1. A RCHEOLOGIA
E TERRITORIO
1.1. Quadro cronologico
Le più antiche testimonianze della frequentazione umana in Sardegna risalgono probabilmente (non si hanno ancora datazioni assolute in merito) al Paleolitico Inferiore secondo i ritrovamenti di strumenti in selce di tipo clactoniano (450.000 – 150.000 anni) ritrovati nell’Anglona (1). Nessun materiale archeologico è stato attribuito finora al Paleolitico Medio (150.000 - 35.000 anni) mentre per il Paleolitico Superiore e il Mesolitico si dispone di elementi provenienti dalla Grotta Corbeddu di Oliena da contesti datati al C14 16446 BC, 13590±140 BP e 9120±230 BP (2).
Testimonianze della “rivoluzione agricola” in Sardegna si hanno a partire dal VI
millennio a.C. Nell’isola si conoscono, finora, almeno 34 siti (3) riferibili alla fase del
Neolitico Antico che termina fra il V e il VI millennio. I siti relativi a questo periodo sono
principalmente grotte, ripari e stazioni all’aperto e lo sfruttamento dell’ossidiana è già
attestato. La fase successiva del Neolitico Medio è caratterizzata dalla cultura di Bonuighinu
che presenta caratteri nuovi, indice di una crescita culturale ed economica rispetto alla fase
precedente. Materiali in osso, in pietra e una grande produzione ceramica, unitamente
all’intensificarsi del commercio dell’ossidiana e a al progresso delle tecniche agricole segnano
il cambiamento. Dal punto di vista delle strutture archeologiche compaiono per la prima volta
i villaggi all’aperto accanto al perdurare degli insediamenti in grotta. Novità importanti
riguardano la sfera dei riti funerari, che subiscono una definitiva formalizzazione, e il culto
della Dea Madre rappresentato nelle numerose statuine di alto livello stilistico. E’ da attribuire
a questa fascia cronologica anche la cultura di San Ciriaco con un numero di siti inferiore
rispetto a quella di Bonuighinu ma ugualmente interessante. Materiali attribuibili a questa
tradizione culturale sono stati rinvenuti nel stazione preistorica di Torre Foghe presso
Tresnuraghes (NU). Ma il momento più alto della preistoria sarda si raggiunge nel Neolitico
Recente che ha inizio attorno alla seconda metà del IV millennio a.C. Le manifestazioni
culturali di questo fiorente periodo rientrano nella cultura di San Michele o di Ozieri diffusa
ormai in tutta la Sardegna. Diverse centinaia di monumenti vi appartengono con un ampia
varietà tipologica che conferma la grandiosità di quel periodo: villaggi all’aperto estesi da 2 a
4 ettari, grotticelle funerarie, menhir, circoli megalitici e dolmen. La produzione ceramica con
forme varie e fantasiose decorate con motivi complessi ed eleganti insieme ad una articolata
industria litica rappresentano l’alto sviluppo raggiunto dalle comunità preistoriche dell’ultima fase del neolitico in Sardegna.
Forse a causa della diminuzione del commercio dell’ossidiana, unitamente ai mutamenti che conseguirono in tutto il Mediterraneo e in tutta Europa in seguito all’introduzione della metallurgia, anche in Sardegna entra in crisi l’unità culturale che aveva caratterizzato il Neolitico Recente. Si assiste ad un recesso culturale ed economico testimoniato da in frammentario quadro culturale composto dagli aspetti di Abealzu, filigosa, Monte Claro e Campaniforme. In generale si può affermare che in questo periodo perdura l’uso delle grotticelle artificiali a scopo funerario mentre compare un nuova tipologia architettonica, la muraglia megalitica, destinata probabilmente ad uso militare-difensivo.
L’Età del Rame in Sardegna termina nella seconda metà del III millennio a.C., con probabili ritardi in alcune zone dell’isola,
La prima Età del Bronzo in Sardegna (2300-1700 B.C.) è caratterizzata dalla cultura di Bonnannaro, di cui non si conoscono molti monumenti se comparati con quelli dei tempi successivi. Durante la piena Età del Bronzo (1700-950 B.C.) maturano gli elementi comparsi nella prima età del bronzo che daranno vita alla Civiltà Nuragica caratterizzata da una prodotti architettonici di vario tipo e soprattutto di altissima qualità tecnica: protonuraghi, nuraghi a tholos, semplici e complessi, recinti, villaggi, fonti e pozzi sacri, tombe di giganti e betili disseminati in tutto il territorio. Durante la prima Età del Ferro alcuni caratteri sociali ed economici della civiltà dei nuraghi tendono verso una complessità maggiore e perdurano fino alla conquista cartaginese (fine VI sec. a.C.).
(1) Per le ricerche sul Paleolitico dell’Anglona, cfr. Martini 1999 con bibliografia precedente.
(2) Sondar et alii 1984, pp. 29-47.
(3) Moravetti, A., Ricerche Archeologiche nel Marghine-Planargia. Sassari, 2000.
1.2. La regione del Marghine-Planargia
“
(1)La regione del Marghine-Planargia è ubicata nella Sardegna centro-orientale e si estende nella zona di spartiacque fra il bacino del Temo, a nord, e quello del Tirso a SE (catena del Marghine), mentre ad Ovest è delimitata dalla fascia costiera – fortemente incisa da bacini idrograficici minori ed autonomi e a Sud dall’altopiano basaltico di Abbasanta che degrada verso il Campidano attraverso una serie di terrazzi strutturati.
Figura 1.1. La regione del Marghine-Planargia in Sardegna.
La dorsale montana che percorre per tutta la sua lunghezza, NE a SO, la Sardegna centro- settentrionale, presenta in questo territorio i rilievi rachitici della catena del Goceano- Marghine, che sul lato occidentale si raccordano al cono vulcanico del Monteferru, costituendo una displuviante di maggiori altitudini fra i bacini imbriferi del Tirso e del Temo.
Il bacino del Temo si accosta alla catena del Marghine con le ampie distese degli altipiani basaltici della Campeda (600-700 m s.l.m.) e della Planargia (300-500 m s.l.m.), che poi, con taglio netto lasciano esiguo spazio alla valle incassata del Temo. La valle del Temo risale ancora verso Nord fino ai monti di Montresta e alla catena costiera (Monte Mannu, 802 m s.l.m.; M. Santu Padre 1028 m s.l.m.).
Fig 1.2. Particolare della situazione geomorfologica della Planargia. Due ampie depressioni di oltre 1.5 km di ampiezza e oltre 150 m. di profondità sono visibili da questa foto satellitare e dal modello digitale del terreno realizzato in questo lavoro di tesi.
La continuità di questi rilievi montani costituisce una dominante geografica del territorio,
come risorsa caratterizzante e come condizione alla forma di insediamento.
Il territorio di insediamento si è storicamente localizzato in questo singolare paesaggio naturale con differenti stratificazioni nel tempo, avendo come fulcro prevalente il valico di Macomer che nella catena montuosa risulta la più aperta via di transito fra la Sardegna settentrionale e quella Meridionale. Il valico, pertanto, si trova in posizione di cerniera fra i due insiemi di insediamento, quello del Marghine che gravita nel bacino del Tirso e quello della Planargia ubicato sul versante del Temo.
Sotto il profilo geologico, nell’area sono rappresentati in successione tutti gli episodi eruttivi verificatisi nell’isola dal Cenozoico al Quaternario antico, ma in particolare prevale la fase eruttiva pre-elveziana. Le formazioni sedimentarie sono rappresentate dal Miocene nelle sue principali facies marine.
Le formazioni vulcaniche, per la loro caratteristica permeabilità per fessurazione, costituiscono acquiferi complessivamente importanti, ma distribuite in un vasto territorio con numerose risorgive.
Fra i fattori che hanno determinato la frequentazione del territorio nel tempo, assumono quindi fondamentale importanza l’acqua , le cui possibilità di raccolta sono legate alla presenza di sorgenti o di falde acquifere, ed in particolare la natura dei suoli.
I suoli, riflettendo i caratteri geomorfologici del territorio, presentano caratteristiche assai variabili, in particolare per quel che riguarda la profondità, la percentuale di roccia affiorante e la percentuale di scheletro. Generalmente elevata risulta la fertilità dei suoli che derivano dalle vulcaniti basiche, mentre è più modesta in quelli originati sulle vulcaniti acide.
Per quel che riguarda la potenzialità di questi suoli, dove le condizioni morfologiche e podologiche lo consentono (aree sub pianeggianti e suoli profondi derivati da tufi vulcanici) si ha un pascolo ricco di essenze tabulari (abbondanza di trifolium subterraneum nella stagione primaverile) e di buona produttività. In generale, però, il cotico è degradato, soprattutto per l’uso indiscriminato del pascolo effettuato senza turni, con eccessivo carico di bestiame e, frequentemente devastato dal fuoco.L’aspetto geo-pedologico del Marghine-Planargia è stato studiato da A. Aru per la stesura del Piano socio-economico del Marghine-Planargia e a lui si deve una dettagliata Carta della regione, nella quale, in otto unità cartografiche podologiche, sono stati definiti suoli, le litologie principali, le morfologie e le potenzialità produttive.”.
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(1)