Conclusioni
Gandhi aveva mostrato nel sarvodaya un'alternativa sia all'economia capitalista che a quella socialista.
Il suo assassinio, avvenuto il 30 gennaio del 1948, poco dopo aver ottenuto l'indipendenza dell'India, gli impedì di dare una dimostrazione pratica di come la nonviolenza potesse mutare l'economia e ricostruire la società. Comunque, le ultime volontà del Mahatma, di non impadronirsi del potere politico per plasmare il paese secondo i propri ideali, indicarono la strada per una futura azione politica anche in campo economico. Il 29 gennaio 1948, un giorno prima della sua morte, Gandhi aveva chiesto al Congresso Nazionale Indiano di sciogliersi e di costituire il Lok Sevak Sangh, un'associazione di servitori del popolo che doveva avere lo scopo di promuovere il sarvodaya nei villaggi. Nel fare una tale proposta Gandhi lasciò in eredità ai suoi discepoli più fedeli, Vinoba e Narajan, il compito di portare avanti il progetto del sarvodaya.
L'economista indiano Raj Krishna
1ha descritto in modo chiaro ed esaustivo il conflitto che si sviluppò in India dopo la sua indipendenza, trovandosi a scegliere tra un modello di sviluppo industrialista, sostenuto da Nehru, e il modello decentrato di sviluppo socio economico del sarvodaya.
Raj Krishna ha giustamente osservato che:
Questo conflitto è diverso, e molto più fondamentale, del conflitto di cui abitualmente si discute, quello, cioè, fra industrializzazione capitalista e industrializzazione socialista. ... Le società industrializzate, sia capitaliste, sia socialiste, hanno in comune più di quanto normalmente si realizzi. Tutte sono caratterizzate da una produzione di massa centralizzata, associata a una progressiva concentrazione di potere economico e politico nelle mani o di una plutocrazia o di una burocrazia, a un alto grado di commercializzazione e monetizzazione, a una crescente meccanizzazione e automazione della produzione, a un sistematico sfruttamento del villaggio
1 Raj Krishna (1926–85) è stato un influente economista indiano ricercatore dell'istituto per lo sviluppo economico di Delhi e docente all'università.
nel nome di un identico modo di formazione di capitale, di urbanizzazione, di massima specializzazione e di crescita dello spirito acquisito ed aggressivo tenuto sotto controllo da un «potere controbilanciante». Tutte divinizzano un alto e perpetuamente crescente materialisitico standard di vita e di potenziale militare. Tutte soffrono di nevrosi di massa perché la struttura socio-economica associata a una industrializzazione centralizzata e super-meccanizzata deforma la relazione dell'uomo con la natura, con il lavoro, con i vicini e con il suo proprio più intimo io
2.
L'influenza del pensiero e della pratica di Gandhi spingeva verso il programma decentralizzato del sarvodaya, ma l'influenza del pensiero occidentale attirava molti uomini politici a fare della nuova India indipendente una nazione potente e fiorente. Questo sogno non sarebbe stato possibile senza un'industrializzazione rapida e totale. Gli industrializzatori, perciò, spingevano per l'urbanizzazione, per il trasferimento sul larga scala di uomini e risorse verso le crescenti città industriali. Seguendo questo progetto alimentarono nelle masse l'aspirazione a più elevati consumi. Dopo secoli di repressione il desiderio di beni di consumo da parte degli abitanti dei villaggi rischiava di diventare più sfrenata di quella della popolazione cittadina che da lungo tempo si era assuefatta. Le comunità di villaggio diventavano così sempre più soggiogate dalla cultura consumistica della città, allontanandosi dal proposito di autogoverno dell'economia di villaggio, che presupponeva l'autolimitazione e la scelta di una vita semplice.
L'India di oggi presenta in modo esacerbato questo conflitto tra un'India che vuole modernizzarsi e l'India rurale dei villaggi che tenta di resistere.
A questo punto le riflessioni di Gandhi sembrano diventare importanti non solo per l'India, ma per l'intero pianeta riguardo a tre punti centrali per il futuro dell'economia nell'epoca della globalizzazione.
Innanzitutto, va posta la questione di un modello di sviluppo industriale proiettato a livello planetario che si dimostra sempre più drammaticamente insostenibile dal punto di vista ecologico.
2 R. Krishna, Discussione, in J. Narayan, Verso una nuova società, cit., pp. 47-8.
La natura non può più sostenere uno sviluppo lineare di sfruttamento e di inquinamento. La perdita della biodiversità, il buco dell'ozono, il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici, l'inquinamento radioattivo sono questioni non più eludibili e spingono anche gli economisti ad agire localmente e a pensare globalmente per sviluppare un pensiero eco-friendly.
La seconda questione è l'evidente fallimento nel risolvere attraverso l'industrializzazione di massa il problema della miseria e della povertà di estese fasce della popolazione mondiale, che sono poste di fronte a una crescente diseguaglianza tra pochi ricchi e la grande massa privata dei mezzi necessari alla propria sussistenza. In questa prospettiva il sarvodaya di Gandhi va utilmente ripreso per orientare l'economia al soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali.
La terza questione, che riassume tutto il discorso di un'economia che non distrugge la vita ma la sostiene, si fonda sul palese fallimento della teoria dei vantaggi comparati, sottesa alla logica della divisione internazionale del lavoro e del commercio internazionale.
La denuncia di Gandhi ha mostrato come sia un errore considerare la libertà di commercio come forma di mutua cooperazione e di eguale beneficio che favorisce la pace e lo sviluppo. In realtà un'analisi non superficiale e non partigiana dei rapporti centro-periferia prodotti dallo scambio ineguale e dallo sfruttamento internazionale del lavoro deve creare una consapevolezza nuova che favorisca le produzioni e i consumi locali.
L''attualità dell'insegnamento di Gandhi riecheggia nelle parole dell'economista italiano Giorgio Ruffolo:
Riorientare l'economia non è possibile ... senza un riorientamento dei valori. La "critica della ragione economica" (André Gorz) deve trovare il suo sbocco nell'economia della ragione critica; la razionalità strumentale in una razionalità dei fini. E questo riconduce l'economia e gli economisti alla matrice etica originaria
3.
3 G. Ruffolo, Riorientare l'economia in Daly e Cobb, Un'economia per il bene comune, cit., p.
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