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Classificazione delle frane superficiali

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– FRANE SUPERFICIALI

Le ingenti precipitazioni che, il 25 ottobre 2011 hanno colpito il bacino del Torrente Pogliaschina, hanno avuto un impatto devastante sull’intero territorio, provocando ingenti danni alla rete infrastrutturale, quali crolli di ponti e cedimenti stradali, esondazioni e soprattutto numerosissime frane superficiali.

I dissesti avvenuti sono stati di prima generazione e la maggior parte sono riconducibili a movimenti superficiali di scorrimento di detrito, evoluti rapidamente in colate rapide (D’Amato Avanzi et alii, 2004). Si è trattato di fenomeni da rapidi ad estremamente rapidi (Cruden & Varnes, 1996), che si sono innescati in presenza di una copertura di suolo residuale e colluviale; un'elevata acclività dei versanti; una quantità d’acqua convogliata nel suolo tale da creare la saturazione del materiare; un aumento delle pressioni neutre favorevole allo scivolamento (Campbell, 1975; Wieczorek, 1987, D’Amato Avanzi et alii, 2004). La copertura di suolo, stabile sotto normali condizione di umidità, è divenuta satura ed instabile nell’occasione di piogge che sono andate oltre una determinata durata ed intensità (Campbell, 1975, Giannecchini, 2006). Inoltre, nelle concavità elementari dei versanti, dove normalmente è presenta una più spessa copertura detritica, si è avuta una maggiore concentrazione dei deflussi idrici. È proprio in queste aree che si sono maggiormente concentrati questi fenomeni (Campbell, 1975; Ellen, 1988; D’Amato Avanzi et alii, 2004).

4.1

Classificazione delle frane superficiali

Esistono diversi sistemi di classificazione delle frane superficiali. In passato tali fenomeni sono stati denominati da diversi autori come debris avalanche (Sharpe 1938), soil slip (Kesseli, 1943) soil slip-debris flow (Campbell, 1974; 1975; Ellen 1988; Crosta et alii, 1990); flow slide (Hutchinson, 1968), o debris flow (Reneau et alii, 1987; Smith, 1987; Howard et alii; 1988, Turner, 1996).

Rifacendosi allo schema classificativo di Cruden & Varnes (1996), questi dissesti possono essere classificati come complex, traslational debris slides-debris flows (fig.

4.1). Il termine complex, indica che le frane sono costituite dalla combinazione di due

movimenti in successione temporale: quello di scivolamento traslativo e quello di

colamento. Il termine ‘debris’ specifica la granulometria del materiale coinvolto, che è

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prevalentemente grossolana, in cui più del 20% dei granuli hanno dimensioni > 2 mm (Cruden & Varnes, 1996).

Fig. 4.1 – Sistema di classificazione delle frane di Cruden &Varnes (1996)

Un ulteriore sistema di classificazione delle frane coinvolte nel movimento di colata è stato proposto da Hungr (2001), con l’intento di eliminare le ambiguità terminologiche e creare un sistema che fosse tassonomico, gerarchico ed universale (fig. 4.2). I criteri adottati in questa classificazione sono i meccanismi e la velocità di movimento, la tipologia del materiale coinvolto e altre caratteristiche come il contenuto d’acqua, la relazione tra il contenuto d’acqua e l’indice di liquidità, la presenza o meno di canalizzazioni durante il percorso della frana.

Fig. 4.2 – Sistema di classificazione delle frane con meccanismo di colata di Hungr (2001).

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Secondo la classificazione di Hungr (2001), i dissesti in esame possono essere definiti come debris flow-slide, colata da rapida ad estremamente rapida di materiale detritico classato e non classato poggiante su un pendio acclive, che si origina dalla liquefazione del materiale scollato dall’area sorgente.

I debris flow-slide si differenziano principalmente dai debris flow perché il processo di liquefazione interessa il materiale dell’area d’innesco ed avviene in situ, mentre nel secondo caso si verifica durante il percorso e coinvolge gran parte del materiale che incontra durante il suo percorso (Hungr, 2001).

Diversi autori (Sharpe, 1938; Varnes, 1978; Ellen 1988; Turnes 1996) raggruppano con il termine debris flow, altri tipi di movimenti classificati come debris avalanche e debris torrent da Crosta (1990). Tale semplificazione è possibile per la somiglianza sostanziale dei processi gravitativi (Costa 1984; Ellen 1988; Turnes 1996). I debris avalanche si formano nei versanti aperti senza essere canalizzati in un impluvio, mentre i debris torrent si innescano nell’asta fluviale principale del reticolo idrografico per rottura di uno sbarramento operato da debris flow oppure per rottura di argini, ponti o dighe, con conseguente rilascio di detriti accumulati (Crosta et alii, 1990; Hungr, 2005; fig. 4.3)

Fig. 4.3 – Rappresentazione schematica di un: a) debris avalanche; b) debris torrent

Si è qui preferito utilizzare il termine soil slip-debris flow, data la eterogeneità

terminologica nei vari sistemi di classificazione e volendo riferirsi ad un unico termine

per evitare confusione ed incertezza nell’inquadramento del fenomeno in esame. Questo

termine composto specifica il coinvolgimento della copertura di suolo nel meccanismo

di innesco dello scivolamento, che poi si trasforma in colata. Nell’area sorgente del

movimento franoso rimangono le “cicatrici” (scar in inglese) lasciate dallo scollamento

della porzione di suolo, mentre più a valle si distingue il percorso in cui il flusso

iperconcentrato è transitato ad alta velocità (Ellen, 1988).

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4.2

Caratteristiche dei soil slip-debris flow

Questi dissesti hanno comunemente uno spessore tra 0,3 e 2 metri e sono generalmente lineari, con un rapporto larghezza/lunghezza che varia da 0,03-0,5. Essi coinvolgono il suolo e qualche volta la porzione del substrato fratturato (D’Amato Avanzi et alii, 2004).

Un tipico soil slip-debris flow è diviso in una zona di innesco, transito ed accumulo (fig.

4.4):

- la zona di innesco avviene lungo una superficie di rottura, che può essere collocata nella parte alta o nel lato di una concavità o di un canale (Hungr, 2005).

Lo scivolamento può avvenire anche nei tagli di versante provocati dalle costruzione di strade, oltre che nei versanti naturali;

- la zona di transito è quella in cui la massa dislocata fluisce, inglobando il materiale detritico e vegetale che incontra durante il suo percorso;

- la zona di accumulo è quella in cui il materiale dislocato si deposita formando una cono di deposizione (Smith, 1988).

Fig. 4.4 – Rappresentazione schematica di un soil slip-debris flow (da Smith, 1988, modificato)

La copertura superficiale è costituita dal suolo residuale, derivato dall’alterazione in situ del substrato, dal suolo colluviale o colluvium, materiale eterogeneo incoerente matrice- sostenuto, e dal talus, materiale detritico grossolano ed angoloso clasto-sostenuto deposto alla base dei pendii per gravità (Ellen 1988; Howard et alii, 1988; Turner, 1996;

D’Amato Avanzi et alii, 2004).

Secondo Campbell (1974), i soil slip che danno luogo ai debris flow si originano sia

nello strato di suolo colluviale, meglio definito come una mescolanza di suolo e

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frammenti di roccia trasportati dalle parte più elevate dei versanti dall’azione della gravità, dell’acqua e del vento, sia nel materiale colluviale di riempimento dei canali;

denominato ravine fill. In questo ultimo caso il tipo di frane prende il nome di soil slip (ravine fill-debris flow; Campbell, 1975).

Il materiale colluviale presente all’interno dei canali, a differenza di quello del suolo colluviale, è costituito da granulometrie più grossolane che vanno dai ciottoli ai massi e deriva dalle precedenti deposizioni di debris-flow. Questo materiale può diventare instabile durante intense precipitazioni (Campbell, 1975).

4.2.1 – Modello idrologico

Kesseli (1943) ha postulato che la rottura del pendio avviene quando l’intensità di pioggia è così elevata da far percolare l’acqua nel suolo ad una velocità maggiore di quella che percola nel substrato. Anche Campbell (1974) riprese l’ipotesi di Kesseli e descrisse il meccanismo idrologico che porta alla superficie di rottura.

Dopo una prolungata stagione secca, le piogge di modeste precipitazioni sono in grado di portare l’intero spessore di suolo alla capacità idrica di campo, contenuto d’acqua che il terreno è in grado di trattenere per fenomeni di capillarità e adesività, oltre il quale l’ulteriore acqua aggiunta dalle precipitazioni viene drenata dal suolo alla stessa velocità in cui viene aggiunta (Campbell, 1974; Howard et alii, 1988).

Durante le intense precipitazioni, l’infiltrazione nel suolo eccede la trasmissività del substrato sottostante, perciò l’acqua gravifica comincerà a stratificarsi a partire dal substrato, formando una falda sospesa parallela al pendio al contatto tra suolo e roccia sottostante (Campbell, 1974). L’altezza della falda risale con il continuo incremento delle precipitazioni. Quando avviene la saturazione dell’intero spessore di suolo, l’eccesso di acqua viene distribuito come ruscellamento superficiale e deflusso ipodermico all’interno della zona satura parallelo al pendio (Campbell, 1975; Howard et alii, 1988).

La presenza di una falda nel suolo che risale, genera un aumento delle pressioni neutre alla base della copertura, per cui il suolo diventa “galleggiante” e si ha una conseguente diminuzione della resistenza al taglio (fig. 4.5; Campbell, 1975; Howard et alii, 1988;

Turner 1996).

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L’annullamento delle tensioni efficaci all’interno del suolo conduce al meccanismo di rottura, che comunque è regolato dalle proprietà geomeccaniche del materiale e dall’acclività del pendio.

Fig. 4.5 – Diagramma che mostra la formazione di una falda sospesa neutre al contatto tra copertura e roccia madre durante le intense precipitazioni (da Campbell, 1975)

4.3 – Meccanismo di formazione dei soil slip-debris flow

Secondo Campbell (1974), l’iniziale movimento di scivolamento del materiale di copertura o del materiale di riempimento dei canali causa una ricostituzione della massa umida in scorrimento, in un flusso viscoso di fango carico di detriti verso la rete di drenaggio disponibile, fino a raggiungere un gradiente più basso dove deporre il materiale.

Una volta che la copertura superficiale di materiale granulare, non coesivo o leggermente coesivo, si satura e inizia lo scivolamento, essa generalmente si disgrega in debris flow (Ellen, 1988; Howard et alii, 1988).

Howard et alii (1988), hanno definito la trasformazione di un’iniziale massa rigida di

suolo in cinque stadi (fig. 4.6):

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Fig. 4.6 – Trasformazione di un soil slip in debris flow in cinque stadi da a) fino ad e)(da Howard et alii, 1988)

Il primo stadio (a) è definito dallo scivolamento traslativo del materiale della copertura che scorre lungo, o appena sopra, il contatto tra copertura e substrato. In questo stadio il processo di scivolamento è controllato dall’aumento delle pressioni dei pori, causate dalla differenza di permeabilità tra copertura e substrato, e dalle fratture di tensione del materiale detritico. Queste ultime determinano la configurazione dell’area sorgente. Esse si ritrovano sui fianchi della stessa area e si estendono verso il basso raccordandosi con superficie di rottura basale.

Nel secondo stadio (b), con il proseguimento del movimento di scivolamento, le superfici di taglio interne alla massa spostata determinano una riduzione della resistenza al taglio della copertura ed un incremento della deformazione plastica (Lohnson & Rahn 1970; Campbell 1975).

Nel terzo stadio (c), gli sforzi di taglio causano la dilatazione della massa di suolo,

mentre l’acqua di riempimento delle fratture di tensione viene drenata nella massa

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dilatante, disgregando ed indebolendo ulteriormente la massa di suolo, che inizia a colare sopra la superficie del terreno (Turner, 1996).

Nel quarto stadio (d), la massa di suolo continua a fluire verso il basso, accelera ed incorpora la vegetazione, il suolo ed il detrito che incontra nel suo percorso, formando un debris flow.

Nel quinto stadio (e), la diminuzione del gradiente di pendenza causa la deposizione del materiale alla base del pendio oppure fluisce nella rete idrografica.

In molti casi, l’intera superficie di rottura basale rimane esposta nell’area sorgente della frana, poiché la massa di suolo coinvolta nello scivolamento traslativo viene rimossa durante la formazione dei debris flow, lasciando scoperta e priva del materiale dislocato l’area di innesco del corpo franoso (Howard et alii, 1988; Turner, 1996).

4.4 – Proprietà geotecniche dei terreni coinvolti nei dissesti superficiali

La tessitura del suolo influenza la suscettibilità del suolo a dare origine ai debris-flow.

Questi ultimi si formano generalmente in terreni poco assortiti con bassa plasticità, dovuta alla ridotta percentuale di particelle dell’argilla (Ellen, 1988; Hungr, 2005).

Rodine (1974) e Pierson (1981) sostenevano che fosse necessario almeno un esiguo contenuto di percentuale d’argilla per sostenere il flusso.

Le particelle argillose trattengono infatti il fluido negli interstizi dei pori, determinando un’elevata pressione neutra che facilita il processo di liquefazione. Tuttavia, Ellen (1988) ha indicato l’esistenza di un limite superiore al contenuto di argilla, stimato intorno al 35%, oltre il quale viene impedita la mobilizzazione del materiale. L’aumento del contenuto di argille nel terreno fa incrementare l’aliquota della resistenza al taglio fornita dalla coesione e conseguentemente impedisce il rimodellamento del materiale in debris flow. Inoltre riduce la permeabilità del suolo, in modo tale che, se soggetto a scivolamento, dilata e necessita di un ulteriore afflusso di acqua per poter fluire (Ellen, 1988; Turner, 1996).

Per definire una misura quantitativa ed indicativa della suscettibilità al dissesto di un materiale costituente una copertura, Ellen (1988) propose un indice di mobilità A.M.I.

(Approximate Mobility Index), definito come:

A.M.I. = Saturated water content of undisturbed soil

Liquid limit

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Questo indice è dato dal rapporto tra il contenuto d’acqua del suolo saturo in situ o indisturbato ed il suo limite di liquidità. Il parametro A.M.I. serve a comprendere la tipologia dei dissesti superficiali che possono verificarsi in funzione dello stato di addensamento e della porosità. In particolare, fornisce l’informazione del comportamento contrattivo o dilatante della copertura dopo aver raggiunto la saturazione.

Se A.M.I. < 1, il contenuto d’acqua a saturazione è inferiore al limite di liquidità; In questo caso il terreno ha un comportamento dilatante. Si possono formare lenti e superficiali soil slip (Guzzetti, 1992). Tuttavia, se:

 0,45 ≤ A.M.I. ≤ 1, il terreno necessita di maggiore acqua per far fluire una porzione della massa di suolo;

 A.M.I < 0,45, il terreno non può incorporare altra acqua per fluire.

Se A.M.I. > 1, il contenuto d’acqua a saturazione è superiore al suo limite di liquidità.

Questo terreno ha un comportamento contrattivo ed è coinvolto nel processo di liquefazione. Si formano rapidi debris flow (Guzzetti, 1992).

Il comportamento meccanico dei suoli è stato analizzato da Casagrande (1976), tramite una prova triassiale non drenata su un terreno sabbioso sciolto e su un terreno denso. Dai risultati ottenuti è emerso che, i terreni sciolti o mediamente addensati collassano in condizioni umide quando sono soggetti ad un minor sforzo di taglio, rispetto ai terreni densi. La riduzione della resistenza al taglio è derivata dall’aumento delle pressioni dell’acqua nei pori, generate dalla tendenza alla contrazione del materiale quando soggetto a sforzo di taglio. Ne deriva una fluidificazione istantanea del materiale coinvolto, al momento dell’annullamento delle tensioni efficaci. Tale processo prende il nome di liquefazione (Casagrande, 1976).

Un terreno a comportamento contrattivo e a bassa permeabilità è molto suscettibile ai dissesti, dal momento che un rapido drenaggio dell’eccesso di acqua interstiziale è difficile da applicare (Ellen, 1988).

I terreni densi hanno un comportamento meccanico differente quando sono soggetti a sforzo di taglio, poiché si dilatano aumentando di volume. A causa dell’incremento di volume, il terreno ha bisogno di un maggior quantitativo di acqua per poter fluire.

L’afflusso di acqua nel terreno richiede tempo, specialmente se il terreno ha bassa

permeabilità. Per questo motivo la mobilitazione per dilatazione è più lenta della

liquefazione. (Ellen, 1988; Turner, 1996).

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Ellen (1988) ha indicato che i terreni sciolti e contraenti a bassa permeabilità sono una possibile sorgente di rapidi soil slip-debris flow, nei quali il materiale viene completamente mobilizzato dall’area d’innesco. È necessario un piccolo sforzo di taglio per diminuire di molto la resistenza al taglio e mobilizzare l’intera massa di suolo (Ellen 1988; Turner, 1996).

I terreni densi e dilatanti danno origine a più lenti soil slip, che possono rimanere tali e non fluire, oppure evolvere in debris flow mobilizzando però solamente una parziale massa di suolo dall’area di innesco. In quest’ultimo caso, lo sforzo di taglio lungo la superficie di rottura non è in grado di rimuovere l’intera massa di suolo. Ciò accade perché l’aumento di volume per dilatazione determina una diminuzione del livello idrico all’interno delle fratture di tensione della massa in scivolamento, che non permette di sostenere il flusso.

Una parziale mobilitazione di massa di suolo può comunque avvenire localmente per dilatazione. Ciò accade lungo i fianchi della superficie di scivolamento, dove lo sforzo di taglio è accompagnato da estensione e canalizzazione di acqua nelle fratture di tensione.

Oppure, si verifica ai piedi della superficie di scivolamento, dove la massa di suolo dislocata si raccorda con la superficie del terreno creando un aumento della concentrazione degli sforzi e un conseguente accumulo d’acqua che promuove la mobilitazione per dilatazione (Ellen 1988; Turner, 1996).

4.5 – Fattori che influenzano la localizzazione dei soil slip-debris flow

È stato dimostrato che i soil slip-debris flow si innescano in conseguenza dell’aumento delle pressioni neutre nel terreno (Smith, 1988).

Le caratteristiche del materiale della copertura e il volume d’acqua convogliato nell’area di innesco rivestono un’importanza primaria. Questi due elementi sono controllati da alcuni fattori geografici, quali la forma topografica, l’inclinazione del pendio, la vegetazione e le caratteristiche geologiche e strutturali del substrato, nonché la presenza di opere antropiche (Smith, 1988).

4.5.1 – Fattore forma topografica

Hack & Goodlett (1960) hanno proposto la suddivisione morfologica dei versanti in

hollow, nose e side slide (fig. 4.7).

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Gli hollow sono le concavità dei versanti, le aree in cui le curve di livello sono concave verso l’esterno lontano dalle creste; generalmente si ritrovano nelle valli secondarie alla sommità dei canali della rete idrografica.

I nose sono le convessità dei versanti, ossia le aree di displuvio delle acque nelle quali le curve di livello sono convesse all’esterno verso valle.

I side slide sono le aree in cui le curve di livello sono dritte e si collocano tra una concavità ed una convessità del versante (Hack, 1965).

Fig. 4.7 –

Schematizzazione della suddivisione morfologica dei versanti in base all’andamento delle curve di livello e delle linee di flusso (da Smith, 1988, modificato)

Molti autori (Hack & Goodeck, 1960; Campbell, 1974; 1975; Reneau & Dietrich, 1987;

Dietrich et alii, 1987; Smith, 1988, D’Amato Avanzi et alii, 2004) hanno dimostrato che i molti soil-slip debris flow si originano negli hollow.

Negli hollow l’elevata suscettibilità ai dissesti superficiali è data dalla favorevole concentrazione delle acque e dal maggiore spessore di copertura detritica (Smith, 1988).

Durante le intense precipitazioni, gli hollow raccolgono una maggior quantità di acqua poiché le linee di flusso idrico sono convergenti; quindi possono saturarsi più facilmente e rapidamente rispetto ai nose o ai side slide.

Inoltre, lo spessore della copertura è maggiore poiché in queste concavità si concentra anche il trasporto detritico promosso dalle acque superficiali e dalla gravità.

Al posto della definizione di hollow, Tzukamoto (1973) coniò il termine di “bacino di

ordine zero” (zero-order basin), per indicare un bacino non canalizzato e convergente,

collocato al di sopra un effimero, intermittente o perenne corso d’acqua appartenente

all’asta fluviale di primo ordine o di ordini successivo.

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In letteratura esiste una grande varietà di termini per denominare le zone di maggiore accumulo di materiale colluviale. Queste zone prendono il nome di hollow, dale, dell, swale, zero-order basin, ravine fill, cove e zob (Dietrich et alii, 1987).

Molti autori preferiscono le definizioni adottate da Hack & Goodlett (1960), poiché si basano sulla suddivisione della morfologia dei versanti secondo l’andamento delle linee di flusso delle acque e il trasporto detritico.

Se le linee di flusso sono convergenti, divergenti o parallele, la morfologia associata sarà rispettivamente un hollow, un nose o un side slide.

Jocobson (1985) ha affermato che le frane superficiali possono innescarsi anche nei side slide. Molti soil slip possono infatti originarsi in zone a bassa o nulla convergenza topografica, laddove è presente un discreto spessore di suolo e dove possono accumularsi elevate pressioni neutre (Reneau & Dietrich, 1987).

4.5.2 – Fattore inclinazione pendio

La maggior inclinazione del pendio aumenta la possibilità di innesco dei dissesti superficiali, laddove esiste una copertura superficiale detritica.

Gli angoli di inclinazione del pendio più comuni che possono dare origine ai soil slip- debris flow vanno da 26°-45°.

Questo intervallo corrisponde al range di valori di inclinazione del versante nel quale è generalmente presente una copertura di suolo colluviale (Campbell 1974; 1975;

D’Amato Avanzi et alii, 2004). Per valori maggiori di 55°, il substrato è generalmente

affiorante e non ricoperto da una copertura continua superficiale. Per questo è

improbabile che si formino questi dissesti. L’innesco è invece di norma meno frequente

per valori inferiori ai 18°(Campbell 1975).

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Fig. 4.8 – Visualizzazione grafica della relazione empirica tra probabilità di innesco dei soil slip-debris e inclinazione di un pendio naturale (da Campbell, 1975)

4.5.3 – Fattore substrato

Le caratteristiche meccaniche della copertura di suolo sono legate alla tipologia di roccia presente in profondità.

Il substrato è spesso impermeabile o poco permeabile, in confronto alla sovrastante copertura detritica. È proprio questa differenza di permeabilità, che permette la formazione di una falda sospesa e il conseguente aumento delle pressioni neutre alla base della copertura (Campbell, 1975; Howard et alii, 1988)

La superficie di scorrimento si colloca così al contatto tra substrato e copertura.

La giacitura della stratificazione o delle discontinuità del substrato “a franapoggio”

facilitano il meccanismo di scivolamento della copertura (D’Amato Avanzi et alii, 1999, 2004).

4.5.4 – Fattore vegetazione

L’interazione della vegetazione nelle stabilità del pendio è complessa e tutt’oggi non

ancora ben definita. Tale complessità ha impedito di quantificarne il ruolo nel calcolo

dell’analisi di stabilità dei pendii (Greenway, 1987).

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È tuttavia accettato che gli apparati radicali delle piante contribuiscano ad aumentare la resistenza del suolo, fornendo un aggiuntivo contributo di coesione (Sidle, 1985; Reneau

& Dietrich, 1987; Turner, 1996).

Secondo Sidle (1985), le radici delle piante fissano il suolo superficiale instabile al subsoil sottostante stabile e formano una rete interconessa nei primi 50 cm di suolo che rinforzano e trattengono in posto lo strato superficiale di suolo.

È stato dimostrato che la frequenza dei soil slip-debris flow è cinque volte minore laddove è presente un suolo con copertura arborea rispetto ad una copertura di associazioni erbacee. Nonostante questo contributo di coesione, i sistemi radicali più profondi delle specie arbustive non forniscono un sufficiente ancoraggio in profondità per impedire l’innesco dei questi dissesti (Campbell, 1975).

Nelle zone superficiali le radici riescono a tenere insieme le parti di suolo, mentre nelle parti più profonde vengono rimodellate nel processo di liquefazione.

In caso di instabilità del pendio, i fusti delle piante con le loro radici vengono trascinati verso il basso con la massa di suolo in scivolamento (Campbell, 1975).

La copertura vegetale ha un generale effetto positivo perché riduce la suscettibilità all’erosione del suolo da parte dello scorrimento delle acque superficiali. Tuttavia, la copertura vegetale produce un contemporaneo effetto negativo, poiché favorisce l’infiltrazione delle acque permettendo una più rapida e completa saturazione del suolo (Campbell, 1975).

Nel caso di intense precipitazioni, gli apparati radicali delle specie arboree ed arbustive intercettano grandi quantità di acqua, facilitando il processo di infiltrazione delle acque e quindi lo scorrimento del suolo di suolo e la successiva liquefazione (Smith, 1988).

Il potere distruttivo e la diffusione dei soil slip-debris flow può incrementare o diminuire

in base allo stato di conservazione e alle tipologie di vegetazione presenti sopra la

copertura di suolo. Biocenosi naturali, semi-naturali ed artificiali propongono esiti

differenti se sottoposti a condizioni estreme di precipitazione, in situazioni di potenziale

innesco di dissesti. Di regola, un maggior sviluppo di soil slip-debris flow si registra in

presenza di tipologie vegetazionali di minore spontaneità, soprattutto in condizioni di

abbandono colturale e/o di fitopatologie diffuse. Nel caso dell’alluvione del 1996 in

Versilia e Garfagnana, è stato osservato che – a parità di condizioni geologico-

geomorfologiche – una sensibile maggiore diffusione dei soil slip-debris flow è avvenuta

nei castagneti (formazioni artificiali non più coltivate e spesso deperienti) rispetto ad

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altre biocenosi arboree spontanee (ostrieti, querceti misti e faggete) (Amorfini et alii, 1997).

Oltre ad una minore capacità di ancoraggio del sistema radicale per fitopatologie diffuse, i castagneti della Versilia e della Garfagnana presentavano, nell’occasione detta, un’ingente e superiore massa legnosa per unità di superficie e per incidenza puntuale, in gran parte dovuta alla mancanza di interventi di alleggerimento (potatura) non più eseguiti da decenni. Soprattutto la biomassa in eccesso è stato un fattore aggravante, nonostante le buone resistenze all’erosione tradizionalmente offerte dalle coperture arboree. Nel caso dell’alluvione del 1996, i soil slip-debris flow originatisi nei castagneti della Versilia e della Garfagnana hanno avuto un impatto devastante, restituendo molta della biomassa dislocata nei collettori principali (Amorfini et alii, 1997; D’Amato Avanzi et alii, 2004).

4.5.5 – Fattore interazione strade

Le principali cause di instabilità dei pendi a seguito dei tagli stradali sono collegate all’aumento di pendenza, al sovraccarico operato dai materiali di riempimento, alla diminuzione del confinamento per rimozione del materiale di supporto laterale, all’alterazione del percorso delle acque e concentrazione dei deflussi in determinate aree (Sidle et alii, 1985 ). La costruzione di strade altera i processi idrologici ed erosionali naturali operanti in un bacino di drenaggio.

Le strade sono impermeabili all’infiltrazione, favorendo ed incrementando il rapido scorrimento delle acque. Esse canalizzano il deflusso superficiale in determinate traiettorie, in base all’inclinazione e alla morfologia del versante (Montgomery, 1994).

Durante le intense precipitazioni, nella copertura di suolo a monte o a valle dei tagli stradali possono generarsi elevate pressioni neutre che conducono alla rottura del pendio (Anderson, 1983; Larsen & Parks, 1997).

L’accumulo di elevate pressioni interstiziali è legato alla cattiva regimazione delle acque, che deriva dall’assente o inadeguato dimensionamento dei sistemi di drenaggio delle acque superficiali e sub-superficiali (Dahal et alii, 2006; Sidle & Ochiai, 2006 ).

A monte del taglio stradale, l’instabilità del pendio può derivare dalla mancanza del

supporto laterale del versante e dall’esistenza di strutture di contenimento, quali muri in

cemento armato senza opportuni dreni, che impediscano un corretto drenaggio delle

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Fig. 4.9 – Formazione di un soil slip a monte di un taglio stradale a causa dell’inadeguato sistema di drenaggio e il conseguente cedimento del muro di sostegno, provocato della spinta laterale del terreno saturo (da Dahal et alii, 2006)

A valle del taglio stradale, l’instabilità può essere causata dalla concentrazione del flusso superficiale e sotto-superficiale sotto strada, che nelle concavità dei versanti è incrementato dall’azione di dreni sotterranei e dal processo di erosione sotterranea operato dall’azione delle acque.

È difficile stimare la quantità di flusso sotto-superficiale intercettato dalla strade, in quanto esso dipende dallo spessore delle copertura, profondità e grado di fatturazione del substrato poco permeabile o impermeabile, dalla forma topografica del versante (Sidle &

Ochiai, 2006).

Le strade realizzate nelle concavità dei versanti intercettano molto più flusso sotto-

superficiale di quelle nei pendii convessi o planari, risultando così più suscettibili ai

dissesti (Rice & Lewis, 1991).

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Fig. 4.10 – Schematizzazione delle possibili instabilità del pendio che possono generarsi dall’interazione di un taglio stradale con l’andamento delle acque superficiali e sottosuperficiali (da Sidle & Ochiai, 2006, modificato)

Più frequentemente le cause di instabilità sono per lo più correlate ai problemi idrologici, quali alla cattiva manutenzione dei canali sotterranei e canalette, allo scorretto dimensionamento dei sistemi di drenaggio e alla concentrazione dei deflussi superficiali e sotto-superficiali sotto strada (Sidle & Ochiai, 2006; fig. 4.10).

I sistemi di raccolta delle acque devono essere progettati in base all’impatto che la

costruzione di una strada genera, quindi devono tener conto delle aree dove naturalmente

o artificialmente viene convogliato il deflusso superficiale (Montgomery, 1994).

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