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Gli scavi di aree portuali offrono potenzialità notevoli sia che si tratti di spazi oggi sommersi o interrati.

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IV. L’ ARCHEOLOGIA NEI PORTI : POTENZIALITÀ E LIMITI

Gli scavi di aree portuali offrono potenzialità notevoli sia che si tratti di spazi oggi sommersi o interrati.

È in questo genere di ambienti che spesso le particolari condizioni anaerobiche che si vengono a creare e la presenza di sedimenti fini permettono la conservazione e il mantenimento di notevoli quantità di reperti anche di natura organica

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L’indagine archeologica in questi contesti offre la possibilità di reperire e indagare ciò che rimane degli impianti del porto (banchine, pontili, moli) e anche delle infrastrutture satelliti (arsenali, cantieri, magazzini) che gravitano intorno ad esso, consentendo lo studio dei materiali impiegati e delle tecniche costruttive.

All’interno di queste aree è possibile trovare i resti materiali di ogni natura (rifiuti o oggetti perduti, provenienti dalle operazioni di carico e scarico delle navi o attrezzature di bordo) che forniscono informazioni importanti per definire le fasi in cui il porto fu attivo, la rete dei commerci in cui era inserito e le rotte di navigazione.

Inoltre come hanno dimostrato recenti scavi, non sono rari i ritrovamenti di relitti all’interno dei bacini portuali. Spesso si tratta d’imbarcazioni abbandonate o affondate accidentalmente o di parti di esse reimpiegate per la realizzazione di waterfronts e rive di contenimento

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. Oltre alla possibilità di poter approfondire aspetti della tecnologia navale, l’analisi delle imbarcazioni può aiutare a ricostruire le aree portuali poiché queste erano strutturate in funzione delle navi che dovevano accogliere. Per favorire l’ingresso a imbarcazioni di grande pescaggio era necessario mantenere una certa profondità del bacino e poi le stesse avevano bisogno di pontili o banchine di una determinata altezza e struttura.

Concludendo, lo studio delle aree portuali appare oggi di estrema importanza per la ricostruzione dell’economia delle città e dei litorali in età antica.

Lo scavo di un’area portuale non può comunque prescindere dallo studio e dalla conoscenza dell’ambiente in cui questa realtà è inserita. Negli ultimi decenni, le ricerche effettuate (cfr. Olbia, Napoli, Portus) hanno mostrato sempre più l’importanza e la necessità della collaborazione con esperti di più discipline. In particolare sono stati

1 Beltrame, pp. 253-254.

2 Ibid., pp. 266-267.

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notevoli i contributi delle indagini geoarcheologiche e geofisiche, delle analisi palinologiche, geochimiche, bio-stratigrafiche e sedimentologiche. Attraverso l’esame dei sedimenti dei bacini è, infatti, possibile fornire indicazioni sui paleoambienti e la paleogeografia che hanno condizionato la scelta dei siti, l’utilizzo o l’abbandono degli stessi

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. Le indagini geofisiche risultano fondamentali nelle fasi di pianificazione degli scavi in quanto consentono di individuare la presenza o l’assenza di strutture sepolte.

Uno dei principali problemi legati alla ricerca dei porti è quello della loro visibilità, poiché, trovandosi in aree caratterizzate da particolari condizioni ambientali, dovute a fenomeni naturali e antropici, hanno subito, sia in antico sia in seguito, profonde trasformazioni che ne hanno condizionato l’attuale stato di conservazione.

Lo scavo in questi siti spesso comporta difficoltà pratiche dovute alla loro posizione attuale: in molti casi si tratta di aree oggi sommerse o interrate, oppure collocate in contesti urbani (cfr. Genova, Olbia, Napoli). Spesso inoltre si tratta di scavi di emergenza realizzati in conseguenza di lavori pubblici o privati che comportano escavazioni.

Nascono quindi tutte le difficoltà operative legate al fatto di lavorare in tempi prestabili per consentire lo sviluppo dei lavori di cantiere, non potendo il più delle volte estendere lo scavo su grandi superfici. A ciò si aggiungono problematiche riguardanti la sistemazione dei resti rinvenuti, sulla quale è possibile riflettere solo dopo la fine dello scavo stesso, particolarmente difficile in ambito urbano per la necessità di mediare tra le esigenze della conservazione e quelle delle normali attività della vita cittadina.

I più grandi limiti riscontrati in occasione di questi scavi, salvo alcune eccezioni, sembrano comunque la mancanza della progettazione della ricerca e un’adeguata pubblicazione dei risultati.

3 Marriner, Morhange 2007, pp. 164-171.

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IV.1 L’evoluzione della linea di costa

«La spiaggia, fino a mezzo secolo addietro era seno di mare, il quale allora veniva a battere alle mura del borgo nascente.

Inanerato il seno, subito il commercio aveva invaso quel breve lembo sabbioso, per comodo del carico dello zolfo».

L. Pirandello Il no di Anna, 1895.

Il contesto geografico nel quale sorgono i porti è in continuo mutamento. A causa delle particolari condizioni ambientali che caratterizzano i siti in cui le antiche aree portuali si trovano, la possibilità di riconoscerle è fortemente limitata dall’interazione di una serie di processi naturali e antropici che nel corso del tempo hanno alterato la fascia costiera contribuendo a influenzarne l’attuale stato di conservazione. La ricerca e l’interpretazione delle aree portuali devono perciò includere anche indagini di natura geologica o paleo- ambientale, nel tentativo di ricostruire l’antica linea di costa dove tali siti sorgevano e di poterne stabilire con maggior dettaglio l’antica topografia.

I porti erano impiantati in quei tratti di costa riparati dal vento e dalle correnti e con fondali abbastanza profondi da consentire l’attracco delle navi.

Escludendo i casi in cui avvennero modifiche rilevanti della costa, queste qualità fecero sì che nello stesso luogo l’attività portuale si protraesse per secoli portando alla distruzione o a una sostanziale trasformazione degli impianti più antichi

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Inoltre tra le operazioni di adeguamento delle aree portuali rientra anche l’attività di dragaggio dei fondali che inevitabilmente comporta la perdita dei depositi.

In alcuni casi gli interventi antropici hanno l’effetto di inglobare le strutture che così risultano preservate, in altri invece, a seguito dell’abbandono e inutilizzo dell’area o per mancanza di manutenzione, gli impianti restano soggetti all’azione dei fenomeni naturali che sono particolarmente violenti lungo le coste.

La linea di costa è, infatti, in continua evoluzione dal punto di vista geologico - ambientale sottoposta a processi geomorfologici sia continentali che marini.

I principali responsabili del modellamento delle coste sono il moto ondoso, le maree e le correnti litorali, che generano processi di erosione, trasporto e sedimentazione anche

4 Camilli, Gambogi 2005, pp. 123-124.

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condizionati dalla batimetria dei fondali. Alcune forme poi sono dovute all’alterazione chimica o all’attività biologica di microorganismi marini.

L’intervento antropico a partire dal Neolitico è stato sempre più determinante nell’accelerare i processi di erosione del suolo delle regioni montane e delle zone di pianura. La ricerca ha individuato a partire dall’era cristiana, tre importanti fasi di erosione: durante l’età augustea, la tarda antichità e la piccola era glaciale, che corrispondono geologicamente a periodi di progradazione costiera e deltizia

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I fiumi trasferiscono ai mari grandi quantità di sedimenti che possono accumularsi nei pressi della zona di sbocco a costruire i delta o vengono ridistribuiti dal moto ondoso e dalle correnti marine a costruire lidi. Questo fenomeno è osservabile nel litorale pisano, il cui avanzamento è legato all’apporto dei sedimenti trasportati dall’Arno e dai rami del Serchio oltre che alle variazioni climatiche e all’impatto dell’uomo sul territorio.

In questo caso si è verificato a partire dall’alto Medioevo un aumento del grado di progradazione della costa che progressivamente causò l’interramento delle zone di approdo antiche e di Portus Pisanus che proprio perché non più agibile nel corso del XIV secolo venne abbandonato; oggi l’attuale linea di costa si trova avanzata di diversi chilometri rispetto a quella antica

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Le stesse dinamiche hanno interessato il delta del Tevere, la cui evoluzione è stata oggetto di studio a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Studi più recenti focalizzati sulla geometria dei cordoni litorali, hanno evidenziato otto fasi di avanzamento e alcune fasi di arretramento, dalla più antica di circa 4000 anni a.C. alle più recenti databili tra il XV e il XIX secolo. In particolare è stato riconosciuto un processo di progradazione deltizia che a partire dal IV secolo d.C. progressivamente decretò l’insabbiamento e poi l’abbandono dei porti (porto di Claudio e Traiano) come luogo di approdo nel X secolo

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Vi sono poi altri fattori che incidono sulle dinamiche di modellamento delle coste come i fenomeni tettonici e il cambiamento del livello del mare. Esemplari per il versante Tirrenico i fenomeni bradisismici dei campi Flegrei che hanno portato alla sommersione graduale dell’antica fascia costiera. Il bradisima è un abbassamento o innalzamento periodico del suolo collegato a fenomeni vulcanici. L’analisi delle successioni sedimentarie di età post-romana e medievale, le evidenze geomorfologiche di erosione marina e la storia stessa dei siti archeologici sommersi testimoniano periodi di

5 Marriner, Morhange 2007, p. 152.

6 Gattiglia 2013, pp. 16-24; 68-72.

7 Giraudi et alii 2006, pp. 49-54.

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sommersione ed emersione della fascia costiera flegrea dall’epoca tardo antica a quella moderna. Nello specifico sono stati individuati tre momenti fondamentali che hanno causato la sommersione della costa: tra la fine del IV e il V secolo d.C., tra il V e l’VIII e tra il XIV e il XVI secolo

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Fenomeni che possono essere quindi graduali e protrarsi per lunghi periodi di tempo oppure possono manifestarsi improvvisamente come la catastrofe naturale che colpì il golfo di Napoli nel novembre del 1343 della cui potenza distruttiva ci ha tramandato testimonianza Francesco Petrarca. L’evento, riconducibile forse a un maremoto, fu descritto come una “tempesta eccezionale” e causò notevoli danni lungo le coste con la distruzione delle abitazioni e delle strutture portuali

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.

Altro fenomeno che si manifesta in tempi molto lunghi è la subsidenza; questa consiste in un lento processo di abbassamento del suolo spesso in aree costiere e di pianura.

Generalmente si verifica su fondali non del tutto stabili a seguito della pressione esercitata dall’acqua e nei delta fluviali e in altre aree a elevata sedimentazione dove la pressione è invece causata dalla compattazione dei sedimenti sotto l’azione del loro carico litostatico.

Può essere connessa con le attività antropiche come l’estrazione di fluidi o lo sfruttamento degli idrocarburi.

Le variazioni del livello del mare rivestono un ruolo di fondamentale importanza nella modifica dell’assetto delle coste, dei suoi habitat e anche delle attività e delle infrastrutture che si sono sviluppate in questo particolare ambiente. Storicamente il livello del mare è stato soggetto a oscillazioni di varia entità e velocità. Questi cambiamenti, indicati con il termine eustatismo, possono essere causati da fenomeni geologici, astronomici e climatici, e sono il risultato di variazioni di scala globale alle quali vanno sommate modifiche locali non uniformi che differiscono, anche sensibilmente, spostandosi da un punto della costa a un altro. Le variazioni a scala continentale o regionale dipendono principalmente dai cambiamenti glacio-idro-isostatici, dalla tettonica, dalle variazioni nella forza di gravità, dalla subsidenza e, negli ultimi secoli, dalle attività umane

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8 Varriale 2004, pp. 291-307.

9 La Greca 2007, p. 26.

10 Pasquinucci, Pranzini, Silenzi 2004, pp. 87-91.

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IV.2 Indagini archeologiche nei porti

IV.2.1 Archeologia di salvataggio nel porto di Genova

Il porto di Genova rappresenta uno di quegli esempi in cui la continuità d’uso dell’area portuale e l’intensa attività edilizia perpetuatesi nei secoli hanno portato all’obliterazione delle infrastrutture antiche.

Alcuni resti delle strutture portuali erano stati individuati intorno al 1960 durante la realizzazione degli scavi per i piloni della sopraelevata, ma non furono condotte indagini approfondite

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Le prime ricerche furono compiute negli anni tra il 1974 e il 1978 da alcuni archeologi dell’ISCUM

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, in accordo con la Soprintendenza Archeologica della Liguria, che ebbero la possibilità di seguire i lavori per la realizzazione di una trincea per la posa di cavi telefonici che si estendeva da piazza de Ferrari fino all’altezza del palazzo della Commenda di Prè. In quell’occasione non fu possibile eseguire scavi preventivi né tantomeno bloccare per tanto tempo i lavori. Ad ogni modo furono messe in luce e documentate, porzioni di paramenti murari attribuiti ai rifacimenti delle banchine realizzati intorno alla metà del XVI secolo (Ponte della Mercanzia, Ponte Reale, Ponte Spinola, La Ripa, Ponte Calvi)

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Successive indagini furono condotte tra il 1989 e il 1992 nell’ambito di una serie si progetti per la realizzazione di opere pubbliche tra cui la metropolitana, la creazione di un sottovia per rendere pedonale piazza Caricamento e la sistemazione dell’area del porto vecchio; complessivamente le ricerche furono estese a un’area di più di 17000 mq.

In quest’occasione l’interruzione forzata degli scavi archeologici per garantire la rapida ripresa dei cantieri e la mancata conservazione di alcune strutture messe in luce (piazza Caricamento e piazza Cavour) scatenarono numerose polemiche. Negli anni seguenti furono riaperti alcuni cantieri che, attraverso una più attenta politica preventiva,

11 Poleggi 1989, p. 295.

12L’Istituto di Storia della Cultura Materiale fu una delle prime scuole italiane a interessarsi allo studio della cultura materiale di età post-classica e ai metodi dell’archeologia di salvataggio.

13 Cabona 1984, pp. 129-131.

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consentirono di svolgere una corretta attività di scavo garantendo così la possibilità di tutelare i ritrovamenti e l’acquisizione d’importanti dati sulle fasi di vita del porto

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.

Gli interventi di scavo nella loro complessità hanno reso possibile la ricostruzione delle fasi di avanzamento dell’arco portuale che mostra le prime frequentazioni a partire dall’epoca protostorica.

In età romana e tardo antica la vitalità del porto è testimoniata da numerosi ritrovamenti.

Nell’area compresa tra piazza Cavour e la Darsena è stato possibile ricostruire l’avanzamento della ripa maris. Sulla base dei materiali ritrovati nelle stratigrafie, sono state individuate fasi antiche costituite da livelli sabbiosi (spiagge o bassi fondali) attribuibili cronologicamente dagli inizi del III a.C. al V secolo d.C. I ritrovamenti di frammenti di anfore di produzione tardo antica nella zona della Darsena testimoniano l’utilizzo dell’area come approdo a partire dal V-VI secolo d.C. La continuità dei traffici tra V e VII secolo è ulteriormente confermata dagli scavi urbani che hanno restituito materiali di importazione soprattutto di produzione nordafricana

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14 Melli 1996, pp. 59-60.

15 Ibid., pp. 62-63; Pellegrineschi 1996, p. 114.

Fig. 4. Planimetria del porto di Genova. In evidenza le aree indagate (da Melli, Penco 2004).

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Per l’epoca altomedievale gli scavi non hanno restituito indicazioni che si riferiscono alle strutture portuali né tantomeno stratigrafie riferibili a questo periodo.

Nel XII secolo, come attestato dalle fonti scritte, cominciano lavori per la realizzazione di alcune strutture. A questo periodo sembra appartenere un pilastro realizzato in grossi conci regolari e bugnati rinvenuto nell’area dell’arsenale, forse pertinente a degli interventi avviati nel 1163 per la sistemazione della zona di Pré

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Solo nel XIII secolo il porto comincerà ad assumere la fisionomia di una vera e propria infrastruttura artificiale. In particolare nella penisola del Molo vecchio di fronte a porta Siberia è stata individuata una struttura in muratura, forse attribuibile alle più antiche fasi edilizie del molo, larga circa sei metri e realizzata con un nucleo di pietre e malta rivestito su entrambi i lati da conci bugnati alti circa 20 cm

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. Tuttavia le presenze di queste prime strutture in muratura sembrerebbero delle eccezioni in quanto, come attestato dalle fonti e in parte anche dalle testimonianze archeologiche, fino al XIV secolo la maggior parte delle infrastrutture portuali erano realizzate in legno. Negli scavi in piazza Caricamento sono state individuate due successioni di pali allineati, che coprivano in origine una lunghezza di circa trenta metri con andamento ortogonale alla linea di costa, attribuite all’originaria struttura lignea del Ponte Spinola

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Solo fra il XIV e il XV secolo si procedette a una ristrutturazione delle infrastrutture che, pur mantenendo inalterata la loro articolazione all’interno dell’area portuale, furono realizzate in muratura. Sembrerebbero ipoteticamente riconducibili ai primi interventi di XIV secolo delle strutture in muratura rinvenute nell’area della Darsena: una cortina muraria che per la tecnica costruttiva utilizzata è stata interpretata come il più antico paramento di Levante del molo di Darsena; una struttura (forse il moletto divisorio della Darsena attestato dalle fonti nel 1306) che si imposta direttamente sullo scoglio, realizzata con un basamento in pietrame e paramenti in mattoni; una struttura che poggia su una platea di fondazione sostenuta da una fitta palificazione, attribuibile all’impianto del primo arsenale

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.

Gli scavi hanno poi reso possibile la documentazione dei continui rifacimenti e restauri delle strutture dal XV al XVII secolo e le costruzioni che sono succedute tra fine Ottocento e inizio XX secolo per la realizzazione del nuovo porto.

16 Gardini 1996, p. 121.

17 Prosperi, Sciamanna 1996, p. 78.

18 Bianchi 1996, p. 100; Melli, Penco 2004, p. 383.

19 Pellegrineschi 1996, p. 114; Gardini 1996, p. 121.

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IV.2.2 Lo scavo di emergenza del porto di Olbia

L’occasione per effettuare lo scavo del porto di Olbia si presentò nel luglio nel 1999, quando durante un sopralluogo della Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro nel cantiere dove si stava realizzando un tunnel per collegare il porto con la viabilità extraurbana vennero individuati resti lignei verosimilmente appartenenti a imbarcazioni e altre evidenze archeologiche.

Bloccati i lavori furono condotte tre campagne di scavo in un’area (380x20 m, x 4 m di profondità) compresa tra il lungomare di via principe Umberto e via Genova e divisa in due settori: sud e nord.

Le ricerche terminate nel dicembre del 2001 hanno permesso di acquisire importanti dati relativi alle fasi di vita del porto, di ricostruire la linea di costa antica, analizzare i relitti e individuare un’ area adibita a cantiere navale

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In età antica il porto si estendeva in un tratto di mare localizzato di fronte alla cinta muraria orientale della città, a una distanza di circa 90 metri e antistante l’inizio dell’attuale Corso Umberto che dovrebbe coincidere con il decumanus maximus dell’Olbia romana

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20 Gavini, Riccardi 2010, p. 1885.

21 D’Oriano 2002, p. 1252.

Fig. Fig. 5. L'area di scavo (da D'Oriano 2002).

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Lo scavo ha presentato non poche difficoltà, alle quali si è cercato di rispondere con precise scelte metodologiche, per quanto riguardava la rimozione dei relitti dal terreno (che infine hanno previsto lo smontaggio delle parti dei relitti sullo scavo e il loro deposito in casse piene d’acqua) a quelle conservative degli stessi (realizzate con un sistema a impregnazione con amidi e disidratazione controllata.).

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Altra problematicità riscontrata nello scavo è stata la complessità stratigrafica dell’area d’indagine. Infatti, la superficie indagata, trattandosi di un fondale marino, è stata in continuo mutamento dinamico alternando periodi di erosione e di deposizione che hanno portato a un rimescolamento di materiali di cronologia e origine diversa

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.

I ritrovamenti attestano la frequentazione del sito di Olbia a partire dal VIII secolo a.C. con un attività portuale che, attraversando fasi di vita alterne perdura almeno fino al XVII secolo.

Dalla fine del IV agli inizi del III secolo a.C. sono utilizzati entrambi i settori dell’area portuale come testimoniato dal rinvenimento di numerose ceramiche di fase punica

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. Nella prima età imperiale, nel lembo di terra che separava l’area portuale in due settori, era attivo un cantiere navale che intorno al 60-70 d.C. fu distrutto da un’alluvione; da questo momento ebbe inizio un progressivo inutilizzo del settore meridionale. Dal II secolo d.C.

l’attività portuale si concentrò nella parte settentrionale del bacino in prossimità del quale era stata realizzata una diga che collegava la terra all’isola Peddona

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Nel V secolo d.C. furono affondate dieci navi onerarie mentre erano ancora ormeggiate in porto come testimoniato dal rinvenimento di resti di pontili lignei paralleli ai relitti

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. Sulla base delle evidenti tracce di bruciatura presenti sulle superfici dei reperti, attribuiti al carico o comunque alla dotazione di bordo delle navi (sigillata africana D), come anche su alcuni dei legni delle imbarcazioni, si presuppone che l’affondamento fosse avvenuto in seguito a un incendio, evento forse da collegare alle scorrerie vandale perpetrate in quegli anni nel Mediterraneo occidentale

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.

In seguito a questo episodio, nonostante che la funzionalità dell’area portuale fosse compromessa dalla presenza stessa dei relitti, le attività commerciali continuarono nei

22 D’Oriano 2006, pp. 101-102.

23 Pietra 2008, p. 1755.

24 Pisanu 2002, pp. 1275-1278.

25 D’Oriano 2002, pp. 1254-1255.

26 D’Oriano 2006, p. 100; Riccardi 2002, p. 1270.

27 Pietra 2008, pp. 1754-1755.

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primi secoli altomedievali come attestano i rinvenimenti di ceramica sigillata africana D e lucerne di VI-VII secolo d.C.

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Tra il XII e il XIII secolo è testimoniata un’opera di bonifica della vecchia area portuale che ormai doveva essere difficilmente agibile a causa delle abbondanti sedimentazioni e della presenza dei relitti che avevano innalzato il fondo marino. L’area del settore nord fu quindi colmata per far avanzare la costa di alcuni metri in modo da attingere a livelli di fondale più profondi e liberi da intralci, in grado di accogliere navi di grosso pescaggio.

Per portare a termine il riempimento furono utilizzate macerie, pietre e pali. Secondo una pratica già in uso nell’antichità, furono affondate anche tre barche ormai in disuso, databili tra fine del IX e gli inizi dell’XI secolo, caricandole di pietre e ciottoli per costituire la base e gli angoli della colmata stessa

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. L’esigenza probabilmente fu dettata dalla ripresa di traffici marittimi di maggiore impegno.

La continuità d’uso dal IX al XVII secolo è oltremodo testimoniata dal rinvenimento di relitti bassomedievali, utilizzati per realizzare la colmata, e da diverse classi ceramiche che attestano contatti commerciali con l’area laziale (Forum ware) con la Toscana (maioliche

28 D’Oriano 2002, p. 1261.

29 D’Oriano 2006, pp. 100-101.

Fig. 6. I relitti nell'area di scavo (da D'Oriano 2002).

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arcaiche pisane, smaltate di Montelupo fiorentino, graffite a stecca e a punta policroma, marmorizzate) e con la Liguria (graffita a punta monocroma, smalto berrettino.)

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30 Selis 2012, pp. 63-68.

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IV.2.3 Archeologia urbana a Napoli

Durante i lavori per la realizzazione della linea 1 della metropolitana di Napoli sono stati intercettati livelli dal forte potenziale archeologico che necessitavano di indagini più approfondite. Gli scavi archeologici avviati nel 2003 sono tuttora in corso in alcuni cantieri sotto la direzione della Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Napoli e Pompei che si è avvalsa della collaborazione di specialisti di varie discipline. È stato così intrapreso un grande progetto di archeologia urbana che ha consentito di verificare e correggere le interpretazioni degli studiosi sullo sviluppo della città. I cantieri di principale interesse, per quanto riguarda la ricostruzione dello sviluppo costiero, ricadono in piazza G. Bovio (stazione Università) e piazza Municipio (stazione Municipio.)

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.

31 Boetto et alii 2010, pp. 115-116.

Fig. 7. Le aree di scavo delle stazioni e ricostruzione della linea di costa (da Boetto et alii. 2010).

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Il contributo più importante dato dagli scavi per la metropolitana è stato la ricostruzione del paesaggio costiero dell’antica Neapolis. La linea di costa in quest’area ha subito nel tempo notevoli trasformazioni dovute a fenomeni di subsidenza a continui insabbiamenti e a un’intensa urbanizzazione.

L’efficacia delle ricerche è stata favorita dalla possibilità di estendere gli scavi stratigrafici fino a quote al di sotto dell’attuale livello del mare e dall’integrazione con indagini geoarcheologiche, grazie alle quali è stata ricostruita l’evoluzione del paesaggio costiero dall’età greca fino all’Ottocento.

Sono stati definiti i confini dell’antico porto della città, una grande insenatura che si estendeva nell’area tra piazza Municipio e piazza Bovio, del quale negli ultimi secoli erano state proposte delle ricostruzioni topografiche principalmente realizzate su incerte notizie di vecchi ritrovamenti e sulle fonti scritte

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Gli scavi in piazza Municipio mostrano un primo intervento di adeguamento dell’area a scopi portuali tra IV e III secolo a.C. quando si compie il dragaggio dei fondali. In quest’area sono stati rinvenuti relitti, moli, pontili e una grande quantità di reperti che hanno consentito di ricostruire le fasi di frequentazione e di utilizzo di questa parte del bacino portuale. Grazie alla posizione naturale dell’insenatura che è abbastanza protetta dai movimenti del mare, si sono conservate le stratigrafie in posto senza rimescolamenti.

Le prime strutture portuali (un molo) sono costruite alla fine del I secolo d.C. e alla stessa epoca risalgono due relitti. Nel II secolo avviene la costruzione di due pontili in legno che non sono più in uso tra la fine del II e gli inizi del III secolo, periodo nel quale affonda un'altra imbarcazione. Nel III secolo sebbene siano assenti installazioni portuali, l’area continua a essere frequentata come testimoniato dai rinvenimenti ceramici.

Nel IV secolo vengono costruiti dei piccoli pontili in legno e l’attività portuale risulta continuare fino agli inizi del V secolo quando hanno inizio fenomeni di impaludamento e di insabbiamento, che, protrattisi per tutto il VI secolo, decreteranno il conseguente spostamento del bacino portuale verso sud-est e forse il suo sdoppiamento come proposto da Bartolomeo Capasso

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.

Lo scavo in quest’area ha presentato anche alcune difficoltà nate dalla necessità di conciliare le esigenze temporali dei lavori per la metropolitana con il recupero e la

32 Giampaola et alii 2005, pp. 49-51.

33 Giampaola, Carsana 2010, pp. 123-129. Capasso B. (1895) nel volume topografia di Napoli nell’ XI secolo ubica, sulla scorta di un documento del 1018, nell’area occupata da castel nuovo, piazza municipio e via medina, il portus vulpulum e nell’area del molo piccolo il portus de Arcina.

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preservazione dei manufatti. Molti dei reperti rinvenuti sono, infatti, di natura organica (oltre agli elementi lignei delle navi e dei pontili sono stati ritrovati in condizioni ottimali ceste, stuoie, cordame, cuoio e oggetti di legno). Durante lo scavo i materiali venivano irrorati con acqua e protetti con una pellicola e in seguito alcuni sono stati rimossi con le porzioni di sabbia in cui erano inglobati mentre altri sono stati prelevati e conservati in un doppio guscio di vetroresina

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.

Nel V secolo avvenne quindi lo spostamento delle attività portuali verso sud-est in un settore corrispondente in parte all’attuale piazza Bovio. Le indagini in quest’area hanno consentito di costatare la continuità dell’occupazione litoranea dal VI al IX secolo d.C. e di approfondire il tema delle fortificazioni e del loro rapporto con il porto.

È stata confermata l’esistenza in questa parte della città del fronte della fortificazione bizantina: sono stati rinvenuti, infatti, i resti di una muraglia inquadrabile nel VI secolo sulla quale si addossa una torre a pianta rettangolare, di cui si conserva il fronte meridionale e occidentale, realizzata nel corso del VII secolo con materiali di recupero

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. La costruzione della torre potrebbe essere vista come funzionale alla difesa o al controllo dell’approdo portuale o delle attività svolte nelle sue vicinanze.

A partire dalla metà del VI secolo sulla spiaggia, in prossimità del porto, sono installate officine produttive ed è presente un piccolo sepolcreto. Nel settore occidentale dell’area sono stati trovati i resti di una fornace riconducibile a un’officina vetraria che prosegue la sua attività fino alla fine del VI secolo. Tutta l’area sembra interessata da fenomeni d’impaludamento che agli inizi del VII secolo ne decreteranno l’abbandono definitivo. Nel settore orientale dell’area sul finire del VI secolo è attiva un’officina metallurgica che subisce un ampliamento agli inizi del VII secolo e rimane in uso fino alla costruzione di alcuni edifici di poco posteriori

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. Infatti, nel corso della prima metà del VII secolo nell’area viene realizzato un complesso edilizio, con il fronte rivolto verso il mare, che si estende su una superficie di circa 700 mq. Il complesso, presumibilmente magazzini per lo stoccaggio delle merci, si apriva su una strada collegata al mare da un tracciato viario ed era composto di un edificio principale intorno al quale gravitavano altri ambienti di dimensioni minori. Gli edifici nel corso dell’ VIII secolo subiscono modifiche e interventi di consolidamento. Nell’area è però ancora forte il fenomeno dell’impaludamento e,

34 Giampaola et alii 2005, p. 82.

35 Gentile 2010, pp. 52-53.

36 Febbraro 2010, pp. 57-60.

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nonostante i tentativi fatti per mantenere praticabili gli ambienti, intorno alla metà del IX secolo avverrà il definitivo abbandono dei magazzini

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.

Nonostante non siano state rinvenute vere e proprie strutture portuali, la presenza dei magazzini, fuori le mura e in prossimità della costa, conferma la continuità di svolgimento dell’attività portuale in età altomedievale. La ricettività dell’area è inoltre testimoniata dal rinvenimento di ceramiche d’importazione e di anfore da trasporto. Dalla metà del VI al VII secolo sono ancora consistenti le importazioni di sigillata africana D e di anfore che testimoniano contatti commerciali col Nord Africa, con l’area orientale e con l’Italia meridionale (Campania, Calabria, Sicilia). Tra l’VIII e il IX secolo c’è ancora una sopravvivenza degli scambi, anche se avvengono dei cambi qualitativi e quantitativi:

cessano, infatti, le importazioni dal Nord Africa e dall’Oriente e sono attestate anfore da trasporto di produzione campana, prodotti locali e ceramica a vetrina pesante

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.

37 Roncella 2010, pp. 63-68.

38 Carsana, D’Amico 2010, pp. 74-80.

Fig. 8. Ipotesi ricostruttiva dei magazzini di età bizantina (da Giampaola 2010).

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IV.2.4 Archeologia a Portus: le fasi tardo antiche e altomedievali

Il sito di Portus, per la monumentalità delle vestigia dei due grandi impianti portuali di Roma imperiale è stato oggetto d’interesse per tanti studiosi, incisori e disegnatori almeno a partire dal XVI secolo, quando cominciarono a comparire piante e descrizioni della zona.

I primi importanti contributi per la conoscenza dei complessi monumentali del porto risalgono al XIX secolo grazie agli studi di Fea, Nibby, Texter, De Rossi e principalmente Lanciani. Seguono poi i lavori di Lugli nel 1935 e di Testaguzza nel 1970. Da allora gli scavi sono continuati quasi ininterrottamente rimettendo in luce la topografia del porto e della città

39

.

Le ricerche condotte dagli anni Novanta nei porti di Claudio e Traiano hanno consentito di esaminare le trasformazioni socio-economiche che dalla prima età imperiale sino al Medioevo hanno interessato il centro portuale.

Per quanto riguarda l’attenzione allo studio delle fasi tardo antiche e altomedievali hanno avuto un ruolo decisivo le indagini condotte da Coccia e Paroli in prossimità della basilica portuense, che hanno dimostrato come l’attività portuale e la vita dell’insediamento proseguirono anche in questa fase critica di transizione

40

.

Negli ultimi anni è poi attivo sul sito un gruppo di ricerca coordinato da Keay che ha fatto chiarezza su importanti aspetti dell’assetto della città e del porto in epoca tardo antica.

L’efficacia dei risultati è stata resa possibile dalla collaborazione di vari enti e dall’adozione di un approccio interdisciplinare che ha previsto l’uso di tecniche d’indagine non distruttive, che vanno dall’analisi di foto aeree, alla geofisica, alla geoarcheologia, congiunte ad attività di scavo

41

.

Il porto fu costruito, in più tempi, per iniziativa degli imperatori Claudio e Traiano tra il 42 e il 110 d.C., a nord di Ostia, sulla riva destra del Tevere, per risolvere i complessi problemi dell’approvvigionamento alimentare di Roma, essendo divenuto il porto fluviale Ostiense insufficiente per le accresciute esigenze annonarie della città.

39 Coccia 1993, p. 177.

40 Coccia 1996; Paroli 1996.

41 Millet, Keay, Strutt 2004, pp. 221-222.

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Attorno al bacino di Traiano furono costruiti grandi magazzini per lo stoccaggio delle merci e si sviluppò l’area urbana

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. L’importanza del centro crebbe in età tardo antica, quando nella città vennero concentrate le attività portuali, precedentemente condivise con Ostia. All’inizio del IV secolo Porto, per decreto di Costantino, fu elevata al rango municipale e sul finire del IV- inizio V secolo venne realizzata una cinta muraria

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.

Questi elementi concorrono nell’evidenziare la forte dipendenza della città di Roma dallo scalo marittimo, il cui mantenimento era diventato d’importanza vitale.

Le indagini archeologiche hanno mostrato importanti aspetti della continuità d’uso del porto di Traiano nell’alto Medioevo. In particolare le ricerche si sono concentrate nel quadrante sud-occidentale della città, nell’area di una posterula aperta sulla costa e nei pressi della basilica portuense, nota come xenodochio di Pammachio.

42 Augenti 2010, p. 42.

43 Coccia 1993, pp. 181-183.

Fig. 9. Planimetria generale dei porti di Claudio e Traiano (da Keay 2005).

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Lo scopo di queste indagini è stato di verificare le relazioni esistenti fra le mura tardo antiche e l’abitato e fra lo xenodochio e il quartiere circostante che si trova in prossimità del canale di collegamento fra il Tevere e i bacini portuali.

Nel V secolo con la costruzione delle mura tardo antiche si ridusse lo spazio urbano, alcuni dei magazzini restarono all’esterno della città e altri furono demoliti o interrati.

Gli scavi all’interno della posterula hanno evidenziato l’abbandono e il crollo di un magazzino tra il V e il VI secolo, cui fecero seguito un accumulo di macerie e un lento processo di sedimentazione fra la fine del VI e l’inizio del VII secolo. Le stesse dinamiche sono state riconosciute nello scavo di un altro ambiente vicino le mura. In entrambi i casi si assiste anche a un uso cimiteriale dell’area

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.

Le testimonianze raccolte mostrano quindi una progressiva riduzione della capacità portuale e degli spazi destinati allo stoccaggio delle merci.

Tuttavia questi episodi non portarono all’abbandono del centro portuale, infatti, gli scavi nell’area centrale del porto, in prossimità della basilica, hanno messo in luce livelli abitativi databili tra il VII e il IX secolo.

44 Coccia 1996, pp. 298-300.

Fig. 10. Pianta schematica con indicazione delle aree di intervento (da Coccia, Paroli 1993).

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L’intensa occupazione dell’area intorno alla basilica è dimostrata dalla costruzione di alcuni edifici tra cui una domus terrinea nella prima metà dell’VIII secolo, una fornace, della quale non è stato possibile stabilire la funzione, databile all’VIII secolo e una domus solarata realizzata nella prima metà del IX secolo

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.

Le indagini lungo la sponda orientale del canale traverso, che metteva in comunicazione la fossa traiana con il porto esagonale, hanno permesso di riconoscere degli interventi di restauro della banchina eseguiti tra il VII e l’VIII secolo, inoltre la navigabilità del canale nell’alto Medioevo è testimoniata dal ritrovamento, alla profondità di quattro metri, di ceramica tipo Forum Ware

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.

La prosecuzione dei traffici marittimi e la ricettività del porto sono state poi confermate dal ritrovamento di gruppi di anfore da trasporto altomedievali. All’interno di un ninfeo tardo antico, scoperto tra la basilica e il canale, sono state rinvenute numerose quantità di ceramiche e anfore d’importazione datate dalla seconda metà del VII all’inizio del IX secolo.

Principalmente si tratta di anfore globulari che derivano dai tipi diffusi tra VI e VII secolo d.C. in area orientale. Queste anfore ritrovate anche in altri centri tirrenici documentano la persistenza ancora nell’VIII secolo di un’area comune di scambi nel Tirreno centro- meridionale

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. A partire dal IX secolo la riduzione delle anfore d’importazione e i livelli di abbandono nella zona centrale della città sono i segni tangibili del definitivo decadimento di Porto e delle sue funzioni.

45 Paroli 2004, pp. 262-263.

46 Ibid., p. 254.

47 Paroli 1993, pp. 231-243.

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