− i 1 ω(k 2 x+ k 2 z) B2 0 4πv1x −in0ωv1z = −ikzp1k+ i 1 ωkxkz(p0k− p0⊥)v1x

(38)

Tramite l’equazione di continuità, che ci dà n1 = n0(kxv1x+ kzv1z)/ω e le

relazioni (2.63) e (2.64), possiamo esprimere p1⊥ e p1k in termini di v1xe v1z:

p1⊥ p0⊥ = n1 n0 + B1 B0 = 2kx ωv1x+ kz ωv1z p1k p0k = 3n1 n0 − 2B1 B0 = kx ωv1x+ 3 kz ωv1z

Sostituendo queste relazioni nell’equazione del moto troviamo due equazioni per v1x e v1z. Ponendo il determinante uguale a zero si ha:

h n0ω2−  (2kx2+ k2z)p0⊥+ k2 B2 0 4π − k 2 zp0k i (n0ω2− 3kz2p0k) = kx2k 2 zp 2 0⊥

da cui segue la relazione di dispersione: ω2 = k 2 2n0  B2 0 4π + p⊥+ 2pkcos 2 θ + p⊥sin2θ  ± ± r B2 0 4π + p⊥(1 + sin 2θ) − 4p kcos2θ 2 + 4p2 ⊥cos2θ sin 2θ 

dove θ indica la direzione di propagazione dell’onda rispetto al campo ~B0.

Se θ = 0 si hanno due soluzioni: ω2 = k 2 2n0 B2 0 2π + p⊥− pk  (2.65) ω2 = 3k 2 n0 pk (2.66)

La (2.65) si riduce ad un’onda di shear Alfvén nel caso p⊥= pk. La soluzione

(2.66) invece rappresenta un’onda sonora che si propaga parallelamente al campo.

Se θ = π/2 (propagazione perpendicolare al campo) abbiamo una soluzione ω2 k2 = 1 n0 B2 0 4π + 2p⊥ 

che rappresenta un’onda magnetosonica.

Si ha instabilità se una delle radici di ω è negativa. La condizione è: 2k2sin2θhB 2 0 8π + p0⊥  1 − p0⊥ 6p0k i + k2cos2θB 2 0 4π + p0⊥− p0k  < 0

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